La dolce vita
Sento che non sono io a decidere cosa mi può accadere
e come mi dovrei spostare,
così mi fermo a caso in un punto qualsiasi e attendo,
forse è solo questo quello che devo fare,
fermarmi ad ascoltare e aspettare che le cose mi portino via
facendomi sentire che tutto è al proprio posto,
che tutto va bene.
(Tibe,
Valido per due)
☆ TERZA TAPPA
Vittorio guidava con la solita meticolosa attenzione ai dettagli
mentre una vecchia canzone anni ’80 echeggiava nel cubicolo. Luca non aveva più
proferito parola da quella mezza dichiarazione ricevuta sul bellissimo Ponte
Vecchio di Firenze, se non per dire che andava bene proseguire quel viaggio quando
l’altro gli aveva chiesto se preferisse, invece, tornare a Napoli.
La prossima città da visitare, secondo il piano originario di
Vittorio, era Bologna: la colta, la rossa e la grassa. Il medico era realmente
innamorato di Bologna e, infatti, avrebbe volentieri accettato un trasferimento
in quella città anche solo per la pasta fresca e la mortadella di Tamburini.
Però quel silenzio rendeva tutto pesante e Vittorio portava sulle
spalle il peso dell’inadeguatezza, che lo costrinse a svoltare e prendere la
prima uscita disponibile.
Luca, come da prassi, non aveva emesso un singolo fiato né si era
posto il problema che l’altro potesse tagliarlo a pezzettini e nasconderlo
sotto un albero, per quanto appariva tranquillo.
I due erano finiti in un piccolo paesino nelle vicinanze di
Bologna e Vittorio parcheggiò nel primo spiazzo disponibile; scese dall’auto senza
staccare le chiavi dal quadro e iniziò a camminare. Aveva bisogno di prendere
aria e sgranchirsi le gambe, inoltre stava accusando un malessere generale tale
che era certo che se avesse continuato a guidare per qualche minuto in più
avrebbe vomitato anche l’anima e, inoltre, voleva capire per quale motivo si
era dichiarato all’altro ragazzo in maniera tanto impulsiva.
Perché Luca non aveva reagito?
Perché non gli aveva detto “che schifo” o “mi piaci anche tu” o “ho
altri interessi”?
Quella totale indifferenza, seguita dal silenzio del ragazzo,
stava iniziando a logorarlo dall’interno.
D’altro canto, Luca era rimasto in auto in preda alla confusione.
Quando Vittorio scese dalla vettura assecondando quel silenzio rumoroso che si
era insediato fra loro, il ragazzo aveva rilasciato il fiato in un sospiro
lungo e triste.
Perché non riusciva a proferire parola?
Vittorio gli aveva detto un “mi piaci” quasi disperato quando
erano su Ponte Vecchio e, nonostante il suo cuore fosse colmo di gioia, lui era
rimasto spiazzato. Luca era a conoscenza della propria identità sessuale e,
sebbene fosse chiara fin da subito una certa predisposizione ad amare il corpo
maschile piuttosto che quello femminile, non aveva mai avuto qualcuno che gli
piacesse sul serio. Solo una volta, all’inizio delle scuole superiori, aveva
dato un bacio a un ragazzo. Quest’ultimo, Riccardo, aveva affermato di essere
gay e quindi si erano scambiati quel gesto… niente di trascendentale, se non
fosse che dopo Riccardo l’aveva respinto e aveva sparso strane voci nei
corridoi della scuola. Per alcuni mesi aveva ricevuto degli strani messaggi di
gente che chiedeva un pompino e Luca si era limitato a bloccarne l’id, conscio
che doveva essere uno scherzo di Pietro.
Vittorio, però, non era Pietro e questo lui lo sapeva bene.
Luca fissò il portachiavi penzolare al di sotto del volante e fu
tentato vivamente di abbandonarsi contro lo schienale del sedile, ma qualcosa
glielo impedì. Forse si trattava del senso di colpa per aver lasciato l’altro
in balia di pensieri poco chiari, o forse era il fatto che anche a lui piaceva
Vittorio; fatto sta che afferrò quel coccodrillo di perline colorate e scese
dall’auto con l’intento di raggiungerlo.
Vittorio si era fermato qualche metro più avanti e si era seduto
su una panchina desolata e malridotta; stava rimuginando sull’atteggiamento
assunto quando fu colpito improvvisamente da un dolore spastico acuto all’altezza
dell’addome. Assunse un’espressione sorpresa e dolorante allo stesso tempo ma
senza perdere neanche un attimo, e neanche l’autocontrollo, si stese sulla
panchina e si sollevò la maglietta per tastarsi il ventre e visitarsi.
- Vittorio io… -
- Shhh! –
- Ma… -
- Shhh, - lo rimproverò nuovamente
Vittorio, usando solo quel verso. Aveva bisogno di concentrarsi poiché non
aveva con sé tutti gli strumenti necessari e non gli serviva una distrazione.
Luca sembrò mettere il broncio ma cambiò totalmente espressione
quando l’altro emise un verso di dolore, - Che hai? –
- Una… colica, penso addominale e, cazzo, devi accompagnarmi in
ospedale. –
Il tono che aveva usato Vittorio era stato fermo, quasi come se
quello a sentirsi male non fosse lui; Luca, invece, sembrò andare nel panico e
si portò le mani nei capelli, - Tu… cosa… dove…?! –
Vittorio strinse gli occhi poiché la fitta divenne sempre più
forte; avrebbe voluto dire qualcosa a Luca, anche perché era a conoscenza della
sua fobia per i medici e gli ospedali, ma in quel momento lui aveva bisogno di
un’iniezione di antispasmodico e poteva ottenerla solo recandosi al pronto
soccorso più vicino.
- Ho preso la patente da un mese, io non so neanche dov’è l’ospedale,
chiamiamo l’ambulanza! –
- Non scomodiamoli per una colic…ahhh! – si lamentò Vittorio, stringendo nuovamente gli
occhi; in seguito, cercò di combattere il dolore controllando il respiro, certo
che se si fosse calmato si sarebbe quantomeno attenuato.
- No, dobbiamo correre lì assolutamente, - disse Luca, aiutando l’altro
a rimettersi in piedi e a raggiungere l’auto.
Una volta sistemati in macchina Vittorio gli aveva dato dei
consigli su come approcciarsi ad un veicolo tanto obsoleto rispetto a quello a
cui era stato abituato alla scuola guida e si era abbandonato contro lo
schienale del sediolino socchiudendo gli occhi.
Luca aveva farfugliato qualcosa, preoccupato sia per le condizioni
fisiche dell’altro che per la propria incapacità alla guida; infatti, era
rimasto con la schiena diritta e non era andato oltre la seconda marcia,
sussultando ad ogni singhiozzo del motore o ad ogni fosso preso in pieno.
Con non poche difficoltà avevano raggiunto l’ospedale più vicino;
una volta all’interno, Vittorio aveva confabulato con dei medici mostrando loro
un tesserino universitario e, prima di entrare nella sala insieme a degli
infermieri, gli raccomandò di restare in sala d’attesa al fine di non dover
avere molto a che fare con i camici bianchi.
☆☆☆
Erano passate tre ore da quando gli infermieri avevano portato
Vittorio all’interno della medicheria; lui aveva provato a chiedere notizie
sistematicamente ogni mezz’ora ma gli era stato detto che non era un parente e
che quindi doveva aspettare. Così, sconsolato e preoccupato, Luca si era accomodato
su una di quelle scomodissime sedie di plastica dura e, con la testa poggiata
sul muro, aveva rimesso in play il proprio iPod.
Dopo quasi un’altra ora, Vittorio uscì dalla medicheria con aria
affaticata, quasi come se avesse corso una lunga maratona; lo vide portarsi una
mano tra quei ricci scuri e indomabili, notò una macchia di sangue sulla t-shirt
e un cerotto sulla flessura cubitale eppure, nonostante quel pallore, sembrava
sorridente e i suoi occhi avevano acquisito brillantezza. Vittorio salutò il
dottore con una stretta di mano e Luca balzò all’in piedi, togliendo le cuffie
dalle orecchie.
- Come ti senti? – chiese nell’immediato.
- Sto meglio, mi hanno anche fatto le analisi! –
- Cos’era? –
- Una semplice colica… devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto
male. –
- Forse stamattina non dovevamo fare colazione in quella bettola…
-
- Probabile, ma non importa: sono vivo! –
Vittorio sorrise ancora, passandosi ancora una mano tra i capelli;
Luca invidiava quella capacità di mostrarsi tanto imperturbabile e, in cuor
suo, sapeva che la colazione alla locanda non era di certo l’unico motivo per
quel dolore tanto forte. Preso, quindi, da un forte impeto, Luca si fiondò ad
abbracciarlo senza aggiungere ulteriori suoni; Vittorio si sentì preso alla
sprovvista e impiegò qualche secondo buono prima di reagire e abbracciarlo a
sua volta.
Sebbene Luca ne avesse paura, erano proprio gli ospedali a
continuare ad avvicinarli.
☆☆☆
☆ BONUS TRACK: (LIKE A PIECE OF) BOLOGNA
- Io mi fermo qui, non ce la faccio. Troppi gradini. –
- Luca, non esiste. Siamo praticamente all’altezza della Torre di
Pisa, vuol dire che la cima della Torre degli Asinelli è vicina: forza! Vedrai
che bel panorama! –
Il più giovane aveva borbottato qualche imprecazione tra sé e sé che
Vittorio aveva prontamente ignorato, tuttavia, si fece coraggio e riprese a
salire quei gradini di legno e all’apparenza instabili.
Dopo aver salito quattrocento novantotto gradini, i due erano
giunti in cima.
Il panorama era splendido: a nord si scorgeva la catena delle Alpi
settentrionali, ancora avvolte nella nebbia; a ovest un orizzonte sconfinato; a
est una pianura vastissima; a sud i primi colli dell'Appennino, gremiti di
chiese, palazzi e di ville.
A quella vista Luca non resisté alla tentazione di scattare una
fotografia e proprio per questo estrasse il cellulare dalla tasca; inquadrò
parte della torre e del panorama, quando l’obiettivo gli fece notare la
presenza di un Vittorio completamente rapito da quella cityview.
Il ragazzo ebbe modo di ammirare le sue spalle larghe e i suoi capelli
indomabili sotto al sole e, dopo essersi morso le labbra dall’interno, gli
scattò una foto. Infine, deglutì, perché tra le tante cose belle che c’erano da
guardare a quasi novantotto metri d’altezza, la più bella era proprio il suo
compagno di viaggio.
- Vittorio… -