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Autore: fortiX    12/11/2018    1 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Gelo.

Di nuovo il calore sembra essere stato strappato via direttamente dal sangue.

Il silenzio impera con la sua pesante e angosciosa tensione e fa suo ogni singolo suono. Solamente il respirare affannoso di Sephiroth si ribella a quel tombale dominio. Spiri lugubri, quasi simili a fischi, rotti da lacrime che si rifiutano di scendere. Quel cuore di bambino è divenuto troppo arido per assecondare l’ennesimo sfogo. Troppo è accaduto nelle ultime settimane. Troppa sofferenza, troppo dolore, troppa rabbia, troppo rancore, troppo senso di colpa. Sensazioni tutte troppo intense, troppo soffocanti, troppo esplosive, troppo profonde… Semplicemente troppo.

Nessuno, per quanto forte, può reggere a una tale valanga emotiva.

La mente del Generale è sull’orlo del baratro, poiché privata di tutti i suoi pilastri. L’ultimo l’ho appena visto crollare in migliaia di pezzi, colpito violentemente dalla più potente e atroce crudeltà mai subita: la realizzazione di non valere nulla per nessuno. Non chiedeva molto, solo di sapere da dove venisse, così da capire dove andare; sapere chi era, così da decidere cosa diventare. Invece, silenzio, o bugie. Queste ultime, però, sono state le lame che lo hanno ferito più in profondità, perché provenienti proprio da coloro che più ha amato: Genesis, Angeal… Gast. L’uomo, dal sorriso accomodante e gli occhi gentili, con sempre una parola di conforto da spendere; lo scienziato che gli fece conoscere il mondo fuori dal laboratorio attraverso i suoi racconti; l’eroe spavaldo dotato del coraggio necessario per fronteggiare Hojo… non era altro che un ammasso di specchi falsi e millantatori che celavano il suo vero volto: un serpente viscido e crudele. Il suo veleno erano le bugie, così dolci e confortanti da sembrare miele cosparso di cannella. E Sephiroth ne ha ingurgitato così tanto da esserne assuefatto. Ha creduto ad ogni singola parola di quell’uomo. Ha creduto, soprattutto, alla più ignobile, gretta, brutale delle bugie: “Tu puoi essere normale”.

Tu puoi essere normale.

La dicitura ‘Progetto J’ svettante sui fascicoli spalancati di fronte a lui rivela una storia del tutto diversa. Una storia che gli è stata tenuta nascosta per anni. Una realtà scomoda fatta di atroci esperimenti e violazioni di ogni umana dignità. E quell’essere, dalla pelle esangue e dalle profonde e livide occhiaie attorno agli occhi arrossati e dilatati, ne è il più straordinario risultato.

Un risultato. Uno dei centinaia possibili. Solo una fortuita serie di calcoli probabilistici e cocktail genetici dosati al millimetro.

Come si può essere normali, quando perfino le proprie origini non hanno nulla di normale?

Il consenso firmato per l’esecuzione dell’esperimento che avrebbe portato alla sua creazione, Sephiroth lo tiene tra le dita tremanti, studiando per l’ennesima volta il testo fitto di norme legislative e termini legali che richiamano all’etica e alla moralità. Vagamente ironico se si pensa che ci troviamo nel luogo in cui si sono consumati gli atti più immorali nella storia della scienza. Poi, lo sguardo si fissa sulle tre firme in calce alla pagina.

Tre firme per tre boia.

Qualunque futuro a cui Sephiroth avrebbe potuto aspirare è morto nell’esatto momento in cui quelle firme furono apposte.

 

Project J (S)’s Research Director signature

 

Faremis Gast

Scrittura pulita, precisa, scaturita da una mano abituata ad apporre firme, ma che, nonostante questo, si prende il suo tempo per risultare riconoscibile sempre, come prova inconfutabile del suo marchio. E’ evidente la voglia di imprimere la propria impronta nella storia; soprattutto in un momento come quello, dove un gruppo di menti cieche e perverse decise del destino del Pianeta, pianificando la nascita della più grande minaccia dai tempi dei Jenova stessa.

 

Project J (S)’s Principal Investigator signature

HojoElijah

 

Questa firma, Sephiroth, l’ha vista tante di quelle volte da perderci il conto. Una firma capace di scatenare un senso di disgusto e odio più profondo delle fondamenta del Pianeta stesso. Scrittura essenziale, nervosa, sbrigativa, quasi a tradire l’enorme fastidio dettato dal sottrarre tempo prezioso alla ricerca. Fosse stato per Hojo, tutta quella cerimonia si sarebbe potuta risparmiare. Fosse stato per Hojo, forse il Generale non avrebbe nemmeno avuto una coscienza capace di rodergli il fegato. Paradossalmente, il vecchio è stato il più sincero di quella triade di scellerati. E ciò non fa altro che alimentare il risentimento verso se stesso. Oltre il danno anche la beffa. E’ una crudele ironia che l’uomo che lui ha sempre disprezzato con tutto il cuore, è quello che effettivamente non gli ha mai nascosto le sue reali intenzioni. Il vecchio sapeva che lui non avrebbe mai retto alla verità. Il vecchio lo ha sempre capito meglio di chiunque altro.

E questo Sephiroth non riesce ad accettarlo.

 

Cells J bearer signature

Lucrecia Crescent

Un’altra cosa che Sephiroth non riesce ad accettare è che quel terzo nome sia l’unico a risultare illeggibile. Colui che si è macchiato del peccato più grande. O meglio, COLEI… Sua madre. Non sa cosa pensare di lei. E’ l’unico mistero rimasto irrisolto. Le uniche informazioni riguardanti quella donna sono solo sterili referti di laboratorio. Dall’enorme ammontare di scartoffie, sua madre era tenuta sotto strettissimo controllo medico, per ovvie ragioni. E non solo. Ciò che più colpisce, infatti, è la quantità di ricoveri a seguito di pesanti tracolli fisici. I referti raccontano un quadro clinico preoccupante pure dal punto di vista psicologico. Sembra che fosse perseguitata da inquietanti visioni che l’avevano fatta affondare in un profondo stato di paranoia e depressione. Tutto ciò l’ha portata a condotte pericolose sia per lei che per il bambino.

Voleva uccidere la causa della sua sofferenza. La domanda è: era lei stessa o il bambino che portava in grembo?

Le lunghe dita guantate, ora strette attorno a sfortunate ciocche di capelli, rivelano che Sephiroth rimpiange di aver assecondato quell’impossibile desiderio di sapere. Fatica ad accettare ciò che tanto mostruosamente gli è stato posto davanti, sebbene abbia sempre sospettato di essere frutto dell’artificio. Forse non credeva in modo così integrale, specie se si pensa che nelle sue vene scorre il sangue di un mostro alieno sanguinario, esecutore del primo sterminio di massa della storia del Pianeta. E a lui era stato detto che POTEVA essere normale.

No… non si può, è evidente. Tutto ha senso ora, vero Sephiroth?

-Mi credi, ora? –

Una voce superba e melliflua s’insinua tra le crepe gelate dell’apatia del Generale, recuperando col suo gusto agrodolce brandelli di lucidità. Egli, infatti, si riscuote appena, volgendo, tremante, l’attenzione verso la propria destra. Da quell’angolo, lambito appena dall’effimera luce giallastra del lampadario, emerge Genesis. La grande ala nera svetta magnifica al di sopra della sua spalla e lambisce pigramente il terreno, provocando inquietanti fruscii ad ogni movimento del proprietario. Sephiroth le rivolge un lungo, spaventato sguardo. Posso avvertire un’altra crepa attraversare la sua apatia alla realizzazione che, sì, quella ‘cosa’ potrebbe spuntare dalla sua schiena da un momento all’altro.

Sta letteralmente guardando il suo futuro. Ha sempre avuto la sensazione che il loro destino era, in un qualche modo, intrecciato.

- Je… Jen…n… -

Non osa dire quel nome. Quel nome che per il grande Eroe è sempre stato un faro nel buio, la speranza tenue di un bambino bisognoso della mamma, un sogno bellissimo eppure irraggiungibile. Quel nome evocato chissà quante volte nelle ore oscure della notte, quando gli incubi non gli davano tregua. Quel nome a cui ha affidato le sue preghiere, le sue speranze, i suoi sogni…

-Jenova, Sephiroth. Puoi dirlo, in fondo tutti noi condividiamo le sue cellule. In effetti, potremmo considerarla nostra madre. –

Genesis continua imperterrito a lanciare le sue crudeli gettate di veleno, nella speranza di fare breccia nella fortezza di depressione in cui Sephiroth si è chiuso. Ogni volta che una parola esce da quella bocca irriverente, il corpo dell’argentato s’irrigidisce da capo a piedi per poi essere scosso da potenti tremori. Inoltre, come se fosse possibile, egli sbianca ulteriormente.

Il rosso, dal canto suo, sorride malevolo di fronte alla sofferenza del rivale. Lo conosce da abbastanza tempo da sapere quanto egli sia succube delle proprie emozioni. Gli ha tolto tutto, lo ha spogliato di tutta la sua baldanza, del suo potere, della sua forza; di questo passo il Grande Generale sarà ridotto ad un semplice guscio vuoto, pronto ad aggrapparsi a qualunque cosa, perfino ad un esperimento fallito come l’ex-Comandate, pur di andare avanti con la sua inutile, miserabile vita. E, finalmente, Genesis sarà l’Eroe che ha sempre sognato di essere.

- Madre? –

- Certo, Sephiroth. Jenova è colei che ci rende così forti, che ci dice cosa fare, che ci protegge dalla morte. -, il rosso assottiglia gli occhi per studiare gli effetti di quest’ultima frecciata, - Non vorrai davvero rinnegarla ora che sai tutto? –, insinua viscido, mentre si avvia verso la scrivania, e si siede sopra di essa, dandoci le spalle, - Di conseguenza, -, continua, tendendo una mano elemosinante verso Sephiroth, - non vorrai lasciare che un tuo fratello muoia, disattendendo al volere di nostra madre? –

Quella parole mielose e piene di falsa accondiscendenza urtano accidentalmente un nervo scoperto e molto doloroso nella psiche dell’argentato, strappandolo tutto d’un colpo dall’apatia. Egli si scaglia con velocità disumana verso Genesis, lo afferra per il collo, lo solleva di ben oltre la sua testa e lo schianta contro il pianale della scrivania. Quest’ultima si spacca di netto con un sonoro crepitio, sotto la potenza inaudita del colpo. I fascicoli esplodono in aria, librandosi ovunque per la stanza. Genesis emette un gemito soffocato e sputa un po’ di sangue, mentre Sephiroth lo blocca a terra col suo peso.

- PERCHÉ DOVREI SALVARE LA TUA MISERABILE VITA? TU, CHE MI HA PORTATO VIA TUTTO?! –

Le dita del Generale sono strette attorno al bavero del sottoposto e lo scuotono con forza, costringendolo ad impattare contro il pavimento ancora ed ancora. L’espressione di Sephiroth è spaventosa: gli occhi di mako brillano in tutta la loro gelida e inquietante rabbia, mentre screziature rosate cominciano a comparire nell’iride destra; rughe imbruttite e profonde deformano la fronte, il ponte del naso e i lati della bocca; le labbra si sono ritirate per far spazio ai denti appuntiti, così vicini al viso avversario che potrebbero strapparglielo se solo glielo permettesse.

Avverto una mano minuta stringere la mia, riportandomi alla mente di non essere il solo ad assistere a queste scene inedite. Getto un’occhiata fugace alla ragazzina accanto a me, scioccata di fronte alla lite furibonda tra i due uomini che più hanno segnato la sua vita. Non saprei dire se sia più turbata per la rabbia del padre o per il pericolo corso dal tutore.

- Quanto sei cieco, Sephiroth. Sei arrivato fino a qui e ancora non capisci niente. -, uno strano eco risuona nella mia testa mentre il ricordo di un rimprovero analogo striscia fuori dai meandri della mia mente, - Sei davvero convinto che la Shinra ti avrebbe permesso di andartene così? Tu, il loro più costoso investimento? –

In un colpo, la crudele ironia colpisce dritto nel segno. Sephiroth si ritrae, abbandonando il bavero del rosso e portando una mano alla fronte. Di nuovo, l’espressione del Generale tradisce il suo più totale smarrimento. Per quanto l’albino non voglia dare credito all’ex-Comandante, i fascicoli ora sparsi ovunque sul pavimento non fanno altro che sbattergli in faccia la crudele realtà, dando ancora più adito alle ragioni del banoriano.

 

Tu non sei mai stato libero.

 

Tu non sei stato concepito, sei stato costruito.

 

Sei nato perché la Shinra ha PAGATO per averti.

 

Tante, troppe persone sono morte per migliorare le tecniche di manipolazione genica al punto tale da trasformare un semplice ammasso di cellule umane nella perfetta macchina di distruzione, commissionata dalla più potente Compagnia elettrica del mondo.

 

E’ questo ciò che sei.

 

Non meriti gli stessi diritti di un essere umano.

 

Tu sei un mostro.

 

- Basta… -

Le parole tetre lo tormentano, come demoni sadici lo pungolano dispettosi. Implora la fine di quel supplizio, piagnucolando come un bambino sperduto. Sephiroth afferra la testa con entrambe le mani. Le dita affondano nella folta chioma argentea, raggiungendo il cuoio capelluto. Il petto si espande e si comprime a ritmi serrati, affannosi. Il panico lo attanaglia, la realizzazione lo distrugge, la coscienza lo divora. Gli occhi si muovono febbrili da un fascicolo all’altro, nella speranza di trovare un punto cieco su cui finalmente posare lo sguardo sconvolto e fuggire da quella verità devastante.

Invano.

- Basta dirti bugie, amico mio. Nel profondo, lo sai, lo hai sempre saputo che te le avrebbero portate via. E tu SAI che fato le avrebbe aspettate se la Shinra fosse arrivata prima di me. –

E dalle viscide labbra del suo ex-commilitone, arriva la stoccata finale. La sola menzione a quella possibilità, un brivido gelido attraversa il corpo del Generale, rievocando ricordi terrificanti e mai sopiti. Il peso di quelle esperienze sembra improvvisamente schiacciarlo, tanto che non ha nemmeno più la forza di reggersi la testa. Ogni oncia di sangue sembra essere stata succhiata via, tanto la sua pelle è cinerea. Con la testa abbassata, la schiena incurvata, le braccia abbandonate sulle gambe, sembra una macabra marionetta a cui hanno tagliato i fili.

Per un lunghissimo istante, una surreale stasi spodesta con la sua anti-climatica calma il caos regnante poco prima. Ogni suono è congelato, ogni movimento impedito, ogni aspettativa possibile.

La calma prima della tempesta.

Improvvisamente, quasi impercettibile, un lugubre mugolio detona nel cuore della stasi. L’onda d’urto è così devastante da causare profonde incrinature su ogni singolo oggetto presente nella stanza. Io stringo Takara a me, presagendo già la tempesta in arrivo. Vorrei scappare, ma un’insana curiosità mi tiene incollato al mio posto.

Mi sono sempre chiesto: come nasce un mostro?

Il mugolio diventa sempre più distinto, fino a definirsi in un agghiacciante sghignazzo, la cui potenza causa crepe sempre più profonde e scricchiolii sempre più assordanti. E’ spaventoso quanto il senso di disagio capace d’insinuarsi direttamente nelle ossa. Lo scricchiolio è ormai insopportabile, ma non sovrasta mai il suono orrendo che la genera, anzi è una nenia ipnotica che ti avvolge nel suo mortale abbraccio. Infine, giunge il culmine, il momento in cui l’Eroe muore e il Mostro trionfa. Il momento in cui la mente di Sephiroth si frantuma in migliaia di pezzi e tutto l’odio, la rabbia, il rancore racchiuse nei recessi più oscuri della sua psiche si riversano in ogni angolo del suo corpo, corrompendolo fino al midollo.

Una risata folle, sguaiata, diabolica prorompe potente come un tuono, sconquassando ogni fibra della nostra anima, oltre che il corpo del suo fautore. Le spalle, la schiena e la testa di Sephiroth si sollevano di scatto, lasciando che quel terribile suono si elevi verso la superficie, affinché tutto il Pianeta possa udire la voce della sua furia. Tutto il suo corpo è teso nell’atto di ridere, turgido e statuario come una belva in procinto a festeggiare la sua ritrovata libertà. I denti sono snudati e spuntano simili a zanne appuntite dalle gengive rosso sangue, esposte all’inverosimile. Infine, gli occhi, come sempre, la peggiore visione alla fine.

Fuoco.

Solo un infinito, indomito e scatenato mare di fuoco, specchio stesso della sua anima devastata, il cui richiamo riecheggia fin fino ai più profondi meandri dell’Inferno. E da lì, un nuovo padrone emerge avvolgendo totalmente il Generale con un’onda di ribollente lava, per poi ritrarsi indietro, lentamente, sensualmente, accarezzando ogni singola curva del suo corpo. La risata di Sephiroth scema lentamente, trasformandosi in ansimi di piacere, tradendo la natura di quel contatto. Lo guardiamo mentre asseconda le delicate carezze che quella lava gli lascia sul viso, sul collo, sul petto, inseguendole con sinuosi movimenti delle suddette parti. Le palpebre morbidamente abbassate entrano in pieno contrasto con le labbra appena dischiuse ancora deformate in un terrificante ghigno, in un perfetto connubio di piacere e odio.

Mano a mano che la lava abbandona il corpo del Generale, essa si addensa e si plasma al fine di formare una sagoma, dapprima informe, ma poi sempre più definita in quella di una donna dal corpo sinuoso e sensuale. Bellissima quanto terrificante. Noto, tuttavia, che non tutto il plasma infuocato abbandona il Generale, un filo sottilissimo collega il centro del petto di lei alla parte terminale di una ciocca dei capelli di lui.

Una scena tenera appartenente a un lontanissimo passato mi riporta all’esatto momento in cui quel ciuffo di capelli venne tagliato e consegnato all’amata, come pegno d’amore imperituro e incondizionato.

Non solo il tuo cuore bruciò con lei.

Evelyn, le cui meravigliose fattezze rimangono ancora confuse dal mare di fiamme in cui è immersa, si propende verso il suo amato, lambendo con le sue mani laviche il viso tempestoso di Sephiroth. Lo attira verso di sé, così vicini che quelle labbra potrebbero quasi toccarsi per puro caso. Lei temporeggia, lasciando che il proprio uomo si crogioli nella dolce illusione di aver riportato indietro le lancette dell’orologio. Quando c’era ancora lei, quando tutto era un meraviglioso, caldo, folle sogno. Lacrime piene di rimpianto sgorgano dalle lunghe ciglia del Generale, scendendo lungo la curva delle palpebre ancora serrate e poi lungo la decisa curva dello zigomo appuntito, fino ad intercettare le mani infuocate della sua amata. Un lieve rigolo di fumo si eleva lì dove le amare gocce evaporano. In tutta risposta, Evelyn sposta i palmi e li fa congiungere sotto al mento dell’amato, per poi esercitare una lieve pressione, inducendolo ad alzare la testa ed aprire gli occhi.

Le sue labbra si schiudono, lasciando che una voce dotata di una soavità e di una dolcezza ultraterrene avvolga l’udito del suo Generale.

 

- Don’t be sad. I’m with you now. –

[Non essere triste. Sono con te, ora, Sephiroth FFVII: CC]

 

Per l’ultima volta in quella notte, il sorriso di Sephiroth fu sinceramente felice. Lei era con lui. Questo voleva dire solo una cosa: l’Inferno era alfine giunto. Avrebbe dato alla sua Regina il suo legittimo regno. E nessuno l’avrebbe fermato. Quegli inutili, miserabili, schifosi insetti dalle fattezze umane sarebbero periti sotto la sua indomabile potenza. Quella Compagnia malata e marcia avrebbe pagato lo scotto per tutte le umiliazioni causate. Quel Pianeta morente e crudele avrebbe ricevuto il colpo di grazia proprio da colui che tanto ha vessato.

Perché lui era Sephiroth.

Il mostro più potente mai creato.

Colui il quale il potere enorme dell’universo gli scorre direttamente nelle vene.

Il Prescelto. Il legittimo erede della… Madre.

Nessuno è degno di questo titolo. Nessuno!

L’epifania colpisce il Generale con la forza di un fulmine, una scintilla potentissima brilla in quegli occhi velati dal rancore e dall’ira. Velati, ma non annebbiati. Sì, perché ora SA. Per la prima volta in tutta la sua vita realizza la sua vera identità, il compito grandioso a cui è stato preparato fin dalla nascita. Ora tutto si spiega, tutta ha finalmente un senso, comprese le frasi sibilline rivoltagli dalla giovane Cetra di bianco vestita, prima della sua partenza. Sì, lui porterà morte e distruzione senza fine, perché così è scritto. E’ questo il suo destino.

Il sorriso si trasforma in un orrifico ghigno satanico e i suoi occhi roteano in direzione di Genesis, il quale ancora lo fissa sbigottito dalla sua posizione supina. Lo osserva in tralice con le iridi smeraldine, trafiggendo gelido l’amico traditore attraverso le sottili ciocche argentate, le quali gli adombrano sinistramente il viso affilato. E’ terrificante. Sia il rosso, che noi, semplici spettatori, avvertiamo un brivido di terrore ripercorrere tutta la lunghezza della spina dorsale.

- S- Seph? Ti senti bene, amico mio? –, azzarda l’ex Comandante, titubante.

In tutta risposta, l’Angelo dalla Sola Ala sghignazza lugubre scatenando l’ennesima doccia gelata.

- Mai stato meglio. –

Gli occhi blu del banoriano si spalancano all’inverosimile, mentre la paura lo avvolge.

Quella voce…

Una forte sensazione di nausea mi assale, lo stomaco si accartoccia su se stesso, la vescica si contrae, il cuore inizia a battere all’impazzata e il sudore freddo imperla la fronte, il collo, la schiena. Il corpo è così teso da risultare inamovibile. L’istinto di scappare c’è eccome, ma siamo troppo spaventati per farlo. Perfino Genesis non riesce a muoversi, il disagio gli ha perfino mozzato il respiro.

Improvvisamente, Sephiroth inspira. Chiude gli occhi e rotea la testa, come se fosse in preda alla libidine.

- Oh, sì. Sì, temimi. L’odore della paura è ciò che più ti si addice. –

Il SOLDIER di Banora snuda i denti e assottiglia gli occhi, oltraggiato così profondamente da quell’insinuazione denigrante da scacciare via l’espressione impaurita sul suo volto in pochi secondi. Egli cerca di alzarsi di slancio, ma, tra il suo fisico spossato dal degrado e i colpi subiti poco fa, il risultato è patetico e miserabile oltre ogni limite. L’equilibrio del rosso è troppo minato per un’efficace posa battagliera, tanto che è costretto ad estrarre Rapier al solo fine di sorreggersi. Il suono limpido dell’acciaio che incide la pietra sottolinea ancora di più l’onta. Inoltre, il suo respiro è pesante. Troppo pesante. Così pesante da costringerlo a tossire. Si porta il guanto alla bocca e, quando sposta il palmo, esso è macchiato di sangue nero.

Takara emette un gemito di pietà nei confronti del suo tutore.

Ignorando le ferite, il rosso cerca di sollevare il pesante stocco, ma le esigue forze gl’impediscono di rinsaldare la presa e l’arma cade a terra con un tonfo metallico. Inoltre, i suoi polmoni sembrano essere stati gravemente compromessi.

- Come- cough- osi? Cough cough! -

Ad ogni colpo di tosse, schizzi di sangue esplodono dal suo cavo orale, seminando gocce nerastre come se piovesse, oltre che colare dalle sue labbra. Genesis crolla di nuovo in ginocchio, ma il suo fisico non regge nemmeno quella posizione e lo costringe a carponi. Cerca di prendere profonde boccate d’aria, per ricevere in cambio proteste sempre più pesanti dal suo stesso apparato respiratorio.

Il tutto sotto lo sguardo divertito di Sephiroth, il quale non sembra intenzionato nemmeno lontanamente ad aiutare il suo vecchio commilitone. Anzi, la sofferenza del rosso non fa altro che accrescere la luce di puro godimento nelle iridi di gelido mako acquamarina.

Le braccia del Comandante tremano dallo sforzo, seguite poi a ruota dal corpo, il cui tremore, però, è scatenato da una causa ben più personale.

- Non voglio morire. -, annuncia, tra singhiozzi e ansiti.

Del tutto indifferente, Sephiroth rompe la sua immobilità e si propende verso la Masamune, abbandonata a terra dopo la distruzione della scrivania; dopodiché, lentamente, misuratamente, egli si eleva in tutta la sua terrificante magnificenza. La voce cristallina della spada leggendaria fende l’aria come una belva affamata, impaziente di reclamare il suo tributo di sangue. Il Generale osserva Genesis dall’alto, con disgusto, come un Dio impietoso osserverebbe il più osceno e blasfemo dei peccatori.

- Oh no, tu non morirai.

Il SOLDIER di Banora alza la testa di scatto, stupito da quelle parole, interpretandole come un atto di suprema benevolenza da parte di quell’implacabile Dio della Distruzione. La speranza gli illumina gli occhi blu, i quali rivolgono uno sguardo adorante verso il suo salvatore.

- Sephiroth… Sapevo che avresti capito… Amico mio… -

Il viso di marmo del Generale si deforma in un ghigno beffardo, da cui una risata vuota e mostruosa prorompe, mettendo fine alle suppliche del rosso. Questi sbianca, le pupille diventano due capocchie di spillo, mentre fissa inorridito la controparte avvicinarsi infidamente a lui. L’albino piega la schiena in avanti e, col collo, si propende verso il lato destro del suo viso. Le labbra cineree dell’Angelo vicinissime al suo orecchio. Ciocche del color della luna gli lambiscono lo spallaccio, si posano sul colletto rialzato, s’insinuano sulla pelle del suo collo. Genesis non osa muoversi. Il respiro affannoso è l’unico movimento che si può concedere.

 

- You’ll rot. -

[Tu marcirai. Sephiroth, FFVII: CC]

 

Sussurrato questo, Sephiroth si scosta e osserva l’uomo ai suoi piedi dritto negli occhi con nera soddisfazione, rivolgendogli un ampio, demoniaco sogghigno. Di fronte a quello sguardo, tutto l’orgoglio di Genesis capitola miseramente, rivelando il suo vero volto: un uomo disperato, terrorizzato dal suo stesso fragile corpo morente. Non sopporta più l’agonia, la costante paura di vivere in un corpo troppo debole, il timore incessante di non risvegliarsi più a seguito del più semplice dei colpi. Più di tutti, però, c’è il terrore di andarsene troppo presto, senza aver concluso nulla di utile nella vita, dimenticato, senza valore. Il panico dona a Genesis la forza necessaria di afferrare i lembi dell’impermeabile di Sephiroth, impedendogli di allontanarsi.

- NO! Ti prego, Sephiroth! Io… io posso esserti ancora utile. Dammi le tue cellule e potremo combattere… insieme! Sì, insieme… come una volta! –

Le suppliche e le lacrime del rosso non sembrano minimamente lambire l’impassibilità del Generale, il quale fissa l’uomo implorante disgustato. I livelli di sopportazione, infatti, raggiungono l’apice e Sephiroth mette fine a quel miserabile teatrino afferrando con decisione il banoriano per la gola, stroncandone il discorso e trasformarlo in un raccapricciante gemito strozzato. Successivamente, solleva il guerriero da terra con una facilità disarmante e lo scaraventa senza grazia a impattarsi contro la libreria. I libri esplodono in un vortice di fogli e copertine e mensole spezzate, il quale ricade sopra al corpo del rosso, seppellendolo sotto il proprio peso.

Accanto a me, Takara scatta in direzione del Comandante per soccorrerlo, ma io afferro entrambe le braccia e la tiro verso di me, chiudendola in un abbraccio.

-No! Lasciami! -, urla la ragazzina, scalciando e contorcendosi.

- E’ un ricordo. Non puoi fare niente per lui. -, spiego, mentre lotto contro la sua determinazione.

Takara combatte ancora un po’, ma poi si arrende, tuttavia non smette di fissare quell’angolo, in cui il corpo dell’ex Comandante di SOLDIER persevera immobile.

- Genesis… - evoca con la voce rotta da lacrime screziate dal senso di colpa.

Con la coda dell’occhio, vedo Sephiroth infrangere la sua immobilità e cominciare ad avviarsi verso l’uscita. La sua espressione è una maschera di completa indifferenza. Tirando Takara con me, mi faccio da parte, lasciandogli libero il passaggio, ma un mugolio soffrente interrompe la sua marcia.

- Fermati ora, Sephiroth. Sei ancora in tempo per non seguire il mio esempio. –

Il Generale lo fissa glaciale.

- Eppure ti sei impegnato così tanto per condurmi qui. –

La crudele ironia del platinato getta un pesante silenzio tra i due. Per un attimo crediamo che la discussione finisca lì, invece, Sephiroth abbandona il centro del corridoio e si avvicina al Comandante ancora riverso al suolo. La sofferenza del rosso è ben evidente sul viso mortalmente pallido e macchiato di sangue, i cui occhi blu osservano, stanchi e spenti, l’uomo che si accovaccia proprio di fronte a lui.

- Ma io ti perdono. –

Sia io che Takara che Genesis rimaniamo stupiti da quelle parole.

Come può perdonarlo per tutto quello che gli ha fatto?

- Sei solo un burattino. Una miserabile marionetta nella mani della Madre. Nel Suo grande disegno, eri un insignificante vettore per un fine. Non vali niente. Non meriti il mio odio, perché il ruolo a cui Lei ti ha relegato è una punizione sufficiente per me.  

Genesis è sempre più confuso. Per quanto la forma opinabile, il contenuto del perdono di Sephiroth è assolutamente genuino. Non v’è odio, né ironia, né menzogna. E’ un perdono vero, accorato, come a dimostrare la mano posta sul cuore dall’argentato.

- Non osare! Non osare fare l’accondiscendente con me. Tu mi odi. Io ho dato fuoco alla tua casa. Io ho ucciso la donna che amavi. Io… -

L’ex Comandante abbassa la testa, mentre i ricordi dei suoi crimini osceni ritornano più dolorosi e potenti che mai. Non riesce a sostenere lo sguardo misericordioso dell’uomo su cui il suo risentimento è calato più pesantemente di chiunque altro. Le lacrime sgorgano copiose di fronte a quel perdono immeritato.

- Io, io, io. Genesis, ti stai dando troppa importanza. Non mi hai ascoltato? La Madre ha voluto che tu facessi ciò che hai fatto. E ora, grazie al tuo intervento, posso finalmente ascoltarla. Lo hai detto anche tu, no? Lei provvede a noi. Siamo i suoi figli. I suoi prescelti. –

A quelle parole, Genesis trova la forza di guardare il Generale. Quest’ultimo sorride benevolo al camerato e lo guarda con uno sguardo del tutto differente dalle prime battute del loro incontro. Non lo trafigge con la freddezza, ma lo avvolge con calore, lambendo appena le sue sofferenze.

- I suoi prescelti… -

Il banoriano ripete le parole dal sapore di miele proveniente dalle gentili labbra di quel Dio compassionevole che, misericordioso, gli lava via le lacrime dal viso con verbo appassionato e ripieno di speranza. Egli, infatti, è letteralmente travolto dall’aura divina di Sephiroth come testimoniano quegli occhi blu, da cui scaturisce una luce adorante. Del tutto perso in lui.

- Sì. Lei mi ha scelto affinché possa preparare il Pianeta per il futuro radioso che la Madre ha predisposto per noi. E così farò, fratello mio. –

Sotto lo sguardo attonito di Genesis, Sephiroth si alza, alto e fiero nella sua impeccabile postura di nuovo Dio, e osserva il minuscolo vettore che lo ha risvegliato. Non v’è disprezzo, né infamia in quegli occhi, solo un’emozione difficilmente identificabile, tanto indecifrabile è la sua immensa aura. Egli poi volge il suo sguardo imperscrutabile verso la fine del corridoio, da cui rumori ovattati sembrano arrivare.

- Sarà un lungo e periglioso cammino. Nemici di ogni tipo si nasconderanno dietro ogni angolo. Io farò di tutto per portare avanti la volontà della Madre, ma… -, il Generale s’interrompe e si rivolge a Genesis, - potrei fallire. –

Un fremito attraversa il corpo debilitato del Comandante, terrorizzato dall’idea del fato che attenderebbe Sephiroth se dovesse veramente mancare. Che ne sarà di lui? Che ne sarà di loro?

Ad un certo punto, però, il Dio abbassa la testa, regredendo, per un attimo, allo stato fragile e miserrimo della sfera umana. Infatti, il ghigno mefistofelico è scomparso, l’arroganza nei suoi occhi volatilizzata, la postura ieratica rilassata.

- Addio, mia principessa. –

Quella frase è un soffio flebile, quasi impercettibile, ma capace di strappare una lacrima ad un Dio. Sia io che Genesis spalanchiamo la bocca per lo stupore, poiché non ci aspettavamo che fosse in grado di formulare un tale pensiero, dopo ciò che è poc’anzi accaduto. L’unica non sorpresa è proprio la protagonista di quell’accorato addio. Ella sorride, fiera e sollevata del fatto che, prima di morire, sua padre abbia dedicato l’ultimo suo pensiero a lei.

L’amore di un padre va al di là di ogni potere, di ogni entità, di ogni distanza. E’ un legame così potente e stretto che niente e nessuno riuscirà mai a spezzarlo. Non importa quanto dolore, quanto odio, quanta rabbia un uomo possa provare, ma l’amore per i propri figli, il desiderio di saperli al sicuro supera ogni barriera, distrugge ogni fortezza.

E nemmeno il grande Dio Sephiroth ne è immune.

Un tonfo ovattato proviene dalla porta di legno massiccio, la quale viene spalancata da una figura offuscata, la quale urla qualcosa d’incomprensibile.

Tutto inizia a girare e scomparire.

L’ultima cosa che vediamo è Sephiroth indossare la maschera del mostro e il baluginio della Masamune, mentre ci rimbomba in testa la fatidica frase:

- Out of my way. I’m going to see my Mother.-

[Non ostacolatemi. Sto andando a trovare mia Madre. Sephiroth, FFVII: BF]

 

 

- Takara! –

Alzo il busto di scatto, protendendo la mano verso il vuoto. Della ragazzina, però, nessuna traccia. La sua figura distorta dallo sfaldamento del ricordo è l’ultima cosa rimasta di lei. Ora, mi rendo conto di essere rimasto solo, in un luogo a me ben conosciuto. A pochi metri da me, infatti, distinguo un’inconfondibile chioma d’argento ondeggiare elegantemente a ritmo di una leggera e fresca brezza.

-Lei non è qui. –

Sephiroth spazza via i miei dubbi, senza nemmeno voltarsi. Credo che tutta la sua attenzione sia focalizzata sulla figura al di là del cancello. Evelyn è ancora lì ad attenderlo. E ora capisco il perché. Il loro legame è stato forgiato da quella ciocca che lei ha sempre portato con sé. Lei è morta assieme una parte fisica di lui, non solo con il suo cuore. Non potrebbero ignorarsi nemmeno volendo.

Sospiro, mi avvio verso Sephiroth e mi fermo accanto a lui, distanziato di un paio di braccia.

Come volevasi dimostrare, egli è troppo impegnato a contemplare la figura della moglie, inginocchiata nel bel mezzo di una densa nebbia, al di là del cancello di ferro battuto, il quale ci divide dal mondo dei morti. Come il marito, anch’ella osserva con attenzione il muro che la separa da questo strano limbo sospeso tra la vita e la morte, sperando in un altro miracolo come quello dell’altra volta. Entrambi, comunque, sembrano sereni, poiché sanno che la loro controparte è più vicina di quanto credano.

- Perché hai perdonato Genesis? –

La mia domanda esce dalle labbra in modo quasi inaspettato, infrangendo la quiete dentro cui entrambi stavamo lentamente sprofondando. Egli risponde senza nemmeno pensarci, come se fosse l’unica ovvia spiegazione.

- La paura di morire l’ha portato a fare scelte sbagliate. Non si rendeva conto di quello che stava facendo. –

La semplicità e la placidità impresse nel suo tono risultano quasi assurde. E inaccettabili. Ciò mi fa montare su tutte le furie. Avverto lo stomaco assaltato da strani crampi, di cui non riesco a identificare la causa. Tremante d’ira, riverso quel sentimento addosso al mio mortale nemico.

- Che diavolo di risposta è? Lui ti ha distrutto la vita! Ha rivoltato tutto il mondo contro ogni tua convinzione, ha usato i tuoi uomini come cavie da laboratorio, ha bruciato la tua casa… ha… ha ucciso la donna che amavi…ha…ha… –

Mano a mano che elenco i crimini di Genesis, mi rendo conto di quanto assomigliano dannatamente a quelli commessi dal Generale stesso nei miei confronti. Crimini che non ho mai ponderato di perdonargli nemmeno nell’anticamera del cervello, ma che, anzi, non hanno fatto altro che consumarmi ogni giorno sempre di più. La mia baldanza si spegne, lasciandomi senza alcuna forza. Crollo a carponi, mentre lacrime di cordoglio scendono incontrollate lungo le mie gote, succhiando via l’energia ad ogni goccia infranta al suolo. Stancamente, appoggio la fronte a terra, lasciando che i fili d’erba mi lambiscano la pelle. Le dita che, fino a poco tempo prima, erano infisse nel terriccio, ora sono strette attorno a ciocche di capelli. Ma anche quella forza viene a meno e mi ritrovo a piangere al limite dell’incoscienza, riverso su un lato, membra abbandonate sull’erba e in posizione fetale. Il mio corpo non è mai stato tanto pesante, ma nemmeno così svuotato. Sono fisicamente esausto. E schifosamente patetico

- Hai capito quanto è straziante odiare? –

La voce calma e pacata di Sephiroth mi riscuote. Alzo stancamente la testa nella sua direzione e incrocio i suoi occhi. Non posso fare a meno di stupirmi nel constatare che lui non mi stia trafiggendo con i suoi soliti sguardi mordaci atti a sottolineare la mia stupidità; oppure disprezzarmi con un’intensa occhiata altezzosa superbia. No, vedo tanta empatica pietà spillare da quelle iridi. E dispiacere, oltre che una profonda tristezza. L’ esatto specchio dei miei. Non credo di essermi mai sentito così nudo in vita mia, ma anche totalmente compreso.

Stancamente, faccio leva con le braccia e alzo il busto, senza distogliere lo sguardo da quel tocco così intimo e rassicurante. E’ un momento intensissimo, capace di strapparmi il cuore letteralmente dal petto da quanto forte batte. Mi sento stordito, confuso dalla miriade di emozioni che sono esplose a seguito della distruzione del muro che da sempre le teneva imprigionate nei recessi del mio animo. Non c’è più nessuna barriera tra noi, perché anch’io riesco a vedere al di là della sua maschera d’indifferenza. Le nostre difese sono crollate totalmente, le nostre fortezze spodestate e messe a nudo agli occhi dell’altro. Non siamo più nemici giurati, né pedine di una guerra millenaria, né mostri rabbiosi, né guerrieri sanguinari; bensì uomini. Ciò che ci è stato vietato per tutta la vita. Ed è ciò che ci ha sempre accomunato.

Io, tuttavia, sono il più spregevole degli uomini. Una feccia schifosa, dorata da un eroismo che non mi è mai veramente appartenuto. L’ho costretto a compiere nefandezze indicibili, pur di mettere a tacere il senso di inadeguatezza che da sempre ha gravato sulla mia coscienza. Egoisticamente, mi sono aggrappato alla sua straordinaria grandezza, infangandola, sfregiandola, demolendola pur di esaltare quella miseria che da sempre mi ha contraddistinto. Non sono mai stato niente rispetto a lui. Sephiroth era l’eroe che ogni ragazzino sognava essere: altruista, responsabile, disinteressato. Ed io… io non lo sono. Non lo sono mai stato: ho sempre pensato a me stesso, vendendo la mia forza al miglior offerente, seguendo la mia strada e infischiandomene delle conseguenze. Ogni occasione era buona pur di dimostrare quel valore di cui non ne possedevo nemmeno un grammo. Non ci ho pensato due volte a spacciarmi per Zack, nascondendo la sua memoria pur di dimostrare di non essere un totale fallito. Volevo essere il più forte e non volevo che il merito andasse agli altri, perché… sì, lo ammetto, mi sentivo superiore. Ma ora capisco che no, io non lo sono affatto. Non senza coloro che amo. Coloro i cui sentimenti e desideri sono sempre stati calpestati dal mio cieco egoismo. Coloro che, nonostante tutto, mi sono sempre stati accanto.

Coloro che, nonostante le sofferenze, mi hanno amato…

Tifa…

Abbasso la testa e avverto il rimorso devastarmi.

Lei mi è stato sempre accanto, ha sempre creduto in me, fin dall’inizio, quando non ero altro che un ragazzino di provincia debole e inutile. A lei non è mai importato se fossi rimasto un sempliciotto di campagna oppure un SOLDIER acclamato, lei mi avrebbe amato sempre e comunque. Guardo sofferente la mia controparte. Le lacrime hanno ripreso a scorrere. E’ questo che ha sempre cercato di inculcarmi. Voleva che combattessi per le persone a me più care, dal momento che lui non poteva più. E’ per questo che tornava: per ricordarmi questo.

E io l’ho odiato così tanto…

Un odio immeritato, quando lui, a modo suo, ha voluto sempre aiutarmi.

Cammino a carponi nella sua direzione, verso quella figura statuaria che magnifica svetta verso il cielo bianco latte. La brezza gli scuote delicatamente le ciocche sottili dei capelli d’argento, le quali gli lambiscono il viso disteso, benevolente…bellissimo, lo devo ammettere. Un angelo intriso di peccato, ma pur sempre un angelo. Egli segue la mia avanzata con leggero stupore, come dimostrano le labbra rosate morbidamente dischiuse. Appena lo raggiungo, alzo il busto e avvolgo le braccia attorno alla sua vita, per poi affondare il mio viso nel suo grembo. Sephiroth sussulta di sorpresa e fa per ritrarsi, ma prontamente le mie dita afferrano disperatamente il tessuto della sua nivea camicia, con il rischio di strapparla.

- Cloud, cosa…? -

- Mi dispiace… Non sei tu a ricercare il mio perdono, ma io il tuo. Io ti ho rubato tutto. Ho approfittato della tua caduta per appropriarmi dei tuoi titoli e denigrare la tua memoria. Mi sono lasciato accecare dalla rabbia, dall’odio e dalle bugie della Shinra. Ho rinnegato tutta l’ammirazione nei tuoi confronti, senza nemmeno chiedermi cosa ti avesse spinto ad agire così. Ho perseguito la vendetta con tutte le mie forze, spingendomi fino alla fine del mondo e… alla fine, cosa mi è rimasto? –

Alzo lo sguardo e lo fisso nel suo. Blu nel verde, mako nel mako.

- Te lo dico io: niente! Come niente sono sempre stato. Io… volevo solo essere come te… -

Lo stupore iniziale di Sephiroth si tramuta in un’espressione di pura sofferenza, appena pronuncio l’ultima frase. I suoi occhi si spalancano terrorizzati e la sua bocca si contrae mimando un muto ‘No’. Egli inizia a scuotere la testa, sconvolto, mentre cerca di convincere se stesso di non aver sentito davvero quelle parole. Glielo posso leggere letteralmente al di là di quella pupilla oscura, ridotta a una capocchia di spillo e straordinariamente umana. E’ uno spettacolo unico.

Avverto improvvisamente i suoi polpastrelli strisciare sulla pelle del mio viso, i palmi ampi accogliere la mia testa nella loro disperata stretta, le lunghe dita affusolate insinuarsi tra i miei capelli. Odo il crepitio dei suoi guanti neri e le falangi premere contro il cuoio capelluto, come se volesse impedirmi di ritrarmi; ma, sinceramente, io sono così affascinato dalla sua figura da non riuscire nemmeno a muovere un muscolo. La sua mascella si contrae e i suoi occhi si assottigliano e si rabbuiano, tradendo un’ondata di rimorso capace di spaccare in due il Pianeta stesso. Rimango sorpreso da quel repentino cambio d’umore, ma non ho il tempo di chiedere, poiché lui, lentamente, si piega nella mia direzione, fino ad appoggiare la sua fronte alla mia per un rapido istante, per poi rialzare il suo sguardo dritto nel mio. Il respiro si mozza in gola appena avverto il gelo della sua pelle pervadermi il centro della testa. Gli occhi si spalancano dallo stupore nell’apprendere di non avvertire nessun fiato solleticarmi la pelle. Al che capisco che la vita in quel corpo è solo un remoto ricordo. Istintivamente, rafforzo la stretta attorno ai suoi fianchi per donargli un po’ di conforto, ma l’iniziativa non sembra sortire nessun effetto; anzi ciò lo turba ancora più profondamente. La mascella, infatti, si contrae ancora e gli occhi diventano lucidi. La tonda pupilla ora mi scruta severa attraverso le lunghe ciglia nere. Deglutisco rumorosamente dalla soggezione che questa strana vicinanza mi provoca, tuttavia non riesco a distogliere lo sguardo. Non potrei nemmeno volendo dal momento che la presa sulla mia testa da parte di Sephiroth si è fatta incredibilmente più determinata.

- Cloud… quanto sei idiota. Non ti sei mai reso conto, vero? Tu STAI diventando esattamente come me. Ti senti niente, perché…niente ero. Stai abbandonando coloro che ami per continuare a inseguire un’ideale inesistente. Come ho fatto io… -

L’ultima frase è pronunciata con un filo di voce, ma è un sibilo così penetrante da colpirmi dritto al cuore. Avverto il mio corpo fremere, davanti a quell’ammissione così sofferta e piena di devastante rimpianto. Un paio di minuscole lacrime, sfuggite al controllo del Generale, sfilano lungo il suo viso affilato, ma egli chiude gli occhi e si concentra, come suggerisce il leggero fremito dei muscoli sopraccigliari. Quando, finalmente i sentimenti sono richiamati all’ordine, egli si raddrizza e spazia con le mani il nebbioso vuoto che ci circonda.

- Guarda dove quell’ideale ci ha portato… –

La sua voce è stanca, stracolma di tristezza, ma ancora capace d’indurre un uomo all’obbedienza. Come ordinatomi, infatti, mi guardo attorno. Il mondo è avvolto in una nebbia così fitta da non riuscire a distinguere nient’altro, se non quel cancello sbarrato su un futuro fin troppo nitido. Un futuro fatto di attesa e solitudine. Un futuro che ci obbliga a guardare quello che una volta avevamo e che noi, per perseguire un sogno al di fuori della nostra portata, abbiamo lasciato alle spalle. Siamo stati troppo veloci, troppo veementi, troppo affamati.

Inizio a ridere. Fin da bambino, ho sempre dovuto dimostrare qualcosa agli altri. Volevo essere forte per farmi rispettare, per ottenere ogni cosa desiderassi, per rendere mia madre e Tifa fiere di me. Vedevo in SOLDIER, in Sephiroth, un modo per ottenere quella fantomatica forza che mi avrebbe aiutato a raggiungere i miei sogni. Una forza che, tuttavia, non mi ha mai nemmeno sfiorato: i miei compagni, i miei comandanti mi credevano un totale fallito. Tutti nel Reparto mi disprezzavano e vedevo quel sogno allontanarsi ogni giorno sempre di più. Poi arrivò la notte in cui tutto cambiò, in cui vidi l’uomo più forte del Pianeta crollare sotto il peso delle sue stesse debolezze. Un uomo che ha permesso a un potere corrotto di trasformarlo nel suo schiavo. E io, che avevo perso le persone che amavo, che non le avevo protette, sconfiggerlo con una facilità disarmante. Non mi accorsi mai che quel dolore fu la scintilla capace di radere al suolo quei limiti che nella mia ottusità mi sono sempre imposto. Ora realizzo: io tengo agli altri, li ho sempre messi al di sopra di ogni cosa, inconsciamente, magari, arrivando perfino a mentire a me stesso, a ferirli coi miei lunghi silenzi e i miei comportamenti scontrosi, però, alla fine, sono sempre tornato.

Grazie a lui.

Rivolgo a Sephiroth un’occhiata grata, appena mi riconosco la veridicità delle sue parole.

- Essere eroi richiede un prezzo pesante da pagare… e spesso non si è in grado di sostenerlo. E’ per questo che esistono gli antagonisti. -

Di tutta risposta, lui chiude gli occhi e inarca i lati della bocca in un sorriso nostalgico, trasformando la sua espressione neutra in una più gentile e franca. Ha un che di paterno e ciò mi fa nascere uno strano languore all’altezza della bocca dello stomaco. Il Generale rivolge poi il suo sguardo malinconico verso un punto lontano.

- E’ come asseriva sempre Genesis: The world needs a new hero. [Il mondo ha bisogno di un nuovo eroe, Genesis FFVII: CC]. Solo ora capisco cosa volesse dire… -

Sephiroth abbassa la testa, in preda al rimorso.

Rimango stupito dal fatto che, perfino ora, egli non riesca a perdonarsi del modo con cui ha dubitato dell’amicizia di Genesis. Nel loro modo distorto, i due erano legati da un sentimento profondo, che tutt’ora li perseguita. Vorrebbero odiarsi, ma non ci riescono, perché, in fondo al loro cuore, sanno che uno ha sempre agito per il bene dell’altro, e che i torti compiuti non erano altro che la manifestazione della loro frustrazione.

Realizzo d’improvviso che è lo stesso rapporto che intercorre tra me e Sephiroth, con l’unica differenza che noi non siamo e non saremo mai amici; tuttavia egli vede in me un modo per redimersi dai peccati. Forse aiutandomi, può dimostrare a se stesso che ha capito gli insegnamenti impartitogli con tanta insistente veemenza, così che i sacrifici dell’amico non siano stati vani.

- Ora capisco perché hai perdonato Genesis. -, esordisco, richiamando l’attenzione dell’albino su di me, - Non per compassione, non per onore o per chissà quale piano visionario. No… ti sei convito di meritare ciò che ti è stato fatto. Tu andasti avanti a discapito di un commilitone in difficoltà e la distruzione della tua famiglia fu il giusto fio da pagare, non è così? –

L’Angelo dalla Sola Ala non risponde, ma il suo silenzio è una risposta sufficiente per me.

- E’ per questo… -, m’interrompo, mentre cerco le parole adatte per formulare quella domanda che da tempo mi ronza in testa, - Che accetti che tua figlia venga sacrificata? -

Appena pronunciata quella frase, Sephiroth s’irrigidisce da capo a piedi. I suoi occhi si spalancano, le sue pupille s’allungano verticalmente, i suoi tratti s’imbestialiscono. Con un movimento fluido, mi rimetto in piedi e muovo un passo all’indietro, allertato da quell’improvviso cambio di tono.

- Sephiroth? Che ti succede? –

Qualche secondo dopo, egli viene colto da spasmi che lo costringono a piegarsi in avanti. Geme e urla similmente a un ossesso, mentre le dita affondano nel cuoio capelluto, causandosi profondi tagli alla pelle, da cui, però, non esce una sola goccia di sangue. Esce… polvere. Sono basito e senza parole, davanti a quel corpo che si contorce compulsivamente, come se fosse posseduto da un essere demoniaco.

L’istinto mi urla di allontanarmi ulteriormente, ma decido di ignorarlo e di coprire la distanza per trovare il modo di soccorrerlo. Gli afferro i polsi con stretta ferma, cercando di riportarlo in sé.

-Sephiroth! Che ti succede? Rispondimi, dannazione! –

Inaspettatamente, egli si libera dalla presa con un rapido movimento e circondo la mia testa con entrambe le mani, per poi tirarmi verso di lui. Le nostre fronti sono di nuovo a contatto e lo avverto aggrapparsi a me quasi con disperazione. I suoi occhi sono iniettati di terrore. Non posso fare a meno di fissare quelle iridi passare dal rosa al verde ad un ritmo allucinante. La pupilla è ridotta a una capocchia di spillo ed è inquietante il modo in cui passa da tonda a sottile in perfetta sintonia con il resto dell’occhio.

- P-proteggila, C-Cloud. T-t-ti prego, pro-pro-proteggi la mia bambina. –

Gli spasmi impediscono al Generale di parlare fluidamente, mentre la possessione gli deforma la voce facendogli assumere toni disumani e spaventosi. Sta combattendo con tutto se stesso contro qualunque cosa gli stia devastando la mente, tanto che mano a mano che i secondi passano, le sue forze vengono a meno, costringendo il suo corpo alla prostrazione. L’unico motivo per cui ancora non è crollato a bocconi a terra è la disperazione con cui si regge alla mia nuca. Cerco di dargli mano forte, apponendo le mani a sostegno delle sue braccia. Dopo che l’ennesimo attacco è passato, egli ritrova la forza di alzare la testa e guardarmi dritto negli occhi. Mi sta letteralmente implorando con lo sguardo, con quei bulbi virei e lucidi per la fatica e la costernazione.

- Io… -

Non oso continuare. Come faccio a dirgli che è stata proprio sua moglie a commissionarmi il gramo compito di trasformare sua figlia in una martire per la salvezza del Pianeta? Eppure dovrebbe essere conscio del destino a cui Takara è stata condannata, a causa della sua natura duplice, tra sangue jenoviano e Antico…

Un momento…

Evelyn non era una Cetra qualunque. Discendeva da colui che sconfisse Jenova, uno dei Sephera più potenti, la cui specialità è appunto la manipolazione dei ricordi.

Entrando in contatto con le cellule S aveva iniziato a notare cambiamenti nel suo corpo: alcuni erano evidenti sin da subito come temporanee mutazioni delle sue pupille da normali a serpentine; altre più silenti, ma dagli effetti permanenti come la miracolosa guarigione dalla sterilità e la conseguente gravidanza.

Ricordo bene la sua ultima incursione nell’ultima visione in cui l’ho vista. Non era la donna che avevo imparato a conoscere. C’era qualcosa di malvagio in quegli occhi smeraldini, qualcosa di oscuro in un quel ghigno innaturale, qualcosa di misterioso in quel tono fin troppo malizioso.

E poi, quel particolare della ciocca infuocata…

Un desiderio troppo dirompente per non essere ignorato…

Un’occasione troppo ghiotta per non essere colta.

Mi volto di scatto nella direzione del cancello. E ciò che vedo conferma i miei dubbi.

La donna al di là delle sbarre, la cui espressione si è fatta di cera, ha gli occhi ferini puntanti su di noi e ci osservano con un’oscura e inquietante luce rosata.

- Jenova si è presa Evelyn la notte stessa in cui siete stati insieme per la prima volta. Ha approfittato del vostro amore per soggiogarvi l’uno all’altra, così, quando le cose sono precipitate, ha creato quell’ illusione per controllarti. –

Scambio uno sguardo d’intesa con Sephiroth, il quale conferma la mia tesi con un debole movimento del capo. Abbandono il Generale e compio qualche spavaldo passo in direzione del cancello, al di là del quale “Evelyn” mi osserva con occhi così ricolmi d’odio da convertire lo smeraldo splendente di quelle iridi benevoli e meravigliose in puro nero inchiostro. Noto i suoi denti digrignarsi, la sua pelle assumere un’insana colorazione verdognola, le nocche sbiancare, il corpo tremare di una rabbia incontenibile. Mi fermo e mi pianto esattamente di fronte a lei, pugni chiusi e sguardo di sfida.

- Ma qualcosa nel tuo piano è andato storto, vero? L’amore incondizionato di una madre è un potere al di sopra di qualunque cosa, tanto da impedirti di controllare Takara. E quando il diario è giunto a me hai fatto di tutto per ostacolarmi, fino a convincermi che ucciderla è l’unico modo per salvare il Pianeta. -, sogghigno soddisfatto, di fronte all’aura d’ira che avvolge l’esile figura della donna, e muovo un altro passo nella sua direzione, - Davvero scaltra, ma, come al solito, hai sottovalutato la forza dei legami umani. Duemila anni ad osservarci e non hai ancora capito niente… Jenova. -

Il suo nome pronunciato con tale disprezzo e scherno è la goccia che fa traboccare il vaso. La figura esile e innocente dell’ex-geisha trasfigura rapidamente in quella mostruosa e sinuosa di Jenova stessa. Le grandi ali nere si spalancano maestose alle sue spalle, con una tale forza da creare una potente onda d’urto che sarebbe stata capace di sollevarmi da terra, se non avessi avuto la freddezza di accucciarmi e chiudermi a uovo, proteggendomi viso ed occhi. Appena il vento scema, riapro le palpebre e scruto la situazione al di là del braccio posto in posizione di difesa. La visione è ancora un po’ distorta e confusa e riesco solo a distinguere i giganteschi contorni di quelle ali nere così lucide da risaltare come astri nel buio stellare dell’universo. Non so dove quel mostro mi abbia catapultato, ma un gelido terrore mi sale lungo la schiena, preannunciando l’inevitabile. Metto a fuoco la figura bianco latte che, sinuosa e femminile, si staglia in pieno contrasto tra gli arti piumati di gelida ombra. Luminosi baluginii provengono dalla sua testa e capisco che si tratta dei lunghi capelli d’argento che ondeggiano ad ogni suo movimento e che coronano il capo come ispide e affilate lame di puro acciaio. Infine, riesco a puntare il suo viso, in quel momento deformato in una smorfia di pura ira. I denti, aguzzi come zanne, snudati; le iridi grondanti di luce sanguigna e le pupille serpentine dilatate dalla sete di vendetta. Un basso, sommesso ringhio proviene dalla sua direzione, come oscuro presagio della sua prossima imperscrutabile mossa. Non so cosa aspettarmi, non so di che cosa sia capace quel mostro e il terrore lentamente mi attanaglia, impedendomi di ragionare lucidamente. Riesco a notare un movimento rotatorio della suo braccio sinistro, ma lei copre le sue azioni cacciando un urlo così acuto e assordante da costringermi a richiudermi in posizione difensiva e tapparmi le orecchie. Grido di dolore. Nonostante la protezione costituita dai palmi, i miei timpani vibrano pericolosamente e dolorosamente, arrivando a credere di stare per diventare sordo. Improvvisamente, però, un presentimento si eleva al di là del dolore e mi suggerisce di alzare la testa e aprire gli occhi. Anni e anni di scontri contro Sephiroth hanno affinato il mio sesto senso, rendendomi attento anche quando non lo sono. E anche questa volta, ha ragione. Il movimento del braccio era atto alla trasformazione di quest’ultimo in un’affilatissima lama acuminata. Trasformazione convenientemente coperta da un diversivo.

Ingegnoso.

Fin troppo.

Lei, infatti, è esattamente a un braccio da me. L’ombra gigantesca del suo corpo alato oscura l’accecante luce delle stelle imperiture, ingoiandomi nel suo spaventoso abisso. La lama caricata all’indietro, pronta a colpirmi d’infilata, è l’unica cosa che dona luce a quella sagoma d’inconsistente nero. Il tempo sembra fermarsi, mentre assaporo gli ultimi istanti della mia vita; mentre fisso le aliene e bellissime fattezze del mio assassino.

Sento di stare per annullarmi, di arrendermi all’inevitabile, come è accaduto con Genesis, ma, d’un tratto, il viso di Tifa mi passa davanti agli occhi per un unico, significativo istante.

Il vuoto viene riempito: ho paura, provo rimpianto, vorrei abbracciare la mia Tifa. Vorrei chiederle scusa, vorrei baciarla, amarla… per l’ultima volta.

Una stretta forte e decisa alla spalla mi strappa brutalmente dalla spirale di panico in cui ero piombato e mi fa riacquistare lucidità. Lo scorrere dei secondi ha ripreso il suo normale corso, ma per me, ancora stordito dall’incessante fischio alle orecchie, sembra tutto accelerato all’inverosimile; tanto da non essere in grado di seguire il corso degli eventi. Un secondo prima sono in ginocchio di fronte a Jenova e il secondo dopo mi ritrovo a rotolare sul pavimento liscio. Ora sono sospeso a mezz’aria cadendo morbidamente verso un abisso di luce, il cui calore mi solletica la spina dorsale. La mia attenzione è totalmente attirata da quella parte, tanto da riuscire a distinguere quelle che paiono essere sagome muoversi al di là della cortina luminosa. Un baluginio insistente, però, fa capolino dalla vista periferica, inducendomi a voltare la testa e guardare in avanti. Rimango senza parole e incredulo di fronte a ciò che sta succedendo esattamente davanti ai miei occhi. La spada che avrebbe dovuto essere conficcata nel mio petto spunta spietata dalla schiena del Generale. La sua figura possente non sembra risentire troppo del colpo, poiché non cede un solo passo al furioso impeto della sua adorata Madre. Ella sembra spingere sempre più in profondità quella lama nelle sue carni, come testimoniano i raccapriccianti suoni di viscere spappolate e nugoli di polvere che spillano dalla ferita.

Ci metto un po’ a realizzare che… Sephiroth mi ha salvato!

Si è interposto tra me e Jenova, prendendosi una lama lunga quanto un braccio nell’addome. E ora le sta impedendo di raggiungermi, trattenendo quell’arma nel suo corpo, fondendo le sue cellule con quelle multiformi della Madre, lottando strenuamente contro un essere ben superiore a lui.

- Sephiroth! –

Inizio a tendermi nella sua direzione, con tutte le mie energie, nella speranza di riuscire a vincere questa strana forza. Mi sembra di nuotare in un mare di miele, tanto il movimento è impedito.

- Vattene, idiota! -

L’ordine di Sephiroth risuona nel vuoto cosmico con imperiosità, nonostante lo strenuo combattimento. Tentenno, indeciso se ascoltare l’ordine o ignorarlo, ma poi vedo le mani di Sephiroth chiudersi attorno al collo di Jenova e il suo intero corpo muoversi nella parte opposta a quella della Madre. L’aliena, di tutta risposta, snuda gli artigli della mano libera e inizia a scorticargli il lato corrispondente del viso. L’Angelo dall’Unica Ala non demorde e continua a spingerla lontana, nonostante le gravi ferite inferte. Jenova grida parole incomprensibili, appartenenti ad un lingua sconosciuta, in preda all’ira più cieca. Non ho idea di che cosa stia dicendo, ma sono piuttosto convinto che stia maledicendo quel figlio indesiderato con tutta l’anima.

Semai ne avesse avuta una.

Ad un certo punto, quel mostro nefasto allarga le ali, tramuta le piume in lame acuminate rivolte verso il centro e inizia a calare quella trappola mortale sulla schiena del Generale ancora, ancora e ancora. Le pugnalate sono sferrate con sempre più veemenza e rabbia, aprendo squarci sempre più profondi nella pelle lattea del SOLDIER.

E’ uno spettacolo orrifico, da far accapponare la pelle.

- NO! MALEDETTO MOSTRO, LASCIALO! 

Preso dall’irrefrenabile istinto di salvarlo, arrivo quasi a raggiungere il pavimento, ma due braccia si cingono attorno al mio petto, fermando la mia caduta. Sono arti piccoli e gracili, la cui pelle è dotata di un dolce candore.

Così famigliare…

Mi volto di scatto e incrocio due grandi occhi smeraldo che adornano un dolce viso ovale, contornati a loro volta da ciocche di riccioli castani.

- Aerith? –

- Devi andartene, Cloud. –

- Cos…? Aspetta! –

La Cetra inizia a muoversi per posizionarsi davanti a me, però Jenova, interpretando le azioni della sua mortale nemica, decide di aver temporeggiato troppo con quel vile traditore. Vedo la lama rigirarsi nelle carni ed essere preparata per un unico, fatale, montante. Trattengo il respiro, certo dell’imminente e orribile morte del Generale. Qualcosa accade, tuttavia, impedendo all’aliena di realizzare il suo intento: il suo corpo prende fuoco. Il fatto strano è che le fiamme sembrano non lambire minimamente Sephiroth; anzi pare che ostacolino e combattano i soli movimenti della Calamità, bloccandola sul posto e costringendola ad estrarre la lama. A quel punto, il Generale approfitta della momentanea distrazione della Madre per dar man forte al demone infuocato che la possiede, riuscendo infine a liberarsi. L’impeto è così potente da costringere Sephiroth a crollare all’indietro e indurre la lama a compiere un ampio cerchio sopra la testa di Jenova. Una scia di polvere si diparte dal corpo prostrato del SOLDIER, fino al luogo in cui quel pulviscolo si era accumulato copioso ai suoi piedi. Una forza contrapposta a quella che mi tiene sospeso sta attirando Jenova verso l’oblio in cui era confinata e su cui Sephiroth ha pazientemente vegliato per tutti questi anni. Tra la Madre e il figlio, le fiamme s’interpongono, quando, ad un certo punto, una figura di sfavillante purezza ne emerge, illuminandoci con la sua luce piena di calore e pace.

Un corpo sinuoso, femminile, sensuale è avvolto all’interno di un voluttuoso kimono bianco puro. Le sete svolazzanti del lungo strascico, delle maniche oblunghe e del semplice obi contrastano con il loro soave ondeggiare lo spietato buio del cosmo. E come il cosmo, corvini sono i capelli, raccolti di lato alla base della testa con un semplice fermaglio a forma di giglio bianco, il resto lasciato cadere fluido lungo la spalla destra, lasciata nuda dall’ampia scollatura. Così come il corpo, rimasto vigoroso e bellissimo, il viso non presenta il benché minimo segno di fatica o di vecchiaia. La pelle è fresca e giovanile, illuminata da un delicato candore, e avvolge perfettamente gli eleganti lineamenti. Bocca rossa piegata in un morigerato sorriso e occhi vitali, innamorati pennellano gli ultimi dettagli di quel ritratto divino. Ella fluttua, immota, come acqua placida di un quieto lago. Il fruscio delle sue vesti è l’unico suono che emette. La sua attenzione è totalmente rivolta a Sephiroth, ma si limita soltanto a fissarlo, senza muovere un muscolo. Non posso vedere l’espressione della controparte, ma sono piuttosto sicuro che la stia ammirando affascinato, oltre che essere sorpreso da questa miracolosa manifestazione. Ad un certo punto, un’increspatura finissima scompone appena la stasi. Evelyn si rabbuia, dispiaciuta.

E’ arrivato per lei il momento di tornare al suo Inferno.

Incurante delle ferite, Sephiroth infrange ogni indugio e inizia a strisciare nella sua direzione, aggrappandosi allo scevro pavimento con tutta la forza rimastogli. L’espressione della donna subisce un’ulteriore increspatura, svelando un’espressione di pura sofferenza nell’apprendere con quanta disperazione il suo uomo la desideri riavere tra le sue braccia. Appena egli riesce a raggiungerla e sfiorare le sue vesti, esse vengono incenerite dal fuoco che la sta di nuovo reclamando per sé. Il SOLDIER lotta contro il suo corpo stremato per rimettersi in piedi e raggiungere quel viso divino prima che sia troppo tardi, ma, ogni volta che trova un appiglio, questo scompare in un cumolo di cenere. Prima di dissolversi definitivamente, ella pronuncia un muto ‘Ti amo’, dedicando all’amato un flebile, ma bellissimo sorriso. L’uomo non può far altro che osservare, inerme, la moglie svanire, rapita dalle fiamme. Esse scompaiono al di là dell’orizzonte, lanciandosi dentro al cancello, il quale si sbarra con un sonoro clangore, per poi dissolversi nel nulla. L’oscurità scompare e l’oblio fumoso ritorna al suo posto.

-Cosa è successo? –

Stordito e confuso, mi rivolgo alla Cetra, rimasta per tutto il tempo accanto a me, pronta a difendermi; ella ha un grande sorriso che le solca le labbra rosee e osserva con fierezza quell’uomo che una volta chiamava ‘fratello’. Alla mia domanda, la fioraia risponde, trasudando sollievo e gioia da ogni poro.

- Salvandoti la vita, Sephiroth ha finalmente rotto il suo legame con Jenova. –, spiega semplicemente e si lascia scappare una tenue risata, mentre i suoi occhi s’inumidiscono dall’emozione, - Cominciavo a credere di non vedere mai questo giorno. Oh, Sephiroth… -

La Cetra si porta una mano al cuore, mentre l’altra asciuga via le lacrime di gioia. La sua risata cristallina mi accarezza l’udito, ricordandomi tempi andati. Mi accorgo con dolore di quanto quei gesti, quella risata, quella presenza mi siano mancati.

Nemmeno la morte è riuscita a cambiarla.

- E’ presto per cantare vittoria. –

Sephiroth interrompe il momento nostalgico con un tono inaspettatamente calmo e pacato, attirando l’attenzione su di sé. Dell’uomo prostrato e devastato dal dolore non v’è nemmeno l’ombra, al suo posto v’è la stoica e autoritaria figura del leggendario Generale di SOLDIER. Il suo vestiario e il suo fisico sono ritornati intonsi, come se nessuna battaglia si fosse mai consumata in questo luogo.

La notturna divisa sfavilla sullo sfondo anonimo, mentre egli si volta nella nostra direzione. I suoi occhi di giada sono ricolmi di feroce determinazione: la stessa che indossava prima delle battaglie campali, la stessa che ha guidato l’élite di SOLDIER verso la vittoria migliaia e migliaia di volte, la stessa che ti portava a dire:

- Cosa vuoi che faccia? –

Sephiroth mi rivolge un’occhiata cospiratrice, accompagnata da un sorriso sardonico. Un’espressione che avevo dimenticato fosse mai esistita. Posso vedere un piano segreto e misterioso nascere e prolificare nella sua mente instancabile, una mente che realizzo ora essere una delle più brillanti mai incontrate. Sephiroth era… E’ uno stratega straordinario: non v’è situazione capace di metterlo in difficoltà.

- Come ho detto: il mondo ha bisogno di un nuovo eroe. Guardati intorno, sono certo che troverai dei validi campioni pronti a darci una mano. –

- Non sarà facile. La tua reputazione ti precede. –

- Oh, se sono riuscito a convincere te… -

Egli sfodera un tono malizioso e sicuro di sé, il quale non fa altro che sottolineare fastidiosamente la realtà, ma non posso fare a meno di sorridere e scuotere la testa con falso disappunto.

Il Generale ci raggiunge con il suo passo cadenzato e misurato. Mi fissa dritto negli occhi per un lungo istante, per poi appoggiare la sua grande mano guantata sul mio petto.

- Dì a mia figlia che sono tornato. –

- Mpf, quando mai te ne sei andato? -

L’argentato si lascia scappare uno sbuffo divertito, dopodiché imprime una decisa pressione, tanto da farmi rapidamente imboccare la via del ritorno, attraverso il tunnel di luce alle mie spalle.

 

 

Apro gli occhi lentamente e rimango a fissare il soffitto di legno per un tempo indeterminato. I pensieri sono ancora ben fissati nella mia mente, mentre i vari malesseri dovuti dal legame tra me e Sephiroth sembrano non esserci mai stati. Mi sento forte e vigoroso, come un volta. Sorrido: ci dev’essere il tocco di Aerith dietro a questo improvviso benessere.

- Giorni di coma e ti risvegli con un sorriso da ebete stampato in faccia. Sapevo che te l’avrei dovuta spaccare quando ne ebbi l’occasione. –

M’irrigidisco appena riconosco la voce che ha appena parlato. Di scatto, alzo il busto e mi paralizzo appena incrocio la sua morbida figura.

Tifa…

La mia mascella per poco non si stacca per lo stupore. E per la gioia di rivederla, tale da farmi dimenticare ogni ovvia domanda sulla sua presenza al mio capezzale. Sai cosa? Non m’importa. Non m’importa come sia giunta qui, come abbia fatto a trovarmi, con chi sia venuta, quale sia la situazione creatosi con gli altri protagonisti, quanto sappia della storia… no, lei è qui, davanti a me, nonostante tutto… lei è qui.

Dal canto suo, lei mi fissa in tralice, con espressione rabbuiata e rabbiosa. Anche la sua posa non è delle più rassicuranti: ben piantata proprio davanti al mio letto, testa bassa, pugni appoggiati sui fianchi.

E’ incavolata nera. Non posso biasimarla, eppure non riesco ad esserne intimorito: rivedere la donna che amo, dopo così tanto tempo, dopo tutto quello che ho visto, mi spacca il cuore. Non riesco proprio ad immaginare una vita senza di lei. E mai come adesso sto comprendendo Sephiroth e il suo folle desiderio di ricongiungersi ad Evelyn.

- Mi sei mancata da morire… -, sussurro, estasiato.

La rabbia di Tifa si volatilizza in un battito di ciglia, spazzata via da quel mio dire così inaspettatamente appassionato. Spiazzata, lascia cadere le braccia lungo i fianchi, mentre mi fissa stupita con quei meravigliosi occhi da cerbiatta. Sento il mio cuore perdere un battito. Senza indugiare oltre, mi alzo dal letto e mi dirigo nella sua direzione, facendomi trasportare da un solo, impellente, pazzo bisogno. Lei mi segue con lo sguardo, sempre più allibita, finché non l’avvolgo in un soffocante abbraccio. La stringo con disperazione, affondando le dita nei suoi capelli, nella sua pelle, accarezzandola come se fosse la prima volta che assaggio quel meraviglioso candore. E non voglio che sia nemmeno l’ultima. Non voglio lasciarla andare, non voglio che se ne vada, non voglio rimanere solo. Senza nemmeno rendermene conto, inizio a piangere, mentre naufrago col viso nell’incavo della sua spalla. Mi aggrappo a lei con più veemenza, mentre i ricordi dolorosi di Sephiroth affollano di nuovo la mia mente.

Lo capisco… Dannazione, quanto lo capisco!

Ma ora basta pensare a lui. C’è Tifa, in questo momento. Lei e soltanto lei!

Sono talmente concentrato ad assaporare il calore e la morbidezza del suo corpo che a malapena mi accorgo di piccole e delicate mani che iniziano ad accarezzarmi i capelli, la nuca, le spalle, la schiena, detergendo appena il mio cordoglio.

-Cloud… -

Il mio nome pronunciato da quella voce per poco non mi uccide, da quanto piacere è stato scatenato. Avverto il mio corpo avvampare e sciogliersi; non crollo solo perché lei sta ricambiando la mia stretta, con una altrettanto intensa. Avverto il calore del suo corpo attraversare i vestiti e poggiarsi sulla mia pelle, il fiato caldo solleticarmi il collo, il profumo dei suoi capelli stuzzicarmi l’olfatto, la dolcezza del suo tocco farmi rabbrividire. Ogni singola sensazione agisce in sinergia con l’altra, costringendo il mio corpo ad arrendersi di fronte a un’ondata impazzita di passione. Esco dal mio nascondiglio e i nostri sguardi s’incatenano l’un l’altro. La osservo per un lungo istante, studiando ogni singolo dettaglio del suo volto, scoprendo con amarezza non averlo mai guardato veramente, di averlo sempre dato per scontato. Con quale coraggio, poi?

Hai ragione, Sephiroth: sono un vero idiota.

Il mio girovagare finisce appena i miei occhi si fissano sulle sue labbra, appena dischiuse, da cui, come le mie, esce uno spiro affannoso e pieno di aspettativa. Aspettativa che intendo corrispondere, questa volta. Controllando a stento il desiderio, assaporo il languore e, misuratamente, mi protendo in quella direzione, mentre i nostri respiri e i nostri cuori aumentano di frequenza, fino ad annullarsi nel medesimo istante in cui le nostre labbra s’incastrano perfettamente l’una con l’altra.

A quel punto, tutto si fa offuscato e nitido nello stesso tempo. Ubriachi di desiderio, ci lasciamo trasportare dalla passione, dimentichi del luogo e della situazione.

 

 

- Dove la tenevi tutta questa… spontaneità? –

La domanda di Tifa giunge all’improvviso, mentre, ancora affamato, sto lambendo con la bocca le accoglienti curve del suo corpo. Alzo la testa, dove ad aspettarmi c’è il suo volto con un’espressione maliziosamente indagatrice stampata sopra. Essa mi strappa un sorriso divertito. Mi sdraio sopra di lei, senza pesarle addosso e le cingo le spalle con le braccia.

- Ti sembrerà strano, ma questo viaggio mi ha fatto scoprire un sacco di cose su me stesso. –

Tifa si rabbuia e distoglie lo sguardo, fissandolo verso un punto imprecisato. Mi allarmo.

- Che succede? –

Ella non risponde subito, ma la sua espressione dubbiosa non fa presagire nulla di buono.

- Cloud… tu mi ami? –

- Certo. -, rispondo di slancio.

Mi sembra una domanda così stupida, ma Tifa non sembra convinta.

-E allora perché preferisci quell’assassino a me? –

Grugnisco. Dovevo immaginarlo che non me la sarei cavata così facilmente, sebbene quella domanda sia un dubbio più che lecito. M’infastidisce, tuttavia, che Tifa sia ancora fissata su quelle antiquate credenze. Non ha la minima idea di che cosa abbia passato Sephiroth e di quanto egli mi abbia aiutato nel diventare l’uomo che sono, nel bene o nel male. Vagamente ipocrita, dal momento che anch’io la pensavo esattamente come lei. Abbandono la mia donna e mi metto a sedere sul lato del letto.

- Non è un assassino. –, affermo con fermezza.

Avverto la pugile muoversi dietro di me, probabilmente si è alzata di slancio, spinta dall’impeto della sua rabbia.

- Cosa?! –, sibila la ragazza, incredula.

Giro il busto nella sua direzione e la guardo dritta negli occhi.

- Non è un assassino. –, reitero, scandendo ogni singola parola.

Osservo le iridi di Tifa muoversi febbrilmente lungo il mio viso, forse alla ricerca di un qualunque guizzo che tradisca la mia insicurezza, ma, dallo sguardo deluso acquisito poco dopo, direi che non ha trovati.

- Non posso credere che tu, proprio tu, sostenga una cosa del genere. Tu l’hai visto! Sei stato testimone della sua crudeltà. 

- Tifa, quella non era crudeltà, ma disperazione. –, spiego assumendo un tono pacato, in piena contrapposizione con quello semi-isterico della ragazza, - Se solo tu sapessi cosa… -

- Non m’importa! - sbotta lei, livida di rabbia, - Una persona umana non avrebbe mai sterminato un intero villaggio! Non avrebbe mai ucciso un uomo che stava solo cercando di aiutarlo… -

Il ricordo del padre morente taglia a metà il discorso impetuoso della figlia. La vedo tentennare, travolta dal dolore, ma riesce a controllarsi e imporsi un contegno. La sua battaglia interna, tuttavia, si mostra anche esternamente, tradita dal respiro affannoso e i tratti del viso congestionati, contratti nel caparbio tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Mi stringe il cuore vederla così, lei, solitamente così forte e combattiva, ma, dopotutto, suo padre le è stato strappato via troppo presto, troppo brutalmente da poter anche solo ponderare un qualunque tipo di perdono. Come anche la mia povera mamma, sventrata e bruciata senza alcuna pietà…

Così come Evelyn.

- Sephiroth era sposato, lo sapevi? -, domando retorico, interrompendo il silenzio, - Non era una di quelle storielle che ciclicamente la Shinra vendeva ai giornaletti rosa, giusto per guadagnare due soldi sfruttando la sua vita privata. No, quella volta era stata diversa: l’aveva scelta lui e si era dedicato anima e corpo per far funzionare quella relazione; tanto da essere a un passo dalle dimissioni ufficiali. -, sospiro pesantemente e alzo la mano destra, enfatizzando con un gesto quanto egli fosse vicino al realizzarsi del suo sogno, - Una sola missione ancora e poi basta… Una. Una sola… -, reitero con un sussurro, perdendomi nei ricordi.

In tutto questo, la mora mi osserva con aria scettica, per nulla toccata dal mio dire greve e appassionato. Il suo odio per Sephiroth la rende sorda a qualunque tipo di compassione.

- Se per lui era così importante: perché l’ha abbandonata? –, chiede infatti, velenosa.

- Perché è morta. -, rispondo, poi mi affretto ad aggiungere, - Assassinata da uno degli unici due uomini che Sephiroth abbia mai chiamato ‘amico’. Puoi immaginare in che condizioni ci è arrivato a Nibelheim… -, concludo, lasciando intendere la gravità della situazione mentale del Generale, giustificazione più che sufficiente delle sue azioni.

Rimaniamo per lunghi secondi in totale silenzio, mentre Tifa mi fissa incredula. Non mi sfugge il leggero rossore di vergogna spennellare le sue gote piene. Ad un certo punto, ella distoglie lo sguardo e lo veicola verso un punto imprecisato, pensosa.

- Se questa storia è vera… -

-E’ vera. –

- Come fai ad esserne certo? Sai che lui è capace di manipolare le menti delle persone. –

- Ho letto il suo diario, Tifa. Sono stato letteralmente investito dai suoi ricordi, anzi, dai LORO ricordi. Ho visto, ho SENTITO il loro dolore, la loro sofferenza. Stanno vivendo in un Inferno immeritato e terribile, condannati a vivere sotto lo schiaffo di Jenova, costretti ad ottemperare ogni richiesta dell’aliena, fino al momento in cui la Guerra millenaria tra la Calamità e il Pianeta finirà. SE finirà. –

Non v’è vacillamento nella mia voce e la sicurezza con cui la fisso, fa capitolare qualunque insinuazione la mia ragazza stesse per proferire. Ella rimane senza parole e, non riuscendo a sostenere più il mio sguardo, abbassa la testa, appesantita dalla vergogna.

Il silenzio si stiracchia per secondi infiniti, mentre esso aggrava ancora di più le parole scambiate, scavando un profondo senso di colpa nei nostri cuori. Studio lo smarrimento di Tifa, comprendendola al volo, poiché perfino io, che le ho vissute in prima persona, fatico a credere a tutte le esperienze di cui sono stato testimone. Non potrò mai perdonare integralmente Sephiroth, questo è impossibile, ma, quanto meno, potrò comprendere meglio le motivazioni che lo hanno spinto a compiere quegli intenti mostruosi, e, soprattutto, assecondare il suo desiderio di proteggere i suoi cari.

Toc, toc…

Un bussare discreto, ma deciso, interrompe il filo dei nostri pensieri, ridestandoci. Tifa ed io ci scambiamo uno sguardo sconcertato, appena ci rendiamo conto di non essere in condizione di presentarci a terzi. Giunti a capo dei nostri dubbi, ognuno si fionda dai propri abiti, abbandonati alla rinfusa sul pavimento. Ci vestiamo il più velocemente possibile, anche se, mi rendo conto, la persona dall’altra parte non insiste oltre, attendendo pazientemente. Raffazzonato alla bene e meglio, mi avvio verso la porta con l’intento di aprirla, senza però prima aver scoccato un’occhiata d’intesa a Tifa. Lei mi dà il via libera, mentre si liscia i capelli sconvolti per dar loro un aspetto decente. Abbasso la maniglia e spalanco l’uscio. Davanti a me si para la figura austera di Vincent Valentine. Quasi mi spavento quando mi ritrovo a tu per tu con i suoi fiammeggianti occhi rossi. Le sue iridi sfilano rapide e studiose su di me, come se mi stesse scannerizzando da cima a piedi. La sua attenzione sosta per secondi non ignorabili sulla capigliatura spettinata e i segni evanescenti presenti sul mio collo. Unisce l’ultimo pezzo del puzzle, scoccando una rapida occhiata oltre le mie spalle, luogo in cui intercetta la figura scarmigliata di Tifa. Senza scomporsi più di tanto, egli assottiglia lo sguardo e lo pianta su di me. Posso vedere una luce divertita adombrare quelle iridi di fiamma, mentre un malcelato sogghigno viene nascosto dietro l’alto colletto del suo mantello.

- Rimango sempre più stupito della capacità di recupero dei SOLDIER. –, commenta, infine, con leziosa ironia.

 

Evvai! Siamo arrivati al momento clou(d) della storia! La resa dei conti è vicina!

Il capitolo in questione è venuto davvero lungo rispetto al solito standard e sarebbe dovuto essere ancora più lungo, ma non mi andava di condensare troppe informazioni in un capitolo solo. Credo che aggiungerò qualche capitolo- spiegone così da introdurre meglio le fasi finali della storia. Ce la posso fare a finire!

Finalmente siamo arrivati a Nibelheim con il nostro argentato preferito e spero che sia stato reso bene il passaggio da uomo a mostro, anche se il mio Sephiruccio non è cattivo, no-no! (richiamami Sephiruccio e ti farò vedere quanto sono buono è_è ndSeph).

La presenza di Tifa immagino vi lasci un po’ spiazzati, ma non temete tutto sarà spiegato nel prossimo capitolo ;)!

Chiedo perdono, come al solito, della lunghissima attesa, ma la voglia di scrivere è sempre sotto le scarpe e discontinua. Davvero, non vedo l’ora di cimentarmi in altro!

Fan fact: sebbene il capitolo sia pronto da giorni (se non settimane -.-‘) pubblico sempre attorno le 2 di notte! E’ una maledizione!!!

 

Alla prossima!

 

Besos!

   
 
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