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Autore: Moony16    06/12/2018    2 recensioni
Berlino non era ancora una città sporca di sangue quando Caroline vi arrivò contro la sua volontà in quell'estate del 1940, quando nessuno avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbe preso la storia. Con sè, solo una nuova identità, un nuovo nome, la stella di Davide finalmente strappata via dai vestiti e una vita intera lasciata alle spalle.
L'accompagna Joseph, un giovane ufficiale delle SS, il perfetto ariano, uno di quei uomini che potrebbe benissimo stare tra le figurine che la ragazze si passano tra i banchi di scuola, in una rivista del partito nazionalsocialista o in un volantino che incita alla guerra, per riprendersi il "Lebensraum", lo spazio vitale tedesco.
Cosa li lega? Nulla in realtà, se non un'infanzia passata insieme e un debito che pende sulla testa del giovane come una condanna.
***
LA STORIA E' INCOMPLETA QUI, MA LA STO REVISIONANDO E RIPUBBLICANDO SU WATTPAD NELL'ACCOUNT Moony_97, DOVE LA COMPLETERO'
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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Caroline si rigirava nel letto, sollevata che finalmente tutto il trambusto di quei giorni fosse finito. Era nella sua camera, ora illuminata in maniera quasi romantica dalla stufa nell’angolo più lontano dal letto. Era stato gentile Joseph, facendole quel regalo del tutto inaspettato, l’aveva piacevolmente sorpresa e adesso non riusciva più a guardare la sua camera senza pensare a quanto dolce fosse stato quella sera. Certo la cosa la infastidiva parecchio, perché non bastava una stufa per farle dimenticare il modo indegno con cui era capace di trattarla. La ragazza di certo non aveva idea del tormento che aveva dato all’anima assopita dell’ufficiale, così abituato a lasciare che fossero gli altri a pensare al posto suo.  Joseph si era ritrovato a dover fare delle scelte difficili, che lo avevano messo in crisi, che avevano risvegliato in lui vecchie paure e verso cui provava sentimenti contrastanti. Caroline non riusciva a vedere il suo dilemma, anche se sapeva che in quell’uomo albergavano come due persone diverse. Ma non aveva idea di essere stata lei a scatenare quella furiosa guerra interiore che non dava pace all’anima di Joseph.
Caroline piuttosto pensava, nel tepore confortante della sua cameretta, a cosa era significato per lei il Natale quell’anno in confronto a come invece lo aveva vissuto per tutta la sua vita. Probabilmente se fosse rimasta a casa non avrebbero potuto permettersi neanche una cena degna di quel nome, ma il Natale era da sempre la sua festa preferita, quello era il periodo dell’anno che preferiva e le sembrava che quella volta nulla fosse andato come avrebbe dovuto. Non aveva passato la giornata con le persone che più amava, non aveva guardato le espressioni stupite davanti ai suoi regali e non aveva cucinato il pan di zenzero con sua madre. 
Anche se era ebrea infatti il Natale per lei era sacro: la situazione dal punto di vista religioso a casa sua era più complicata e confusa di quanto non sembrasse. Infatti sebbene il padre di Caroline fosse ebreo, la madre della ragazza era figlia di un’ebrea e di un cattolico. La nonna di Caroline si era convertita al cattolicesimo in vista del proprio matrimonio, così la figlia era stata educata da cristiana e non ne aveva mai voluto sapere di lasciare la propria religione. Caroline era quindi cresciuta in quello strano connubio tra le due fedi e da sempre aveva cercato un modo per unirle. Il Natale nello specifico era la sua festa per eccellenza: da bambina infatti lo vedeva come il momento in cui le sue due religioni si erano unite. E poi amava le cioccolate calde accanto la stufa, i dolci di pan di zenzero, le zuppe calde, le vacanze di Natale, la prima neve dell’anno … la maggior parte delle cose che le avevano fatto amare il Natale nel corso degli anni erano sparite, però il suo amore era rimasto, anche quando quel periodo la faceva pensare alla partenza di Joseph. 
Quell’anno invece non aveva avuto il tempo di godersi nulla, era stata sballottata da un posto all’altro da Joseph che aveva voluto presentarla come sua fidanzata prima del galà di capodanno, mentre il giorno prima tutto quel trambusto per gli amici dell’ufficiale l’aveva stremata. 
Era così stanca da non riuscire a dormire. Per questo ad un certo punto si alzò in piedi con uno sbuffo, indossò pantofole e vestaglia e uscì dalla sua camera per prepararsi una cioccolata. Joseph era nella sua stanza, e poi non c’era nulla di male, anche se non aveva il permesso, nel cucinare una cioccolata. Prese il cacao e il cioccolato fondente, poi il latte. Recuperò un pentolino facendo un po’ di trambusto ma senza curarsene più di tanto, quindi mise a scaldare il latte, osservandolo soddisfatta.
«non ti pare maleducato fare la cioccolata senza invitarmi?» aveva chiesto Joseph dietro di lei, facendole fare un salto di un metro per lo spavento. Lui aveva riso in modo quasi infantile vedendola spaventarsi a quel modo.
«Joseph!» lui aveva ignorato il suo tono oltraggiato e aveva aggiunto il latte necessario per un’altra tazza nel pentolino.
«falla anche a me» aveva detto, per poi accendere la luce e sedersi al tavolo della cucina osservandola.
«ma tu non stavi dormendo?» aveva quindi chiesto stizzita. Era abbastanza arrabbiata con lui per tutto il lavoro che le aveva appioppato negli ultimi giorni.
«potrei farti la stessa domanda» osservò lui, così Caroline lasciò perdere. Fece sciogliere il cioccolato fondente nel latte, aggiunse il cacao e l’amido di mais per farla addensare. Ne vennero fuori due tazze di cioccolata calda fumante dense e dall’aspetto più che appetitoso. Joseph guardava la sua tazza felice come una pasqua, mentre aggiungeva lo zucchero, e Caroline osservava divertita la scena.
«la cioccolata calda era la tua specialità anche a nove anni, ma chissà come sei riuscita a migliorare» aveva commentato lui non appena ne aveva assaggiato un po’. Era divina. Caroline alzò le spalle.
«probabilmente sei tu che non hai bevuto molte buone cioccolate calde da allora. La ricetta è sempre quella» Joseph ridacchiò.
«forse hai ragione» disse, per poi restare in silenzio a godersi il sapore del cioccolato. La guardava da dietro la tazza, osservandole i capelli corti sparati ovunque e gli occhi verdi arrrossati dal sonno. Dio, quanto era bella.
Aveva i baffi di cioccolata ma sembrava non farci caso, continuando a bere concentrata. Per una volta, una sola, Joseph avrebbe voluto placare quel dannato fuoco che gli stava mangiando l’anima. Più passava il tempo, più si rendeva conto di desiderarla al di sopra di ogni altra donna.
«ti manca quel tipo … come si chiamava, il panettiere? Ti manca ancora?» aveva fatto quella domanda senza pensarci due volte, forse per gelosia, forse per curiosità. Caroline per poco non si era affogata.
«perché lo chiedi?» Joseph aveva scrollato le spalle, ed aveva abbassato gli occhi sulla propria tazza.
«so che non deve essere stato facile per te all’inizio vivere qui con me … però credo che ormai vada meglio, no?» Caroline gli sorrise.
«si, va meglio. Va decisamente meglio, però … provo qualcosa per quel ragazzo, e tu me l’hai strappato via» aveva detto un po’ dura, sperando di riuscire ad ottenere il permesso di vedere Dimitri alla luce del sole.
«provi … quindi ti manca» aveva osservato Joseph con più amarezza di quanto non avrebbe voluto.
«tu non ci sei mai … e quelle volte che ci sei devo stare attenta e capire in fretta se sei il dottor Jekill o Mr. Hyde. Non ho nessuno con cui parlare, non ho amici, mentre per Dimitri avevo iniziato a provare qualcosa. Certo che mi manca» Joseph non aveva risposto, guardando con attenzione la sua tazza. Lei non gli aveva mai parlato così schiettamente.
«io non sono volubile come mi fai apparire Caroline» aveva detto alla fine un po’ risentito.
«ah no? perché invece ci sediamo qui tutte le sere a chiacchierare e a bere cioccolata. Di solito la sera non ringhi ordini a destra e a manca prima di chiuderti nel tuo ufficio» aveva osservato lei con un pizzico di veleno.
«perché tu vorresti stare qui a parlare con me ogni sera?» aveva rivoltato la frittata lui.
«dipende»
«dipende da che cosa? Siamo così diversi che è già tanto se troviamo argomenti di conversazione di tanto in tanto, abbiamo idee dimetricamente opposte su tutto e non dovremmo neanche essere qui a parlarne, se io avessi seguito la legge» disse Joseph, scaldandosi.
«eravamo fratelli una volta …» Joseph sorrise amaro per quel commento a suo avviso del tutto inappropriato.
«tu non avresti fatto tutto questo per me. Sono io che mi sono aggrappato al tuo ricordo per sopravvivere all’inferno che ho passato, per te sono solo un vecchio amico di infanzia» Caroline incassò quelle parole, con stupore. Dopo quello che aveva vissuto da quando gli aveva smesso di scrivere aveva lasciato il suo ricordo in secondo piano, troppo impegnata a sopravvivere per pensare ad altro, però non aveva mai smesso di volergli bene. Semplicemente c’erano state questioni più urgenti da sbrigare perché lei si struggesse al suo ricordo e si eccitasse alla vista, dieci anni dopo, di un giovane ufficiale delle SS, che avrebbe avuto il potere di spararle seduta stante, solo perché portava il suo nome. Però le sembrò giusto, dopo tanti anni, dargli delle spiegazioni per il suo famoso silenzio stampa, dopo che lui le aveva scritto della sua decisione di entrare nella gioventù hitleriana.
«Joseph io ti volevo così tanto bene che avrei dato qualsiasi cosa per vederti felice. Quando mi hai detto che eri entrato nella gioventù hitleriana io non ti ho rifiutato come probabilmente hai sempre pensato. Ti avrei perdonato qualsiasi cosa ... ti ho perdonato qualsiasi cosa» Fece una pausa, pensando attentamente a cosa dire, mentre gli occhi di Joseph la fissavano quasi voraci, con un'intensità tale da farle distorcere lo sguardo, imbarazzata.
 «Io e mia madre abbiamo pensato tanto a come comportarci, sai? Tu eri solo a Berlino, ed era chiaro che finalmente avevi acquisito un po’ di felicità grazie a loro. Chi ero io per privartene? Chi ero io per impedirti di vivere con un minimo di gioia la tua vita? Volevo solo renderti felice, ma non potevo farlo a distanza, così come non potevo continuare a scriverti: non avrei mai voluto dirti delle bugie, perché non avrebbero retto, e non potevo dirti che sono ebrea perché con tutta probabilità avresti lasciato il gruppo» Joseph la guardò con una luce nuova.
«probabilmente l’avrei lasciato, hai ragione» Caroline annuì.
«e che avresti fatto a quel punto? Avresti continuato a farti picchiare da tuo cugino e dai suoi amici? No, ho preferito sparire di scena. Saresti stato felice e non mi avresti odiata. Saresti diventato un’altra persona, e io mi sono convinta a pensare che tu fossi morto, piuttosto che immaginarti fare le cose crudeli che vedevo fare agli altri soldati» Joseph la osservò finire il suo discorso e riprendere in mano la cioccolata. Poi ridacchiò stupito.
«se non è destino questo … se mi avessi scritto, non avrei mai avuto il potere di portarti via» anche Caroline sorrise, per poi incupirsi. Quel discorso le aveva fatto pensare ai suoi genitori.
«mia madre e mio padre … chissà dove sono e se stanno bene» Joseph sospirò.
«io ci ho provato a salvarli. Ho provato anche a fornirgli dei documenti falsi ma loro non hanno accettato nulla. Non so che fine abbiano fatto» non voleva dirle quello che sapeva, voleva darle un minimo di speranza. Ma lei lo anticipò.
«sono morti. Mia madre era malata, me n’ero accorta, non sono stupida. E mio padre senza di lei non so quanto possa essere andato avanti» aveva detto senza versare una lacrima.
«Caroline io ci ho provato. Ho provato persino a rintracciarli, ma non so se li hanno portati da qualche parte. Forse sono in qualche ghetto … » 
«hai provato a rintracciarli?» Joseph quasi arrossì.
«Inizialmente lo facevo quasi inconsapevolmente,  poi mi sono arreso all’evidenza: voglio sapere che fine hanno fatto. Gli devo così tanto …» sospirò, bevendo l’ultimo sorso di cioccolata.
«prima o poi troverò qualche registro in cui spuntano i loro nomi, stanne certa» aveva lo sguardo determinato e questo infuse in lei una speranza che non nutriva da tanto tempo. Era convinta che non avrebbe mai più rivisto i suoi genitori, aveva pianto lacrime amare per loro, adesso invece sembrava che Joseph le aprisse un piccolo spiraglio di luce.
«se saprai qualcosa, me la dirai?» chiese con speranza.
«certo, è scontato» mentì lui. C’erano cose che non le avrebbe mai potuto e voluto dire, però era anche vero che se avesse saputo che erano morti lei lo avrebbe saputo.
 «Andiamo a dormire, ora?» disse con uno sbadiglio, osservando la tazza vuota della ragazza. Lei annuì, così si alzò, mise le tazze nel lavandino, gli augurò la buona notte e si chiuse la porta della cameretta alle spalle, un sentimento nuovo, più benevole nei confronti dell’ufficiale a scaldarle il petto.
Il giorno dopo il buonumore l’accompagnò durante tutto il giorno. Dopo la cioccolata aveva dormito un sonno senza sogni e profondo. Non aveva sentito la sveglia, ma Joseph non si era lamentato e non l’aveva chiamata, così era rimasta a letto fino a tardi, prendendosi una meritatissima pausa. Sul tavolo Joseph le aveva lasciato un biglietto:
Credo che non ti sveglieresti neanche se bombardassero la città. Prenditi un giorno libero, a quanto pare ne hai bisogno, ma ricordati di preparare almeno la cena. Prendi i soldi che ti servono.
Come sempre ogni qual volta faceva qualcosa di gentile lui provava a dissimularla, ma Caroline apprezzò comunque il gesto. Di mattina si vide con Dimitri, che le era mancato tanto durante gli ultimi due giorni, e si erano trattenuti più a lungo fuori rispetto al solito. Poi lui era tornato a lavoro mentre lei si era seduta in un piccolo ristorantino per pranzare con una zuppa calda, per poi dirigersi in un negozio di dischi. Joseph aveva un grammofono in casa, ma era più un pezzo d’arredamento che altro visto quanto poco era usato e gli scarsi dischi disponibili. Caroline era decisa a non sfigurare durante il galà di capodanno e per quello ci sarebbe voluta un po’ di pratica, soprattutto da parte dell’ufficiale. Così comprò un disco con canzoni da ballare, in cui c’era più o meno tutto e con cui avrebbe torturato Joseph quella sera.
Tornò a casa tutta contenta del suo acquisto e si affrettò a creare una piccola pista nel salotto di Joseph, spostando tutti i mobili rasenti alle pareti. Poi mise il disco in posizione e lo provò, scoprendo che funzionava perfettamente, quindi lasciò tutto in quella posizione, le note della musica che si spargevano in casa e lei che cucinava a passi di danza.
Joseph tornò qualche ora dopo, e scoprì la propria casa piena di musica e dell’odore di torta alla melassa. Si dipinse un sorriso sul suo viso quando vide cosa quel tornado rosso avesse combinato in un solo giorno di libertà. Tutte le porte erano aperte, la cucina era piena di dolci appena sfornati e lei ballava davanti al forno. Non riuscì a non scoppiare a ridere davanti a tutta quell’allegria.
«casa mia si è trasformata in una pasticceria?» chiese divertito quando finalmente lei si accorse della sua presenza.
«no! c’è anche una zuppa, lì, che cuoce … sarà pronta presto. Ho solo pensato che ti servisse un piccolo incentivo per quello che ti aspetta» aveva un sorriso quasi sadico stampato sul viso.
«perché, che mi aspetta?» aveva chiesto lui, senza sospettare nulla ma anzi tutto allegro per quel buon profumo che sentiva aleggiare per casa.
«la senti questa musica?» aveva chiesto lei, mentre lui annuiva.
«è un valzer» disse, mentre Joseph con una mano provava a rubare un biscotto al cioccolato. Si beccò un colpo di cucchiaio di legno sulle dita, che ritrasse immusonito.
«ok, è un valzer. E allora?» chiese quasi risentito, guardando verso i biscotti con desiderio.
«E allora, tu non andrai a dormire fino a che non lo ballerei almeno in maniera decente» aveva detto sorridendo angelica, senza smettere però di tenerlo d’occhio, sicura che avrebbe approfittato della sua minima distrazione per fregarsi un biscotto.
«e domani faremo lo stesso con la Mazurca. E dopodomani con la Polca. E c’è anche un Tango in questo disco, se riesco a ricordarmelo bene, facciamo anche quello» 
«cosa è questa, una vendetta?» aveva chiesto lui, vagamente sconcertato.
«io non voglio fare una figuraccia né tantomeno tornare a casa con i piedi distrutti da te. Quindi a meno che non ci tieni a stare in un angolino tutta la notte di capodanno queste sere dovrai darti da fare, almeno per imparare i passi principali» Joseph si era sentito cadere le braccia a terra. Odiava ballare e un pezzo di legno si sarebbe mosso meglio di lui.
«devo proprio?» lei alzò le spalle.
«puoi sempre annullare tutto» disse con un sorriso angelico.
«se potessi, lo farei» aveva sbuffato lui. Beh almeno aveva cucinato la torta alla melassa, si consolò nella sua mente. E i biscotti. E anche il pan di zenzero! Si sarebbe fatto venire la carie, considerando quanto amava ogni qualsiasi forma di dolciume. Caroline si girò per dare un’occhiata alla zuppa di pomodoro, così lui si allungò fino a prendere un biscotto, per poi svignarsela dalla cucina il più velocemente possibile.
«ti ho visto!» gli urlò dietro lei, quando era ormai tardi. Lui neanche le rispose, la bocca troppo piena per parlare.
Il ballo fu tragico come si erano aspettati. Joseph sbagliava continuamente il piede da cui iniziare, i suoi passi erano o troppo grandi per essere eleganti o troppo piccoli per muoversi. Stava rigido come un bastone, gli sudavano le mani e continuava a guardare in basso per osservarsi i piedi. Azzeccare un tempo per lui sarebbe stata pura utopia, e Caroline si ritrovò a sperare che fosse costretto a ballare con qualcun’altra, giusto per godersi lo spettacolino che avrebbe dato. 
Alla fine comunque, riuscì a ricordare l’ordine dei passi e a capire come seguire il corpo di Caroline. Per lo meno non le pestava più i piedi, e riuscirono a ballare due canzoni intere senza interruzioni, così che, distrutta, Caroline poté finalmente dire basta.
Erano le undici passate e Joseph voleva solo infilarsi il pigiama e andare a letto.
Le lezioni successive furono meno disastrose, perché ormai Joseph aveva capito come funzionava: doveva imparare i passi base, guardare Caroline negli occhi e seguire quello che il corpo di lei gli diceva. Non gli veniva difficile capire cosa gli volesse dire, se lo tirava lievemente da una parte o se guardava in un punto per consigliargli cosa fare, la conosceva bene e da piccoli erano anche molto affiatati. 
Alla fine la sera del galà arrivò, tra l’ansia di Joseph e la paura di Caroline. Voleva essere stupenda, così cominciò a prepararsi alle quattro del pomeriggio, benché l’inizio del galà era previsto per le sei. Si lavò il corpo e i capelli, lasciandoli poi asciugare vicino la stufa spazzolandoli continuamente. Poi usò i ferri caldi per dargli la forma che preferiva, così che venissero perfettamente ondulati ad incorniciarle il viso. La cipria bianca come la sua pelle coprì le numerose efelidi, donandole un incarnato uniforme e quasi perlaceo, mentre il fard le diede un po’ di colore al viso. Il piegaciglia e il mascara le allungarono le ciglia in maniera seducente, mentre il rossetto rosso fu l’ultimo tocco per donarle un aspetto quasi regale. 
Joseph quando la vide pronta quasi non la riconobbe. Il verde del vestito, così aderente eppure non volgare, spiccava sul pallore della sua pelle, in contrasto con il rosso dei suoi capelli. Il cinturino con gli strass le risaltava la vita stretta mentre lo scollo profondo le dava un aria da femme fatale. I guanti poi erano un tocco di eleganza.
«andiamo?» dovette chiedere lei, per far sbloccare Joseph dai suoi pensieri. Si sentiva quasi in imbarazzo ad essere guardata da lui in quel modo, dopotutto era abituata ad essere trattata decisamente peggio.
Andarono in auto e Joseph si comportò da perfetto gentiluomo persino mentre scendevano le scale. Le apriva la porta, le porgeva il braccio, le sorrideva ed era dannatamente impeccabile in ogni suo movimento. Secondo la scenetta che avevano organizzato, lei era rimasta sola dopo la prematura dipartita dei genitori e non avendo altro luogo in cui andare ma conservando parecchi averi era andata a vivere a Berlino, in una delle sue proprietà. Essendo una vecchia amica di Joseph si erano incontrati per caso un pomeriggio e avevano iniziato a frequentarsi. Tutto era stato architettato in modo magistrale, non c’erano falle, mentre il loro racconto si avvicinava il più possibile alla realtà, cambiando solo quei particolari che dovevano essere taciuti.
Il ballo si teneva in un palazzo sfarzosissimo, con lampadari di cristallo e flute ricolmi di champagne, arrivato direttamente dalla Francia, in ogni angolo. Le donne erano impeccabili, gli uomini impomatati e rigidi, e tutti recitavano la propria parte con minuziosità. Caroline si ritrovò catapultata in quel mondo senza però dare a nessuno idea di quanto grande fosse la sua paura e il suo smarrimento. Abbandonò completamente la sua pelle, per andare ad interpretare quella di Emma, una ragazza discretamente ricca, rimasta sola troppo giovane, fidanzata dell’ufficiale Joseph Müller e molto raffinata. Le altre donne fingevano di essere felici di incontrare la fidanzata di quell’ufficiale così promettente, mentre lei fingeva di credere alle loro parole. Joseph fingeva di essere innamorato di lei, e lei fingeva di ricambiarlo, mentre fingeva anche di essere lusingata dai complimenti che gli altri uomini in divisa le facevano, invece che disgustata. I suoi veri sentimenti, quelli di Caroline, erano stati seppelliti nel trucco e nel vestito elegante, e lei se ne sarebbe resa conto solo quando sarebbe finito quel teatro, alla cui regia stava il Fhurer che veniva ricordato continuamente con quei fastidiosi “Heil Hitler”, cui era obbligata a partecipare. Ballò tanto quella sera, Joseph non fece figuracce esagerate anche se era palese quanto poco fosse portato per la danza. Ballò molto con un ragazzo, di cui Joseph finse di essere geloso, figlio del proprietario della tenuta, che diceva di salvarla da quel “ottimo soldato, ma pessimo ballerino” quale era il suo fidanzato. Aveva persino brindato all’anno nuovo, salutato Hitler per l’ennesima volta, e dato un bacio a stampo sulle labbra di Joseph senza neanche pensarci. Era quello che si ci aspettava da una coppia di fidanzati, era quello che avevano fatto tutti. 
Caroline si rese conto che erano entrambi abbastanza brilli solo quando l’autista li lasciò sotto casa loro e Joseph le prese il braccio accompagnandola con galanteria. Barcollavano leggermente e il freddo non sembrava neanche tanto pungente, nonostante le nuvolette di condensa che uscivano dai loro nasi e la neve ammucchiata ai lati delle strade. Il rossetto ormai era solo un lontano ricordo, e adesso le guance di entrambi erano rosse come pomodori maturi. Salirono le scale ridacchiando, poi Joseph chiuse la porta di casa e vi si appoggiò, Caroline ancora appoggiata su di lui che continuava a ridere. 
«non è stato tanto male alla fine no? Io mi sono divertito» sostenne lui.
«e l’autista avrà pensato malissimo di me, vedendomi tornare a casa tua» le rispose lei facendosi strada verso la cucina e sfilandosi le scarpe. Sospirò di sollievo quando i piedi nudi toccarono il pavimento freddo.
«io credo che fosse più concentrato ad invidiarmi che a pensare alla tua reputazione» lei ridacchiò.
«certo, non è bello passare la notte di capodanno in auto» le rispose lei sempre dandogli le spalle mentre apriva la porta della cucina. Ma lui la colse di sorpresa, impedendole di varcare la soglia: la afferrò per un braccio e la fece voltare, facendole bruscamente sbattere le spalle contro il muro, aiutato anche dallo scarso equilibrio causatole dallo champagne.  
«non per quello, Caroline. Sei bellissima stasera» disse lui, troppo vicino, guardandola intensamente. Lei non riuscì a sostenere il suo sguardo, così commentò fissando il pavimento:
«la magia del trucco e di un bell’abito» si schernì. Aveva paura di quello che stava facendo. Quella sera, dopo la mezzanotte, dopo aver poggiato le sue labbra su quelle di lui con tanta leggerezza, aveva sentito che qualcosa era cambiato, come se avesse risvegliato una bestia dormiente. 
«la magia dei tuoi occhi. Avevi ragione da bambina, sono più belli dei miei. Sono più belli di qualsiasi altri occhi io abbia mai visto» disse continuando a tenerla per un braccio. Non che lei avrebbe avuto la forza di staccarsi.
«Joseph, tu sei ubriaco» disse, senza però neanche pensare ad allontanarsi. Si sentiva ancora un po’ Emma, e forse quella ragazza … quella ragazza era lei, se fosse rimasta ricca, se Hitler non le avesse distrutto la vita. Emma era la ragazza che sarebbe stata se non avesse dovuto soffrire tanto. Ed Emma era immensamente affascinata da Joseph, dalle sue labbra, dalla sua voce …  Joseph dal canto suo guardava quella donna quasi disperato. Lei era la donna che voleva per se stesso, così bella, forte e fragile allo stesso tempo, nobile nei gesti e nelle parole, una donna che lo conosceva come le proprie tasche e che era capace di comunicare con lui anche solo con uno sguardo. Quella era la sua donna. Peccato che fosse tutta una finzione ben congegnata, e domattina Emma sarebbe stata solo un fantasma dentro quel bel vestito vuoto appeso nell’armadio.
La lasciò andare, aspettandosi che lei si rintanasse nella sua cameretta e tornasse ad essere Caroline, ma lei lo stupì. Alzò gli occhi su di lui, con un sorriso amaro, prendendo coraggio. 
«noi due, Joseph, staremmo insieme se la vita non si fosse messa in mezzo» aveva affermato con sicurezza. Al ché Joseph le rispose, con altrettanta sicurezza
«e saremmo perfetti insieme» poi calò su di lei e la baciò, stringendola a sé stesso come a volersi fondere con lei.
Caroline si stupì di se stessa, ricambiandolo senza neppure esitare un attimo, come se avesse sempre saputo che sarebbe finita in quel modo, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Le spalle del soldanto, a cui si era disperatamente aggrappata, erano giuste nelle sue mani, così come il suo sapore, il suo odore, il suo modo di fare … era quello che il suo corpo voleva, che richiedeva, e non le dispiacque per neanche un secondo. La sua lingua le aggredì la bocca, ma lei non fu da meno, mentre il tempo e lo spazio si fermavano e restava solo il corpo di Joseph che reagiva con il suo come se fossero nati per quello. Joseph era bollente, era duro, era implacabile e lei, lei era semplicemente in paradiso. Le mani di lui erano calde attraverso la stoffa, nelle sue spalle e poi più giù, nel suo sedere, e la stringevano facendola fremere per qualcosa che non riusciva a capire né tantomeno a placare. Sentiva un calore nel basso ventre che non riusciva in nessun modo a contenere, che la portava a strusciarsi su di lui, lui che con prepotenza aveva messo un ginocchio tra le sue gambe alzando il vestito, e gemeva su di lei ad ogni movimento del suo bacino. La sua lingua, che faceva di tutto per dominarla, i suoi denti che la mordevano, le sue labbra che succhiavano via il dolore dei morsi dalla sua bocca.
Perché loro erano così, o tutto o niente. E in quel momento volevano tutto, e se lo sarebbero anche presi se, mentre lui le divorava il seno non avrebbe stretto troppo i denti, facendole aprire gli occhi. 
Se glielo avessero chiesto, non avrebbe saputo mai rispondere come, ma in qualche modo era arrivata nella camera di Joseph, sul suo letto. Era come se il cervello le fosse andato in tilt, e ora si ritrovava invischiata in qualcosa di più troppo grande, con un uomo a cui non voleva più concedersi, eccitato e sopra di lei. Avevano le gambe intrecciate e la sua gonna era completamente arrotolata nella vita, mente il corpetto era abbassato e Joseph stava lì, con la sua bocca, nella sua pelle nuda. In un secondo si tirò indietro e si ricoprì il seno guardandosi intorno confusa.
«cosa … cosa stai facendo?» le chiese lui, stupito, ma senza traccia di rabbia nella sua voce. 
«Joseph … come ci siamo finiti qui dentro?» sembrava essersi svegliata da un incubo, e improvvisamente tutta l’eccitazione che lui aveva provato fino a quel momento svanì guardando la sua espressione terrorizzata.
«Joseph cosa stiamo facendo?» chiese con voce più acuta. Lui non seppe trovare una risposta. Cosa stavano facendo? Stavano per andare a letto insieme? 
Caroline cominciò a tremare e lui non poté fare a meno di avvicinarsi a lei e abbracciarla. Per assurdo, lei si aggrappò a lui e così,dopo poco, si addormentò, cullata dallo stesso odore e dallo stesso corpo che qualche minuto prima le aveva dato alla testa. 
Joseph restò a lungo fermo a guardarla. 
La guardava dormire con la disperazione nel petto, che gli strisciava nell'anima come una pianta velenosa, soffocandolo. Che stava per fare? E d'altronde come avrebbe potuto evitarlo? Dopo che le sue labbra avevano toccato quelle di Carolie a mezzanotte non aveva più pensato ad altro se non ad un modo per farle nuovamente sue. Sapeva che sarebbe successo prima o poi, lo desideravano troppo entrambi, non per questo però si biasimava di meno. Stava per arrivare ad un punto di non ritorno e, si promise, non sarebbe dovuto accadere mai più. Lei era ebrea. Non era una cosa possibile …
Intanto però i primi germogli di dubbio nascevano in lui: dopotutto nessuno si era accorto di cosa fosse. 
  
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