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Autore: ONLYKORINE    20/11/2018    0 recensioni
Jakob e Wolfrun vivono sull'isola di Lemnos da quando hanno lasciato Berlino a bordo del Pegaso. Con loro Ci sono Sebastian, Eleni e Anneke. Il virus è stato sconfitto e la vita ha ricominciato a scorrere. Jakob torna a Berlino quando Alexis ci va con Pegaso, e questa volta vorrebbe che anche Wolfrun partisse con lui. Ma lei non è proprio dell'idea...
(Jakob x Wolfrun)
Fanfiction dopo il sesto libro. Non tiene conto del capitolo extra sul sito degli autori.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christa Hartmann, Jakob Geyer, Nora, Wolfrun Ziegler
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Battaglia

 

“Stasera mi accompagni da Louis” disse Britta e non era una domanda: era un ordine.
Wolfrun alzò lo sguardo da quello che stava facendo, ossia niente, e guardò la ragazza.
“Cosa hai detto?”
Britta sorrise. Di quel sorriso furbetto che le aveva rivolto la prima sera.
“Ho detto che mi accompagni da Louis” spiegò ancora. Wolfrun sbuffò.
“E se non ne avessi voglia?” chiese, con noncuranza.
La biondina strinse le labbra nervosamente e disse: “Ve ne siete andati. Me lo devi: stasera mi accompagni da Louis”.
Sbuffò ancora. Ma quella ragazzina non aveva delle amiche?
“Perché io? Perché lo chiedi a me?” le chiese. Britta alzò le spalle.
“Mi piaci perché non fai domande. E le altre me le farebbero. Tante domande. Troppe.”
“Giuro che te le farò anch’io” sbottò Wolfrun e la bionda ridacchiò. Non riuscì a non sorridere. “Ok. Va bene…”
Sorrise anche l’altra e sussurrò: “Grazie”.
Le gettò le braccia al collo in una sorta di abbraccio e lei la scansò, dicendo: “Sì, sì, ma niente smancerie!”

 

 

Britta sbuffò. Certo che a volte Wolfrun era insopportabile.
“Vieni con me in cucina, Nora ha bisogno di aiuto per impastare” le disse e Wolfrun alzò gli occhi al cielo.
“Oh, voi sapete proprio cosa fare per divertirvi, eh?” disse ironica.
Britta sorrise, perché aveva visto la mora lavorare in cucina e l’aveva vista impastare: le piaceva. Immaginò che non l’avrebbe mai ammesso con lei. Infatti si alzò e la seguì mentre si dirigeva verso la cucina dei campi.
Quando arrivarono, Petra Sabine e Deike erano fuori dalla porta della cucina e chiacchieravano fra di loro.
“Che succede? Perché non siete dentro?” chiese lei, alle ragazze.
Petra si spinse gli occhiali sul naso.
“Il maggiore ci ha chiesto di lasciarlo solo con Nora” dichiarò.

 

 

Wolfrun scambiò un’occhiata con Britta e alzò un sopracciglio.
“Deve essere una cosa importante” sussurrò la bionda. Wolfrun scosse le spalle e si avvicinò a una finestra per guardare dentro la stanza.
Ma quando fu davanti al vetro, si bloccò, con la bocca aperta. Il maggiore era in ginocchio, davanti a una Nora esterrefatta e le porgeva un anello. O santo cielo.
Cercò di impedire alle altre di affacciarsi, ma non ci riuscì. Sabine e Petra lanciarono due risolini isterici e anche Britta cercò di avvicinarsi.
“Che succede?” chiese la bionda a Wolfrun.
“Le sta chiedendo di sposarlo!” gridò Sabine, in uno scoppio incontrollato di isterismo. Ommioddio.

 

 

Cosa? Cosa? Il maggiore stava chiedendo a Nora di sposarlo? Cavolo. Cavolo! Ma era una bella cosa! Britta Sorrise.
“Oh, devono amarsi così tanto!” sospirò Deike. Aveva appena quattordici anni, Deike. “Lui deve essere innamorato davvero!”
Wolfrun si girò verso di loro e chiese: “E come si fa a sapere se uno è innamorato?”
La ragazzina doveva avere uno spirito molto romantico perché le rispose: “Ti dice che ti ama…”, con gli occhi sognanti.
“Potrebbe dirtelo anche se non ti ama” disse Petra scuotendo le spalle, forse era quella più razionale, fra di loro.
“Ti protegge, fa le cose per te, ti chiede di vivere con lui…” snocciolò allora Deike. Sembrava quasi un’esperta di teoria sull’amore.

 

 

Wolfrun pensò a Georgos, a Lemnos e, senza rendersene conto, disse: “Un ragazzo mi ha detto che mi amava, due settimane fa…”
Quattro paia di occhi le si puntarono addosso. Si rese conto di aver parlato ad alta voce e si maledisse mentalmente mentre le altre iniziarono a farle domande animatamente. “E chi era?”, “E tu che gli hai risposto?”, “Ma tu lo ami?”, “È bello?”, “Ti ha baciato?”
Poi Britta le chiese sottovoce: “È stato Jakob?”
Le altre non la sentirono, per fortuna, ancora intontite dalle domande e dal rumore del chiacchiericcio. Lei scosse la testa verso la bionda e poi guardò da un’altra parte.
Sentì Britta sospirare. Come se per lei fosse stata una delusione. Come se le interessasse veramente sapere se…
“E com’è finita?” chiese ancora Petra.
“Voleva che andassi a vivere con lui. Ma gli ho detto di no. E ho fatto bene. Georgos era un idiota, ha anche fatto a botte con Jakob” disse, lasciandosi prendere un po’.
“JAKOB?” chiesero tutte insieme.
Wolfrun corrugò la fronte. Già, doveva essere una cosa strana anche per loro. Annuì, cercando di sbirciare ancora dentro la finestra.
“E come mai?” chiese Deike e la mora scosse le spalle. Effettivamente non lo sapeva.
“Non lo so” disse.
“E non glielo hai chiesto?” Wolfrun guardò Sabine, che la guardava sgranando gli occhi.
“No” le rispose.
“È così romantico…” sospirò Deike.
“È stato stupido. Jakob ha avuto un occhio gonfio per tre giorni” disse sbuffando la mora. Non c’era niente di romantico in una scazzottata. Lo sapeva perché aveva partecipato a più di una rissa.
“Però ha difeso il tuo onore” disse ancora la ragazzina. Alzò un sopracciglio.
“Non ho mai avuto bisogno che difendesse il mio… onore” calcò sull’ultima parola quasi con disprezzo. Non aveva bisogno di nessuno.
“Forse era geloso, allora” disse ancora. Wolfron questa volta sbuffò forte. Quella ragazzina era estenuante. E dannatamente fastidiosa.

 

 

Britta ridacchiò quando Wolfrun sbuffò e lei si voltò verso la bionda con uno sguardo di fuoco, ma Britta ridacchiò più forte e le lanciò un’occhiata di sfida. La mora la ignorò e poi chiese a Deike: “E come fai a sapere se tu ami qualcuno?” Come? Cosa le aveva chiesto? Gli occhi di Deike brillavano.
“Sai di amare qualcuno quando pensi sempre a quella persona e vederla ti fa battere il cuore così forte che pensi di morire” dichiarò, con enfasi.
“Sembra una malattia!” Eccola qua, la Wolfrun di Tegel, pensò Britta.
“È quando non riesci a staccare gli occhi da lui” disse Sabine. Probabilmente stava pensando a qualcuno in particolare.
“O quando hai sempre voglia di fare l’amore con lui.”
“PETRA!” la sgridò Sabine.
Lei rise ed esclamò: “È vero!” Petra stava con Tesoro da tantissimo tempo, erano per forza tanto intimi. Forse da prima del vaccino.
Poi Wolfrun si voltò verso di lei e disse: “E tu? Non mi dici come si fa a sapere se ami qualcuno?”

 

 

Wolfrun aveva voluto mettere in imbarazzo Britta apposta. Ma lei le rispose sottovoce: “È quando soltanto il pensiero di perdere quella persona, ti fa stare così male che pensi di morire e quando succede davvero…” Wolfrun spalancò gli occhi.
Gli occhi di Britta divennero lucidi. Anche le altre si zittirono. Probabilmente tutte stavano pensando la stessa cosa: Bernd. La mora si avvicinò a Britta e le strinse la mano.
“Scusami” disse.
La biondina non poteva saperlo, ma non era una parola che Wolfrun dicesse con facilità. Lei annuì e in quel momento si aprì la porta della cucina.
Il Maggiore uscì a passo veloce, con un una faccia stranita. Non sembrava contento. Ma non sembrava triste. Sembrava… confuso. Le salutò e si avviò in tutta fretta lontano dai campi. Oh. Ma cosa…

 

 

Quando le ragazze entrarono, Nora capì dallo sguardo della piccola Deike che avevano capito cosa stesse succedendo. Si avvicinarono piene di aspettativa, ma Nora le liquidò velocemente dando istruzioni per il pranzo. Nessuna fiatò.

 

 

“Ma cosa è successo?” Britta si avvicinò a Wolfrun che, dopo essersi lavata le mani, aveva già messo le mani nell’impasto.
“Qualcosa che non vuole condividere con noi, Britta” le disse.
La bionda sbuffò.

 

 

“Dovremmo parlarle, secondo te?” provò la ragazzina. Wolfrun sbuffò.
“Non mi sembra che voglia parlare” le rispose. Lei si voltò ancora verso Nora e anche la mora la guardò. Effettivamente sembrava un po’ spaesata.
“Le amiche servono a questo” disse Britta.
Wolfrun alzò le spalle dicendo: “Io non ho amiche”.
Era vero. Non aveva amiche, non sapeva come funzionavano quelle cose lì. Guardò ancora verso Nora.
“Se vuoi andare da lei, qui ci penso io” le propose, ma Britta fece una faccia strana e poi scosse le spalle.
“Ci vorrebbe Christa. Lei è più brava di me” disse, sospirando.
No! Ancora la perfetta Christa?

 

***

 

Alla fine, dopo che ebbero preparato tutto quello che dovevano preparare, Britta si era diretta a chiamare Christa e le altre ragazze avevano raggiunto i campi, così Wolfrun era rimasta sola con Nora.
Beh, era proprio da sola, alla fine, perché Nora stava spazzando per terra e sembrava su un altro pianeta. Si avvicinò cautamente.
“Ho sempre sentito dire che, quando succede, la ragazza piange di gioia e mostra l’anello a tutte le sue amiche” iniziò. Nora alzò su di lei uno sguardo così triste che si morse il labbro, pentendosi di aver parlato.
“Vuoi essere mia amica?” le chiese sospirando.
Wolfrun alzò una spalla. “Perché no?” Nora si sedette su uno sgabello.
“Mi ha chiesto di sposarlo e di andare in America con lui” dichiarò, in tono grave. Oh santo cielo. Cioè, non aveva capito dell’America. Però effettivamente… ci stava. “E…?” chiese, quando non continuò. Nora la guardò malissimo.
“Secondo te? Posso lasciare tutto questo?” disse, aprendo le braccia e indicando tutto ciò che aveva intorno.
“Avevo capito che ti sentissi sola, qui. Potresti provare ad andare…” provò. Nora scosse le spalle. “Io sono andata via. Sai, forse fa un po’ più paura pensarci che farlo davvero” continuò.
Nora alzò un sopracciglio e disse: “Tu non avevi niente. Io ho tutto. C’è una bella differenza!”
Wolfrun si morse il labbro. Non sapeva bene cosa rispondere. Lei non aveva niente davvero. Ma Nora cosa aveva che le impediva di partire?
“Lo sposeresti se lui rimanesse qui con te?” Chiese a Nora e il suo viso per un attimo si illuminò. Sì lo avrebbe sposato. “E lui a cosa rinuncerebbe se stesse qua con te?” Nora si adombrò ancora e poi annuì.
“La sua famiglia, il suo lavoro, i suoi amici…” sussurrò, ma poi si agitò.
“Ma anch’io ho la mia famiglia, qui. Le ragazze, i bambini. Sono loro la mia famiglia. Non voglio rinunciarci.”
“Christa vive con Timo. Presto avrà una sua famiglia. Le altre stanno crescendo. Sono brave con i bambini, le ho viste. E piano piano cresceranno anche i bambini. Se ne andranno, tutti. Vuoi davvero rimanere qui, da sola, quando accadrà? E quando tutti saranno cresciuti e avranno preso la loro strada? Non ti mancherà il Maggiore? Non ti pentirai di questa scelta?” Wolfrun scosse le spalle, mentre la metteva di fronte alla verità.
“E Theo?” chiese Nora.
Theo era suo nipote. Il figlio di sua sorella. Lui era la sua famiglia da prima. Era il più piccolo dei bambini orfani del virus.
“Il maggiore non vuole Theo?” chiese Wolfrun con gli occhi spalancati: questo cambiava tutto.
“No, in verità mi ha detto che c’è posto anche per lui. È che io ho paura. Cosa vado a fare là? E se poi con William non funziona? Mi ritrovo in un paese che non conosco… a fare che?” Nora si torceva le mani, anche la sua voce tremava.
“Sai, l’America è così lontana che ha un grosso pregio: la vita lì non si è fermata. Il virus non è arrivato. Vuol dire che funziona ancora tutto. Le scuole, le attività… Vuoi fare l’infermiera? Ci sarà di sicuro un corso per imparare a farlo. Vuoi aprire una panetteria? Scommetto che là si può. Vuoi fare la mamma? Potrai fare la mamma dei bambini del Maggiore o di qualcun altro. Sinceramente, penso che le scelte che avresti là, siano molto più interessanti di quello che ti lasci qua” le disse. Nora aveva seguito il suo discorso con attenzione. “Tutti hanno paura, Nora. Ma la paura non deve impedirti di fare ciò che è meglio per te”.

 

 

Capirono che stavano arrivando Britta e Christa quando sentirono gli schiamazzi di Abel, Theo e qualche altro bambino. Nora si asciugò velocemente le lacrime che le erano scese e preparò il suo miglior sorriso.
“Grazie, Wolfrun. Ci penserò.”

La mora alzò le spalle mentre diceva: “Non c’è di che”.
Poi Nora sussurrò: “Dici che potrei andare davvero a scuola?” Wolfrun rise.
“Ho sempre pensato che fossi una secchiona!”

 

***

 

“Stasera veniamo da voi.”
Louis era seduto a riparare un orologio a uno dei tavoli che c’erano ai campi, quando un’ombra gli offuscò la visuale.
Alzò gli occhi quando riconobbe la voce che gli aveva parlato: Wolfrun. Non disse niente, lei la prese come un invito e si sedette sulla panca davanti a lui.
“Me l’ha chiesto lei” continuò la ragazza.
Si fece più attento, ma lasciò lo sguardo fisso sull’orologio.
“Venite a cena?” le chiese.

 

 

Come? A cena? No, no. Scosse la testa. Doveva prima chiarire delle cose con lui. Il pensiero della biondina che parlava di perdere le persone che si amano e a cui si inumidivano gli occhi, gliela avevano fatta considerare diversamente.
“Tu lo sai che ha perso una persona a cui voleva molto bene, vero?” gli chiese.
Lui la guardò velocemente e poi riportò l’attenzione sull’orologio. Dopo qualche minuto annuì con il capo. Bene: la stava seguendo.
“E lo sai che non bisogna mai mettere fretta a una ragazza, vero?” domandò ancora. Lui sbuffò.
“Non ho mai…” Louis si interruppe, alzando la testa.
“Io so che hai tentato di baciarla quando non voleva. La sera che sei andato via arrabbiato dalla casa dei bambini, giusto?”
Wolfrun aveva bluffato. Britta le aveva detto che lui aveva tentato di baciarla e lei non glielo aveva permesso e siccome le cose fra loro sembravano cambiate da quella sera, aveva fatto due più due. Ma aveva rischiato. Poteva andare male, ma invece andò bene.
“Le ho detto che aspetterò i suoi tempi” rispose lui, senza negare né confermare niente. Wolfrun sorrise. Bravo Louis. Annuì.
“Quando la persona che ami muore, ti sembra un tradimento volere ancora bene a qualcuno, capisci? Ma poi si torna a voler bene. Basta avere un po’ di pazienza” gli spiegò. Lui la guardò seriamente e annuì.

 

 

Jakob sentì Wolfrun dire quell’ultima frase mentre si avvicinava a Louis per dirgli di aver pescato il pesce per la cena. Chi è che aveva amato e poi era morto? Caspar, forse? O qualcun altro? Quando fu vicino a loro informò velocemente il francese della cena e poi chiese a Wolfrun: “Chi è che è morto?”
No. Non voleva fare la domanda così!
“No, intendevo…” inziò a scusarsi Jakob, ma non riuscì ad andare avanti.
Louis si alzò e raccolse l’orologio e tutti i suoi pezzi nel fazzoletto di stoffa e se ne andò. O cavolo, pensò, mentre lo guardava andare via.
“Complimenti” disse ironica Wolfrun, alzando un sopracciglio. Lui la ignorò e si sedette al posto di Louis.
“La persona che amavi e che è morta… era Caspar?” chiese, con voce tremante.
Poteva essere che lei fosse innamorata di qualcuno, qualcuno che non fosse lui, e che per questo facesse fatica a lasciarsi andare? Si sentì vagamente paranoico, mentre lo pensava. Ma non voleva lasciare niente al caso. Voleva Wolfrun. Voleva che stesse con lui, voleva baciarla, voleva tenerla per mano davanti a tutti. Voleva che lei lo volesse con la stessa intensità con cui la voleva lui. Ma la faccia della ragazza divenne strana.
“Caspar? Ma cosa dici, no! E poi, io non ho mai amato nessuno” disse, con un’espressione quasi inorridita. Oh. Sicura, Wolfrun?
“No?” chiese Jakob e lei, per qualche strano motivo, divenne rossa sulle guance.
Scosse la testa. Oh, bene. Sorrise. Ma lei lo guardò male. Il suo sorriso si spense.
“E di chi parlavi?” domandò.
Lei scosse la testa e sbuffò rispondendo: “Nessuno, Jakob”. Si alzò e lo lasciò, solo, al tavolo da pic nic.

 

***

 

“Allora: faremo un triangolare. Prima i verdi contro i rossi. Poi chi perde contro i blu. Alla fine l’ultima partita. Giocheremo a tempo. Avete bisogno che vi ripeta le regole?” Timo gridava nonostante il megafono.
Il prato che c’era a Berlino Est era perfetto, Louis aveva ragione. Quando lo aveva mostrato a Timo, Akay e Mehmet, loro avevano annuito. Erano tutti d’accordo con lui.
Timo e il Maggiore si erano allungati fino agli alloggi degli adulti che, con sorpresa da parte dei due, non avevano intralciato il loro desiderio di utilizzare il prato per giocare a battaglia. Anzi, qualcuno si era presentato e si era seduto sulla piccola collinetta che chi non giocava usava come tribuna.

 

 

“C’è un bel po’ di gente, eh?” disse Britta, avvicinandosi a Wolfrun. Sì, lo aveva notato anche lei. I militari, gli adulti e gli altri che non partecipavano alle partite, tanta gente. Sospirò.
Per un attimo si pentì di aver accettato di giocare. Era una stupidaggine. Non avrebbe dovuto. Guardò Britta che saltellava sul posto, e si tirava i muscoli delle gambe.
“Che fai?” le chiese. Sembrava uno scoiattolo scordinato.
“Riscaldamento. Se vuoi centrare il bastone, dovrai correre” spiegò la bionda.
Wolfrun si guardò mentre muoveva il piede della gamba che Roberto le aveva ferito. Non sentiva quasi più niente, a parte quando saltava. Non avrebbe dovuto saltare, giusto? E poi, forse, non si sarebbero neanche accorti se avesse solo fatto finta di giocare.

 

 

“Siete pronte?”
Jakob arrivò alle spalle delle ragazze, spaventandole.
“Cretino!” dissero in coro.
Wolfrun tentò di dargli uno scappellotto ma lui fu più lesto e saltellando si spostò. Ridacchiò e correndo all’indietro disse ad alta voce: “Vincano i migliori. Cioè noi!”
Vide la faccia di Wolfrun trasformarsi. Era competitiva. Lo sapeva bene. L’aveva vista vacillare poco prima, guardando tutta la gente, così pensò di distrarla con quella battuta.
“Ehi, e chi ha detto che vincerete voi?” chiese, correndo per raggiungerlo così accelerò l’andatura e corse lungo il prato e quando fu in un punto abbastanza lontano dagli altri, rallentò per lasciarla avvicinare.
Lei aveva quasi il fiatone. Rise e la stuzzicò: “Non mi sembri proprio in forma”.
“Ehi!” esclamò Wolfrun, contrariata.
“Dai, su, non prendertela” tentò di rabbonirla lui.
“Da quel che ho capito, non sei proprio bravissimo in questo gioco, eh?” ribattè lei. Non era il tipo da stare zitta. Jakob rise.
“Potremmo fare una scommessa, allora. Che dici?” le chiese e si avvicinò con due passi, parandosi davanti a lei.
Vide chiaramente gli occhi della ragazza ridere divertiti.
“Mmm e cosa vorresti scommettere? Lavare i piatti? Il giorno di bucato?” chiese lei e rise ancora.
O santo cielo. Non l’aveva mai sentita ridere così spesso.
“Pensavo a qualcosa di più personale…” azzardò lui.
Lei alzò un sopracciglio e scherzò: “Più personale di lavare i calzini?”
“Molto, molto più personale…”

 

Lo sguardo di Jakob si fece intenso e lui si avvicinò ancora.
“Molto più personale…”
Wolfrun sentì la testa girare. Jakob aveva intenzione di baciarla? In quel momento?
Quando lui fece un altro passo si caricò d’aspettativa. Voleva baciarlo anche lei. Timo gridò ancora dentro il megafono annunciando l’inizio della prima partita e tutti e due si girarono verso di lui così Wolfrun si rese conto che gli altri erano tutti lì. Tutta Berlino, praticamente. Ringraziò mentalmente Timo per il suo tempismo e si voltò verso Jakob.
“Allora in bocca al lupo. Ci vediamo stasera” disse la ragazza e gli fece l’occhiolino.

 

 

 

Come? Come? Wolfrun lo salutò con la mano per raggiungere quelli della sua squadra. Dannazione! Era così sicuro che lei non si sarebbe tirata indietro, questa volta!
Per un attimo odiò Timo. Per due attimi. Oh, Timo, non avevi niente da fare? Sospirò, si mise le mani in tasca e si incamminò verso i rossi.

 

 

***

 

 

Anneke si stava divertendo da matti: Battaglia era un gioco bellissimo.
I ragazzi urlavano consigli alla persona che aveva in mano l’anello di corda, che andava lanciato e infilato nel bastone che reggeva la persona che si chiamava ‘portabastone’.
C’era un sacco di confusione e tutti gridavano. Anneke pensava che fosse bello anche solo quello. L’entusiasmo dei ragazzi era notevole. Aveva visto ridere anche Wolfrun mentre le lanciava l’anello di corda dopo aver fatto i tre passi di regolamento.

 

 

Britta era competitiva quel giorno, aveva bisogno di sfogarsi muovendosi un po’ e scoprì di essere abbastanza brava nel segnare punti. Si era ritrovata davanti al ragazzino con il bastone più volte e ogni volta che lei aveva lanciato la corda, lui era riuscito a farla cadere lungo l’asta. Si sentiva carichissima.
L’ultima volta aveva visto Louis sorridere nella sua direzione e battere le mani, prima di alzare il pollice verso di lei. Si era sentita arrossire. Era stato fantastico.
Ora la corda era in mano ad Anneke, che gliela lanciò. Valutò la situazione: la lanciò a Petra che era abilissima e poi corse dall’altra parte per avvicinarsi al portabastone. Petra saltò tre volte e si avvicinò all’area, tutti i giocatori dell’altra squadra la circondarono per impedirle di lanciare l’anello e si trovò un attimo in difficoltà.

 

 

Wolfrun corse dietro a Petra, vedendo che nessuno aveva pensato di marcarla alle spalle e così la chiamò. La ragazza capì velocemente e le passò la corda, Wolfrun fece i tre passi, corti perché doveva essere veloce e la lanciò a Britta che segnò subito.

 

 

Louis era abbastanza vicino alla bionda da riuscire ad avvicinarsi e abbracciarla. Lei si stupì e lui vide il rossore colorarle tutto il viso.
“Sei stata bravissima” le sussurrò vicino all’orecchio e la sentì rabbrividire. Come avrebbe voluto baciarla!
Quando Petra e Ulrike saltarono addosso a Britta si staccò, malvolentieri, da lei. Ma fu contento di vedere la delusione anche sul suo viso.

 

 

“Ok, basta smancerie, su, stiamo giocando” disse Jakob, scontroso.
Si stava innervosendo. Loro stavano vincendo e alla grande, anche. Sperò di fare meglio al prossimo giro. L’anello venne fatto rientrare in campo e questa volta lo tennero i rossi.
Riuscirono ad arrivare a metà campo con un po’ di difficoltà, ma un ragazzino riuscì a lanciargli l’anello quando lui gli fece cenno. Lo vide arrivare ed era così sicuro di prenderlo che allungò la mano senza neanche bisogno di saltare.
Improvvisamente una botta forte al capo lo fece indietreggiare senza capire bene cosa stesse succedendo. Mentre camminava all’indietro mise un piede in quella che realizzò fosse una buca e la gamba cedette, così si ritrovò in un attimo sdraiato per terra, con un peso sullo stomaco, una botta alla nuca e per miracolo… l’anello di corda in mano. Le palpebre gli si chiusero da sole.

 

 

Quando aveva visto Jakob cadere, Wolfrun aveva urlato. Tanto. Aveva visto il ragazzo dei verdi saltare per intercettare l’anello e finirgli addosso. Ed era anche robusto.
Gli aveva dato un colpo alla fronte e Jakob aveva fatto qualche passo indietro prima di cadere malamente all’indietro, con il ragazzo robusto sul torace. Stupidamente, Wolfrun pensò alla prova di fiducia. Probabilmente era così che si cadeva in quella maledetta prova. All’indietro e senza possibilità di ripararsi la testa.
Corse come se ne andasse della sua vita, non si fermò neanche quando una fitta forte alla gamba le aveva tolto il respiro, e quando si chinò vicino a Jakob anche gli altri la raggiunsero. Come vide che aveva gli occhi chiusi sentì un blocco di ghiaccio al posto del petto. Che era successo?
Poi lui rise. Sempre con gli occhi chiusi. Quando li aprì, si stupì di trovare tutti intorno a lui, lei lo capì dal suo sguardo. Poi fece una cosa così stupida che Wolfrun pensò di strozzarlo. Lì, sul prato di battaglia. Lì, davanti a tutti.
Jakob si guardò intorno e lanciò la corda verso uno dei rossi gridando di andare a segnare. Tutti si guardarono e anche i pochi che si erano chinati accanto a lui, si rialzarono in piedi e presero a correre verso il ragazzo con l’anello. Sbuffò.
Jakob cercò di alzarsi ma vide il suo viso fare una smorfia.
“Ah, ti sei fatto male?” gli chiese, ironica. Lui rise.
“Sì, non riesco a muovere il piede. Ma hai visto che lancio?” esclamò, orgoglioso come Eleni quando Clara aveva mosso i primi passi.
Wolfrun sbuffò ancora e si alzò in piedi.
“Ehi, dove vai?” le chiese lui.
“A chiamare qualcuno che ti guardi” disse, facendo un cenno ai due militari che si sarebbero occupati degli infortuni e loro si alzarono. Ma il gioco non si fermò. Sbuffò ancora.
“Resta con me” chiese Jakob e le sorrise.
“Sei un cretino” disse lei.
“Non l’ho fatto apposta!” Il ragazzo rise ancora.
“Ti odio” mentì lei e da come lui la guardava, sapeva che non ci aveva creduto.
Appena arrivarono i militari, li aiutò a trasportarlo fuori dal campo e stette vicino a lui.
Aveva detto di odiarlo. L’aveva odiato quando l’aveva visto cadere. Quando non l’aveva visto rialzarsi e l’aveva odiato quando non aveva aperto gli occhi nel momento in cui lei si era avvicinata. Neanche sentì Timo che al megafono annunciava la fine della prima partita e proclamava i verdi come vincitori.

 

***

 

“È solo una brutta storta. Due giorni di riposo forzato e sarai di nuovo in piedi” disse il militare.
Jakob annuì, ma la caviglia gli faceva male ed era gonfia. Wolfrun prese la busta di ghiaccio che le passò il militare e la fece cadere, non proprio delicatamente, sul suo piede.
“Ehi!” gridò.
Lei sbuffò, mormorando: “Scusa”, in tono stizzito.
Anneke si avvicinò a Jakob reggendo due fette di pane sopra cui Nora aveva versato generose dosi d’olio.
“Tieni, Jakob. Ti fa tanto male?” chiese porgendogli la merenda.
“Oh, Anneke, preferisco te come infermiera. Sei molto più gentile di Wolfrun!”
La bambina diede un morso alla sua fetta di pane e disse con la bocca piena: “Wolfrun ha urlato forte quando sei caduto”.
Jakob si meravigliò. Lui non l’aveva sentita. Guardò la ragazza, ma lei si alzò e si allontanò, lanciandogli un’occhiata strana.

 

 

Wolfrun si era dovuta allontanare. Quello che aveva detto Anneke era vero: aveva urlato, si era spaventata. Si era sentita morire. Si fermò quando fu abbastanza lontano dal campo.
“Anche preoccuparsi tanto da non riuscire a muoversi e gridare senza rendersene conto, può essere un sintomo.”
Si girò verso Britta e le chiese: “Come?”
“Come si fa a capire di amare qualcuno. Anche quello può essere un sintomo.”
Tornò a guardare altrove e annuì: ci aveva pensato anche lei.

 

***

 

“Sai che sono nervosa?” Britta diede un calcio a un sasso e sospirò, guardando la palazzina.
“Possiamo tornare indietro quando vuoi” le disse Wolfrun.
“Non voglio tornare indietro” sostenne, sicura. La mora annuì. Bene. Neanche lei voleva tornare indietro.
”Allora entriamo.”

 

***

 

Jakob era seduto a letto con il piede su un grosso cuscino. Louis gli aveva detto che aspettava la visita di Britta e quindi non voleva farsi trovare in salotto con lui. Era stato chiaro. E Jakob non è che avrebbe potuto essere veloce e scomparire in camera quando lei si fosse presentata, così aveva preferito rimanere lì direttamente. Doveva soltanto passare il tempo.
L’amico gli aveva lasciato dei fumetti. Dei fumetti che avevano portato i militari. Anche se erano in inglese, erano abbastanza divertenti. Ma lui si annoiava comunque.
Quando la porta della camera si aprì, entrò Wolfrun. Wolfrun? La guardò sorpreso. Dopo quello che aveva detto Anneke e la sua ritirata così… evidente, non avrebbe detto di rivederla prima del giorno dopo.

 

 

Wolfrun respirò lentamente e profondamente e poi aprì la porta. Pensò dopo al fatto che avrebbe dovuto bussare, almeno per educazione. Aprì la porta, entrò, e se la chiuse alle spalle.
Jakob era seduto sul letto con la gamba sollevata. La sua faccia sorpresa le fece capire che non la stava aspettando. Tentennò.
“Ciao” la salutò, spezzando il silenzio per primo.
“Ciao, Jakob, come stai?” gli chiese e la fronte del ragazzo si corrugò.
“Un po’ meglio, grazie. Cosa… fai qui?”

Respira, Wolfrun respira.
“S… sono qui per la prova di fiducia” dichiarò sottovoce. Lui spalancò gli occhi.
“Non riesco neanche ad alzarmi in piedi…” disse un po’ sconsolato.
“Oh, non preoccuparti. La faremo a modo mio” parlò forse troppo velocemente ma lui non ci diede troppo peso.
Woflrun si avvicinò al letto, scalciò le scarpe e si infilò sotto le coperte.

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***Eccomi, sono tornata! Scusate il ritardo!! Grazie a chi legge e se vi va, lasciatemi un commentino... 🙂😘🙂
   
 
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