Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    27/11/2018    2 recensioni
Questa storiella racconta di come un evento, naturale e normalissimo nella storia del mondo e dell'umanità, possa sconvolgere la vita di una coppia. Una qualsiasi.
Avrei potuto usare chiunque, di qualunque anime, di qualunque libro o film famosi... ma ho deciso di far vivere questa esperienza a qualcuno a cui sono affezionata, ripescando dai miei ricordi, (e non solo) di questo evento, avvenuto ormai parecchi anni fa...
Potremmo dire che è uno spin-off della mia long, "Il Drago e il Leone", alla quale contiene riferimenti.
Idealmente, va a posizionarsi tra l'ultimo capitolo e l'epilogo di quest'ultima. Ma penso che non sia strettamente necessario averla letta, per seguire questa trama. Va beh, fate voi... ;)
E i protagonisti sono Sakon Gen e Jamilah Nyong'o, l'altra OC che ho creato per la long.
Strano, eh? (Praticamente l'ho scritta solo per te, Morghana! Bacioni!!!! :******)
[Storia in fase di revisione]
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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Ahem… mi sa che questo capitolo passa il rating da giallo ad arancio 😜
 
*3*
SE CONOSCO UN PO’ NOSTRO FIGLIO…
 


 
Un mese dopo
 
Briz si coccolava con dolcezza il piccolo Martin, cullandolo appena e canticchiando una ninna nanna in italiano; Jami le aveva affidato il bimbo, dopo averlo allattato, per poi concedersi una bella doccia rilassante. Quando Fabrizia vide l’amica uscire dal bagno, con i riccioli ancora umidi e profumati di shampoo, le porse il piccino, ormai quasi addormentato, ma Jamilah le fece l’occhiolino.
− Tienilo tu ancora un po’ – disse, sapendo quanto a Briz piacesse sentire il dolce peso del piccolo tra le braccia − Ha fatto il ruttino? – si informò poi, già conoscendo la risposta.
− Credo l’abbiano sentito fino ad Osaka… − ridacchiò Briz.
− Bravo bambino – commentò orgogliosa la mammina.
− Sai cosa direbbe Yamatake, se fosse qui? “Ecco, se lo fa lui è bravo! Se lo facessi io mi dareste tutti del porco!”
Le due amiche risero sommessamente, pensando alla battuta del corpulento amico, risalente ad un paio di settimane prima.
Jamilah guardò il figlioletto che, come diceva Briz con uno dei suoi strani modi di dire italiani, dava le mezze luci, ovvero stentava a tenere aperti gli occhioni azzurri; non era mai stanca di rimirarselo, ma lo stesso valeva per la sua amica, che non perdeva occasione per farle compagnia nei momenti in cui lei si trovava sola. 
Quel periodo in particolare era piuttosto inusuale, poiché il Drago Spaziale era via da sei giorni: un eminente scienziato americano, collega e amico di Doc, aveva richiesto la sua presenza e quella di Sakon per sottoporre loro alcuni studi ed avere i loro pareri, circa la scoperta di alcune tecnologie ritenute assolutamente innovative, dalle quali il Drago Spaziale avrebbe potuto trarre notevoli vantaggi. Così l’astronave era partita per gli States, ma con l’equipaggio ridotto all’osso: erano andati solo i componenti ritenuti indispensabili, ovvero Sakon, il dottor Daimonji e Pete; sarebbero dovuti stare via non più di tre giorni, ma poi i tempi si erano allungati. 
Per Jamilah e Fabrizia, separarsi dai rispettivi compagni era sembrato molto strano. Sakon e Jami non si erano mai divisi, fin da quando erano arrivati ad Omaezaki qualche anno addietro − prima ancora che la guerra cominciasse e fossero ancora ben lontani dall’essere una coppia − e la cosa, ora, le pareva assolutamente inconcepibile: le sembrava quasi che le mancasse un pezzo di sé stessa. Oltretutto la cosa aveva coinciso, a distanza di poco, anche con la partenza dei suoi genitori e della madre di Sakon, che erano arrivati da Auckland circa una settimana dopo la nascita di Martin e si erano fermati in Giappone per una quindicina di giorni. 
Per non parlare di Briz che, l’unica volta in cui si era separata da Pete, quasi un anno prima, erano ancora in guerra; allora l’equipaggio si era praticamente spezzato in due: Pete era andato, insieme a Daimonji, Jami e Sakon, in missione su Marte col Drago Spaziale, mentre Fabrizia, con il suo leone robot Balthazar, era stata tra quelli rimasti a difendere la Terra.
Nemmeno loro due stavano ancora insieme, a quell’epoca, ma la ragazza lo aveva trovato devastante, non tanto perché tutto ciò avesse coinciso,  subito dopo, con l’ultima battaglia e la fine del conflitto contro Darius, quanto perché aveva temuto che Pete e i compagni ci avessero lasciato le penne, sul Pianeta Rosso. Senza contare che persino lei aveva rischiato grosso, ed era andata molto vicina a passare a miglior vita, nel cruento scontro che aveva segnato la vittoria definitiva contro gli Zelani dell’Orrore Nero.   
Ora non erano più in guerra, ma quei due o tre giorni preventivati di separazione dai loro uomini erano diventati più del doppio, e anche Briz aveva trovato la situazione parecchio pesante.
L’attesa fino alla sera successiva, data prevista per il rientro del Drago, le sembrava infinita: Pete le mancava, anche se si sentivano tutte le sere e, a volte, anche a metà giornata; così aveva colto al volo ogni occasione per stare con Jamilah e darle una mano come baby-sitter per distrarsi un po’.
Le due ragazze uscirono sul terrazzino del monolocale che Jami, dalla fine del conflitto, condivideva con Sakon; la serata di maggio era tersa, pulita e profumata di primavera: le due amiche si godettero un tramonto dai mille colori sull’oceano, con il sole che sembrava una palla rovente sull’orizzonte. 
− Oddio, Jami! – esordì Briz all’improvviso – Guarda là! 
Jami obbedì, seguendo la direzione del dito di Briz: sul disco di fuoco del sole era apparsa una macchia, che diventava di secondo in secondo più grande, fino ad assumere una gigantesca e tozza forma, più che familiare. 
− Il Drago! Sono loro, Briz! Sono tornati prima! 
Le due amiche rimasero ad osservare felici la mastodontica sagoma dell’astronave che era ormai per loro una seconda casa, finché non la videro tuffarsi nell’oceano e scomparire alla vista, diretta alla caverna sotterranea posta sotto al Faro di Omaezaki. Entrambe non erano riuscite a trattenere l’entusiasmo e Martin, ancora in braccio a Fabrizia, aveva dato un lieve sobbalzo e spalancato gli occhi, tornando in modalità fari abbaglianti. 
− Briz, vattene, dai! Che hai, paura di lasciarmi sola? Dammi Martin, aspetteremo qui Sakon; tanto so già che, tempo un quarto d'ora, me lo vedrò arrivare. Va’ incontro a Pete, non vedrà l’ora di abbracciarti! Andiamo, si vede lontano un miglio che non vedi l’ora di saltargli addosso!
Briz arrossì violentemente, visto che l’amica aveva vergognosamente sgamato i suoi pensieri, non proprio da educanda, che l’avevano assalita non appena aveva riconosciuto il Drago Spaziale che si avvicinava.
Era vero, porca paletta, non vedeva l’ora di correre incontro al suo fidanzato, di stringerlo fra le braccia e baciarlo fino a farsi girare la testa per mancanza d’ossigeno. Per non parlare dei programmi che avevano magicamente preso forma nella sua mente, circa la notte che stava lentamente incedendo… Sì stupì da sola del temperamento focoso che quel bellissimo e problematico ragazzo, che era riuscita inconsapevolmente a conquistare, aveva fatto affiorare in lei, insieme alla certezza che, se di tanti uomini non ci si poteva fidare, di lui avrebbe invece potuto farlo fino alla fine dei tempi.
Passò con cautela il bimbo alla sua mamma, diede un bacetto sulla gota a Jamilah e passò lievemente un dito sulla guancetta paffuta di Martin, che già ricominciava a scivolare nel regno di Morfeo, prima di precipitarsi alla caverna sotto al Faro.
In quel momento di felicità ed attesa, mentre il suo bimbo si riaddormentava, Jami rimpianse unicamente di non potersi godere il momento dell’assalto che, ne era certa, Fabrizia avrebbe riservato a Pete.
 
 
Sakon e il dottor Daimonji non riuscirono a trattenersi dal ridere, sinceramente divertiti dalla scena; ancor meno Yamatake, Bunta, Fan Lee, e pure Sanshiro con Midori, sopraggiunti a ruota dietro a Fabrizia per dare il bentornato agli amici.
Era stata questione di un attimo: il Maggiore Richardson era riuscito giusto giusto a mettere i piedi giù dalla rampa di imbarco del Drago, che Briz gli era letteralmente saltata in braccio, avvinghiandolo ai fianchi con le gambe e al collo con le braccia. Non gli aveva nemmeno lasciato proferire un: “Ciao, fanciullina”, che gli aveva sigillato le labbra con un bacio mozzafiato. 
Per un attimo Pete aveva temuto di perdere l’equilibrio e di cadere ingloriosamente col sedere sul pavimento metallico con lei addosso, ma si era ripreso immediatamente e aveva avvolto la sua focosa ragazza in un abbraccio, rispondendo a quel bacio appassionato.
E se stavano dando spettacolo… “Beh, chissenefrega!” pensò, con buona pace della sua proverbiale riservatezza: la sua ragazzaccia gli era mancata da impazzire, in quei sei giorni! Durante quell’ultimo anno, le ultime barriere di ghiaccio che si portava attorno al cuore da una vita erano state vinte, sciolte, espugnate in tutti i modi possibili e immaginabili. Se c’era una donna nella galassia con cui avrebbe voluto vivere, avere bambini e invecchiare, era Fabrizia Cuordileone, e aveva la smisurata fortuna di averla lì, tra le sue braccia, avviticchiata a lui come un tralcio di edera.
Quando riuscirono a mettere un po’ di distanza tra i loro volti, e Briz decise di mollare la presa e riappoggiare i piedi a terra, entrambi guardarono Sakon, che ancora se la rideva insieme agli altri.
− Cosa diavolo fai, tu, ancora qui? – esclamò Fabrizia scandalizzata.
− Va’ da tua moglie e tuo figlio, muoviti, disgraziato! – rincarò Pete.
– Vado, vado… è che non volevo perdermi lo spettacolo della vostra reunion, e tutto sommato ne è valsa la pena: continuate ad essere uno spettacolo meglio del cinema, voi due, anche ora che non litigate più come due gatti selvatici – ghignò, seguito poi dalle risate degli amici e del dottore, mentre si dirigeva di corsa fuori dalla caverna, verso gli ascensori, in direzione Piccionaia, come era sempre stato chiamato l’ultimo piano dell’ala degli alloggi che, ai tempi della guerra contro l’Orrore Nero, aveva ospitato i tre piccoli monolocali delle ragazze le quali, ora, li condividevano con i rispettivi compagni.
Il giovane ingegnere era in astinenza assoluta, sia di Jamilah che del suo piccolino. 
Jami sentì la porta metallica del loro alloggio scivolare di lato con un sibilo e si voltò, subito dopo aver deposto Martin nella culla. Fu questione di un attimo e si ritrovò avviluppata in un abbraccio tanto stretto da renderle quasi faticoso respirare, ma non aveva importanza: suo marito era a casa, era lì con lei. Ricambiò l’abbraccio con un piccolo singulto contro il collo di Sakon, respirando l’odore della sua pelle e riempiendosi le dita della morbidezza dei suoi capelli corvini. 
− Jami, piccola… che succede?
− Mi sei mancato tanto… troppo. Quanto non avrei mai creduto…
− Anche tu… e anche il piccoletto.
− Sai, sembrava quasi che ti cercasse, in certi momenti. Mi dispiace che si sia appena addormentato, forse avresti voluto godertelo un po’. 
Jamilah si staccò da lui e, prendendolo per mano, lo condusse alla culla, che era stata sistemata, insieme al fasciatoio, in un angolo del monolocale. Accanto ad essa Jami aveva posto un paravento a disegni infantili colorati, in modo da isolarla sommariamente dal resto della stanza quando il piccolo dormiva, perché godesse di una parvenza di tranquillità, non disponendo di una cameretta tutta per sé. 
Sakon sostò per un po’ accanto alla culla, rimirando il capolavoro che lui e sua moglie avevano prodotto. 
− Mi sembra già cresciuto, com’è possibile? – si stupì il giovane, tenendo la voce bassa per non svegliarlo.
− Crescono in fretta, a questa età – sussurrò Jamilah, accarezzando una spalla del marito.
− È stato buono?
− Un angioletto. Tranne quando ha fame, ovviamente, e si trasforma in un lupacchiotto mannaro ululante. 
Sakon sorrise e si guardò un attimo attorno. 
− Dovremmo deciderci a trovare una casa vera.
− Tra pochi mesi ci trasferiremo definitivamente in Nuova Zelanda… la troveremo là, una casa. 
Lui annuì brevemente: effettivamente, il settembre successivo sarebbero tornati ad Auckland. Jami avrebbe sostenuto gli ultimi esami e discusso la tesi della sua seconda laurea, mentre lui avrebbe riavuto il suo posto di docente all’università: la loro vita avrebbe ripreso a scorrere su binari finalmente umani.
Passò il dorso delle dita sulla guanciotta bruna di Martin, profondamente addormentato, che rispose a quel lieve stimolo succhiando più forte il ciuccio, facendolo vibrare tra le labbra: quella reazione faceva sempre sorridere Sakon. 
− Sei stanco? − gli chiese Jami, facendogli una carezza sul viso.
− Solo un po’. Più che altro ho accumulato una certa tensione, niente che una bella doccia calda non possa risolvere.
− Hai fame? Se vuoi ti preparo qualcosa, o preferisci andare giù in mensa?
− A dire il vero no, sto bene così: ho mangiato a bordo.
− Vai in doccia, allora. Abbiamo tempo per starcene un po’ in pace, dopo. 
Sakon ponderò per un istante quelle parole, le lasciò un bacio lieve sulle labbra e sparì nel bagno, prima di farsi cogliere da pensieri assai poco casti: sapeva che avrebbe dovuto avere ancora un po’ di pazienza.
Si infilò nel box e, mentre l’acqua cominciava a scorrergli sulla pelle sciogliendo i nodi dei muscoli contratti, cercò di concentrarsi sui ricordi di quell’ultimo mese.
Sebbene Martin fosse un neonato fondamentalmente buono e tranquillo, prendersi cura di lui era comunque impegnativo: un figlio ti ribalta l’esistenza senza remissione, nel bene e nel male. 
Le due settimane in cui c’erano stati anche i loro genitori, poi, erano state ad un tempo allegre e deliranti. La signora Maureen Hamilton Gen,1 la madre di Sakon, che, pur affettuosa, era sempre stata la donna più pratica e organizzata del mondo, alla vista del nipote si era totalmente lasciata travolgere dal classico instupidimento da nonnitudine, lasciando il figlio assolutamente sgomento e divertito; per non parlare dei coniugi Nyong’o i quali, paradossalmente, affermavano che essere diventati nonni li facesse sentire più giovani.
Alla fine, in quei quindici giorni, tenere a bada l’entusiasmo e le esternazioni dei loro genitori era stato impegnativo quasi quanto attendere alle necessità del piccino, ma erano stati giorni assolutamente felici e leggeri, durante i quali avevano condiviso il tempo con le loro famiglie: quella di nascita e quella di adozione, ovvero l’equipaggio del Drago. 
Infatti, nonni presenti o meno, Sakon e Jami avevano sempre a disposizione anche zia Briz e zia Midori, per non parlare di tutti gli altri componenti maschili della truppa, che non disdegnavano mai di spupazzarsi il nipotino o di sorvegliarlo mentre dormiva dopo una poppata, per consentire a lui e alla moglie di passare un’ora o due da soli, fosse anche solo per fare una passeggiata sulla spiaggia o andare insieme in città per concedersi un pranzetto a due. O, come spesso accadeva, un rapido giro di spensierato shopping dal quale tornavano, inutile dirlo, con acquisti per Martin. 
Se doveva essere sincero, durante le prime settimane di vita di Martin, Sakon si era sentito come anestetizzato, a livello fisico, nei confronti di Jami, nel senso che la trovava sì, bellissima e meravigliosa sotto ogni aspetto, come sempre, ma era stato troppo preso, proprio come lei, dal suo nuovo ruolo di genitore, sia dal punto di vista emotivo, che da quello pratico.
Fino a quel momento… 
Pazzesco: gli era bastato stringersi Jami tra le braccia per pochi minuti, il profumo inebriante dei suoi capelli, una carezza della sua mano scura e affusolata sulla guancia, il tocco morbido delle sue labbra... ed era andato in tilt come un vecchio flipper! E il fatto di essere stato senza vederla per quasi una settimana, aveva fatto il resto.
Pensò che forse, la doccia, sarebbe stato meglio farla fredda. 
Dalla nascita di Martin era passato solo un mese, dopotutto… Soltanto una settimana addietro, prima della sua partenza per l’America, Jamilah ancora accusava lievi malesseri e disagi post-partum, e lui sapeva benissimo che ci voleva quella canonica quarantina di giorni, a una neo-mamma, per tornare ad apprezzare e desiderare un certo tipo di approcci; e lui odiava la sola idea di forzarla a fare qualcosa controvoglia, o che potesse procurarle dolore o fastidio. 
Si rassegnò a girare il rubinetto della doccia tutto a destra, verso il simbolino blu: l’acqua fredda calmò i bollenti spiriti.
 
 
Jamilah pensò che Sakon, in quell’ultimo mese, fosse stato a dir poco meraviglioso: pur profondamente assorbito dalla presenza del loro piccolo – stava dimostrando di essere il più affettuoso dei papà, nonché il re del cambio-pannolino – non aveva perso occasione per farla sentire amata, speciale e bellissima. Lei ce l’aveva messa tutta per ricambiare, e aveva anche la certezza di esserci sempre riuscita: avevano cercato, in ogni piccolo gesto reciproco, la consapevolezza di non essere soltanto genitori, ma anche amici, complici e amanti. Okay, quest’ultimo aspetto era ancora, per forza di cose, in stand-by, e Jami sapeva che, per Sakon, la mancanza di intimità − che nei primi tempi era stata messa da parte in modo, tutto sommato, facile e spontaneo − cominciava a farsi sentire; così come intuiva che lui non avrebbe mai fatto niente per farglielo pesare.
Sovrappensiero raccolse il giubbotto del marito, lasciato abbandonato sul divano, e vi affondò il volto. Sollevò lo sguardo e... come se non fosse bastato il buon profumo di lui rimasto sull’indumento, a risvegliare certi istinti, Jamilah si ritrovò ad osservare Sakon appena uscito dal bagno, con i capelli ancora umidi e addosso un paio di morbidi e larghi pantaloni di cotone neri, stretti alle caviglie; e nient’altro, a parte uno dei suoi bei sorrisi sereni e rassicuranti. 
Lei, per poco, non smise di respirare.
Ma santo Dio, si faceva così? Si usciva dal bagno mezzo nudo, senza prima avvertire?
Tutto a un tratto, la vista di quel fisico snello e longilineo, ma dai pettorali perfetti, i bicipiti forti e gli addominali ben delineati, che terminavano in una seducente V che scompariva sotto all’elastico dei pantaloni tenuti bassi sui fianchi – troppo bassi! – risvegliarono in Jami sensazioni ed emozioni che temeva di aver perduto a tempo indeterminato.
Ormai conosceva il corpo di Sakon quanto il proprio, eppure in quel momento fu come ritrovarsi a guardarlo per la prima volta: le sfuggì un sospiro di sollievo, nel rendersi conto che le cose stavano tornando alla normalità, e ricambiò il sorriso, gettando nuovamente il giubbotto sul divano e avvicinandosi a lui. 
Sakon aprì un cassetto, palesemente alla ricerca di una maglietta, ma Jamilah lo bloccò, togliendogli dalle mani quella che aveva scelto e gettandola dove capitava, con una luce birichina nello sguardo azzurro: decisamente, i capi di vestiario, in quel momento, erano invisi alla bella dottoressa Nyong’o. 
− Se conosco un po’ nostro figlio, amore mio, puoi stare tranquillo che ancora per un paio d’ore ci lascerà in pace. 
Sakon si bloccò, senza più riuscire a staccare gli occhi da quelli della moglie: una sola settimana lontani... e persino lei, non solo il bambino, gli sembrava diversa.
A parte il suo profumo che, pur lieve e discreto, rischiava di stordirlo ogni volta, quell’ultima frase era stata pronunciata con un tono basso e caldo, che aveva dato alla sua voce una sfumatura talmente sensuale da far perdere la testa a un santo.
La ragazza aveva gli occhi brillanti, la pelle liscia e luminosa; la trovò incredibilmente sexy, con addosso quel vestitino primaverile fantasia, sui toni dell’azzurro, che lasciava scoperte le lunghe gambe brune.
I suoi occhi furono irresistibilmente attratti dalla scollatura e dalla stoffa tesa sul seno; senza nemmeno pensarci, le prese il volto tra le mani e la baciò. La baciò tanto, a lungo, sempre più intensamente…
Non che non si fossero più baciati, dopo l’arrivo di Martin, ma c’era sempre stata quella consapevolezza di fondo di doversi porre dei limiti… Questa volta Sakon, quella sensazione, non la percepì, nemmeno da parte della moglie. 
Jamilah si schiacciò contro di lui, vinta dal bisogno di sentirlo, di toccare la sua pelle, lasciando che le loro labbra si staccassero e quelle di Sakon scendessero a baciarle la gola, tracciando un sentiero infuocato. 
− Uhmm, Sakon… − mugolò appena, gustandosi le piacevoli sensazioni che sentì risvegliarsi in lei prepotenti. 
Sakon si staccò appena da lei e la guardò negli occhi. 
− Scusami, f-forse mi sto lasciando un po’ prendere…
− Mmm… no, non direi. 
Gli occhi di Sakon si allargarono appena, e lei gli sorrise maliziosa.
− Hai voglia di tornare a fare il marito, oltre che il papà?
− Non dovrebbe essere il contrario? Te lo dovrei chiedere io, no? – esclamò lui, frugandole lo sguardo appannato dalla passione.
− Bene, chiedimelo.
− Jami, senza scherzi: tu ne hai voglia? Si era parlato di una quarantina di giorni…
La risposta di Jamilah fu fatta di labbra bollenti che gli si posarono sul collo; di mani impazienti che gli corsero, calde, sul petto; di baci che andarono a marchiare la sua pelle dove capitava, scottandola e risvegliandola. 
− Un mese basta e avanza, credimi… Sono stufa di coccole & pomicio,2 ho bisogno di te, Prof. 
Gli effetti della doccia fredda si persero in un attimo, inesorabilmente, subito sostituiti dal risorgere di sensazioni vecchie e nuove, alle quali resistere non fu proprio possibile: Sakon sollevò la moglie fra le braccia e la posò sul letto, lasciando poi che le sue mani scorressero sulle sue curve, riprendendone il possesso.

Sakon-Jami-amore
Le sfilò con dolcezza e impazienza la parte superiore del vestito, andando alla riscoperta di sensazioni che in quell’ultimo mese erano rimaste sopite nella memoria dei loro corpi, sepolte da una miriade di emozioni di tutt’altro genere. 
Fu un attimo, ritrovarsi sopra di lei a divorarle di baci la pelle bruna e vellutata, assaporandone il calore e la dolcezza, scoprendo sotto le mani le piccole, splendide differenze che la gravidanza aveva lasciato sul suo fisico comunque bellissimo. 
Per Jami il turbamento non fu da meno, sentendosi incredibilmente sensibile e ricettiva a ogni più piccolo tocco delle dita del marito il quale, in quel momento, andava alla spudorata riconquista del suo seno che, in quell’ultimo mese, era stato proprietà esclusiva del loro piccolo energumeno.
Jamilah trovò stupendo ed elettrizzante abbandonarsi a lui e sentirlo a sua volta tendersi tra le sue braccia e, sotto le sue carezze, lasciarsi sfuggire ansiti e parole tenere e sconnesse tra un bacio e l’altro.
Avvinghiarlo con le gambe e inarcarsi contro di lui, desiderosa di sentire contro di sé la prova del suo desiderio, fu naturale ed istintivo. 
I loro gesti acquistarono tutto a un tratto una passione e un’urgenza incontrollabili, mentre gli ultimi strati di stoffa abbandonavano i loro corpi, che si cercarono e trovarono con l’impulsiva, complice brama, che già incatenava i loro pensieri e le loro anime.
E in un istante, tra un bacio, un sospiro e qualche mugolio di sollievo e soddisfazione, l’incastro perfetto si compì, spontaneo ed intenso, colmando i loro sensi.
Smisero per un attimo di baciarsi e si scambiarono uno sguardo dolce, appassionato e incredulo, poi si lasciarono sfuggire entrambi una risatina sommessa, mentre realizzavano in contemporanea la stessa cosa, riscoprendo quanto fosse eccitante l’idea di potersi di nuovo amare guardandosi negli occhi e potersi allo stesso tempo baciare senza troppe contorsioni. 
− Signora, lei ha una vaga idea di quanto mi mancasse questa posizione? – sospirò Sakon, il respiro corto, tra l’ironico e il malizioso.
− Oh, sì, credo proprio di sì… − rispose Jamilah, sincera, al pensiero di come il pancione avesse impedito loro di fare l’amore in quel modo per diverso tempo. 
Sakon ristette per un attimo, lievemente indeciso, lanciando uno sguardo vagamente preoccupato verso il paravento che proteggeva la culla di Martin. 
− Dorme, non pensarci… − lo esortò sottovoce Jamilah, con una mano tra i suoi capelli, facendogli di nuovo voltare il viso verso di lei.
− Sì, ma tu cerca di non urlare troppo, okay?
− Presuntuoso, il mio maritino! Ma nel caso… baciami, e il problema sarà risolto! 
A quell’allettante proposta, a Sakon non restò che abbandonarsi all’appassionato invito della sua bellissima moglie, lasciandosi andare a lenti, meravigliosi movimenti che Jami assecondò senza remore, mentre il lieve fastidio, provato in un primo istante, scompariva come per magia, lasciando il posto a tutt’altre meravigliose sensazioni, dalle quali anche Sakon fu irresistibilmente catturato, non prima di aver lanciato un ultimo pensiero allo gnometto nella culla. 
Era abbastanza sicuro, conoscendo l’ugola di suo figlio, che, se si fosse svegliato, lo avrebbero sentito, eccome, ma sperò ardentemente che, oltre a una voce potente, Martin possedesse anche un minimo di tempismo…

Molto più tardi, Jamilah si ritrovò ansante, stanca, tremante e felice, col corpo di suo marito ancora adagiato sopra di lei in condizioni non molto diverse dalle proprie.
Senza un motivo preciso, risero sommessamente cercandosi con gli occhi, poi con le labbra, poi di nuovo con gli occhi, intanto che i rispettivi respiri e pulsazioni cardiache tornavano alla normalità. 
− Jami… ti ho fatto male?
− Ti ho dato questa impressione…?
− Beh… a dire il vero… no!
− Ingegnere, lei mi sta dando della lussuriosa?
− Oh, non mi permetterei mai!
− Mmm… se dovesse essere in cerca di complimenti… ebbene, sappia che… è stato meglio di sempre. E ce ne voleva!
− Troppo buona, vuoi darmi il voto? – esclamò Sakon scoppiando a ridere, rotolandole al fianco.
Jami fu lesta ad accoccolarsi morbidamente accanto a lui con un sospiro soddisfatto, appagata nel fisico ma anche nel pensiero, dal fatto che quella sfera della loro vita a due fosse stata riconquistata con pieno successo.
Nonostante la rilassatezza e il languore che accompagnarono quei momenti, Jami ebbe la sensazione che Sakon fosse pensieroso. 
− Che c’è? – gli chiese.
− Niente, perché?
− Così, mi sembrava… Perché sai…
− …cosa?
− Ecco, se per caso ti fosse sfuggito… anche stavolta ci siamo dormiti le… precauzioni. 
Sakon spalancò gli occhi. 
− Opporc…
− Dai, calmati! – rise Jami − Sono ragionevolmente sicura che non abbiamo combinato pasticci, stavolta.
− Huff! Non che non mi piacerebbe averne un altro, ma… un giorno, magari… non adesso!
− Non devi convincermi, amore mio, stai tran… 
Jami non riuscì a finire la frase.
– Per la miseria, ‘sto giro è in anticipo! – constatò stupita.
La tempistica del loro cucciolo affamato era stata davvero al limite, mentre gli urletti crescevano di intensità raggiungendo decibel impensabili per un esserino così piccolo. 
Sakon e Jamilah si guardarono complici, trattenendo una risata, negli occhi la domanda inespressa, ma palese, che era stata il filo trainante di quell’ultimo mese: “Vai tu o vado io?”, alla quale lui rispose, pronto come al solito. 
− Shh… vado io a prenderlo. Stai qui… 
Il cerchio si era chiuso: le piacevolezze coniugali erano state riguadagnate; mirabilmente incastonate, ovviamente, tra quelle genitoriali…


 
> Continua…
… con un breve epilogo.
 
 
 
 
 
1 Indovinate chi mi ha suggerito il nome della mamma di Sakon? Non è difficile, dai…
 
…la stessa persona che mi ha fatto conoscere il termine “coccole & pomicio”, che mi fa troppo ridere!
(Una Mirella a caso, obviously…)
  
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