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Autore: ChrisAndreini    02/12/2018    1 recensioni
"Le prime cinque regole imposte alla società dei supereroi sono:
1) Ogni supereroe deve avere un localizzatore nel flusso sanguigno, che deve essere impiantato entro due anni dalla nascita del suddetto;
2) I supereroi non possono utilizzare i loro poteri se non in territorio da loro posseduto o con specifici permessi elargiti dalla DIS, pena la reclusione immediata;
3) Ogni supereroe deve indossare, non appena uscito di casa, uno speciale bracciale che elimina il potere, e non può essere rimosso per nessuna ragione fino al ritorno in casa o con il permesso elargito dalla DIS;
4) Non sono permesse relazioni romantiche e soprattutto procreazione tra supereroi e persone prive di poteri superumani, e ogni matrimonio tra supereroi deve essere approvato e supervisionato dalla DIS;
5) Se e solo se la DIS lo riterrà utile, un supereroe ha il dovere di servire la DIS con il suo potere e di lavorare in un ambito che possa sfruttarlo nel modo migliore"
Quando un'onda di energia magica si abbatte sulla città, creando il caos, Eryn Jefferson, supereoina nata senza poteri, cercherà di cambiare le cose.
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Supereroi che la DIS non può controllare

 

Il weekend era passato nell’assenza di notizie, e una nuova settimana si approcciava con grande tensione, nel mondo dei supereroi. 

I giornali riportavano i misteriosi incidenti che iniziavano ad avvenire in città, e la DIS aveva iniziato a condurre indagini su ogni famiglia di supereroi per venire a capo al quella che i media avevano definito una “fuga di poteri” impossibile da spiegare né controllare.

La mattina di lunedì, la situazione in casa Jefferson era decisamente anormale.

Robin fissava il giornale a bocca spalancata, stranamente silenzioso e con occhi sgranati.

Eryn aveva la testa bassa, e spiluccava la sua colazione senza avere particolare appetito, cosa decisamente insolita per lei.

Deborah era al telefono, nell’altra stanza, e per una volta la litigata con suo figlio era durata meno di cinque minuti, dato che quest’ultimo sembrava non avere più il dono della parola.

Eryn fu davvero felice che Madison non fosse venuta a trovarli, quel giorno, perché le occhiate di commiserazione di sua madre erano state abbastanza dolorose senza che fossero seguite da quelle di falsa e cortese partecipazione di sua sorella maggiore.

Il giornale di quel giorno aveva dato finalmente alla ragazza le informazioni che aveva cercato per tutto il weekend riguardo Pat, ma non erano state rosee, e ciò che aveva cercato di nascondere alla famiglia era diventato di dominio pubblico.

Sperò solo che il fratello non riacquistasse la parola prima che lei finisse di mangiare, perché un suo commento era l’ultima cosa che voleva.

Anche se con il tempo che ci stava impiegando a finire la colazione avrebbe fatto prima a lasciare tutto sul piatto e andarsi a preparare.

Non poteva permettersi di perdere un altro giorno di scuola, e grazie al cielo non aveva amici all’università, così non c’era nessuno a compatirla e a farla sentire ancora più in colpa.

Stava proprio per alzarsi mandando al diavolo la fame, quando suo fratello sbatté il pugno contro il tavolo, facendola sobbalzare.

-Non è giusto!- esclamò, seccato.

Eryn scosse la testa, leggermente sollevata e delusa al tempo stesso. Non si sarebbe dovuta aspettare niente di diverso da Robin. Probabilmente non aveva neanche riconosciuto il nome di Pat nell’elenco dei feriti dopo il misterioso attacco e non aveva ascoltato le parole di conforto di sua madre.

-Cosa?- chiese, curiosa.

-Come fanno quei supereroi a non essere beccati?! Vorrei poterlo fare anche io. Non è giusto che loro sono liberi e noi no!- si lamentò, grattandosi il polso in un riflesso incondizionato.

Non era uscito se non per buttare la spazzatura, quel weekend, eppure, per quei dieci minuti di passeggiata, il bracciale nuovo gli aveva già lasciato una fastidiosa irritazione alla pelle, che non faceva che grattarsi, peggiorando la situazione.

-Concordo con te. Stanno completamente distruggendo la possibilità di redenzione dei supereoi- commentò la ragazza, sbirciando con un sospiro la foto dei tre individui mascherati che avevano rapinato una banca il giorno prima, dando prova di poteri davvero forti e che nessuno sembrava essere riuscito a combattere.

-Già! Se permettessero a noi di tornare come un tempo e sconfiggere questa… “lega del male”, potremmo riportare l’equilibrio!- le diede man forte Robin, sbuffando e lanciando via il giornale, per poi alzarsi in piedi, pronto a tornare in camera.

Un’idea guizzò per un attimo nella mente di Eryn, che però l’accantonò subito dopo, scuotendo la testa, e sospirando.

-Ah… mi dispiace per il tuo capo. Spero che si rimetta presto- disse Robin a voce bassa e con tono più dolce, prima di sparire come un fulmine in camera.

Patrick era ancora ricoverato in ospedale, in condizioni critiche. Aveva già subito una moltitudine di interventi, ma non avevano dato i frutti sperati, ed era rimasto paralizzato a causa di un brutto trauma alla spina dorsale.

L’unica cosa che consolava Eryn era che, grazie al potere di uno dei medici più importanti della città e uno dei pochissimi supereroi apprezzati dalla comunità, Forest Denver, non era rimasto completamente paralizzato, e non sarebbe degenerato ulteriormente.

Avrebbe tanto voluto andarlo a trovare, ma non era sicura di riuscire a guardarlo in faccia, sapendo di essere la causa di quello che gli era successo.

E soprattutto visto che sapeva che, se lui l’avesse lasciata sotto quel cartellone, probabilmente lei non si sarebbe fatta nulla.

Quel weekend aveva scoperto delle cose assurde su di lei.

Cose che non riusciva a spiegare e che la spaventavano davvero molto.

Fissò il giornale appallottolato sul pavimento, si concentrò, e riuscì, con la sola forza del pensiero, a sollevarlo in aria e buttarlo nel cestino, a qualche centimetro di distanza.

Poi si prese la testa tra le mani, spaventata da se stessa, e respirando profondamente per calmarsi.

La forza che aveva mostrato salvando Pat non era stata l’adrenalina del momento, e riusciva a muovere gli oggetti con la forza del pensiero: super forza e telecinesi.

Due dei poteri che da piccola aveva sempre voluto avere.

Nuovi supereroi sembravano essere spuntati dal nulla.

Supereroi che la DIS non poteva controllare.

Ed Eryn era tra loro.

E non sapeva assolutamente cosa fare.

 

Madison strappò il foglio di giornale in così tanti pezzi che pulire sarebbe stato davvero difficile, ma non le importava affatto.

Non si era mai sentita così infastidita in tutta la sua vita.

Si sentiva come una teiera sul punto di scoppiare, ed era quasi esplosa, quella mattina, quando il suo capo l’aveva chiamata nel suo ufficio per rimuoverla dall’incarico a tempo indeterminato, mentre cercavano di risolvere la questione legata alla “fuga di poteri”.

Lei, che negli ultimi due giorni quasi non aveva dormito per cercare le cause delle scosse sismiche e cercare di capire se era collegato al caso della torre De Marco, cosa piuttosto probabile, anche se i Navarra ancora non capivano esattamente a cosa serviva la macchina trovata a pezzi sul loro tetto.

Lei, la donna che aveva avuto l’idea di requisire tutte le telecamere dei negozi accanto alla torre per controllare che una figura misteriosa fosse passata da quelle parti.

Solo perché non aveva avuto successo non significava che lei aveva fallito, e soprattutto nessuno doveva permettersi di dubitare di lei.

Solo perché suo padre era un traditore ubriacone e fallito, e suo fratello un criminale in erba.

-Tutto bene, agente Jefferson?- chiese William, avvicinandosi confuso con il suo caffè mattutino in mano.

-Mi hanno sollevata dall’incarico. Mi sbattono in segreteria- spiegò lei, cercando di apparire rilassata ma fallendo miseramente.

Non era giusto.

Non era dannatamente giusto!

L’agente Anderson non commentò, si limitò a guardarla, con un cipiglio che Madison non riuscì a decifrare, poi annuì tra sé e se ne andò, senza aggiungere altro, senza dire una parola.

Madison non se ne stupì, conoscendo il suo carattere schivo, ma non aiutò di certo il suo autocontrollo.

Erano stati partner per tre anni, da quando lei aveva conseguito il master con il massimo dei voti e un anno di anticipo e aveva cominciato a lavorare alla DIS.

E ora non le augurava neanche buona fortuna, non le offriva neanche una parola di conforto?

Che persona odiosa!

Da una parte, Madison fu felice di non lavorare più con lui, anche se, in fondo, avere un collega così come partner era stato rinfrancante. Aveva esperienza, non l’aveva mai ripresa per nulla e la difendeva sempre, a modo suo, dai razzisti che la ignoravano o la trattavano in malo modo solo perché era una supereroina.

Fece un profondo sospiro per calmarsi, e raccolse i pezzi di giornale, e poi il resto delle sue cose in una scatola, per trasferirle in una nuova scrivania, da dove si sarebbe limitata a parlare al telefono e a rispondere a domande o avvertire quelli che potevano fare qualcosa riguardo ai problemi che affliggevano il mondo.

Ma il destino sembrava avere programmi diversi per lei, dato che venti minuti dopo il suo incontro casuale con l’agente Anderson, venne nuovamente richiamata nell’ufficio del capo generale della DIS, il signor Denzel Jager.

Confusa e cercando di riacquistare compostezza, posò la scatola, si aggiustò gonna e capelli e si avviò impettita verso l’ufficio, proprio mentre l’agente Anderson usciva, finendo il caffè e lanciandole un’occhiata indefinibile.

Denzel l’accolse con un certo fastidio e fretta, e Madison si sedette davanti alla sua scrivania, senza sapere assolutamente cosa aspettarsi.

Forse William era riuscito a farla riammettere nel caso.

-Ho una proposta per te- esordì lui.

-Che proposta, signor Jager?- chiese lei, sinceramente incuriosita ma tentando di non darsi false speranze.

-L’agente Anderson mi ha fatto notare che nell’intera faccenda alla torre Di Marco ci sono delle, come dire, incongruenze sospette- le spiegò.

Come se non lo sapesse già! Era stata lei a portarle all’attenzione di William e Denzel, ma ovviamente quest’ultimo non l’aveva ascoltata.

Nessuno sembrava ascoltarla mai!

-Sì, ne abbiamo discusso insieme- annuì lei, imponendosi si non aggiungere “Sono stata io a notarlo” per non sembrare una bambina desiderosa di riconoscimento.

Anche se, effettivamente, aveva sempre avuto un bisogno di riconoscimento costante, fin da piccola.

E nessuno, ad eccezione di sua madre, sembrava volerglielo dare.

-Sì sì, infatti. Purtroppo per via di questa “fuga di poteri”, non posso mandare degli agenti ad indagare, e i De Marco sono degli infidi bastardi che non lasciano nessuno a ficcare il naso nei loro sporchi affari. Perciò pensavo di approfittare della situazione e della candidatura del primogenito per affidarti una missione sotto copertura. Sempre che tu ne sia in grado- le propose, con un sorriso di posata soddisfazione maligna.

La sua rivalità con Oscar De Marco non era un segreto, in fondo.

Madison rimase di stucco e senza parole.

Dopo averla licenziata le offriva un lavoro così importante? Ed era stato William a convincerlo? Avrebbe dovuto offrirgli una ciambella appena uscita da quell’ufficio, altroché.

Aveva fatto male a giudicarlo con tale superiorità.

Prima che potesse accettare con un sorriso di vittoria e decisamente troppo entusiasmo, Denzel continuò.

-Ti affideremo come guardia di sicurezza e donna delle pulizie della torre De Marco, con il compito di scortare Finnegan. Il tuo allenamento di autodifesa avanzato tornerà utile per sembrare credibile, e nel frattempo indagherai dall’interno su attività illecite collegate ai supereroi- le spiegò in breve, facendo crollare le sue speranze.

-Mi scusi, donna delle pulizie?- chiese, credendo di aver capito male.

-Sì, è un problema? O questo o vai dritta a pulire i bagni di questo edificio, a me non cambia molto- la minacciò, e Madison non replicò, ma si morse il labbro inferiore per evitare che le uscissero delle parole non molto carine da dire al suo capo.

-Altro?- chiese, in modo formale.

-Se vieni scoperta sei fuori, e per tutti sarà stata una tua idea per farti notare o qualcosa del genere. La DIS non si prende alcuna responsabilità- concluse. 

-Allora, accetti?- chiese poi, ben conscio di non averle lasciato tante possibilità di risposta.

-Certo, sarà un piacere- annuì lei, ricacciando indietro la bile amara che le stava risalendo alla gola per il fastidio e la rabbia.

-Bene, vai a sgombrare la scrivania, e aspetta un messaggio per quando dovrai iniziare a lavorare- la congedò lui, senza guardarla già più e indicando la porta con un cenno sbrigativo.

Madison si alzò, fece un cenno rispettoso con la testa ed uscì, con i pugni stretti e una grande voglia di prendere il giornale di prima e martoriarlo ulteriormente.

L’unica ciambella che avrebbe offerto all’agente Anderson sarebbe stata avvelenata.

Come aveva potuto farle questo? Suggerire al suo capo un lavoro che l’avrebbe ridotta a cameriera dei De Marco.

Sperava davvero di non incontrarlo tanto presto, o non sarebbe riuscita a trattenersi, probabilmente.

-Agente Jefferson- purtroppo lui sembrava che la stesse aspettando, appoggiato alla sua ex scrivania, e la chiamò in tono brusco e con una minima traccia di preoccupazione, che però Madison, arrabbiata com’era, non colse.

-Cameriera Jefferson, grazie a te- lo corresse sarcastica, prendendo con violenza la sua scatola e cercando di ignorarlo.

Non aveva proprio voglia di parlare con lui.

L’agente Anderson alzò gli occhi al cielo.

-Ora non comportarti in modo infantile- la riprese, incrociando le braccia.

Madison si fermò sul posto, sperando per lui di aver capito male.

-Infantile?- chiese, girandosi e lanciandogli un’occhiata di fuoco.

-Vengo sollevata dal mio lavoro perché la DIS ha dei problemi gestionali e la gente ha paura della mia specie e vengo appioppata come cameriera per una famiglia di criminali. Credo di avere tutto il diritto di essere irritata. O pensi che dovrei baciare la terra su cui cammini in segno di riconoscenza?- si sfogò, senza riuscire a trattenersi.

L’agente Anderson rimase impassibile.

-Non mi aspetto che tu mi ringrazi, dopotutto non l’ho fatto per te. Pensavo semplicemente che fosse utile per tutti che tu continuassi a lavorare alla tua pista invece di essere posizionata alla reception. Sei un ottimo agente, forse il migliore che abbiamo, e mi pare che potresti ottenere più informazioni lavorando ancora alla Torre De Marco. Un agente degno di questo nome non si preoccupa della facciata che deve assumere, ma pensa al risultato. Era quello che faceva tuo padre. Sarebbe deluso, Maddie- scosse la testa, e la superò per tornare alla sua scrivania.

Madison rimase congelata sul posto.

Ma non durò a lungo.

Quando le passò accanto lo prese con forza per un braccio.

-Non osare mai più chiamarmi Maddie- gli sussurrò, gelida -Né parlare di mio padre, o ti denuncio per favoreggiamento di un traditore- lo minacciò.

Lui sogghignò.

-Pensi che qualcuno ti crederebbe?- si liberò il braccio senza sforzo e la lasciò sola, turbata e sempre più irritata.

 

La pausa pranzo, all’università, fu decisamente diversa dal solito.

Tutti gli studenti parlavano concitati e preoccupati, discutendo della “fuga di poteri” e delle vittime causate.

Ed Eryn non riusciva a non pensare a Pat.

A quello che avrebbe detto, pensato. A come l’avrebbe guardata.

E le faceva davvero male.

Non era riuscita a concentrarsi per tutta la lezione di diritto, e mangiava il suo panino senza quasi avvertirne i sapori.

Chissà se il potere che aveva ricevuto sarebbe durato.

Chissà quanto peso poteva sollevare con il corpo e con la mente.

Chissà quanti anni di prigione si sarebbe fatta per averlo tenuto nascosto.

Probabilmente non sarebbe mai uscita dalle segrete della DIS.

Forse poteva arrangiare un accordo come suo padre e stare a casa con lui.

Mettersi a bere e dimenticarsi del male del mondo.

Sperava che almeno Robin sarebbe venuto a trovarla, e magari sua madre.

Sicuramene Madison l’avrebbe disconosciuta.

Ridacchiò leggermente tra sé, in modo isterico, ed attirando l’attenzione di due ragazze che discutevano della cosa al tavolo accanto, che le lanciarono un’occhiata confusa e poi tornarono al loro gossip.

Eryn sperava solo di poter dire un ultimo addio e mi dispiace a Pat, prima di essere arrestata.

Sempre che l’avessero arrestata, dato che non sembrava potessero rilevare i poteri di questi neo-supereroi.

-Scusa, posso sedermi?- chiese una voce grave e molto dolce che le sembrò familiare, facendola sobbalzare leggermente, non aspettandosi nessuno che la chiamasse.

Alzò la testa e incontrò degli occhi scuri a malapena visibili dietro dei riccissimi capelli neri.

La riconobbe subito, anche se non pensava di rivederla, e si era quasi dimenticata di lei, dopo tutto quello che era successo.

-Blaire, giusto? Certo, siediti pure- le sorrise, un po’ forzatamente, indicandole il posto libero con un cenno accomodante.

Blaire rispose al sorriso, un po’ timidamente, e le si sedette accanto, aprendo la busta contenente il suo pranzo.

-Grazie. Spero di non disturbarti- iniziò a rigirarsi una ciocca di capelli intorno al dito, un po’ a disagio, e a mangiare un’insalata di riso dall’aria invitante.

-No, assolutamente no. Sono solo un po’ sovrappensiero, tutto qui- la rassicurò Eryn, senza riuscire a trattenere un sospiro teso.

-Immagino. Ho letto i giornali, mi dispiace tanto per il tuo amico, davvero. Sono felice però che si stia rimettendo- le disse con partecipazione, e a differenza delle parole confortanti di sua madre o quelle un po’ menefreghiste di Robin, Eryn le apprezzò.

Forse era il modo in cui Blaire si esprimeva, con una dolcezza incredibile, o forse il fatto che a differenza della sua famiglia lei conosceva, anche se poco, Pat, e poteva capire, almeno in parte, cosa poteva significare per Eryn rischiare di perderlo.

-Grazie, Blaire- le sorrise con più sincerità, quasi commossa.

La ragazza fece per aggiungere qualcosa, ma le parole le morirono in bocca, così come il respiro, notando qualcosa alle spalle di Eryn.

-Scusa, devo andare in bagno!- esclamò in tutta fretta, scappando così velocemente che Eryn non fece in tempo a risponderle.

Si girò, confusa, e riconobbe immediatamente i bulli che, proprio quel mercoledì in cui l’aveva conosciuta, le stavano dando la caccia per la città.

Non sembravano averla vista, ma Eryn provò un moto di rabbia davvero incontrollabile, e quando la sedia di quello che sembrava il capo cadde all’indietro senza motivo apparente, si impose di calmarsi e decise che una piccola pausa in bagno non avrebbe fatto male neanche a lei.

Senza contare che Blaire aveva dimenticato il pranzo sul tavolo, nella fretta di scappare.

Lo prese e si avviò.

La trovò intenta a sciacquarsi le mani, come cercando di passare il tempo.

-Oh, Eryn… scusa è che…- cercò di rifilarle una scusa, ma la ragazza la interruppe, e le passò il pranzo.

-Perché se la prendono con te?- chiese confusa e irritata.

Quanto avrebbe voluto dare loro una lezione! Questa volta non c’era Pat a fermarla dal colpirli con una mazza chiodata.

Beh, non aveva la mazza chiodata, ma i suoi pugni sarebbero stati abbastanza, probabilmente.

Blaire si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio, un po’ a disagio.

-Beh, mi prendono di mira da sempre. Credo mi abbiano sempre considerato una preda facile. Ancora di più da quando sono una ragazza- ammise, torturandosi le mani.

-Quindi immagino che non sia la solita storia che uno di loro è in realtà innamorato perso di te- provò a buttarla sul ridere Eryn, facendole capire che non badava affatto a quello che la ragazza era stata.

Blaire scoppiò a ridere, lasciandosi un po’ andare.

-Oh, no, lo trovo decisamente improbabile. Mi prendevano sempre di mira. A me e al mio migliore amico. Ora che lui è famoso se la prendono solo con me. È più facile- sospirò, rassegnata.

-Beh, da oggi in poi se se la vogliono prendere con te dovranno prendersela anche con me- la rassicurò Eryn, e Blaire la guardò, incredula e riconoscente.

-Non devi scomodarti per me… e poi non volevo parlare di me. Tu come stai? Sei andata a trovarlo?- chiese, rigirando il discorso e continuando a mangiare il suo riso.

Eryn abbassò lo sguardo.

-No… ho paura. Non so che fare- ammise, sospirando.

Parlare con Blaire era davvero semplice. Era incredibile con quanta facilità si stavano aprendo l’una con l’altra.

-Non vi conosco così bene da poter supporre, ma mi sembrava davvero affezionato a te. Sono sicura che una tua visita gli farebbe solo piacere- tentò di rassicurarla Blaire, mettendole una mano sulla spalla per confortarla.

Eryn non alzò lo sguardo.

-È che mi sento così in colpa… è difficile da spiegare…io ero con lui fino a poco prima, e non riesco a non dirmi che avrei potuto impedirlo…- chiuse gli occhi, prendendosi la testa tra le mani.

-Non è così difficile da capire… ma non è colpa tua. L’unico che ha la colpa è il supercattivo che ha creato le scosse. A volte capitano cose più forti di noi, e possiamo solo cercare di fare del nostro meglio, ma non devi pensare che il peso del mondo è su di te… insomma… quello che voglio dire è che… ti capisco, in parte, ma non saprai mai quello che succederà incontrando Patrick se non lo incontri-  la rassicurò.

Eryn si sentì molto sollevata, e sollevò la testa per darle un sorriso riconoscente, che però le morì in bocca, quando si trovò davanti ad una copia sputata di sé stessa, che le sorrideva incoraggiante.

Gridò per la sorpresa, e la sua copia fece altrettanto, guardandola confusa, e lasciandole andare la spalla.

Non appena lo fece, si trasformò in Blaire.

-Cosa c’è?- chiese, spaventata, guardandosi intorno.

-Tu… tu…- Eryn iniziò ad indicarla, senza sapere assolutamente come comportarsi.

-C_cosa? Cosa ho fatto? Ho detto qualcosa di male, o di inappropriato, mi dispiace tanto- iniziò ad autocommiserarsi Blaire, torturandosi ancora di più le mani.

-No… no… tu.. tu eri me!- le spiegò Eryn, con tono più acuto del normale.

Blaire sgranò gli occhi, e si fissò le mani, terrorizzata.

-Oh no! Di nuovo! Mi dispiace! Non so cosa mi stia succedendo. Ti giuro che non sono una supereroina, ma questi ultimi giorni… Ti prego, non dirlo alla DIS! Non faccio male a nessuno, non sono tra quelli che stanno distruggendo la città, ho paura che non mi crederebbero- si allontanò il più possibile, come spaventata da sé stessa, ma dopo lo shock iniziale, Eryn respirò per calmarsi, e la trovò una cosa fantastica.

-Non sono l’unica- disse tra sé, sollevata.

Pensava, viste le voci che giravano, che solo le persone cattive avessero ricevuto i poteri, ma se anche Blaire aveva questi poteri vaganti significava che forse altre persone non l’avevano mostrato ed erano buone.

Fu un pensiero confortante.

-Non sei cosa?- chiese Blaire, confusa.

-Anche io ho dei poteri- le disse sottovoce, eccitata.

Blaire la fissò a bocca spalancata, troppo sconvolta per continuare a torturarsi le mani.

-Cosa?- chiese, decisamente sorpresa.

Per tutta risposta, Eryn sollevò una saponetta e se la mise in mano.

-Non hai niente da temere con me, non dirò niente a nessuno. Se tu non dirai niente su di me- le propose, avvicinandosi e cercando di tranquillizzarla.

Blaire respirò profondamente, fissando la saponetta come se fosse aliena.

-Io… ok… ovvio… certo… sto per svenire per la tensione- la avvertì, tenendosi il petto.

Eryn le si avvicinò leggermente, per prenderla al volo caso mai fosse davvero svenuta, posò la saponetta e prese quello che restava del pranzo, che porse alla nuova amica.

-La mia prossima lezione è tra due ore… ti va un caffè per parlare?- le propose, con un sorriso incoraggiante e speranzoso.

Respirando un po’ a fatica, ma con l’ansia che cominciava a dissiparsi, Blaire annuì.

 

La giornata di Robin era passata più tranquillamente di quanto si sarebbe aspettato considerando che era stato rimasto sospeso due giorni a causa di una rissa e ora aveva un bracciale che lo rendeva decisamente più debole del solito e quindi facile preda dei bulli che aveva bruciacchiato involontariamente.

Certo, lo evitavano tutti come la peste, segno che probabilmente erano spaventati da lui, ma gli succedeva sempre in ogni caso, e almeno nessuno sembrava volerlo importunare, nemmeno Travis, che lo incrociò nel corridoio a pranzo e corse via a gambe levate terrorizzato un secondo dopo.

Per la prima volta da anni uscì dalla scuola quasi sorridente, e iniziò ad avviarsi in casa convinto che per una volta le cose sarebbero andate bene.

La convinzione ed il sorriso vennero meno quando si sentì chiamare con un timido tap-tap sulla spalla.

Ecco, era il classico caso in cui lui si girava e si beccava un pugno in pieno volto.

Strinse i pugni e si preparò all’impatto, girandosi di scatto con la sua migliore occhiata di fuoco, ma si ricredette quando si ritrovò faccia a faccia con la ragazzina che aveva protetto giovedì, che rendendosi conto del suo sguardo assassino sobbalzò e si allontanò leggermente, un po’ a disagio.

-Oh… ciao- lo salutò lui, sorpreso e rilassandosi.

Chissà perché lo aveva chiamato.

-Ciao- rispose lei, arrossendo leggermente, e iniziando a torturarsi i capelli.

Robin non si era soffermato molto su di lei, quando l’aveva salvata, ma doveva ammettere che era molto carina, escludendo qualche chilo di troppo, che comunque era decisamente meglio che essere anoressica.

La sua pelle era bianca lattea, con una spruzzata di lentiggini in tutto il corpo. I capelli erano castano chiaro e molto lunghi, e la frangetta le copriva leggermente gli occhi azzurri e molto dolci.

In generale i suoi tratti erano morbidi e piacevoli da guardare.

I ragazzi che l’avevano presa in giro non capivano proprio nulla di bellezza. Anche se forse era più una questione di gusto personale.

Comunque Robin non badava all’aspetto, quindi non ci fece troppo caso.

-Hai bisogno di qualcosa?- chiese provando ad incrociare le braccia, senza successo.

Il nuovo bracciale glielo rendeva impossibile, così si limitò a lasciarle lungo i fianchi.

-Oh… sì… io…- iniziò a balbettare la ragazza.

Forse era stato un po’ brusco, doveva essere più gentile.

Dopotutto era una supereroina come lui, l’aveva salvata pochi giorni prima ed era improbabile che volesse fargli una ramanzina.

Inoltre era raro per lui parlare con persone più giovani. Era una bella novità.

-Tranquilla, non ti mangio- cercò di rassicurarla, accennando un sorriso incoraggiante che gli venne davvero male e provando a rilassarsi e ad apparire tranquillo e affabile… senza sicuramente riuscirci più di tanto.

Lei però sembrò rassicurata, e gli sorrise, arrossendo anche leggermente.

Chissà perché… non faceva caldo quel giorno.

Forse era solo a disagio di trovarsi davanti a lui, era più grande e decisamente musone, dopotutto.

-Volevo ringraziarti- esclamò in tono acuto, torturandosi le mani come se per lei fosse stata un’ammissione difficile.

Il sorriso di Robin divenne più autentico.

-Oh… grazie- gli brillarono gli occhi.

Non si aspettava un ringraziamento, ma doveva ammettere che era piacevole che il suo sforzo fosse stato riconosciuto -O meglio… figurati- si corresse.

Dopotutto non si rispondeva ad un ringraziamento con un altro ringraziamento, giusto? Robin era troppo arrugginito e poco abituato alla gratitudine di altri per sapere esattamente cosa fare, e la ragazza arrossì ulteriormente, forse imbarazzata per quanto fosse impacciato.

Uff, doveva lavorare sulle sue abilità sociali.

-Sei stato davvero fantastico e mi dispiace di essere scappata, quando mi hai aiutato- continuò la ragazza, distogliendo lo sguardo da lui.

Più la guardava e la ascoltava, meno riusciva a capirla.

Nonostante avesse due sorelle per Robin la mente femminile era sempre stata un mistero enorme e di difficile comprensione.

Sembrava a disagio eppure gli parlava, lo ringraziava ma sembrava non volerlo fare.

L’avevano forse obbligata? Oppure semplicemente si sentiva in dovere e non vedeva l’ora di toglierselo dai piedi e continuare con la sua vita? O magari era solo molto timida… Robin non credeva che le ragazze potessero essere timide, essendo cresciuto con Madison “Sono così perfetta che gli altri devono prostrarsi ai miei piedi” Jefferson ed Eryn “Vado in giro per casa in mutande noncurante che qualcuno possa vedermi dalla finestra” Jefferson, ma forse esistevano, e la ragazza davanti a lui poteva essere una prova.

-Non preoccuparti, sono felice che tu ti sia messa in salvo, o saresti finita nei guai anche tu- la rassicurò, agitando la mano come a far cadere l’argomento.

La ragazza tornò a guardarlo, incredula, e con occhi brillanti.

-Temevo mi considerassi una fifona- sussurrò, un po’ tra sé, imbarazzata.

-No, figurati. Hai fatto bene. Non c’è più spazio per gli eroi ormai- Robin sospirò, e si rigirò il fastidioso bracciale.

-Ma tu sei un eroe. Il mio eroe!- esclamò lei in fretta, sicura di sé e sbarrando gli occhi subito dopo, rendendosi conto di quello che aveva detto.

Robin rimase a bocca aperta, senza sapere bene cosa replicare.

Ammetteva che il complimento gli faceva davvero piacere, ma non se lo aspettava minimamente.

E poi non aveva fatto poi chissà cosa, in verità.

Avrebbe potuto fare molto di più, e avere molti meno problemi dopo.

-Volevo solo dirti questo e… beh… meglio che io torni a casa adesso. Ciao!- più rossa dei capelli di Robin e con tono così acuto che iniziava a dare fastidio al ragazzo, la ragazza senza nome fece per superarlo e allontanarsi, ma lui la fermò, mettendole una mano sulla spalla e facendola girare, sorpresa e ancora più rossa.

Per caso stava producendo calore? Robin non riusciva proprio a spiegarsi quel rossore improvviso, eppure il bracciale non avrebbe dovuto permetterlo.

-Non mi hai detto come ti chiami- le fece notare.

In effetti non voleva che l’unica persona che l’avrebbe mai considerato un eroe fosse classificata nella sua mente come “Ragazza senza nome”.

-Oh… giusto, scusa. Mi chiamo Holly Hopper- si presentò lei, porgendogli la mano ma poi ripensandoci e limitandosi a sorridere mentre sembrava asciugarsela dal sudore dietro la schiena.

Robin non ci fece troppo caso, non amava il contatto fisico, perciò non stringere la mano di qualcuno era solo piacevole per lui.

-Robin Jefferson- si presentò a sua volta, con un cenno del capo.

-Oh, lo so… cioè… piacere- lei ampliò il sorriso, ormai ridotta ad un peperone.

-Se prendi anche tu l’autobus alla stazione possiamo andarci insieme, se vuoi- le propose poi Robin, senza neanche sapere perché l’avesse detto, ma non pentendosene, dato che Holly sembrava davvero felice che lo avesse proposto.

-Certo, certo. Con grandissimo piacere- rispose entusiasta, e lo affiancò.

Non parlarono molto, fino alla fermata, ma entrambi erano davvero felici di aver fatto la strada insieme.

Robin non poteva ancora affermarlo con certezza, ma sentiva di aver trovato qualcuno che potesse quasi considerare un amico.

Per la prima volta da anni, quando tornò a casa era sorridente.

 

Eryn dovette fare ricorso a tutto il suo sangue freddo per trovare la forza di andare da Pat, quel pomeriggio, e riuscì a malapena a rientrare nell’orario delle visite, anche se inconsciamente sperava davvero di sforare.

Se non avesse parlato per due ore con Blaire era probabile che non sarebbe andata a trovare il suo capo prima di qualche giorno come minimo, ma alla fine la ragazza l’aveva convinta, ed ora era lì, e si sentiva una gallina nella tana delle volpi. 

Mentre seguiva l’infermiera che l’aveva accolta con molta più gentilezza di quanto si sarebbe aspettata, cercava di farsi forza, respirare ed evitare di avere un attacco di panico.

Oltretutto se si sentiva male in ospedale era probabile che le facessero un sacco di test, e non le conveniva rischiare che le analizzassero il sangue, visti i nuovi poteri che aveva all’improvviso manifestato.

-Aspetta un momento qui- le chiese l’infermiera, entrando nella stanza per annunciarla.

Eryn valutò l’idea di scappare a gambe levate, ma non ebbe il tempo di metterla in pratica, perché pochi secondi dopo la porta si aprì nuovamente, ed Eryn fu quasi spinta dentro.

-Ciao Pat- lo salutò, senza osare guardarlo, ma tenendo la testa fissa sui suoi piedi. Era certa di essere rossa come un peperone e sperò con tutto il cuore che l’infermiera fraintendesse e pensasse che aveva una cotta per lui. 

Cosa che per sua fortuna sembrò accadere, perché con un sorrisino malizioso, uscì in fretta commentando: 

-Vi lascio un po’ soli- 

-Eryn, non mi aspettavo di vederti- commentò Patrick, con un tono che la ragazza non riusciva a definire.

Era arrabbiato, deluso, confuso? O forse era felice? O magari sollevato o sorpreso…

Probabilmente se avesse sollevato lo sguardo lo avrebbe capito, ma non sollevò lo sguardo, non credeva di averne la forza.

C’erano tante cose che avrebbe potuto rispondere, ma la sua bocca era secca, e il nodo del senso di colpa la stava uccidendo.

Era convinta che sarebbe esplosa da un momento all’altro, poi Pat disse qualcosa di così assurdo, da farle sollevare la testa di scatto, dimentica delle sue turbe mentali.

-Sei arrabbiata con me?- chiese infatti, tristemente.

-Arrabbiata con te? Ma sei impazzito?!- esclamò con fin troppa veemenza, facendolo sobbalzare sorpreso.

-Beh… ho sbattuto la testa, ma non credo di essere impazzito- scherzò, per spezzare la tensione.

La naturalezza con cui parlò, come se non fosse successo niente tra loro, come se Eryn non fosse responsabile del suo precario stato di salute e della sua disabilità… la fece finalmente crollare.

Scoppiò a piangere e cadde in ginocchio ai piedi del letto, incapace di trattenersi.

-Eryn…- sussurrò Pat, sollevando una mano verso di lei ma incapace di raggiungerla.

-Mi dispiace così tanto. Tu non ne hai idea. So che non ho il diritto di venirti a trovare, ma non potevo… non potevo…- la voce di Eryn si ruppe, e Patrick scosse la testa, e sospirò, iniziando un po’ a capire la situazione ma rimanendo comunque piuttosto confuso.

-Eryn…- la interruppe in tono rassicurante -Di cosa ti scusi? Mi hai salvato la vita- le sorrise leggermente, incoraggiante, e ammutolendola per qualche istante.

Poi la ragazza scosse la testa -No, non è vero. Se non fosse stato per me…- continuò a lamentarsi.

-…sarei rimasto sotto il cartello abbastanza da devastarmi tutti gli organi interni, e sarei morto prima dell’arrivo dell’ambulanza- concluse Pat per lei, in tono fermo.

Eryn sollevò lo sguardo verso di lui, e si asciugò le lacrime. 

Non era ancora pronta a togliersi la colpevolezza, perciò continuò ad obiettare.

-Non ti saresti gettato lì sotto, tanto per cominciare, e non avresti mai dovuto farlo. Non… probabilmente non avevo neanche bisogno di essere salvata- Eryn si guardò le mani tremanti, stringendosele poi al petto, come per evitare che potesse in qualche modo ferire Pat.

Lui non rispose, e rimasero per qualche secondo nel più totale silenzio. 

Poi, quando Eryn si alzò decisa ad andarsene, senza riuscire più a sostenere il peso che le stava lentamente dilaniando il cuore, Pat la interruppe, con cautela, soppesando ogni parola.

-Forse non lo rifarei, ma non mi pento di averlo fatto- ammise, ed Eryn poteva vedere dai suoi occhi che era del tutto onesto, e si convinse ad avvicinarsi a lui, e inginocchiarsi più vicino.

Lui le sorrise rassicurante, e le mise una mano sulla spalle. La ragazza sentì buona parte del peso levarsi da lei, e riuscì a sorridergli a sua volta, e a sostenere il suo sguardo.

-Mi dispiace- sussurrò ancora. Lui scosse la testa.

-Non devi, è stata una mia scelta. È a me che dispiace per averti cacciata via. Non l’ho fatto per… insomma… quello che hai fatto. Ma temevo che se avessero notato che avevi sollevato il cartellone ti avrebbero fatto un sacco di domande e forse anche arrestata. Non potevo permetterlo- provò a spiegarle, sistemandosi gli occhiali sul volto in chiaro segno di disagio.

Eryn rimase molto sorpresa da quella confessione.

-Pensavo che… ti fossi spaventato per quello che avevo fatto- commentò, tra sé, sorprendendosi del sollievo che quella visita, spaventosa fino a poco prima, le stava portando.

-Ma certo che no. Sai che sono pro-supereroi- le fece un occhiolino Pat.

Eryn cominciò a guardare quella serata con altri occhi.

-Quindi mi hai chiesto di usare il telefono…- cominciò a ragionare.

-Perché non risalissero al tuo numero- annuì lui.

Eryn tirò un sospiro di sollievo.

-Sei troppo intelligente per me. Mi sei mancato questi giorni- ammise, prendendogli la mano e stringendola. Per la prima volta da mercoledì si sentiva quasi serena.

Pat era vivo, non la odiava e sembrava più sereno di lei. Certo, era costretto in sedia a rotelle, ma la medicina faceva dei progressi incredibili, ed Eryn era pronta ad aiutarlo al meglio delle sue possibilità.

-Eryn, tra due giorni mi dimetteranno. Ho un’idea che mi frulla in testa da quando mi sono svegliato e devo assolutamente metterti al corrente di una cosa importante- Patrick cambiò discorso, e si fece serio.

Eryn si avvicinò, attenta.

-Riguarda i miei nuovi po…- la sua indagine venne però stroncata subito dall’infermiera di prima, che aprì la porta ed entrò quasi dispiaciuta.

-Scusate ragazzi, ma l’orario delle visite è finito- si interruppe notando quanto i loro volti, per parlare di faccende confidenziali, si erano avvicinati.

Divenne tutta rossa, e per fortuna fraintese.

-Interrompo qualcosa, volete un altro minuto?- chiese, maliziosa e con occhi brillanti.

Eryn si ritrovò ad arrossire, e si affrettò ad alzarsi.

-No, non fa niente. Avevamo finito… cioè…- iniziò a balbettare imbarazzata. Pat le lanciò un’occhiata divertita e affettuosa che però lei non colse, troppo occupata a guardare l’infermiera -…poi devo andare… mia madre mi aspetta… e.. i compiti… libri…- continuò a farfugliare, prendendo la borsa che le era scivolata a terra. Solo una volta raggiunta l’infermiera accanto alla porta si girò verso Pat, e per la prima volta gli sorrise ampiamente.

-Ci sentiamo domani- gli fece un cenno.

-A domani, Eryn- Pat ricambiò il sorriso, e la ragazza lasciò l’ospedale con il cuore decisamente più leggero di quando ci era entrata.

Doveva decisamente chiamare Blaire e ringraziarla della forza che le aveva dato.

Certo che, tra la nuova amicizia con Blaire e la neo-ritrovata pace con Pat, quel lunedì si era rivelato molto più fortunato di quanto avrebbe mai immaginato.

 

Quella notte, nella zona più malfamata della città, in un edificio di considerevole altezza ormai abbandonato da tempo, un ragazzo di età compresa tra i venti e i venticinque anni era appoggiato alla balaustra, e fissava pensieroso le stelle, gli occhi azzurri persi all’orizzonte.

Una pioggia di soldi gettata contro di lui, per poco non lo fece cadere di sotto, preso dalla sorpresa.

Lanciò un’occhiataccia verso la fonte di quell’improvvisa innaffiata, e appallottolò qualche banconota per gettargliela contro, mancandolo di diversi centimetri.

-Mi hai fatto prendere un colpo!- si lamentò, incrociando le braccia ed evitando di guardarlo.

Il nuovo venuto, un ragazzo della sua stessa età con un ammasso disordinato di capelli neri, sbuffò, e lo raggiunse, posandosi accanto a lui e guardandolo, o meglio, squadrandolo dalla testa ai piedi.

-Di che cosa hai paura?- gli chiese, in tono canzonatorio.

-Pensavo ci avessero scoperti. La DIS non è una massa di sprovveduti, e ha le migliori tecnologie. Ci beccheranno, prima o poi- lo mise in guardia il ragazzo dagli occhi azzurri, facendo roteare gli occhi al compagno.

-Ti preoccupi troppo. Se anche ci dovessero beccare li distruggeremmo in pochi istanti. Mi basta uno schiocco di dita- lo rassicurò con un sorriso che non prometteva nulla di buono. Schioccò le dita e davanti a loro, pochi isolati di distanza, si creò un piccolo ma intenso uragano, che iniziò ad espandersi.

-Fermo!- esclamò il ragazzo dagli occhi azzurri, bloccando la mano del compagno, che sbuffò e fece un movimento per eliminare il disastro naturale, che scomparve poco a poco come era iniziato.

-Avresti potuto uccidere qualcuno!-

-E allora?- chiese il moro, senza capire il comportamento dell’amico.

-E allora è troppo. Io non…- il ragazzo dagli occhi azzurri sospirò, e tornò a fissare il paesaggio -…non so se riesco a continuare così- ammise, sottovoce.

Lo sguardo del compagno si indurì, e prese con forza il braccio dell’amico per girarlo verso di lui, e guardarlo dritto negli occhi.

-Mi stai forse mollando… adesso?- gli chiese in tono gelido, lanciandogli un’occhiata penetrante.

Si guardarono per qualche secondo, poi il ragazzo dagli occhi azzurri abbassò lo sguardo, e si strinse nelle spalle, intimorito, e cedendo.

-No, certo che no. Non lo farei mai, lo sai. Scusami- abbassò la testa, in chiaro segno di sottomissione, e il compagno sorrise soddisfatto, e gli diede una pacca sulla spalla.

-Bravo. Dopotutto l’amicizia è per sempre, soprattutto la nostra. Su, torna dentro. Dobbiamo finire di contare i soldi prima di andare a dormire-lo incoraggiò, in tono tranquillo e surclassando completamente ciò che era appena avvenuto.

Il ragazzo dagli occhi azzurri annuì, lanciò un’ultima occhiata all’orizzonte, sperando che il tornado improvviso non avesse causato vittime, scosse poi la testa per accantonare quei pensieri e seguì il compagno dentro l’edificio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Ed eccomi qui.

So che avevo detto che avevo già questo capitolo quasi pronto, ma le parti di Eryn sono state difficilissime da scrivere, ed infatti credo non siano uscite bene come avrei voluto.

Sebbene sia la protagonista, non sono così investita su di lei come lo sono con quasi tutti gli altri personaggi.

Ma sono felice di aver fatto tornare Blaire, mio personaggio preferito, e finalmente ho introdotto due dei personaggi che so già mi piaceranno di più scrivere, i cui nomi per il momento sono sconosciuti, ma verranno rivelati… prima o poi. Ho messo nella loro caratterizzazione davvero l’anima, e spero li apprezziate quanto me.

Ma andando con ordine.

Pat è rimasto in sedia a rotelle, e confesserò che questa cosa non era obbligatoria ai fini della trama, ma la scena di Eryn che salva Pat e lui che rimane paralizzato è praticamente la prima idea per questa fanfiction che mi è venuta in mente. E poi fa capire quanto non si scherzi con i supereroi, se vogliono essere cattivi.

Eryn ha scoperto due poteri, esattamente quelli che voleva da piccola, e non è l’unica in città, molti altri li hanno, compresa Blaire.

Madison non è molto felice in questo capitolo, e scommetto che molti saranno felici della sua difficoltà, ho notato che è un personaggio poco apprezzato.

Che ne pensate del suo ultimo scambio con l’agente Anderson? 

E Robin ha fatto amicizia con Holly… che sia in vista una possibile relazione tra i due?

E cosa nasconde Pat?

Fatemi sapere che ne pensate di lui, di William, Holly e in generale di tutto quello che vi passa per la testa… se volete.

Sono principalmente curiosa di sapere la vostra opinione sui figuri misteriosi a fine capitolo. Ho un debole per loro.

Un bacione e alla prossima, che sarà piena di interessanti novità soprattutto per Eryn.

 

   
 
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