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Autore: Bleake    10/11/2018    1 recensioni
"D’istinto, il ragazzino scattò a sedere, ripulendo in fretta e furia il posto a sedere dove aveva appoggiato i piedi, per poi abbassare il finestrino e cacciare la testolina fuori dalla macchina; era ancora stordito, non riusciva ancora a connettere bene fra loro i fatti avvenuti nelle ultime sei ore di viaggio.
Tutto quel riusciva a capire era che si era addormentato nella macchina del padre.
E questo bastava per fargli venir voglia di sprofondare.
Ma fu solo nel momento in cui vide un gruppo di valigie appoggiato a terra, che il piccolo Gideon inizio a tremare."
Gravity Falls, la solita piccola cittadina che nei teen drama all'insegna del thriller riesce a raccontare qualcosa.
Ma se i personaggi dell'Universo ideato da Alex Hirsch fossero in una maniera totalmente diversa?
(Come saprete, non ho ideato io Reverse Falls. In più prenderò ispirazione in gran parte dai comics appartenenti a quest'AU.
Non intendo plagiare nessuno; quindi, se trovate delle somiglianze, sapete il perché già dalla descrizione.
Buona lettura a tutti voi!)
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Una distesa infinita di alberi.
Alberi robusti, dotati di spettacolari e verdi aghi dall’aria appiattita; hanno tutta l’aria di essere abeti.
E montagne, le più alte che qualcuno  abbia visto; simili a quelle di cui si legge solitamente nei libri di geografia.
Il fuoco scoppiettante di un falò, ruscelli, cascate, laghi, e un gigantesco tronco, dotato di finestre, porte, scalini e...
No, aspetta. Cosa?
“Svegliati, tappo!”
Gideon stropicciò gli occhi, lasciando che un grido soffocato lo destasse dal sonno che lo aveva accolto fra le sue braccia, quasi come l’abbraccio di una madre che mette il proprio bimbo a letto.
Peccato che lì, sotto di lui, non c’era nessun letto; quelli che gli facevano da materasso non erano che i sedili freddi della macchina appartenente al padre.
Le sue gambe facevano male, il torcicollo che aveva deciso di dargli il buongiorno sembrava non volerlo lasciare andare senza averlo stritolato per bene.
E, come se non bastasse, i suoi occhi non erano mai stati così pesanti; “E’ un miracolo che i miei non mi abbiano detto nulla…” pensò, rabbrividendo al solo pensiero di ritrovarsi con un occhio nero e una gamba zoppicante come l’ultima volta.
Aveva ancora i lividi, ne era sicuro.
 Dopo lo shock iniziale, il giovane americano si guardò pigramente attorno, cercando di capire cosa fosse successo: erano forse arrivati? Ma arrivati dove? Non ricordava.
Tuttavia, quando il suo sguardo assonnato inquadrò il naso aquilino della madre che si storceva in un gesto poco elegante e l’ampia fronte del padre corrugarsi in un cipiglio, capì.
D’istinto, il ragazzino scattò a sedere, ripulendo in fretta e furia il posto a sedere dove aveva appoggiato i piedi, per poi abbassare il finestrino e cacciare la testolina fuori dalla macchina; era ancora stordito, non riusciva ancora a connettere bene fra loro i fatti avvenuti nelle ultime dieci ore di viaggio.
Tutto quel riusciva a capire era che si era addormentato nella macchina del padre.
E questo bastava per fargli venir voglia di sprofondare.
Ma fu solo nel momento in cui vide un gruppo di valigie appoggiato a terra, che il piccolo Gideon iniziò a tremare.
   
 
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