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Autore: Trainzfan    26/11/2018    1 recensioni
7000 d.c. - L’umanità è divisa in due ceti: aristocrazia/clero e popolo. Tutta l’economia della Terra è basata sull’energia fornita dal Goddafin, sorta di raggi di immensa potenza che discendono dal cielo finendo dentro a cupole blindate, gestiti e distribuiti dall’aristocrazia/clero che, grazie a questo, può tenere in suo potere tutto il resto dell’umanità: il popolo. Esso dipende dal clero sia per l’energia necessaria per calore e illuminazione sia per attrezzature metalliche necessarie alla coltivazione o piccole operazioni quotidiane. Per evitare una ribellione la classe dirigente mantiene il popolo nell’analfabetismo e soggezione mediante una religione che insegna quanto il popolo sia costituito dai superstiti risparmiati da Dio, durante lo scatenarsi della sua ira in un lontanissimo passato mentre l’aristocrazia rappresenta l’eredità del popolo eletto assurto a guardiano dell’energia donata da Dio agli uomini mediante i raggi del Goddafin che da millenni alimenta la Terra.
Chi-Dan, giovane archeologo dell’aristocrazia della Celeste Sede (sorta di Vaticano della religione del Goddafin), viene incaricato dallo zio, Sommo Tecnocrate, di indagare su di un misterioso ritrovamento che aprirà letteralmente un mondo nuovo sconvolgendo e cancellando drasticamente tutto quanto è stato ritenuto sacro e reale
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di tutto vorrei scusarmi con tutti quelli che hanno letto o stanno leggendo questo mio racconto. È stato un periodo abbastanza difficile e, per quanto ci provassi, non riuscivo a mettere giù uno straccio di una riga. Ora, pur non essendo ancora del tutto a posto, va meglio per cui, ecco, finalmente, il sesto capitolo. Non sono in grado di garantirvi una perfetta regolarità nei tempi di pubblicazione ma cercherò di non fare mai più passare tutto 'sto tempo. Promesso ;)

Roberto (aka Trainzfan)


Capitolo 6 - Cerca...

Un lieve ma persistente ronzio si concretizzò nel buio della stanza. Chi, ad occhi ancora chiusi, allungò il braccio verso il comodino posto a lato del confortevole letto in cui si trovava e, passando la mano sopra ad un sensore incorporato nel mobile stesso, azionò l'apposito meccanismo che azzittì l'allarme. Si stiracchiò poi, con decisione, si levò a sedere allontanando da sé le coltri che lo ricoprivano. Pose i piedi a terra, girandosi, e si alzò. Aveva impostato la sveglia in modo da avere un margine di tempo sufficiente a fare ogni cosa con calma. Decise, innanzi tutto, di farsi una doccia calda in quanto non aveva idea di quando avrebbe potuto nuovamente godere di un simile privilegio laggiù, nel deserto di Unlen. Espletate, poi, tutte le proprie incombenze private mattutine ed in considerazione del clima mite del momento, decise di indossare anche per il viaggio la sua comoda tenuta da campo costituita da un ampio paio di pantaloni di cotone leggeri, una camicia a maniche corte ed una giacca, anch'essa in cotone e piena di comode tasche, coordinata con i pantaloni. A tutto questo aggiunse un paio di confortevoli scarponcini idrorepellenti e calzettoni traspiranti. Afferrò il grosso zaino in cui stavano tutti i suoi effetti personali e uscì dalla stanza che lo aveva ospitato per la notte recandosi, non senza qualche esitazione, verso l'area comune della cupola di Geneve dove si erano dati appuntamento la sera prima con l'opertec che li aveva scortati ai loro rispettivi alloggi.

Quando raggiunse il posto Mae, Roen e Piccolo Fiore erano già lì. Appena il tempo di salutarsi e videro arrivare anche Foye-Xan. Si recarono assieme presso uno dei locali che a quell'ora erano aperti per fare colazione. Approfittarono del tempo a loro disposizione per scambiarsi le impressioni relative al loro arrivo alla cupola il giorno precedente.

"A me quel De Lacroix non mi convince molto" esordì Mae-Yong rivolta al gruppo "Non so perché ma è una sensazione che mi sento dentro"
"Già" aggiunse Roen "anche a me ha dato una strana sensazione"
"Pure quello che ci ha accompagnati non è che fosse il principe della simpatia, eh?" intervenne Foye.
Il resto della squadra annuì di rimando e Chi-Dan non poté fare a meno di concordare con gli altri.

"Vista la delicatezza della missione e finché non avremo capito bene come stanno le cose" intervenne nella discussione il giovane archeologo "consiglio a tutti di evitare di parlare o anche solo accennare alla nostra missione in presenza di estranei"
Mae dichiarò immediatamente la sua adesione all'idea e gli altri ragazzi seguirono subito dopo confermandola.
"Probabilmente sono io che sono un poco paranoico" pensò Chi fra sé "ma come si dice: meglio prevenire che curare".

Non appena finito di fare colazione, come da accordi, si recarono con tutta la loro attrezzatura all'atrio di accesso dei turbo elevatori dove trovarono ad aspettarli il medesimo opertec che li aveva accompagnati la sera prima.
A differenza del giorno precedente, questi li accolse salutandoli cordialmente nella lingua internazionale comunemente usata nei rapporti intracupole. Con una card personale attivò uno dei turbo elevatori e, immediatamente, si aprirono le porte della cabina. Si accomodarono tutti nel suo spazioso interno e l'opertec digitò un codice sulla tastierina numerica posta sulla parete. Subito i pannelli di ingresso si chiusero e l'elevatore scese velocissimo per qualche secondo prima di tornare fermarsi. Si aprirono le porte e si ritrovarono all'interno di un grandissimo hangar dove li aspettavano a breve distanza tre hovercraft da carico pronti a partire nonché i relativi opertec piloti. Poco discosto, si notava la piccola squadra formata dai quattro popolani adibiti ai lavori di bassa manovalanza che li avrebbero accompagnati nel viaggio.

Il loro accompagnatore si preoccupò di presentare loro i tre piloti opertec specificando quale di loro avrebbe condotto l'hovercraft su cui avrebbero viaggiato per i tratti su terra. Questi si rivelò essere l'opertec René Rochat e, almeno di primo acchito, diede a Chi-Dan e compagni l'impressione di essere una persona affabile e cordiale. Ad ogni modo nessuno della squadra fece una parola in più di quelle rese necessarie dalla situazione. Il gruppetto dei popolani non venne presentato ma Chi li sentì scambiare alcune parole fra loro in una strana lingua, per lui assolutamente incomprensibile, ma dotata di alcune componenti musicali per nulla spiacevoli all'udito.
Controllati gli hovercraft e imbarcati i passeggeri con i relativi bagagli, vennero accesi i motori dei tre veicoli i quali, lentamente, si avviarono verso le rampe di uscita scivolando a pochi centimetri da terra.
Sbucarono quasi subito in superficie presso uno dei massicci varchi di uscita aperto nel colossale muro che circondava la cupola di Geneve e lo oltrepassarono.


La differenza di paesaggio rispetto a quello abituale fuori dalla Celeste Sede colpì l'attenzione dei giovani archeologhi. La cupola di Geneve si trovava su di una collina verdeggiante affiancata, a nord e a ovest, da altre basse alture. A est, invece, si vedeva, a non molta distanza, la vasta superficie liquida di un grande lago. Questo, colpito in pieno dai raggi del sole, rifletteva la luce chiara del mattino come uno specchio bronzeo quasi accecando per l'intensità. Verso sud-est, infine, si intravvedevano, in distanza, altissime montagne sulla cui sommità luccicava il candore delle nevi eterne che le ricoprivano.

La colonna di hovercraft prese a scendere la collina dal versante nord che, delicatamente, declinava verso una lussureggiante vallata e, ben presto, sia il lago che le montagne lontane scomparvero dalla vista. Chi-Dan e la sua squadra erano sopraffatti dallo stupore; mai avevano visto un paesaggio così rigoglioso. Nemmeno nella zona ricoperta di foreste che circondava il Grande Fiume presso cui stavano effettuando gli scavi quando questa avventura era iniziata. Quanto tempo era passato da allora, si domandò Chi-Dan meravigliato. Non erano passati che due o tre giorni eppure quel tempo sembrava essere remoto quanto la luna e le stelle del cielo.

Qualche minuto dopo la vallata che stavano percorrendo si intrecciò con un'altra, più ampia, sul cui fondo scorreva un grande fiume azzurro/verde. Le sue acque davano una sensazione di limpidezza e di freschezza che i fiumi a cui i ragazzi erano abituati non possedevano; da loro i corsi d'acqua avevano quel caratteristico colore giallognolo dovuto al fondale limaccioso tipico di Cinlen. Come degli scolaretti in gita, i cinque giovani stavano con i visi incollati alla cupola trasparente del loro hovercraft contemplando e riempiendosi gli occhi con i colori ed il paesaggio che scorreva attorno e sotto di loro. La colonna di hovercraft, entrando nella vallata del fiume, prese a seguirla puntando decisamente verso sud.

Dopo neppure una quindicina di chilometri un'altra sorpresa li aspettava: in un'apertura delle basse colline che fiancheggiavano la vallata, a sinistra, comparve un altro grandissimo lago, largo un paio di chilometri e tanto lungo che essi non erano in grado di vederne la fine. Questa volta erano molto più vicini e poterono notare il grande numero di piccoli villaggi che lo fiancheggiavano. Le sue acque, inoltre, erano punteggiate da innumerevoli minuscole imbarcazioni da cui uomini del popolo gettavano grandi reti allo scopo di pescare i pesci che vi abitavano. Anche in Cinlen, sul Grande Fiume, alle volte capitava di vedere qualche popolano che pescava ma era abbastanza una rarità e, soprattutto, il pesce che abitava il Grande Fiume non era uno dei cibi più squisiti che si conoscessero: una volta Chi ne aveva assaggiato un pezzo e questo aveva decisamente il sapore della terra che costituiva il suo fondale.
Lo stupore più grande, comunque, restava quello di realizzare che vi era un posto su questo mondo, dove l'acqua abbondava così tanto da poterla considerare, in pratica, una risorsa inesauribile. Ora riusciva anche a comprendere come mai, quando erano loro stati indicati i quattro popolani che li avrebbero accompagnati, pur essendo a brevissima distanza da loro non solo si era accorto che non emanavano cattivi odori ma, addirittura, quasi profumavano. Qui l'acqua non era certo un bene prezioso e raro come da loro.

Oltrepassarono a grande velocità un'ampia ansa circondata da pareti boscose e proseguirono lungo il fiume per altri 10 minuti poi, con una svolta repentina, il questo piegò verso Ovest-Nord-Ovest mentre gli hovercraft continuarono in linea retta verso Sud lungo un'ampissima vallata costellata di campi coltivati.

Sorvolarono per un'ora questo patchwork naturale finché, da Nord-Est, incrociarono un nuovo fiume che seguirono deviando leggermente verso Sud-Est

Dopo circa un'ora il corso d'acqua che stavano seguendo sfociò in un altro molto più ampio che divenne la loro nuova guida. Poco tempo dopo l'opertec René Rochat annunciò loro che stavano per arrivare alla base-porto. Consigliò loro di guardare verso Sud dove avrebbero potuto vederla, sullo sfondo del mare. Quando lo fecero nulla avrebbe potuto prepararli a quello che videro: una vastità di acqua tale che la loro mente faticava ad accettare si estendeva fino a dove i loro occhi potevano arrivare verso Est, Sud e Ovest. Proprio davanti a questa vastità liquida un grande edificio circondato da alte mura di cemento diveniva, ogni istante, sensibilmente più grande. Evidentemente era quella costruzione quello che il loro pilota aveva chiamato "base-porto".

Ci fu uno scambio di frasi convenzionali via radio fra l'opertec che pilotava il loro hovercraft e qualcuno all'interno della struttura verso cui erano diretti poi un massiccio portale, sul quale capeggiavano i caratteri "05" dipinti in color rosso, si aprì permettendo alla colonna di passare. A differenza della struttura delle cupole qui non vi erano diversi accessi sotterranei per i garage sovrastati dalla struttura vera e propria. Davanti a loro si parò un enorme portale metallico incorniciato da una fascia a strisce di color nero e giallo oblique. Senza esitazione la colonna di hovercraft puntò verso di esso e lo oltrepassò.

Qui li aspettava la sorpresa finale: il più grande veicolo che nessuno di loro avesse mai visto in tutta la propria vita. La sua impressionante lunghezza era di una sessantina di metri ed era largo un ventina. Si vedevano chiaramente due livelli: il primo, collegato a terra tramite una grande rampa metallica, era costituito da un vasto hangar ed era proprio verso di questo che si stavano decisamente dirigendo.
Il secondo, al di sopra del garage, era dotato di due ponti affacciati su quelle che si intuivano come le fiancate esterne del veicolo mentre un terzo ponte, dalla posizione centrale, connetteva il piano, posteriormente, con una sorta di balconata affacciata sull'ingresso esterno dell'hangar e sfociava anteriormente nella sala comune sovrastata, a sua volta, dal ponte di comando.
A coprire i due precedenti livelli vi era un enorme ponte scoperto grande quanto l'intero hovercraft sovrastato, a sua volta, da due enormi maniche di aspirazione che convogliavano l'aria raccolta alle potentissime turbine, poste sotto l'hangar, le quali provvedevano al sollevamento del veicolo. Il moto orizzontale veniva garantito da tre enormi ventole del diametro di sette metri situate posteriormente e tutte dotate di altrettanto grandi alette metalliche quali timoni direzionali.

All'interno dell'hangar l'opertec cercò, e trovò, la piazzola di sosta che gli era stata assegnata, spense i motori e sbloccò la cupola di materiale plastico e trasparente.
Non appena questa si aprì, Chi-Dan e gli altri ragazzi della squadra vennero colpiti da un intenso profumo di salsedine mischiato con aromi di cui ignoravano la provenienza che li stordì letteralmente.
Barcollando lievemente, ancora soggetti a quella inebriante particolare sensazione, Chi-Dan e gli altri sbarcarono dal veicolo e seguirono René Rochat lungo un corridoio, su per una ripida scaletta metallica, fino alla zona passeggeri.


Una volta giunti al piano superiore Chi-Dan e la sua squadra incontrarono un giovane genop dal manto bruno bordato di nero che li accolse con deferenza e li pregò di seguirlo in modo che potesse accompagnarli alle rispettive cabine.

"Prego, accomodatevi!" Li esortò il giovane prelato che, anticipando le ovvie richieste, aggiunse "I vostri bagagli vi verranno portati a breve direttamente in cabina dal personale di bordo."

Non appena giunto nella propria Chi-Dan si guardò attorno: al centro della parete, di fronte alla porta di accesso, vi era un letto ad una piazza e mezza dall'aria decisamente confortevole; sul lato sinistro un mobiletto metallico che fungeva da comodino mentre a fianco della porta di ingresso vi erano le ante di un armadio a muro, anch'esso metallico. La parete di destra era dominata da un grande oblò attraverso il quale si poteva vedere buona parte dell'enorme rimessa in cui era sistemato il mezzo su cui si trovavano. Per ultimo, sul lato destro del letto, notò una porta; si avvicinò e la aprì. Automaticamente si accese una luce sul soffitto e poté notare che si trattava di una minuscola stanza da bagno dotata, però, di tutto quello che poteva necessitare.

Qualche istante dopo sentì bussare alla porta di ingresso, aprì ed entrarono un paio di giovani genop che recavano i suoi bagagli. Li fece appoggiare sul letto e li congedò. Sistemate le sue cose nel capiente armadio a muro decise di rilassarsi qualche istante in attesa della partenza.
Dopo qualche minuto avvertì distintamente una sorda vibrazione nelle pareti e nel pavimento metallico e, contemporaneamente, il lontano rumore dei motori dell'hovercraft che si alzava di giri. Un piccolo sobbalzo ed il grande veicolo si sollevò dalla superficie di cemento su cui si trovava. Lentamente compì un giro su se stesso di novanta gradi in senso antiorario ed iniziò a muoversi verso il vasto portale di uscita che dava sul mare.
Non appena fuoriuscito dalla base il mezzo anfibio aumentò gradualmente la propria velocità e, anche grazie ad un mare molto calmo, dopo soli pochi minuti già filava a più di cento chilometri orari sopra la superficie liquida appena increspata da lievissime onde.

Chi-Dan, che aveva osservato le fasi della partenza attraverso il grande oblò della sua cabina, non stava più nella pelle dalla curiosità di vedere meglio l'enorme distesa del mare che, per lui, restava comunque qualcosa di incredibile.
Uscito dalla sua cabina percorse il ponte centrale verso la parte anteriore del veicolo. Avanti una ventina di metri di trovò di fronte ad una porta di legno scorrevole su cui era scritto in lingua internazionale "Sala Comune". Spinse l'anta ed entrò nel locale.
Questo risultò essere un ambiente piuttosto ampio infatti occupava, in larghezza, l'intero secondo livello dell'hovercraft mentre di lunghezza calcolò potesse essere di circa una decina di metri. Al suo interno erano allineati e imbullonati a terra sei tavoli ognuno affiancato da due lunghe panche su cui potevano comodamente stare otto persone.

Attraversò il locale in direzione della porta metallica che si trovava all'estremità sinistra. Apertala si ritrovò sul ponte di babordo dell'anfibio. Come aveva notato quando erano arrivati nell'edificio del porto, i due ponti laterali del secondo livello erano aperti sulle due fiancate e Chi si avvicinò con cautela alla ringhiera di protezione che delimitava la zona calpestabile.
Immediatamente il vento lo colpì con violenza; a causa della velocità, infatti, questo era fortissimo e la superficie del pavimento metallico, rorida di acqua salmastra, non favoriva certo una presa salda dei piedi specialmente per uno come lui ben poco avvezzo alla vita di mare.

Con il viso sferzato dalle raffiche il giovane archeologo decise di provare a salire sul ponte superiore, quello che stava alle spalle della cabina di comando dell'hovercraft.
Grazie proprio al riparo offerto da questa ed al fatto che il ponte, pur scoperto, era circondato da solidi pannelli metallici verticali di protezione, Chi-Dan poté approfittare di quella momentanea calma degli elementi per godersi la magnifica giornata di sole. La cosa che più lo colpì fu il profumo dell'aria: questa fragranza ricca di salsedine lo inebriava fino nel più profondo. Mai Chi era stato vicino ad un mare e, pur avendone letto e sentito, non si sarebbe aspettato un simile assalto ai sensi.

Si stava beando del momento, inalando profondamente, a occhi socchiusi, quell'aria ricca di iodio quando avvertì distintamente una presenza alle sue spalle.
Si voltò e si trovò di fronte un personaggio, dai capelli biondo cenere, avvolto nel manto nero degli Opertec.

"Buongiorno" esordì il giovane prelato con uno strano accento dovuto alla sua provenienza eurlen "Vedo che ha già scoperto il nostro piccolo angolo di paradiso su questo veicolo."

"Già" interloquì Chi "è decisamente bello qui"

"Mi permetta di presentarmi" disse l'opertec "Mi chiamo Patrick Levoisier e sono il primo ufficiale della Madame de la Mer"

"Oh, piacere di conoscerla" replicò il giovane archeologo "Io sono Chi-Dan. Studioso della cupola della Celeste Sede"

"Interessante" disse Levoisier "È mai stato da queste parti?"

"No, mai" confessò Chi "e, per dirla tutta, non sono mai stato nemmeno su alcun altro mare"

"Non posso crederci!" si stupì il primo ufficiale "Davvero lei non ha mai visto in vita sua il mare?"

"Già" rispose laconicamente l'archeologo "Se cerca su di una mappa la Celeste Sede si accorgerà, subito, che attorno non c'è una goccia d'acqua per decine e decine di miglia; figuriamoci qualcosa come un mare"

"È vero" convenne Levoisier "eppure sembra sempre impossibile che esista un posto dove l'acqua non sia più che abbondante come qui. È stato comunque un piacere parlare con lei, dottor Dan. Ora, purtroppo, devo tornare ai miei doveri di primo ufficiale. La vedrò questa sera a cena?"

"Oh, certamente" replicò Chi

"Allors, au revoir" si congedò il prelato e si allontanò verso il ponte di comando da cui era poco prima venuto.

Un borbottio originato dal suo stomaco gli ricordò che, oramai, doveva essere ora di pranzo e dato che l'aria frizzante del mare lo aveva stimolato, ora avvertiva un discreto appetito. Scese sotto coperta tornando nella sala comune dove trovò gli altri componenti della sua squadra già seduti attorno ad uno dei tavoli.

Dopo aver pranzato il giovane archeologo decise di ritirarsi un poco nella propria cabina. Fece, come era sua abitudine, un piccolo controllo delle attrezzature personali da lavoro e, constato che tutto era perfettamente a posto, si tolse gli stivaletti che aveva ai piedi con l'intenzione di sdraiarsi un po' sul comodo letto. Decise, anche, di approfittare del momento per iniziare a pianificare mentalmente il lavoro che li attendeva una volta che fossero giunti a destino.

Verso la fine del pomeriggio, mentre si trovava nuovamente sul ponte superiore, Chi vide spuntare dal mare in lontananza una terra. Approfittando della presenza sul posto di un opertec che stava controllando alcuni strumenti si avvicinò a questi per ottenere qualche informazione.

"Perdonatemi" esordì "Quella terra che si vede laggiù è un'isola o terraferma?"
L'opertec interpellato guardò nella direzione indicata da Chi e replicò "Si tratta di un'isola di nome Sadin. Ha dimensioni molto grandi, quasi da sembrare terraferma, e al suo interno è particolarmente impervia"

Non potendo capire, a quella distanza, se fosse abitata o meno il giovane archeologo si rivolse al suo interlocutore "Ma ha degli abitanti o è deserta? Vista da qui sembra completamente disabitata"

"Per essere abitata, è abitata" disse il prelato "ma non si hanno molte notizie precise in merito"
Visto lo stupore di Chi il giovane continuò "Si sa che è abitata da tribù nomadi ma queste sono talmente refrattarie ai contatti con l'esterno che si presume vivano in uno stato semi selvaggio."
"È mai stato tentato un approccio da parte della vostra cupola?" incalzò Chi
"Oh, sì" rispose il suo interlocutore "Diverse volte, molto tempo addietro, si è tentato un approccio civilizzatore ma, di tutti gli opertec che vi si sono recati, nessuno è mai più tornato indietro per cui, dopo poco, la cupola ha deciso di lasciar perdere."
"Uhm, interessante" commentò Chi "La ringrazio molto"
"Si immagini, dottore" concluse l'opertec "Lei è il benvenuto".

Detto questo l'opertec se ne andò per tornare alle sue misurazioni mentre la terra davanti a cui erano passati si allontanava inesorabilmente alle loro spalle. Chi-Dan restò nuovamente solo ad ammirare lo spettacolo incredibile del sole che, lentamente, stava tramontando verso ovest scomparendo nell'immensa distesa liquida fra sfumature di colore che andavano dal giallo al rosa fino a sciogliersi in un regale rosso porpora.

Cenarono assieme all'ufficiale Patrick Levoisier che si rivelò molto propenso a colmare tutte le curiosità dei giovani archeologi relativamente alla sua amata Madame de la Mer. Terminato il pasto gli inviati della Celeste Sede decisero che fosse meglio andare a dormire presto visto che il giorno seguente sarebbero finalmente giunti sulle coste di Unlen e lì il riposo sarebbe stato sicuramente più scarso.

Le prime ore di navigazione notturna permisero all'hovercraft di viaggiare ancora a pieno regime su rotta Sud-Sud-Est incrociando prima una piccola isola solitaria poi, verso mezzanotte, un piccolo arcipelago costituito da tre isole di cui la prima, lunga una quindicina di chilometri, scivolò via come un'ombra scura, la seconda, in pratica, era poco più di un grosso scoglio mentre l'ultima, più grande, era lunga e lievemente collinare. Il contorno dell'isola era costellato da piccole calette sabbiose sovrastate da alte bianche scogliere illuminate dalla luna e interrotte, qui e là, da numerose grotte marine. L'enorme hovercraft puntò deciso verso uno di queste per potersi rifornire di acqua fresca. Dopo un paio di ore ripartì proseguendo ancora per un po' sulla medesima rotta di prima virando, poi, in modo netto in direzione Est.

Chi-Dan si svegliò di soprassalto: un fortissimo scossone lo aveva fatto cadere dal letto e si trovava ora sdraiato e un po' dolorante sul pavimento metallico della sua cabina. Nonostante i continui e improvvisi sobbalzi del pavimento il giovane archeologo riuscì a rimettersi in piedi e ad uscire dalla cabina. Si recò barcollando verso la sala comune per capire cosa stesse succedendo. Aperta la porta si trovò di fronte una spaventatissima Mae-Yong che gli chiese che cosa stesse accadendo. Prima ancora di poterle rispondere la porta da cui era entrato si aprì nuovamente e comparve il resto della sua squadra.
Non arrivando nessun altro, Chi pensò che, forse, avrebbe potuto salire alla cabina di comando per chiedere lumi su cosa stesse accadendo.

Uscì dalla sala comune attraverso la medesima porta da cui era passato il giorno precedente. Non appena fuori si accorse che il vento era molto più forte e gli spruzzi del mare così potenti che, immediatamente, si ritrovò completamente zuppo. Con difficoltà riuscì a salire i gradini che conducevano al ponte di comando dove, tra gli altri, lo accolse il primo ufficiale Levoisier il quale lo informò che stavano per attraversare una forte tempesta inaspettata. Rassicuratolo che il mezzo su cui si trovavano poteva affrontare un mare con onde fino a dieci metri di altezza senza alcuno problema gli chiese, cortesemente, di tornare al ponte inferiore in quanto il momento era abbastanza impegnativo per l'equipaggio.

Pur non completamente convinto ma, comunque, conscio del fatto che fosse meglio lasciare il personale addetto alla manovra libero di agire senza un estraneo inesperto in mezzo ai piedi, Chi ritornò giù, nella sala comune, dove riferì agli altri la situazione.
Fortunatamente dopo un paio di ore la tempesta decise di dirigersi verso una direzione diversa dalla loro e, finalmente, il mare tornò in breve calmo come lo era stato in precedenza.

Quando l'alba si affacciò sulla liquida distesa incontrarono una vastissima isola caratterizzata da un lungo e alto crinale montuoso che, praticamente, la divideva in due. Anche questa, in breve tempo, sfilò alla loro sinistra.

Appena superata la grande isola l'hovercraft compì un'ultima variazione di rotta puntando ora in modo deciso verso Sud. Dopo alcune altre ulteriori ore di navigazione, finalmente la terra di Unlen comparve davanti a loro.
Avvicinandosi poterono osservare che la costa era perfettamente piatta a perdita d'occhio in entrambe le direzioni ma, al contrario di quanto si aspettava Chi, il tratto verso cui stavano navigando era abbastanza verdeggiante in quanto veniva irrorato dall'immenso delta di un grande fiume.

Poco dopo l'enorme hovercraft risalì la bassa riva e si fermò ad un centinaio di metri dal mare. Venne aperto il portellone di poppa che dava accesso all'hangar dei veicoli e, da questo, uscirono i tre hovercraft da trasporto con a bordo la squadra di Chi-Dan, le loro attrezzature e tutto quanto era partito con loro dalla cupole di Geneve per proseguire via terra l'ultimo tratto di viaggio.


Dopo una mezz'ora passata a seguire il corso del grande fiume presso cui erano approdati, Chi notò che uno degli hovercraft che trasportavano i popolani e le attrezzature si stava fermando e chiese a Rochat che cosa stesse succedendo. Questi lo informò che, a causa della distanza fra la piana delle piramidi e la Madame de la Mer che fungeva da ponte radio con la cupola di Geneve, era necessario posizionare alcuni ripetitori di segnale per poter comunicare.
Mentre, quindi, uno degli hovercraft si fermava in un ampio spiazzo a lato del grande fiume, gli altri due proseguirono la loro corsa e, presto, svoltata l'ennesima ansa verdeggiante il profilo inconfondibile delle tre piramidi comparve in distanza davanti a loro.


    Per comodità delle ricerche era stato deciso di sistemare il campo a poca distanza dalla piramide più grande in modo che il tragitto da compiere con gli eventuali reperti da analizzare non fosse eccessivo. Appena raggiunto il punto prestabilito Chi-Dan saltò a terra assieme alla sua squadra, tutti pronti ad allestire il campo come era loro abitudine. Quello che non era abituale, invece, era vedere i due popolani rimasti i quali, con competenza, stavano già iniziando a piantare i paletti delle diverse tende.

La preoccupazione principale di Chi era quella di evitare qualche danno accidentale alle delicate attrezzature di ricerca che si erano portati appresso fin dalla Celeste Sede ma, nonostante diverse difficoltà nel farsi comprendere dai popolani, il campo venne allestito per bene e senza che occorressero incidenti a persone o cose.

Il giovane archeologo indisse immediatamente una piccola riunione della sua squadra per decidere come sarebbe stato meglio procedere con la ricerca. Proprio mentre stavano nel pieno della discussione Rochat entrò con aria distratta nella tenda interrompendoli. L'opertec, con aria imbarazzata, porse le proprie scuse per l'intromissione involontaria dicendo di non essersi accorto del fatto che la tenda era occupata e, dopo aver dato un lungo sguardo attorno alle carte, disegni e strumenti sparsi sul tavolo, si ritirò, uscendo.
La discussione poté, finalmente, riprendere.

Qualche ora dopo, a cena avvenuta, Chi-Dan uscì, al buio, dalla sua tenda per godersi la vista della volta stellata. Era uno spettacolo assolutamente grandioso: le stelle erano così grandi e fitte che, di fatto, era letteralmente impossibile distinguerle una dall'altra. Abbassando un momento lo sguardo Chi scorge un'ombra scura che si muoveva furtivamente fra le tende. Quasi immediatamente questa sparì nel buio della notte lasciando il giovane archeologo nel dubbio di aver realmente visto qualcosa muoversi. Con questo pensiero Chi-Dan si attardò ancora un poco restando, comunque, nel cono d'ombra formato dalla sommità della sua tenda e, dopo circa un quarto d'ora, vide nuovamente la medesima ombra furtiva ritornare. Questa volta, però, la figura misteriosa passò vicino ad un piccolo punto illuminato dal fuoco acceso al centro del campo ed il giovane scienziato poté notare che indossava un mantello nero: quello tipico degli opertec.


La mattina successiva Chi-Dan si trovò davanti al dilemma di dove iniziare le ricerche. Non c'erano indizi di nessun tipo a guidarlo; l'unica cosa che poteva aiutarlo a quel punto era l'istinto.
Alla riunione mattutina nella tenda-laboratorio il giovane archeologo propose l'idea di iniziare la ricerca proprio dal punto approssimativo in cui l'oggetto risultava essere stato ritrovato: vicino all'ingresso della grande piramide.

La squadra si organizzò per un'esplorazione minuziosa di tutta l'area che circondava l'imponente costruzione a partire, appunto, proprio dal suo ingresso. Dopo ore passate a setacciare la zona si ritrovarono al punto da cui erano partiti senza che si fosse ottenuto il benché minimo risultato.

Accertato che all'esterno della grande piramide non ci fosse nulla che potesse interessarli decisero di comune accordo che, forse, all'interno qualcosa avrebbe potuto far luce su quanto stavano cercando. Dato che durante la riunione del mattino prima di iniziare le ricerche Chi-Dan aveva reso edotti i suoi compagni di quanto aveva visto la sera precedente decisero, prima di entrare, di essere certi che Rochat non fosse da nessuna parte lì attorno. Tanto per stare sul sicuro, utilizzarono alcuni stracci trascinati dietro di loro per cancellare le loro impronte in modo da non tradire la loro presenza all'interno della piramide.

Una volta volta entrati si ritrovarono a percorrere un corridoio che puntava decisamente verso il basso con un inclinazione che Mae-Yong calcolò di 26 gradi. Il corridoio era completamente in pietra, posata in blocchi squadrati del peso di diversi quintali ed era tanto basso e stretto tanto che dovettero inoltrarsi stando accovacciati.

La loro visibilità era, ovviamente, limitata al raggio coperto dalle rudimentali torce che si portavano appresso. Percorsi una decina di metri il corridoio presentava una diramazione, più o meno della medesima inclinazione, la quale si protraeva dal soffitto di quello che stavano percorrendo proseguendo verso l'alto.

Per ottimizzare la loro ricerca concordarono che, mentre Chi-Dan avrebbe continuato la discesa lungo il corridoio originale, gli altri si sarebbero avventurati lungo quello ascendente decidendo, inoltre, che si sarebbero incontrati entro un paio di ore alla diramazione dove si trovavano in quel momento per comunicare gli eventuali ritrovamenti e stabilire come proseguire le loro ricerche lontano da orecchie indiscrete.

Una volta divisi, parte accovacciato e parte a carponi, Chi percorse il resto del corridoio discendente che si rivelò lungo poco più di una settantina di metri. Quando si rese conto della distanza percorsa restò sorpreso: a lui quel percorso era sembrato lungo interi chilometri! D'improvviso il passaggio era divenuto orizzontale e, fatti ancora una decina di metri, le pareti si allontanarono ed il soffitto divenne abbastanza alto da potersi mettere in piedi. Il giovane archeologo si guardò attorno e notò, non senza sorpresa, che, a differenza delle parti più esterne dell'imponente costruzione, qui tutto era stato lasciato ad uno stato più grezzo; quasi che i misteriosi costruttori avessero avuto fretta di concludere la loro opera.

Proseguì rasentando la parete di destra fino alla fine di quella che si era rivelata come una stanza. Dalla parte opposta al corridoio da cui era arrivato sembrava iniziare un ulteriore passaggio. D'improvviso, dall'apertura buia che si apriva di fronte a lui, udì provenire un rumore in rapido avvicinamento. Si voltò verso la direzione da cui proveniva il suono e, per un istante, vide una velocissima sagome vicino al pavimento che correva puntando decisamente verso di lui. Chi-Dan sobbalzò e, per la sorpresa, gli sfuggì di mano la torcia accesa con cui stava esaminando l'ambiente. Un'istante prima che questa raggiungesse il pavimento di pietra, nel piccolo cono della sua luce, il giovane archeologo riuscì a scorgere un animaletto della dimensione di un grosso topo il quale, veloce come un fulmine, gli passò accanto e si dileguò attraverso il passaggio da cui lui era appena giunto.
Un istante dopo il buio più fitto lo avvolse. La torcia, cadendo, si era frantumata in una miriadi di piccole scintille incandescenti che, subito, si erano spente irrimediabilmente.

Per qualche istante Chi-Dan non riuscì a distinguere più nulla ed il terrore cominciò a salire in lui; come poteva fare ad uscire da lì se nemmeno riusciva a capire in che direzione era voltato. Poco dopo, però, i suoi occhi cominciarono ad abituarsi all'oscurità e, nel buio fitto, si accorse di una lievissima luminosità azzurrina che non sembrava provenire da alcun luogo specifico. Abbassò lo sguardo un attimo e si rese conto che questa luminescenza fuoriusciva proprio dalla tasca superiore sinistra della sua giacca da campo.
La aprì e, con la mano destra, ne estrasse il contenuto: il disco metallico che Saru-Dan III gli aveva consegnato. Questo, al pari di quando lo aveva visto la prima volta nell'ufficio dello zio, era attivo e, a quanto pareva, stava rilevando una qualche fonte di energia compatibile.

Come era possibile? Si domandò. Non poteva certo esservi energia del tipo rilevabile dal disco in un manufatto di pietra risalente a millenni prima degli stessi antichi! Il mistero si stava davvero infittendo.

Tenendolo in mano, alto, davanti a sé, Chi-Dan provò ad avanzare un poco nella stanza verso il passaggio da cui era uscito poco prima il roditore che lo aveva spaventato. Con interesse si accorse che la luminescenza del disco diveniva più intensa. Si inoltrò lungo il corridoio al di là della stanza sotterranea che si rivelò proseguire per pochi metri prima di terminare con un muro dall'aria molto solida.
Vide distintamente che, dalle fessure che contornavano una delle pietre della parete terminale del corridoio, fuoriusciva la medesima luce emessa dal disco che aveva in mano. Con cautela sfiorò la roccia contornata dalle lame di luce e questa, con uno scatto metallico, improvvisamente rientrò nella parete stessa per un paio di centimetri sfilando, poi, verso l'alto e rivelando una cavità profonda una decina di centimetri fortemente illuminata sul cui fondo di forma circolare, si trovava un incavo irregolare.

Lo esaminò brevemente e si rese conto che il fondo di questo era la copia esatta, al negativo, del disegno in rilievo del disco che aveva in mano; esso raffigurava inconfondibilmente il sacro simbolo del Goddafin!
 
   
 
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