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Autore: Stephaniee    06/12/2018    1 recensioni
Seguito di Primo ed Ultimo.
"Siamo stati qualcosa.
Siamo stati tante cose, a dire il vero. Siamo stati qualcosa quando non parlavamo ma ci guadavamo e capivamo comunque.
Siamo stati qualcosa quando ancora non sapevamo che stavamo per cambiarci le vite, almeno un po’. Siamo stati qualcosa di misterioso quando noi per primi non sapevamo cosa fossimo, chi fossimo. Siamo stati la sicurezza quando invece eravamo certi che nonostante tutto, come ci brillavano gli occhi quando eravamo insieme, non avrebbero brillato con nessun’altra.
Siamo stati un amore mancato"
(grazie #caratempesta per la citazione.)
Genere: Malinconico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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- Questa storia fa parte della serie 'Primo ed ultimo la Trilogia'
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Chapter thirteen
New home, new mates.

 

Aprile 2017

 

Mi resi conto a casa vuota che quello era il mio primo trasloco, e lo stavo facendo da sola. Mentre mi ritrovai ad osservare le dieci buste di plastica contenenti gli oggetti più disparati, dalle tazze ai calzini, mi meravigliavo di quante cose avrei dovuto portare con me sull’autobus e quanti viaggi avrei dovuto fare per riuscire a portare tutto nella mia nuova abitazione.

Il pensiero mi faceva venire l’ansia.

Robert si era offerto di portare buona parte delle cose in macchina, ma aveva diversi impegni quel giorno, dunque non avrebbe potuto aiutarmi fino in fondo.

Ma ero comunque fortunata, grazie al suo aiuto avrei fatto meno viaggi comunque.

Nella nuova casa mi aspettavano due coinquilini, An e Bansey, rispettivamente una dottoranda proveniente dal Vietnam e uno studente ungherese, di Budapest. Mi erano sembrate da subito due persone molto gentili ed alla mano.

 

Sentì il telefono vibrare, Robert era arrivato con la macchina a salvarmi da un trasloco impossibile.

 

Caspita Kat, per essere una persona sola ne hai di roba!”
Lo so, è che c’è anche il cibo, l’olio, il riso, la pasta e tutto quello che non ho ancora finito di usare.”

 

Con fatica caricammo tutto nella sua auto e mi lasciò sotto l’appartamento. Ora i viaggi si riducevano ad ingresso-ascensore-quinto piano.

Impiegai meno tempo del previsto a portare su tutto, grazie anche a Bansey, ora dovevo solo svuotare i bagagli e sistemare la mia roba.

La stanza assegnatomi mi fece sorridere, ricordava moltissimo quella dipinta da Van Gogh, il letto in particolare sembrava uscito dal dipinto. Infatti, scricchiolava da morire ed ogni volta che mi ci appoggiavo mi domandavo sempre se non appartenesse davvero al pittore.

 

Nel pomeriggio la mia nuova collega sarebbe venuta a trovarmi nella nuova casa, insieme ad altre collaboratrici. Ci trovavamo molto bene insieme, sopratutto per cene e pranzi all’italiana.

Ero rimasta molto affascinata dalla comunità italiana all’estero, non importava a nessuno da quale regione venissi, eri italiano e allora venivi ospitato. Noi esattamente come tutti gli altri popoli all’estero facevamo gruppo, per cultura, per abitudini ed anche per religione a volte.

Era incredibile, un di quelle cose che se non vivi in prima persona non puoi comprendere davvero.

 

 

Il pomeriggio con le ragazze era stato molto piacevole, avevamo parlato, scherzato e mangiato. Erano tre ragazze molto interessanti e diverse fra loro, provenivamo da diverse zone d’Italia quindi era piacevole confrontarsi e scoprire un sacco di cose l’una dell’altra. Avevo preso monopolio della scrivania che si trovava in soggiorno, dava sulle finestre, enormi, ed era diventato il mio posto preferito dove pranzare e cenare, sempre continuando a lavorare al pc.

Dal quinto piano si godeva di una vista magnifica, Overvecht ospitava la comunità mussulmana di Utrecht, il nostro appartamento si trovata proprio a ridosso della Moschea. Era una struttura stupenda a livello architettonico ed il quartiere mi piaceva, certo c’erano anche gli olandesi, ma i negozi di quella zona erano tipicamente Islamici. La panettiera era stata dolcissima con me, ero scesa a comprare il pane mi aveva regalato un pain au chocolat. Dovetti ammettere a me stessa che non ero abituata a vederli così perfettamente integrati in una comunità estera, ma la panettiera, con cui ormai avevo una certa confidenza, mi rivelò che esattamente come tra gli italiani ci sono delinquenti, anche tra di loro era lo stesso. Utrecht era sicuramente un polo multietnico, una città in grado di aprirti il cranio in due come un anguria.

Ormai avevo imparato a memoria ogni angolo, o quasi, della città. Il pensiero di tornare a casa mi faceva sentire triste e felice contemporaneamente.

Da un lato, avevo la mia vecchia vita, le mie amiche e la mia famiglia da cui tornare, dall’altro ormai era diventata parte di me, ogni negozio, ogni angolo, ogni strada… Anche solo il pensiero di lasciare quella sorta di seconda vita, mi faceva già sentire la mancanza di tutto.

 

 

Quella sera mi trovavo sul lettino di Van Gogh e stavo guardando una serie TV, quando improvvisamente mi arrivò un messaggio:

 

Ciao Kat”

 

Era dal nostro ultimo scambio di messaggi che non lo sentivo. Mi resi conto in quel momento di quanto gli eventi mi avessero risucchiato a tal punto, da accantonare lui. Da tempo non riuscivo a ricordare un giorno dove almeno un mio pensiero fosse rivolto a lui, ma grazie ad Utrecht, il trasloco ed il nuovo quartiere… Mi ero dimenticata di pensarlo.

Questa era una cosa da non sottovalutare.

 

Adesso però quel messaggio risultava un macigno da duecento chili scaraventato sulla mia schiena.

Non sentivo nemmeno più le voci del film o Bansey che parlava al telefono con la sua fidanzata in ungherese, ne tanto meno An che ascoltava musica asiatica in soggiorno. Come sempre, se si trattava di lui, tutto il cosmo scompariva, mi sembrava di affogare dentro quelle due parole, quelle sette lettere che non significavano praticamente nulla.

 

Ciao Luke”

   
 
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