Battaglia
“Stasera
mi accompagni da Louis” disse Britta e non era una domanda:
era un ordine.
Wolfrun
alzò lo sguardo da quello che stava facendo, ossia niente, e
guardò la ragazza.
“Cosa
hai detto?”
Britta
sorrise. Di quel sorriso furbetto che le aveva rivolto la prima sera.
“Ho
detto che mi accompagni da Louis” spiegò ancora.
Wolfrun sbuffò.
“E se
non ne avessi voglia?” chiese, con noncuranza.
La
biondina strinse le labbra nervosamente e disse: “Ve ne siete
andati. Me lo
devi: stasera mi accompagni da Louis”.
Sbuffò
ancora. Ma quella ragazzina non aveva delle amiche?
“Perché
io? Perché lo chiedi a me?” le chiese. Britta
alzò le spalle.
“Mi
piaci perché non fai domande. E le altre me le farebbero.
Tante domande. Troppe.”
“Giuro
che te le farò anch’io”
sbottò Wolfrun e la bionda ridacchiò. Non
riuscì a non
sorridere. “Ok. Va bene…”
Sorrise
anche l’altra e sussurrò:
“Grazie”.
Le
gettò le braccia al collo in una sorta di abbraccio e lei la
scansò, dicendo: “Sì,
sì, ma niente smancerie!”
Britta
sbuffò. Certo che a volte Wolfrun era insopportabile.
“Vieni
con me in cucina, Nora ha bisogno di aiuto per impastare” le
disse e Wolfrun
alzò gli occhi al cielo.
“Oh,
voi sapete proprio cosa fare per divertirvi, eh?” disse
ironica.
Britta
sorrise, perché aveva visto la mora lavorare in cucina e
l’aveva vista
impastare: le piaceva. Immaginò che non l’avrebbe
mai ammesso con lei. Infatti
si alzò e la seguì mentre si dirigeva verso la
cucina dei campi.
Quando
arrivarono, Petra Sabine e Deike erano fuori dalla porta della cucina e
chiacchieravano fra di loro.
“Che
succede? Perché non siete dentro?” chiese lei,
alle ragazze.
Petra
si spinse gli occhiali sul naso.
“Il
maggiore ci ha chiesto di lasciarlo solo con Nora”
dichiarò.
Wolfrun
scambiò un’occhiata con Britta e alzò
un sopracciglio.
“Deve
essere una cosa importante” sussurrò la bionda.
Wolfrun scosse le spalle e si
avvicinò a una finestra per guardare dentro la stanza.
Ma
quando fu davanti al vetro, si bloccò, con la bocca aperta.
Il maggiore era in
ginocchio, davanti a una Nora esterrefatta e le porgeva un anello. O
santo
cielo.
Cercò
di impedire alle altre di affacciarsi, ma non ci riuscì.
Sabine e Petra
lanciarono due risolini isterici e anche Britta cercò di
avvicinarsi.
“Che
succede?” chiese la bionda a Wolfrun.
“Le
sta chiedendo di sposarlo!” gridò Sabine, in uno
scoppio incontrollato di
isterismo. Ommioddio.
Cosa?
Cosa? Il maggiore stava chiedendo a Nora di sposarlo? Cavolo. Cavolo!
Ma era
una bella cosa! Britta Sorrise.
“Oh,
devono amarsi così tanto!” sospirò
Deike. Aveva appena quattordici anni, Deike.
“Lui deve essere innamorato davvero!”
Wolfrun
si girò verso di loro e chiese: “E come si fa a
sapere se uno è innamorato?”
La
ragazzina doveva avere uno spirito molto romantico perché le
rispose: “Ti dice
che ti ama…”, con gli occhi sognanti.
“Potrebbe
dirtelo anche se non ti ama” disse Petra scuotendo le spalle,
forse era quella
più razionale, fra di loro.
“Ti
protegge, fa le cose per te, ti chiede di vivere con
lui…” snocciolò allora Deike.
Sembrava quasi un’esperta di teoria sull’amore.
Wolfrun
pensò a Georgos, a Lemnos e, senza rendersene conto, disse:
“Un ragazzo mi ha
detto che mi amava, due settimane fa…”
Quattro paia di occhi le si puntarono addosso.
Si rese conto di aver parlato ad alta voce e si maledisse mentalmente
mentre le
altre iniziarono a farle domande animatamente. “E chi
era?”, “E tu che gli hai
risposto?”, “Ma tu lo ami?”,
“È bello?”, “Ti ha
baciato?”
Poi
Britta le chiese sottovoce: “È stato
Jakob?”
Le
altre non la sentirono, per fortuna, ancora intontite dalle domande e
dal
rumore del chiacchiericcio. Lei scosse la testa verso la bionda e poi
guardò da
un’altra parte.
Sentì
Britta sospirare. Come se per lei fosse stata una delusione. Come se le
interessasse veramente sapere se…
“E
com’è finita?” chiese ancora Petra.
“Voleva
che andassi a vivere con lui. Ma gli ho detto di no. E ho fatto bene.
Georgos
era un idiota, ha anche fatto a botte con Jakob” disse,
lasciandosi prendere un
po’.
“JAKOB?”
chiesero tutte insieme.
Wolfrun
corrugò la fronte. Già, doveva essere una cosa
strana anche per loro. Annuì,
cercando di sbirciare ancora dentro la finestra.
“E
come mai?” chiese Deike e la mora scosse le spalle.
Effettivamente non lo
sapeva.
“Non
lo so” disse.
“E
non glielo hai chiesto?” Wolfrun guardò Sabine,
che la guardava sgranando gli
occhi.
“No”
le rispose.
“È
così romantico…” sospirò
Deike.
“È
stato stupido. Jakob ha avuto un occhio gonfio per tre
giorni” disse sbuffando
la mora. Non c’era niente di romantico in una scazzottata. Lo
sapeva perché
aveva partecipato a più di una rissa.
“Però
ha difeso il tuo onore” disse ancora la ragazzina.
Alzò un sopracciglio.
“Non
ho mai avuto bisogno che difendesse il mio… onore”
calcò sull’ultima parola
quasi con disprezzo. Non aveva bisogno di nessuno.
“Forse
era geloso, allora” disse ancora. Wolfron questa volta
sbuffò forte. Quella
ragazzina era estenuante. E dannatamente fastidiosa.
Britta
ridacchiò quando Wolfrun sbuffò e lei si
voltò verso la bionda con uno sguardo
di fuoco, ma Britta ridacchiò più forte e le
lanciò un’occhiata di sfida. La
mora la ignorò e poi chiese a Deike: “E come fai a
sapere se tu ami
qualcuno?” Come? Cosa le aveva
chiesto? Gli occhi di Deike brillavano.
“Sai
di amare qualcuno quando pensi sempre a quella persona e vederla ti fa
battere
il cuore così forte che pensi di morire”
dichiarò, con enfasi.
“Sembra
una malattia!” Eccola qua, la Wolfrun di Tegel,
pensò Britta.
“È quando
non riesci a staccare gli occhi da lui” disse Sabine.
Probabilmente stava
pensando a qualcuno in particolare.
“O
quando hai sempre voglia di fare l’amore con lui.”
“PETRA!”
la sgridò Sabine.
Lei
rise ed esclamò: “È vero!”
Petra stava con Tesoro da tantissimo tempo, erano
per forza tanto intimi. Forse da prima del vaccino.
Poi
Wolfrun si voltò verso di lei e disse: “E tu? Non
mi dici come si fa a sapere
se ami qualcuno?”
Wolfrun
aveva voluto mettere in imbarazzo Britta apposta. Ma lei le rispose
sottovoce:
“È quando soltanto il pensiero di perdere quella
persona, ti fa stare così male
che pensi di morire e quando succede davvero…”
Wolfrun spalancò gli occhi.
Gli
occhi di Britta divennero lucidi. Anche le altre si zittirono.
Probabilmente
tutte stavano pensando la stessa cosa: Bernd. La mora si
avvicinò a Britta e le
strinse la mano.
“Scusami”
disse.
La
biondina non poteva saperlo, ma non era una parola che Wolfrun dicesse
con
facilità. Lei annuì e in quel momento si
aprì la porta della cucina.
Il Maggiore
uscì a passo veloce, con un una faccia stranita. Non
sembrava contento. Ma non
sembrava triste. Sembrava… confuso. Le salutò e
si avviò in tutta fretta
lontano dai campi. Oh. Ma cosa…
Quando
le ragazze entrarono, Nora capì dallo sguardo della piccola
Deike che avevano
capito cosa stesse succedendo. Si avvicinarono piene di aspettativa, ma
Nora le
liquidò velocemente dando istruzioni per il pranzo. Nessuna
fiatò.
“Ma
cosa è successo?” Britta si avvicinò a
Wolfrun che, dopo essersi lavata le
mani, aveva già messo le mani nell’impasto.
“Qualcosa
che non vuole condividere con noi, Britta” le disse.
La
bionda sbuffò.
“Dovremmo
parlarle, secondo te?” provò la ragazzina. Wolfrun
sbuffò.
“Non
mi sembra che voglia parlare” le rispose. Lei si
voltò ancora verso Nora e
anche la mora la guardò. Effettivamente sembrava un
po’ spaesata.
“Le
amiche servono a questo” disse Britta.
Wolfrun
alzò le spalle dicendo: “Io non ho
amiche”.
Era
vero. Non aveva amiche, non sapeva come funzionavano quelle cose
lì. Guardò
ancora verso Nora.
“Se
vuoi andare da lei, qui ci penso io” le propose, ma Britta
fece una faccia
strana e poi scosse le spalle.
“Ci
vorrebbe Christa. Lei è più brava di
me” disse, sospirando.
No!
Ancora la perfetta Christa?
***
Alla
fine, dopo che ebbero preparato tutto quello che dovevano preparare,
Britta si
era diretta a chiamare Christa e le altre ragazze avevano raggiunto i
campi,
così Wolfrun era rimasta sola con Nora.
Beh,
era proprio da sola, alla fine, perché Nora stava spazzando
per terra e
sembrava su un altro pianeta. Si avvicinò cautamente.
“Ho
sempre sentito dire che, quando succede, la ragazza piange di gioia e
mostra
l’anello a tutte le sue amiche” iniziò.
Nora alzò su di lei uno sguardo così
triste che si morse il labbro, pentendosi di aver parlato.
“Vuoi
essere mia amica?” le chiese sospirando.
Wolfrun
alzò una spalla. “Perché no?”
Nora si sedette su uno sgabello.
“Mi
ha chiesto di sposarlo e di andare in America con lui”
dichiarò, in tono grave.
Oh santo cielo. Cioè, non aveva capito
dell’America. Però effettivamente… ci
stava. “E…?” chiese, quando non
continuò. Nora la guardò malissimo.
“Secondo
te? Posso lasciare tutto questo?” disse, aprendo le braccia e
indicando tutto
ciò che aveva intorno.
“Avevo
capito che ti sentissi sola, qui. Potresti provare ad
andare…” provò. Nora
scosse le spalle. “Io sono andata via. Sai, forse fa un
po’ più paura pensarci
che farlo davvero” continuò.
Nora
alzò un sopracciglio e disse: “Tu non avevi
niente. Io ho tutto. C’è una bella
differenza!”
Wolfrun si morse il labbro. Non sapeva bene
cosa rispondere. Lei non aveva niente davvero. Ma Nora cosa aveva che
le
impediva di partire?
“Lo
sposeresti se lui rimanesse qui con te?” Chiese a Nora e il
suo viso per un attimo
si illuminò. Sì lo avrebbe sposato. “E
lui a cosa rinuncerebbe se stesse qua
con te?” Nora si adombrò ancora e poi
annuì.
“La
sua famiglia, il suo lavoro, i suoi amici…”
sussurrò, ma poi si agitò.
“Ma
anch’io ho la mia famiglia, qui. Le ragazze, i bambini. Sono
loro la mia
famiglia. Non voglio rinunciarci.”
“Christa
vive con Timo. Presto avrà una sua famiglia. Le altre stanno
crescendo. Sono
brave con i bambini, le ho viste. E piano piano cresceranno anche i
bambini. Se
ne andranno, tutti. Vuoi davvero rimanere qui, da sola, quando
accadrà? E
quando tutti saranno cresciuti e avranno preso la loro strada? Non ti
mancherà
il Maggiore? Non ti pentirai di questa scelta?” Wolfrun
scosse le spalle,
mentre la metteva di fronte alla verità.
“E
Theo?” chiese Nora.
Theo
era suo nipote. Il figlio di sua sorella. Lui era la sua famiglia da
prima. Era
il più piccolo dei bambini orfani del virus.
“Il
maggiore non vuole Theo?” chiese Wolfrun con gli occhi
spalancati: questo
cambiava tutto.
“No,
in verità mi ha detto che c’è posto
anche per lui. È che io ho paura. Cosa vado
a fare là? E se poi con William non funziona? Mi ritrovo in
un paese che non
conosco… a fare che?” Nora si torceva le mani,
anche la sua voce tremava.
“Sai,
l’America è così lontana che ha un
grosso pregio: la vita lì non si è fermata.
Il virus non è arrivato. Vuol dire che funziona ancora
tutto. Le scuole, le
attività… Vuoi fare l’infermiera? Ci
sarà di sicuro un corso per imparare a
farlo. Vuoi aprire una panetteria? Scommetto che là si
può. Vuoi fare la mamma?
Potrai fare la mamma dei bambini del Maggiore o di qualcun altro.
Sinceramente,
penso che le scelte che avresti là, siano molto
più interessanti di quello che
ti lasci qua” le disse. Nora aveva seguito il suo discorso
con attenzione.
“Tutti hanno paura, Nora. Ma la paura non deve impedirti di
fare ciò che è
meglio per te”.
Capirono
che stavano arrivando Britta e Christa quando sentirono gli schiamazzi
di Abel,
Theo e qualche altro bambino. Nora si asciugò velocemente le
lacrime che le
erano scese e preparò il suo miglior sorriso.
“Grazie,
Wolfrun. Ci penserò.”
La
mora alzò le spalle mentre diceva: “Non
c’è di che”.
Poi Nora
sussurrò: “Dici che potrei andare davvero a
scuola?” Wolfrun rise.
“Ho
sempre pensato che fossi una secchiona!”
***
“Stasera
veniamo da voi.”
Louis
era seduto a riparare un orologio a uno dei tavoli che
c’erano ai campi, quando
un’ombra gli offuscò la visuale.
Alzò
gli occhi quando riconobbe la voce che gli aveva parlato: Wolfrun. Non
disse
niente, lei la prese come un invito e si sedette sulla panca davanti a
lui.
“Me
l’ha chiesto lei” continuò la ragazza.
Si
fece più attento, ma lasciò lo sguardo fisso
sull’orologio.
“Venite
a cena?” le chiese.
Come?
A cena? No, no. Scosse la testa. Doveva prima chiarire delle cose con
lui. Il
pensiero della biondina che parlava di perdere le persone che si amano
e a cui
si inumidivano gli occhi, gliela avevano fatta considerare
diversamente.
“Tu
lo sai che ha perso una persona a cui voleva molto bene,
vero?” gli chiese.
Lui
la guardò velocemente e poi riportò
l’attenzione sull’orologio. Dopo qualche minuto
annuì con il capo. Bene: la stava seguendo.
“E lo
sai che non bisogna mai mettere fretta a una ragazza, vero?”
domandò ancora. Lui
sbuffò.
“Non
ho mai…” Louis si interruppe, alzando la testa.
“Io
so che hai tentato di baciarla quando non voleva. La sera che sei
andato via
arrabbiato dalla casa dei bambini, giusto?”
Wolfrun
aveva bluffato. Britta le aveva detto che lui aveva tentato di baciarla
e lei
non glielo aveva permesso e siccome le cose fra loro sembravano
cambiate da
quella sera, aveva fatto due più due. Ma aveva rischiato.
Poteva andare male,
ma invece andò bene.
“Le
ho detto che aspetterò i suoi tempi” rispose lui,
senza negare né confermare
niente. Wolfrun sorrise. Bravo Louis. Annuì.
“Quando
la persona che ami muore, ti sembra un tradimento volere ancora bene a
qualcuno, capisci? Ma poi si torna a voler bene. Basta avere un
po’ di pazienza”
gli spiegò. Lui la guardò seriamente e
annuì.
Jakob
sentì Wolfrun dire quell’ultima frase mentre si
avvicinava a Louis per dirgli di
aver pescato il pesce per la cena. Chi è che aveva amato e
poi era morto?
Caspar, forse? O qualcun altro? Quando fu vicino a loro
informò velocemente il
francese della cena e poi chiese a Wolfrun: “Chi è
che è morto?”
No. Non
voleva fare la domanda così!
“No,
intendevo…” inziò a scusarsi Jakob, ma
non riuscì ad andare avanti.
Louis
si alzò e raccolse l’orologio e tutti i suoi pezzi
nel fazzoletto di stoffa e
se ne andò. O cavolo, pensò, mentre lo guardava
andare via.
“Complimenti”
disse ironica Wolfrun, alzando un sopracciglio. Lui la
ignorò e si sedette al
posto di Louis.
“La
persona che amavi e che è morta… era
Caspar?” chiese, con voce tremante.
Poteva
essere che lei fosse innamorata di qualcuno, qualcuno che non fosse
lui, e che
per questo facesse fatica a lasciarsi andare? Si sentì
vagamente paranoico,
mentre lo pensava. Ma non voleva lasciare niente al caso. Voleva
Wolfrun.
Voleva che stesse con lui, voleva baciarla, voleva tenerla per mano
davanti a
tutti. Voleva che lei lo volesse con la stessa intensità con
cui la voleva lui.
Ma la faccia della ragazza divenne strana.
“Caspar?
Ma cosa dici, no! E poi, io non ho mai amato nessuno” disse,
con un’espressione
quasi inorridita. Oh. Sicura, Wolfrun?
“No?”
chiese Jakob e lei, per qualche strano motivo, divenne rossa sulle
guance.
Scosse
la testa. Oh, bene. Sorrise. Ma lei lo guardò male. Il suo
sorriso si spense.
“E di
chi parlavi?” domandò.
Lei
scosse la testa e sbuffò rispondendo: “Nessuno,
Jakob”. Si alzò e lo lasciò,
solo, al tavolo da pic nic.
***
“Allora:
faremo un triangolare. Prima i verdi contro i rossi. Poi chi perde
contro i
blu. Alla fine l’ultima partita. Giocheremo a tempo. Avete
bisogno che vi
ripeta le regole?” Timo gridava nonostante il megafono.
Il
prato che c’era a Berlino Est era perfetto, Louis aveva
ragione. Quando lo
aveva mostrato a Timo, Akay e Mehmet, loro avevano annuito. Erano tutti
d’accordo con lui.
Timo
e il Maggiore si erano allungati fino agli alloggi degli adulti che,
con
sorpresa da parte dei due, non avevano intralciato il loro desiderio di
utilizzare il prato per giocare a battaglia. Anzi, qualcuno si era
presentato e
si era seduto sulla piccola collinetta che chi non giocava usava come
tribuna.
“C’è
un bel po’ di gente, eh?” disse Britta,
avvicinandosi a Wolfrun. Sì, lo aveva
notato anche lei. I militari, gli adulti e gli altri che non
partecipavano alle
partite, tanta gente. Sospirò.
Per
un attimo si pentì di aver accettato di giocare. Era una
stupidaggine. Non
avrebbe dovuto. Guardò Britta che saltellava sul posto, e si
tirava i muscoli
delle gambe.
“Che
fai?” le chiese. Sembrava uno scoiattolo scordinato.
“Riscaldamento.
Se vuoi centrare il bastone, dovrai correre”
spiegò la bionda.
Wolfrun
si guardò mentre muoveva il piede della gamba che Roberto le
aveva ferito. Non
sentiva quasi più niente, a parte quando saltava. Non
avrebbe dovuto saltare,
giusto? E poi, forse, non si sarebbero neanche accorti se avesse solo
fatto
finta di giocare.
“Siete
pronte?”
Jakob
arrivò alle spalle delle ragazze, spaventandole.
“Cretino!”
dissero in coro.
Wolfrun
tentò di dargli uno scappellotto ma lui fu più
lesto e saltellando si spostò. Ridacchiò
e correndo all’indietro disse ad alta voce:
“Vincano i migliori. Cioè noi!”
Vide
la faccia di Wolfrun trasformarsi. Era competitiva. Lo sapeva bene.
L’aveva
vista vacillare poco prima, guardando tutta la gente, così
pensò di distrarla
con quella battuta.
“Ehi,
e chi ha detto che vincerete voi?” chiese, correndo per
raggiungerlo così
accelerò l’andatura e corse lungo il prato e
quando fu in un punto abbastanza
lontano dagli altri, rallentò per lasciarla avvicinare.
Lei
aveva quasi il fiatone. Rise e la stuzzicò: “Non
mi sembri proprio in forma”.
“Ehi!”
esclamò Wolfrun, contrariata.
“Dai,
su, non prendertela” tentò di rabbonirla lui.
“Da
quel che ho capito, non sei proprio bravissimo in questo gioco,
eh?” ribattè
lei. Non era il tipo da stare zitta. Jakob rise.
“Potremmo
fare una scommessa, allora. Che dici?” le chiese e si
avvicinò con due passi,
parandosi davanti a lei.
Vide
chiaramente gli occhi della ragazza ridere divertiti.
“Mmm
e cosa vorresti scommettere? Lavare i piatti? Il giorno di
bucato?” chiese lei e
rise ancora.
O
santo cielo. Non l’aveva mai sentita ridere così
spesso.
“Pensavo
a qualcosa di più personale…”
azzardò lui.
Lei
alzò un sopracciglio e scherzò:
“Più personale di lavare i calzini?”
“Molto,
molto più personale…”
Lo
sguardo di Jakob si fece intenso e lui si avvicinò ancora.
“Molto
più personale…”
Wolfrun
sentì la testa girare. Jakob aveva intenzione di baciarla?
In quel momento?
Quando
lui fece un altro passo si caricò d’aspettativa.
Voleva baciarlo anche lei.
Timo gridò ancora dentro il megafono annunciando
l’inizio della prima partita e
tutti e due si girarono verso di lui così Wolfrun si rese
conto che gli altri
erano tutti lì. Tutta Berlino, praticamente.
Ringraziò mentalmente Timo per il
suo tempismo e si voltò verso Jakob.
“Allora
in bocca al lupo. Ci vediamo stasera” disse la ragazza e gli
fece l’occhiolino.
Come?
Come? Wolfrun lo salutò con la mano per raggiungere quelli
della sua squadra.
Dannazione! Era così sicuro che lei non si sarebbe tirata
indietro, questa
volta!
Per
un attimo odiò Timo. Per due attimi. Oh,
Timo, non avevi niente da fare? Sospirò, si mise
le mani in tasca e si incamminò
verso i rossi.
***
Anneke
si stava divertendo da matti: Battaglia era un gioco bellissimo.
I
ragazzi urlavano consigli alla persona che aveva in mano
l’anello di corda, che
andava lanciato e infilato nel bastone che reggeva la persona che si
chiamava ‘portabastone’.
C’era
un sacco di confusione e tutti gridavano. Anneke pensava che fosse
bello anche
solo quello. L’entusiasmo dei ragazzi era notevole. Aveva
visto ridere anche
Wolfrun mentre le lanciava l’anello di corda dopo aver fatto
i tre passi di
regolamento.
Britta
era competitiva quel giorno, aveva bisogno di sfogarsi muovendosi un
po’ e
scoprì di essere abbastanza brava nel segnare punti. Si era
ritrovata davanti
al ragazzino con il bastone più volte e ogni volta che lei
aveva lanciato la
corda, lui era riuscito a farla cadere lungo l’asta. Si
sentiva carichissima.
L’ultima
volta aveva visto Louis sorridere nella sua direzione e battere le
mani, prima
di alzare il pollice verso di lei. Si era sentita arrossire. Era stato
fantastico.
Ora
la corda era in mano ad Anneke, che gliela lanciò.
Valutò la situazione: la
lanciò a Petra che era abilissima e poi corse
dall’altra parte per avvicinarsi
al portabastone. Petra saltò tre volte e si
avvicinò all’area, tutti i
giocatori dell’altra squadra la circondarono per impedirle di
lanciare l’anello
e si trovò un attimo in difficoltà.
Wolfrun
corse dietro a Petra, vedendo che nessuno aveva pensato di marcarla
alle spalle
e così la chiamò. La ragazza capì
velocemente e le passò la corda, Wolfrun fece
i tre passi, corti perché doveva essere veloce e la
lanciò a Britta che segnò
subito.
Louis
era abbastanza vicino alla bionda da riuscire ad avvicinarsi e
abbracciarla.
Lei si stupì e lui vide il rossore colorarle tutto il viso.
“Sei
stata bravissima” le sussurrò vicino
all’orecchio e la sentì rabbrividire. Come
avrebbe voluto baciarla!
Quando
Petra e Ulrike saltarono addosso a Britta si staccò,
malvolentieri, da lei. Ma
fu contento di vedere la delusione anche sul suo viso.
“Ok,
basta smancerie, su, stiamo giocando” disse Jakob, scontroso.
Si
stava innervosendo. Loro stavano vincendo e alla grande, anche.
Sperò di fare
meglio al prossimo giro. L’anello venne fatto rientrare in
campo e questa volta
lo tennero i rossi.
Riuscirono
ad arrivare a metà campo con un po’ di
difficoltà, ma un ragazzino riuscì a
lanciargli l’anello quando lui gli fece cenno. Lo vide
arrivare ed era così
sicuro di prenderlo che allungò la mano senza neanche
bisogno di saltare.
Improvvisamente
una botta forte al capo lo fece indietreggiare senza capire bene cosa
stesse
succedendo. Mentre camminava all’indietro mise un piede in
quella che realizzò
fosse una buca e la gamba cedette, così si
ritrovò in un attimo sdraiato per
terra, con un peso sullo stomaco, una botta alla nuca e per
miracolo… l’anello
di corda in mano. Le palpebre gli si chiusero da sole.
Quando
aveva visto Jakob cadere, Wolfrun aveva urlato. Tanto. Aveva visto il
ragazzo
dei verdi saltare per intercettare l’anello e finirgli
addosso. Ed era anche
robusto.
Gli
aveva dato un colpo alla fronte e Jakob aveva fatto qualche passo
indietro
prima di cadere malamente all’indietro, con il ragazzo
robusto sul torace.
Stupidamente, Wolfrun pensò alla prova di fiducia.
Probabilmente era così che
si cadeva in quella maledetta prova. All’indietro e senza
possibilità di
ripararsi la testa.
Corse
come se ne andasse della sua vita, non si fermò neanche
quando una fitta forte
alla gamba le aveva tolto il respiro, e quando si chinò
vicino a Jakob anche
gli altri la raggiunsero. Come vide che aveva gli occhi chiusi
sentì un blocco
di ghiaccio al posto del petto. Che era successo?
Poi
lui rise. Sempre con gli occhi chiusi. Quando li aprì, si
stupì di trovare
tutti intorno a lui, lei lo capì dal suo sguardo. Poi fece
una cosa così
stupida che Wolfrun pensò di strozzarlo. Lì, sul
prato di battaglia. Lì,
davanti a tutti.
Jakob
si guardò intorno e lanciò la corda verso uno dei
rossi gridando di andare a
segnare. Tutti si guardarono e anche i pochi che si erano chinati
accanto a
lui, si rialzarono in piedi e presero a correre verso il ragazzo con
l’anello.
Sbuffò.
Jakob
cercò di alzarsi ma vide il suo viso fare una smorfia.
“Ah,
ti sei fatto male?” gli chiese, ironica. Lui rise.
“Sì,
non riesco a muovere il piede. Ma hai visto che lancio?”
esclamò, orgoglioso
come Eleni quando Clara aveva mosso i primi passi.
Wolfrun
sbuffò ancora e si alzò in piedi.
“Ehi,
dove vai?” le chiese lui.
“A
chiamare qualcuno che ti guardi” disse, facendo un cenno ai
due militari che si
sarebbero occupati degli infortuni e loro si alzarono. Ma il gioco non
si
fermò. Sbuffò ancora.
“Resta
con me” chiese Jakob e le sorrise.
“Sei
un cretino” disse lei.
“Non
l’ho fatto apposta!” Il ragazzo rise ancora.
“Ti
odio” mentì lei e da come lui la guardava, sapeva
che non ci aveva creduto.
Appena
arrivarono i militari, li aiutò a trasportarlo fuori dal
campo e stette vicino
a lui.
Aveva
detto di odiarlo. L’aveva odiato quando l’aveva
visto cadere. Quando non
l’aveva visto rialzarsi e l’aveva odiato quando non
aveva aperto gli occhi nel
momento in cui lei si era avvicinata. Neanche sentì Timo che
al megafono annunciava
la fine della prima partita e proclamava i verdi come vincitori.
***
“È
solo una brutta storta. Due giorni di riposo forzato e sarai di nuovo
in piedi”
disse il militare.
Jakob
annuì, ma la caviglia gli faceva male ed era gonfia. Wolfrun
prese la busta di
ghiaccio che le passò il militare e la fece cadere, non
proprio delicatamente,
sul suo piede.
“Ehi!”
gridò.
Lei
sbuffò, mormorando: “Scusa”, in tono
stizzito.
Anneke
si avvicinò a Jakob reggendo due fette di pane sopra cui
Nora aveva versato
generose dosi d’olio.
“Tieni,
Jakob. Ti fa tanto male?” chiese porgendogli la merenda.
“Oh,
Anneke, preferisco te come infermiera. Sei molto più gentile
di Wolfrun!”
La
bambina diede un morso alla sua fetta di pane e disse con la bocca
piena:
“Wolfrun ha urlato forte quando sei caduto”.
Jakob
si meravigliò. Lui non l’aveva sentita.
Guardò la ragazza, ma lei si alzò e si
allontanò, lanciandogli un’occhiata strana.
Wolfrun
si era dovuta allontanare. Quello che aveva detto Anneke era vero:
aveva
urlato, si era spaventata. Si era sentita morire. Si fermò
quando fu abbastanza
lontano dal campo.
“Anche
preoccuparsi tanto da non riuscire a muoversi e gridare senza
rendersene conto,
può essere un sintomo.”
Si
girò verso Britta e le chiese: “Come?”
“Come
si fa a capire di amare qualcuno. Anche quello può essere un
sintomo.”
Tornò
a guardare altrove e annuì: ci aveva pensato anche lei.
***
“Sai
che sono nervosa?” Britta diede un calcio a un sasso e
sospirò, guardando la
palazzina.
“Possiamo
tornare indietro quando vuoi” le disse Wolfrun.
“Non
voglio tornare indietro” sostenne, sicura. La mora
annuì. Bene. Neanche lei
voleva tornare indietro.
”Allora
entriamo.”
***
Jakob
era seduto a letto con il piede su un grosso cuscino. Louis gli aveva
detto che
aspettava la visita di Britta e quindi non voleva farsi trovare in
salotto con
lui. Era stato chiaro. E Jakob non è che avrebbe potuto
essere veloce e
scomparire in camera quando lei si fosse presentata, così
aveva preferito
rimanere lì direttamente. Doveva soltanto passare il tempo.
L’amico
gli aveva lasciato dei fumetti. Dei fumetti che avevano portato i
militari.
Anche se erano in inglese, erano abbastanza divertenti. Ma lui si
annoiava
comunque.
Quando
la porta della camera si aprì, entrò Wolfrun.
Wolfrun? La guardò sorpreso. Dopo
quello che aveva detto Anneke e la sua ritirata
così… evidente, non avrebbe
detto di rivederla prima del giorno dopo.
Wolfrun
respirò lentamente e profondamente e poi aprì la
porta. Pensò dopo al fatto che
avrebbe dovuto bussare, almeno per educazione. Aprì la
porta, entrò, e se la
chiuse alle spalle.
Jakob
era seduto sul letto con la gamba sollevata. La sua faccia sorpresa le
fece
capire che non la stava aspettando. Tentennò.
“Ciao”
la salutò, spezzando il silenzio per primo.
“Ciao,
Jakob, come stai?” gli chiese e la fronte del ragazzo si
corrugò.
“Un
po’ meglio, grazie. Cosa… fai qui?”
Respira,
Wolfrun respira.
“S… sono
qui per la prova di fiducia” dichiarò sottovoce.
Lui spalancò gli occhi.
“Non
riesco neanche ad alzarmi in piedi…” disse un
po’ sconsolato.
“Oh,
non preoccuparti. La faremo a modo mio” parlò
forse troppo velocemente ma lui
non ci diede troppo peso.
Woflrun
si avvicinò al letto, scalciò le scarpe e si
infilò sotto le coperte.
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