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Autore: Kimando714    21/11/2018    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 21 - BLACKOUT




 
La campagna innevata era l’unico paesaggio distinguibile dalle finestre del Virgilio, in quelle prime giornate del nuovo anno. Erano diversi giorni, ormai, che la neve continuava a cadere, inframezzata da diverse ore di pausa: Pietro faticava a ricordare una nevicata così duratura come quella. Due giorni prima aveva iniziato con i primi fiocchi, ricoprendo di bianco tutto ciò che toccavano; solo le strade, dove era stato gettato il sale, erano libere dalla neve, sebbene sporche e fangose per i residui ormai sciolti.
Aveva sperato a lungo che la scuola venisse chiusa, almeno fino a quando non avrebbe smesso di nevicare: le sue speranze si erano inevitabilmente infrante quando, come sempre alle otto della mattina, la prima campanella era suonata come sempre, anche la mattina di quel 14 gennaio. La verifica d’inglese che attendeva lui e l’intera 4°A c’era stata come da programma, neve o non neve; Pietro si prospettava già l’ennesima insufficienza, in linea con le altre accumulate negli ultimi mesi.
Non ci stava comunque già più pensando, mentre precorreva con passo lento ed annoiato lo spazio che dalla sua classe lo separava dal terrazzo e dalle scale esterne del primo piano. Nonostante il freddo, aveva voglia di uscire e di fumare, oltre che di stare il più lontano possibile dalla 4°A.
Quando aprì la porta per uscire all’esterno, non si meravigliò di non trovare nessun altro quel giorno: il freddo aveva fatto sparire tutti gli avventori di quella zona della scuola, facendoli rinunciare persino alla quotidiana sigaretta durante l’intervallo.
Lui, invece, non si era fatto scoraggiare nemmeno dal dolore alla schiena che ancora provava dopo due settimane: aveva ancora l’alone violaceo dell’ematoma che gli aveva procurato l’incidente con Alessio la notte di Capodanno, e che sembrava piuttosto lento nella guarigione.
Per un attimo, mentre percorreva qualche metro sulla terrazza, si ritrovò a ripensare proprio a lui: non l’aveva ancora incrociato in stazione, nonostante fossero già passati cinque giorni dal rientro delle vacanze. Aveva la sensazione che sarebbe successo, prima o poi, di rivederlo, anche se non aveva idea di come e quando.
Pietro si fermò, appoggiandosi al parapetto, tirando fuori il pacchetto di sigarette, ormai quasi finito, dalla tasca posteriore dei jeans. Appena ne ebbe accesa una tirò una lunga boccata, osservando il fumo condensare e salire verso l’alto.
Era una bella sensazione, quella del silenzio assoluto nel quale si trovava in quel momento, lì da solo, così distante dall’aula confusionaria della 4°A. Si era concentrato a fatica durante il compito in classe, fregandosene dei possibili errori commessi negli esercizi. Alla fine era proprio quello il suo problema: non gliene importava. Non gli stava interessando quante insufficienze stesse inanellando negli ultimi mesi, non in quel periodo: il tempo in cui all’inizio del nuovo anno si era ripromesso di impegnarsi di più era andato scemando, arrivando ad un punto del tutto morto proprio in quella settimana.
Gli sembrava di star vivendo in una bolla ferma nel tempo, un blackout assoluto che non sapeva quando sarebbe mai potuto finire. Era difficile pensare ed ammettere che le cause fossero, in un modo o nell’altro, sempre legate a Laura: le parole che lei gli aveva urlato addosso la sera in cui l’aveva lasciata, e l’averla effettivamente lasciata uscire dalla sua vita.
Nonostante l’indifferenza che aveva cercato di mantenere durante tutta la settimana, Pietro non aveva fatto a meno di notare gli sguardi ostili che lei gli lanciava ogni qual volta si incrociavano nello spazio ristretto della loro classe. In un certo senso gli sembrava di essere tornato a subito dopo il litigio con Filippo, quando entrambi si ignoravano con la sola eccezione di qualche occhiata di fuoco.
Molti dei loro compagni dovevano già essersi fatti un’idea di quel che era successo: di certo Laura a qualcuno doveva averlo detto, e Pietro non dubitava che – se non era già successo- ben presto tutti avrebbero saputo per filo e per segno ciò che si erano detti la notte di Capodanno.
Pietro riavvicinò la sigaretta alle labbra, inspirando di nuovo. Si voltò a guardare il paesaggio che quella prospettiva gli riservava: i campi innevati avevano una nota affascinante, con quelle tonalità candide ed eteree che richiamavano certi scenari nordici. La neve sembrava rendere irreale ed incorporeo ogni cosa che ricopriva con il suo manto, e faceva sentire Pietro in un altro mondo, sconosciuto fino ad allora.
-Sapevo che ti avrei trovato qui-.
Pietro si voltò all’istante, udendo il cigolio della porta e la voce maschile che gli si era appena rivolta. Aveva riconosciuto subito la voce suadente e calma di Alberto, ma per un attimo aveva quasi avuto il dubbio di essersela solo sognata. Lo osservò avanzare verso di lui fino ad affiancarlo, tirando fuori a sua volta il pacchetto di sigarette.
-Che ti è preso? Potevi anche aspettarmi, eh. Te ne sei scappato tutto solo appena è suonata- riprese Alberto, accendendo la sigaretta con gesti lenti e calcolati.
Pietro non seppe bene cosa rispondergli. Dirgli qualsiasi cosa che non riguardasse Laura sarebbe equivalso a mentirgli, e quella era l’ultima cosa che aveva intenzione di fare verso Alberto; si limitò al silenzio, alzando appena le spalle con fare noncurante.
Si sentì addosso gli occhi scuri dell’altro:
-Oh avanti, ce la puoi fare a mettere in fila un soggetto e un verbo- Alberto lo prese in giro sottilmente, in uno strano tentativo di tirargli fuori qualche parola.
Pietro scosse piano il capo, allontanando la sigaretta dalle labbra:
-Spiritoso- borbottò, senza troppa convinzione.
Per diversi secondi né lui né Alberto dissero nulla. C’era una parvenza di calma apatica che si poteva respirare, in quel momento e in quel posto, ma anche quella a Pietro parve solo un’illusione: aveva la netta sensazione che Alberto fosse sul punto di dirgli qualcosa, ma che stesse attendendo il momento giusto per introdurre l’argomento.
Non si stupì molto quando, in effetti, Alberto buttò lì quasi casualmente:
-Ho saputo di te e Laura-.
L’aveva detto con estrema calma, ma abbandonando il velo di sarcasmo con cui spesso gli si rivolgeva. Pietro si voltò verso di lui lentamente, prendendo tempo per riflettere ancora una volta sul mentirgli o meno.
Alberto lo teneva fissato con le iridi scure che risaltavano in particolar modo sulla carnagione lattea del suo viso allungato, in paziente attesa di una risposta. Pietro rifletté: non aveva ancora detto nulla a nessuno, non direttamente. Gli unici che avevano saputo direttamente da lui della sua attuale situazione con Laura erano Nicola, Gabriele e Filippo; Alberto doveva aver sentito qualche voce girare in classe, come Pietro già immaginava stesse accadendo.
-Te l’ha detto lei?- formulò infine. Non era sicuro che Alberto sapesse effettivamente che si erano lasciati, ma non vedeva quale altra possibile voce potesse girare.
-Non esattamente- Alberto fece un altro tiro con la sigaretta – Credo che lei si sia premurata di farlo sapere a tutta la classe, ma io l’ho saputo da Filippo-.
Pietro lo guardò accigliato, quasi incredulo: gli sembrava persino incredibile che Filippo gliel’avesse detto prima ancora che fosse Laura a farlo sapere ai quattro venti.
-Ci avrei scommesso che Laura non avrebbe perso tempo a dare la notizia della nostra rottura- commentò dopo qualche secondo, preferendo ignorare la sua curiosità su cosa esattamente aveva saputo da Filippo – Che altro ha detto?-.
Alberto gli rimandò indietro un’occhiata tra lo scettico e il divertito:
-Vuoi proprio sapere tutti i modi con cui ti ha chiamato?-.
Pietro si dette dell’ingenuo: doveva immaginare anche quello. Di sicuro la fantasia di Laura doveva aver lavorato a lungo per creare i fantastici epiteti con i quali doveva averlo soprannominato nelle ultime due settimane.
-Forse no- rise appena, riavvicinando la sigaretta alle labbra.
-Tu come stai?- chiese di nuovo Alberto, subito dopo.
Pietro se ne rimase in silenzio, indeciso su come rispondere. Forse in fondo non lo sapeva bene nemmeno lui come stava: stava cambiando tutto, nella sua vita, a tratti in maniera lenta e per altri aspetti in maniera radicale e fin troppo veloce. Laura rientrava di sicuro nel secondo gruppo: doveva ancora abituarsi all’idea che, da quel momento in poi, sarebbe appartenuta solo al passato.
-Così. Non è un buon periodo-.
Sapeva che ad Alberto sarebbe bastata anche solo quella risposta: non era il tipo di persona che amava indagare troppo o ficcanasare in giro. Quando Pietro l’aveva conosciuto, al loro primo anno al Virgilio, quel lato di Alberto era stata una delle cose che l’aveva incuriosito di più: al contrario della maggior parte dei loro compagni di classe, preferiva di gran lunga farsi gli affari propri. Era perspicace e acuto, ma senza essere invadente; Pietro, in certi momenti, faticava ancora a capire come, tra una sigaretta e l’altra, fossero comunque riusciti a legare.
-Ti stai pentendo di averla lasciata?- domandò Alberto, un ghigno stampato sulle labbra. Anche Pietro si lasciò andare ad una leggera risata, di fronte a quella chiara provocazione ironica dell’altro. 
-No, per niente- si schiarì la voce, tornando subito serio – Ma non è mai facile lasciare qualcuno-.
-A dire il vero a me sembri cambiato da un po’ di tempo-.
Alberto aveva parlato con totale noncuranza, come se stessero parlando della cosa più banale del mondo. Non si era nemmeno girato, preferendo seguire con lo sguardo il mozzicone appena buttato a terra e subito calpestato.
Pietro alzò le spalle, senza sapere bene cos’altro dire. Era consapevole che fosse così: stava cambiando, in un modo che nemmeno lui ancora sapeva definire.
-È così- mormorò, a mezza voce – Forse prima o poi arriverà anche la stabilità-.
Tirò l’ultima boccata alla sigaretta, prima di avvicinarsi al cestino mezzo pieno al lato della porta; nel cercare di raggiungerlo sentì l’ennesima fitta alla schiena. Si costrinse a fermarsi per qualche secondo, pur consapevole di avere gli occhi di Alberto ora puntati su di sé.
-Stai bene?- si sentì chiedere alle spalle subito, una nota di preoccupazione a venare la voce dell’amico.
Pietro strinse i denti: avrebbe tanto voluto rispondere che era tutto un disastro, che lui per primo si sentiva un disastro ambulante. Stava cominciando ad essere tutto un casino, e la situazione con Laura, più che migliorarlo, non aveva fatto altro che andarsi ad aggiungere a tutto ciò che lo stava facendo sentire insicuro.
-Non esattamente- borbottò, non curandosi nemmeno di rendersi udibile da Alberto.
 
*
 
Wake in a sweat again
Another day's been laid to waste

In my disgrace
 
La neve continuava a scendere, imperturbabile. Era dal pomeriggio di quel sabato che aveva ripreso a nevicare, rendendo vani tutti i tentativi di tenere le strade abbastanza pulite fatti negli ultimi giorni.
Alessio lanciò un’occhiata sfiduciata fuori dalla finestra della sua stanza: dubitava altamente avrebbe smesso presto di nevicare. Erano le sei di sera, e fuori, oltre i fiocchi candidi, nell’oscurità difficilmente si riusciva a distinguere altro.
Con la luce accesa a creare ombre sulla superficie della sua scrivania, Alessio vi si teneva appoggiato con i gomiti, il libro di economia aziendale aperto davanti a sé.
Sbuffò piano, la concentrazione che cominciava a venire a meno dopo due ore passate lì, davanti a parole stampate su pagine che cominciava a detestare con tutto se stesso. Si ritrovò a pensare che avrebbe quasi voluto dover affrontare la maturità già il giorno dopo, se quello significava dover smettere di studiare materie per cui non provava il minimo interesse.
In un momento di impulsività decise di prendersi una pausa: si rilassò sulla sedia, stiracchiandosi e stropicciandosi gli occhi stancamente, lasciando gli occhiali da vista sulle pagine del libro. Sentiva la stanchezza aumentare sempre di più, anche se era altrettanto consapevole di non potervi ancora cedere. Qualche minuto di distacco gli avrebbe fatto bene: non attese altro tempo prima di alzarsi dalla sedia, spostandosi sul bordo del letto. Lontano dalla scrivania e dalla visione di tutto quello che ancora doveva studiare si sentiva già meglio: la pressione sembrava essersi allontanata, anche se solo per qualche minuto.
L’influenza che aveva avuto subito dopo Capodanno lo aveva debilitato non poco; due settimane dopo si ritrovava ancora con qualche strascico, come se la tosse e il raffreddore non se ne volessero proprio andare. L’unica consolazione che gli era rimasta era che, perlomeno, la febbre e il mal di gola erano spariti. In una settimana era riuscito a rimettersi in sesto ed uscire dal letto senza troppi giramenti di testa.
Quelli da malato erano stati giorni duri. Monotoni e grigi, ma comunque difficili. Si era ritrovato a pensare, quasi con una nota di disperazione, quanto tempo stesse sprecando a causa della sua salute che gli stava impedendo anche solo di uscire di casa; era stato quasi uno strazio ritrovarsi costretto a letto con la testa che pulsava febbricitante e che, a tratti, lo aveva reso anche poco lucido.
Forse, si ritrovò a pensare, mentre se ne stava seduto sul letto, era stato meglio così: dubitava altamente sarebbe riuscito a sopportare allo stesso modo tutti quei giorni rinchiuso in casa a forza a mente lucida. Era già difficile cercare di sopprimere la voglia di scappare da lì che lo assaliva quasi ogni giorno, nonostante le ore passate fuori casa a causa della scuola.
 
Stuck in my head again
Feels like I'll never leave this place
There's no escape
 
Doveva stringere i denti ed aspettare.
Era l’unica altra cosa che gli rimaneva da fare: studiare al meglio per la maturità, passarla con il voto più alto a cui poteva puntare con la sua media, e poi darsi al test d’ingresso per l’università. Quello era tutto ciò che poteva e voleva programmare nell’arco dei futuri nove mesi che si trovava davanti.
Poi sarebbe stato tutto in discesa, di quello ne era sicuro. Venezia lo stava aspettando, lontano da Villaborghese, lontano da tutto quello che nella sua vita non andava – lontano dai sogni ancora costretti ad essere chiusi nel cassetto, lontano dai pensieri che qualcosa potesse andare storto, lontano da suo padre.
Doveva solo resistere fino a settembre, darsi da fare fino ad allora.
Sapeva che quel periodo sarebbe stato un punto cruciale della sua esistenza: volere qualcosa così tanto a lungo, e tentare di realizzarlo non era mai stato più semplice e più arduo da ottenere allo stesso tempo.
Doveva tenere distante la sfiducia e l’insicurezza che lo colpivano nei momenti più disparati, quelli in cui non si immaginava nemmeno potesse succedere, e che invece lo sorprendevano vulnerabile, pronto a lasciarsi trascinare dalla negatività e dall’idea nera del fallimento.
 
I don't know what to take
Thought I was focused

 But I’m scared
 
Era in quei momenti che mantenere alto il morale e darsi con ogni forza a quell’obiettivo che si era prefissato diventava difficile. Il destino sapeva essere dannatamente bastardo, soprattutto quando, al di là della buona volontà, le certezze erano quasi inesistenti. Forse i soldi per l’università non sarebbero bastati, forse Venezia non era la risposta che cercava ai suoi bisogni.
Forse non era quella la strada destinata a lui, quella in cui avrebbe potuto realizzarsi.
“A little bit insecure, a little unconfident”, si ritrovò a pensare anche in quel momento, mentre si rialzava dal materasso per avvicinarsi di nuovo alla scrivania.
Si bloccò a metà strada, tra il letto e la sua meta, quando sentì provenire dall’ingresso un tintinnio di chiavi girare nella toppa, e subito dopo la porta d’ingresso aprirsi.
Alessio si girò verso la sua sveglia sul comodino, sbuffando sonoramente dopo aver constatato che non erano nemmeno le sette.
“Stasera è già tornato. Provocherà un acquazzone”.
La spinta che l’aveva portato a raggiungere quasi la scrivania per continuare a studiare svanì quasi nello stesso istante in cui aveva realizzato l’arrivo di suo padre a casa.
Di certo non si sarebbe mosso dalla sua stanza prima di cena – non con il rischio quasi certo di poterlo incrociare e dover passare con lui più tempo del dovuto-, ma ora nemmeno provare a continuare a concentrarsi su altro sembrava così fattibile come prima.
Sentì la tensione attanagliargli lo stomaco, più del solito. Si lasciò cadere sulla sedia della scrivania, richiudendo con un tonfo secco il libro di economia aziendale.
In quel momento, forse per la prima volta dopo tanto tempo, avrebbe voluto parlare con qualcuno di tutti i pensieri che gli frullavano per la testa, di tutti i timori e le paure, dei progetti e degli obiettivi che si era posto. Per una volta gli sarebbe piaciuto trovare conforto e un confronto, smetterla di tenersi tutto dentro e nascosto alla vista di chiunque altro. Era sicuro che sua madre sarebbe stata ben lieta di vederlo aprirsi, una volta tanto: si era accorto di certi sguardi d’apprensione che ogni tanto gli lanciava, quando la conversazione si avvicinava all’argomento università.
Forse quelle occhiate di preoccupazione erano rivolte a quello che avrebbe potuto sentire da suo padre, al male che Alessio avrebbe potuto subire dai suoi tentativi di dissuaderlo, di convincerlo, in un modo o nell’altro, che non aveva la stoffa necessaria per raggiungere un qualunque traguardo.
Avrebbe voluto dire a sua madre che poteva starsene tranquilla, che ormai le sue spalle erano abbastanza larghe e forti per non farsi abbattere.
Avrebbe voluto anche sentirselo dire davvero, da qualcuno, per convincersene sul serio.
 
I'm not prepared, I hyperventilate
Looking for help somehow somewhere
And no one cares*
 
*
 
Giulia si sfregò le mani energicamente, cercando di trarre dal movimento qualche sorta di calore. Nonostante la giacca pesante, la sciarpa e i guanti continuava a sentirsi congelata, a maggior ragione dopo aver passato più di mezz’ora nel tepore piacevole dell’auto di suo padre.
La fine di gennaio era arrivata piuttosto in fretta: il primo mese del 2012 sembrava essere durato poco più di una settimana, tanto le giornate le sembravano essere volate, nel morso freddo del cuore dell’inverno.
Aveva almeno smesso di nevicare, rispetto a qualche settimana prima, anche se la pioggia scesa quella stessa mattina e ora ghiacciata stava impedendo a Giulia di camminare speditamente lungo il marciapiede.
Le strade di Borgo Padano non erano particolarmente affollate, nemmeno a quell’ora del pomeriggio. Non le sarebbe stato difficile individuare Filippo, in qualunque punto di piazza Vittorio Emanuele II si trovasse.
Giulia continuò a camminare attentamente, con passi brevi e pieni di cautela, mentre reggeva tra le mani la borsa che conteneva il regalo che avrebbe dovuto consegnargli di lì a poco.
Le sembrava ancora strano il pensiero che, in quel giorno di fine gennaio, Filippo festeggiasse il suo diciottesimo compleanno: la tanto agognata e decantata maggiore età, quella per cui lei avrebbe dovuto aspettare ben di più.
Se non fosse stato per quel freddo e quelle nuvole che minacciavano di far riprendere a piovere a minuti, Giulia si sarebbe ritrovata ben più entusiasta di quell’uscita. Aveva visto Filippo anche quella mattina stessa a scuola, quando avevano passato gli intervalli insieme, durante i quali lei gli aveva fatto i suoi auguri e si era ritrovata quasi tentata di chiedergli di rimandare. Alla fine non aveva detto nulla: in fin dei conti il diciottesimo compleanno non capitava tutti i giorni, e dubitava che il tempo sarebbe migliorato di lì a poche giornate.
Con suo sollievo oltrepassò il confine della piazza; cominciò a guardarsi intorno, cercando da qualche parte Filippo. Lo individuò abbastanza facilmente, davanti alla vetrina di una libreria, intento ad osservare i titoli dei testi in esposizione. Giulia attraversò la strada accelerando appena il passo, arrivandogli finalmente di fronte; Filippo si girò nella sua direzione quasi in contemporanea, sorridendole.
-Scusa il ritardo- disse lei, schioccandogli un bacio a fior di labbra – Mio padre ha sbagliato strada. Non è molto pratico di Borgo Padano-.
-Non c’è problema- Filippo spostò lo sguardo dal suo viso alla borsa che Giulia teneva per i manici – Non sono qui da molto-.
Prima che potesse aggiungere qualsiasi altra cosa, Giulia sollevò la borsa per i manici, piantandogliela davanti al viso in maniera inequivocabile:
-Questo è per te!-.
Aveva preferito non darglielo a scuola, dove avrebbero potuto vedere quel regalo anche i loro compagni di classe. Non era qualcosa di imbarazzante – non come la scatola di preservativi che poteva aver regalato a Caterina-, ma pensava fosse comunque qualcosa di troppo intimo per lasciarlo alla vista di chiunque. Preferiva di gran lunga darglielo in quel momento, quando con lei c’era solo Filippo.
-Devo preoccuparmi, per caso?- ridacchiò nervosamente lui, prendendo con diffidenza la borsa, e guardandola sospettoso – Mi ricordo ancora l’ultimo regalo che hai fatto a Caterina-.
Giulia scoppiò a ridere, scuotendo il capo:
-Come sei malfidente- gli lanciò un’occhiata maliziosa, alla quale Filippo arrossì vistosamente – Comunque no, puoi stare tranquillo-.
Filippo non attese oltre: posò a terra la borsa che conteneva il regalo, tenendo in mano solo l’incarto blu ed azzurro. Strappò l’involucro un secondo dopo, e pochi attimi dopo la carta scoprì la copertina rigida e dorata di un album di fotografie.
Giulia aveva riflettuto a lungo su cosa potergli regalare: l’anno prima non avevano potuto festeggiare insieme, ma quell’anno le cose era completamente diverse. Aveva scartato qualsiasi cosa troppo banale, qualsiasi cosa che chiunque altro avrebbe potuto regalargli al posto suo; alla fine aveva raccolto tutte le foto più belle di lei e Filippo degli ultimi mesi, facendole stampare e racchiudere in quell’album che ora si trovava tra le mani del suo ragazzo.
-È bellissimo- Filippo passò le mani sulla copertina liscia lentamente, prima di sfogliare le prime pagine, soffermandosi su alcune foto più di altre – Sul serio, mi piace tantissimo. Non mi aspettavo un regalo così-.
Giulia sorrise a sua volta, nel notare le labbra di Filippo incurvate dolcemente all’insù.
-Non è stato difficile trovare le foto. Ho faticato solo a scegliere quali inserire e quali scartare- spiegò lei, tra l’imbarazzo e la contentezza. Era una sensazione nuova, quella di vedersi apprezzare così tanto da qualcun altro, ed era anche una sensazione estremamente appagante.
Filippo risollevò finalmente gli occhi, avvicinandosi a Giulia e stampandole un altro bacio, più lungo:
-Grazie, amore-.
 


-Hai deciso quando festeggiare?-.
Erano passati poco più di dieci minuti da quando avevano preso a camminare, allontanandosi dalla piazza, ed avventurandosi per le strade adiacenti, con i lampioni ora accesi come unica fonte di luce. Il buio della sera aveva preso a calare e a giudicare dal cielo sempre più nuvoloso, come temeva Giulia, avrebbe ricominciato presto a piovere.
-D’altro canto sono i diciott’anni, dovresti fare qualcosa- proseguì, voltandosi verso l’altro.
Filippo la teneva stretta a sé, con un braccio attorno alle spalle di Giulia, e l’altra mano a sorreggere la borsa con all’interno l’album di fotografie; abbassò lo sguardo verso il viso di lei con aria pensierosa:
-Ecco … In effetti stavo pensando ad una cosa-.
Giulia attese paziente che proseguisse, mentre continuavano a camminare davanti alle vetrine dei negozi del centro.
-A me e Pietro piacerebbe festeggiare insieme- disse infine Filippo, un po’ esitante – In fin dei conti i nostri compleanni sono vicini, e … Beh sarebbe una cosa carina-.
Giulia si morse il labbro inferiore per impedirsi di sbuffare indispettita, anche se Filippo doveva già aver notato l’irrigidirsi della sua espressione.
Non aveva davvero considerato l’idea che Filippo potesse decidere di festeggiare proprio con Pietro. Ricordava che i loro compleanni fossero piuttosto vicini, ma non ci aveva minimamente pensato. Forse aveva solo sperato che, per una volta, Pietro sarebbe stato fuori almeno da quella questione.
-Già, lo sarebbe- sussurrò, senza troppa convinzione – Avete già in mente una data?-.
-Potrebbe essere il prossimo sabato-.
Giulia si sentì lo sguardo dell’altro ancora addosso, nonostante la conversazione sembrasse essere arrivata ad un punto morto. Non disse nulla nemmeno stavolta, attendendo che fosse Filippo ad esternare quello che sembrava volerle dire.
-Non è un problema per te, vero?- le chiese, con una vena di timore nella voce – Voglio dire, verrai comunque, no?-.
Giulia attese qualche secondo prima di parlare. Avrebbe voluto rassicurare sufficientemente Filippo sul fatto che non sarebbe mancata … Ma non poteva nemmeno dirgli, con disinvoltura, che per lei andasse tutto bene. Tra lei e Pietro c’era stata decisamente meno tensione, negli ultimi mesi, una sorta di volontaria lontananza tra di loro, una specie di tacito accordo che li portava ad ignorarsi a vicenda.
Non per questo aveva cominciato a prenderlo più in simpatia o giudicarlo meno tossica la sua vicinanza a Filippo.
-Verrò- disse infine, sforzandosi di sorridergli, mentre si voltava verso di lui – Magari non starò troppo appiccicata a Cadorna, ma ci sarò-.
-Ci saranno tante altre persone, quindi non dovresti avere problemi per evitarlo- Filippo la guardò rincuorato, stringendola un po’ di più a sé – Vedrai che non farai neppure caso a lui-.
“Speriamo che anche lui non faccia caso a me” si ritrovò a pensare Giulia, pessimista. Non aveva idea di quanto sarebbe durata quella tregua con Pietro, e non poteva fare altro che sperare che durasse almeno ancora per un po’.
Svoltarono in un’altra via, quando alcune gocce di pioggia cominciarono a cadere, bagnando loro, l’asfalto della strada e del marciapiede.
 -Sta cominciando a piovere- osservò subito Giulia, alzando gli occhi verso il cielo. Non riusciva a distinguere nemmeno più le nuvole, il cielo che era diventato un’uniforme distesa plumbea carica di pioggia.
-Io non ho l’ombrello- disse Filippo, perplesso.
-Neppure io- Giulia si morse il labbro inferiore, maledicendosi per averlo dimenticato nell’auto di suo padre. Cominciò a guardarsi intorno, alla ricerca di un qualche posto dove ripararsi nel caso avesse cominciato a piovere di più:
-Se inizia a piovere più forte dovremmo entrare in qualche negozio o in un bar-.
Filippo annuì, con aria grave:
-Sono d’accordo-.
Le speranze di Giulia si infransero in poco tempo, quando dieci minuti dopo le gocce di pioggia aumentarono, inumidendole i capelli sempre di più. Lei e Filippo aumentarono il passo, fino ad arrivare di fronte all’entrata di un piccolo bar di una piazzetta; fecero appena in tempo ad aprire la porta d’ingresso, prima che la pioggia si trasformasse in un vero e proprio acquazzone. 
Il bar era quasi del tutto pieno, ma Giulia riuscì ad individuare un tavolo libero a qualche metro dal bancone, e vi si diresse con Filippo al seguito. Si tolse il cappotto fradicio, rabbrividendo di freddo, prima di sedersi su una delle due sedie, di fronte a Filippo. Pian piano cominciò a sentirsi meno raffreddata, grazie al tepore presente nell’area ristretta del bar.
-Abbiamo avuto una bella fortuna- spezzò il silenzio Filippo, sorridendole calorosamente.
-Parecchia- convenne Giulia, ridendo a sua volta – Hai già un’idea di cosa ordinare?-.
-Qualcosa di caldo da bere sarebbe l’ideale-.
Giulia si ritrovò d’accordo: un bel tè caldo o una cioccolata ci sarebbero stati benissimo, con quel tempaccio invernale e quella tempesta che infuriava fuori dal bar.
Pochi minuti dopo Filippo riuscì ad attirare l’attenzione di un cameriere per ordinare qualcosa, e dopo dieci minuti circa due cioccolate calde e fumanti si trovavano sul loro tavolo, una per Giulia e una per Filippo.
-E pensare che eravamo venuti qui a Borgo Padano per passeggiare … Invece ci siamo trovati seduti in un bar- disse sarcasticamente Giulia, avvicinando la tazza alle labbra e bevendo un sorso di cioccolata calda.
-Meglio la cioccolata calda del temporale, in ogni caso- rise Filippo, aspettando che la sua cioccolata bianca si raffreddasse un po’.
Giulia annuì, bevendo ancora un po’ e riscaldandosi sempre di più. Il tintinnio delle tazze, dei bicchieri e dei cucchiaini in sottofondo, insieme al brulichio di voci degli altri clienti, cominciavano a rilassarla.
-Caterina aveva intenzione di organizzare qualcosa per San Valentino- buttò lì dopo qualche minuto di silenzio, rigirandosi la tazza tra le mani – Sai, per festeggiare il suo anniversario con Nicola e passare una giornata tutti insieme-.
Non era sicura che sarebbe stato davvero così: Caterina gliene aveva parlato qualche giorno prima come di un’idea ancora piuttosto astratta, una semplice cosa che le sarebbe piaciuto organizzare. Giulia, per quanto ne sapeva, non era nemmeno a conoscenza se Nicola stesso ne fosse al corrente o meno.
-Davvero? Che ha in mente?- chiese di rimando Filippo, incuriosito.
-Credo un’uscita da qualche parte- alzò le spalle Giulia – Non mi ha ancora detto troppo-.
Da quel poco che Caterina le aveva detto, sembrava che Ferrara potesse essere una buona opzione per un’uscita pomeridiana collettiva: non era distante, e la corriera da Piano, che vi faceva tappa, li avrebbe potuti portare direttamente a destinazione subito dopo la scuola. Persino i suoi genitori – e Giulia era perfettamente conscia di quanto Anita e Carlo potessero essere diffidenti riguardo certe sue uscite- non avrebbero avuto nulla da obiettare in un viaggio del genere.
-C’è un tipo che ci sta fissando-.
Giulia alzò di scatto gli occhi verso Filippo, accantonando i pensieri che le stavano riempiendo la mente in quel momento. Lo vide accigliato, la fronte aggrottata mentre le si rivolgeva ancora, continuando a guardare qualcuno oltre le spalle di Giulia:
-Ora si sta avvicinando-.
Giulia rinunciò a chiedergli se fosse davvero sicuro che la persona in questione – chiunque fosse- stesse davvero dirigendosi verso di loro. Non aveva idea di chi potesse essere, e il dubbio che Filippo si stesse sbagliando era più forte di qualunque altra certezza.
Si girò controvoglia a guardare nella direzione verso la quale lo sguardo di Filippo era puntato, e quando mise a fuoco la fantomatica persona che si stava dirigendo al loro tavolo Giulia non seppe se considerarsi più sorpresa, più contenta, o più imbarazzata.
Non le ci volle molto per riconoscere Lorenzo, nonostante fosse passato un po’ di tempo dall’ultima volta che l’aveva visto. Non poteva comunque non essere che lui, il giovane sui venticinque anni dai corti capelli scuri e occhi verdi che si stava avvicinando sempre di più. Quando si accorse che anche Giulia l’aveva notato le rivolse un sorriso amichevole.
Giulia attese che li raggiungesse, prima di sorridergli di rimando; qualche attimo dopo Lorenzo si fermò di fronte al tavolo, rivolgendosi prima proprio a lei:
-Non mi sarei aspettato di trovarti qui proprio oggi!- esclamò, continuando a sorriderle – Comunque ciao, Giulia-.
-In effetti nemmeno io- Giulia lo salutò allegramente con un cenno della mano – È da tanto che non ci vediamo-.
-Vieni spesso qui?- le chiese subito Lorenzo, sotto lo sguardo perplesso di Filippo.
Giulia lanciò prima un’occhiata rassicurante al suo ragazzo, prima di tornare a voltarsi verso Lorenzo:
-No, per niente. Ci siamo rifugiati qui quando ha iniziato a piovere-.
Lorenzo rise appena:
-Allora è stata decisamente una coincidenza fortuita-.
Giulia annuì, d’accordo con lui. Era sul punto di chiedergli se fosse da solo in giro per la città, quando scorse una ragazza avvicinarsi a sua volta a loro, alle spalle di Lorenzo. Quando gli fu a pochi passi gli appoggiò una mano sulla spalla, richiamandone l’attenzione:
-Ecco dov’eri finito. Non riuscivo più a vederti- gli disse, con tono di finto rimprovero.
Giulia rimase interdetta solo per un attimo, prima di intuire chi fosse la nuova arrivata.
-Questa è Rebecca, la mia ragazza- Lorenzo si girò di nuovo verso Giulia, prima di spostare lo sguardo prima da Rebecca e poi di nuovo verso Giulia – Lei è Giulia, un’amica di mia sorella. E … -.
Giulia intercettò lo sguardo di Lorenzo, fermo su Filippo in maniera più fredda rispetto a un secondo prima.
-Filippo- spiegò subito, indicandolo – Il mio ragazzo-.
-Piacere- borbottò Filippo, confuso, allungando la mano destra verso Lorenzo e Rebecca, che la strinsero a turno. Giulia osservò lo sguardo di Lorenzo farsi più gelido, a tratti diffidente, mentre continuava a tenere gli occhi sull’altro. Si chiese se doveva aver intuito chi fosse Filippo: forse ricordava ancora quando l’anno prima si era ritrovato a consolarla nella sua stessa stanza, a casa di Caterina, dopo che Giulia si era ritrovata ad essere baciata da Filippo e a respingerlo.
Preferì spostare lo sguardo da Lorenzo a Rebecca, disorientata se possibile ancor più di Filippo. Caterina non aveva mai parlato granché di lei, e Giulia sapeva a malapena che la motivazione poteva andare a ricercarsi nell’antipatia che provava verso la ragazza di suo fratello.
-Beh ora io e Rebecca dobbiamo andare- Lorenzo interruppe per primo il silenzio durato alcuni secondi, voltandosi di nuovo verso Giulia e lasciandole un altro sorriso – È stato bello vederti-.
-Anche a me ha fatto piacere- Giulia gli sorrise di rimando, sentendosi quasi in imbarazzo per l’intensità e l’insistenza con le quali Lorenzo la stava guardando.
-Ci si vede in giro- concluse lui, lanciandole un’ultima occhiata prima di allontanarsi con Rebecca; Giulia li seguì con lo sguardo fino a quando non uscirono dal bar.
-E dopo questa … - Filippo tornò a girarsi verso di lei, a metà tra l’accigliato e il sollevato – Forse dovremmo avviarci anche noi verso la piazza-.
Giulia annuì, dando un’occhiata all’ora sul display del suo telefono: non mancava molto all’ora stabilita per farsi venire a recuperare da suo padre. Ora che anche il temporale all’esterno sembrava essersi calmato, tanto valeva approfittarne per tornare indietro.
Si alzarono poco dopo, pagando e uscendo dal bar. Giulia si strinse nelle spalle: se possibile faceva ancor più freddo di prima. Si avvicinò a Filippo, passandogli una mano attorno alla vita, tenendoselo vicino in un ultimo tentativo di patire meno la bassa temperatura. Camminarono sotto i portici così abbracciati, in un silenzio che fece supporre a Giulia che Filippo stesse rimuginando su qualcosa.
-A che stai pensando?- chiese infine, non resistendo più alla curiosità
-A Lorenzo- le rispose Filippo, in tono vago – Non pensavo foste così in intimità-.
-In intimità?- Giulia quasi si strozzò con la sua stessa saliva, a metà tra una risata e un attimo di grande stupore – Hai capito male. Lo incontro a volte, quando sono da Caterina, in alcune capita anche che ci parli … Ma lo conosco appena-.
Le fece strano dover spiegare a Filippo il rapporto che c’era tra lei e Lorenzo – un rapporto quasi del tutto inesistente, soprattutto negli ultimi mesi.
-Va bene- Filippo continuò a mantenere la stessa aria poco convinta – Ma mi ha fatto una strana impressione lo stesso-.
“Quanto ti capisco”.
-È di poche parole- cercò di giustificarlo Giulia – Ma non è una cattiva persona-.
Filippo si girò verso di lei con fare sarcastico:
-Credo che Nicola non sarebbe del tutto d’accordo con te-.
Giulia non gli rispose, colta in contropiede. Caterina le aveva raccontato già delle frizioni che c’erano state tra Lorenzo e Nicola, ma la situazione di quel giorno le sembrava una cosa a parte, completamente diversa.
-L’ha pur sempre trovato a baciare Caterina mentre erano da soli a casa- obiettò, dopo un po’ – Non è così strano che un fratello maggiore sia un po’ geloso della sorella più piccola. Soprattutto se la trova con il fidanzato appicciato alle sue grazie-.
Filippo sbuffò appena, con fare annoiato:
-Se ne sei convinta tu-.
Giulia evitò di replicare, anche se il fastidio che provava in quel momento la stava quasi spingendo a cercare di rispondere a tono. La fermò solamente il non voler litigare con Filippo proprio in quella giornata, e per un motivo futile come Lorenzo. Sbuffò piano, rimanendosene però in silenzio.
Non ci misero moltissimo ad arrivare in piazza Vittorio Emanuele II; proseguirono fino alla fine della zona pedonale, alla fine della strada principale, dove Filippo aveva parcheggiato il motorino e dove Carlo avrebbe prelevato Giulia con l’auto.
-Hai passato un buon compleanno?- Giulia si accostò a Filippo, dopo essersi resa conto che suo padre non era ancora arrivato. Sperò che il malumore di Filippo si fosse stemperato almeno un po’: non avevano parlato più dalla piazza fino a lì, e Giulia temeva di non aver comunque evitato un’arrabbiatura di Filippo.
I suoi dubbi caddero nel momento in cui lui le si avvicinò e le lasciò diversi baci:
-Passo sempre delle belle giornate con te- le rispose, sorridendole, a pochi centimetri dalle labbra.
-Vale anche per me- gli rispose Giulia.
In quel momento, finalmente, il pensiero di Lorenzo era lontano da lei, silente come lo era stato fino a prima di incontrarlo.
 





*il copyright della canzone (Linkin Park - "Given Up") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Rieccoci qui con il 21! In questa gelata serata milanese vi facciamo compagnia con un capitolo ambientato nei primi giorni di gennaio 2012, con un Pietro preso dal suo pessimismo, caratteristica di questo suo periodo un po’ buio, ed un Alessio particolarmente sottotono e di cattivo umore, preda delle sue ambizioni e delle sue paure. Secondo voi si riprenderanno e riusciranno ad uscire da questi pensieri un po' malinconici?
Dopo qualche tempo Giulia si trova invece alle prese con il 18esimo compleanno di Filippo... Anche se stavolta sembra aver accantonato certi tipi di regali per qualcosa di più pacato 😂
Vi aspettavate che lei e Filippo incontrassero proprio Lorenzo in giro per la città?
Secondo voi da come Lorenzo si è posto a Giulia c'era davvero una sorta di intimità, o Filippo è solamente troppo di parte e lievemente geloso?
Ci rivediamo mercoledì prossimo, con il capitolo 22!

Kiara & Greyjoy
 
   
 
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