Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: edoardo811    08/12/2018    4 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

5

La sfida ha inizio

 

 

Thomas non era mai stato forte. Non era mai stato coraggioso. Non era mai stato scaltro, affascinante, intrigante, non era mai stato… beh, un bel po’ di cose.

Ma voleva bene ai suoi fratelli. Da quando era arrivato al campo e aveva scoperto di essere uno dei più grandi nella casa di Ermes, il terzo dopo Natalie e Derek, aveva deciso che avrebbe dato a loro tutto quello che lui non aveva ricevuto: qualcuno su cui contare, di cui fidarsi e che li amasse.

Per questo voleva bene a Rick. Il moccioso era una peste, era irritante, lo faceva imbestialire come poche cose al mondo, ma sapeva che in realtà era solo desideroso di avere l’attenzione dei suoi fratelli più grandi e di impressionarli. Per questo, quando era tornato alla casa conciato in quel modo, aveva mollato il tablet sul letto, quasi facendolo cadere a terra, ed era corso da lui.

Rick era sembrato scosso. Quasi terrorizzato. Piangeva, forse per il dolore, forse per la paura. Poco dopo anche Derek, Natalie e gli altri erano accorsi. Se c’era una cosa che tutti i figli di Ermes avevano in comune, era l’amore per quella piccola peste. Rick era uno dei ragazzi più giovani del campo, molti semidei pensavano che quello fosse un handicap per la casa Undici, ma la realtà non poteva essere più diversa. Rick era il fulcro di quella casa. Una specie di mascotte, un simbolo, il simbolo di quanto uniti i fratelli del dio dei ladri fossero.

Era il futuro. Un giorno, sarebbe toccato a Rick e ai suoi coetanei prendere il posto di Tommy e Derek e gli altri, e il ragazzo più grande adorava l’idea di essere un mentore per le nuove leve. Certo, se solo non avesse fatto parte della casa più sfigata del campo…

Ma sperava che le cose cambiassero. Da quando era arrivato Edward, in effetti, le cose sembravano aver preso una piega diversa. In meglio o in peggio, però, non gli era ancora ben chiaro.

Doveva comunque essere grato al nuovo arrivato, grazie al quale era riuscito ad integrarsi meglio con i suoi fratelli. Nessuno di loro lo aveva mai visto di cattivo occhio, ma Tommy si era sempre sentito l’escluso nella casa Undici, l’ultima ruota del carro. Forse perché non era mai stato davvero come tutti gli altri, non aveva mai provato gioia o divertimento a fregare cose in giro, seminare trappole per il campo ed eccetera, e la cosa lo aveva sempre fatto sentire a disagio, un inetto. Aveva sempre avuto il terrore di cosa i suoi fratelli potessero pensare di lui, e il fatto che, tra tutti i figli modello di Ermes, suo padre avesse scelto di regalare quegli oggetti così preziosi – tra cui lo zaino magico – proprio a lui, non aveva aiutato. Si sentiva come se non li meritasse.

Era un pensiero che lo aveva ossessionato, fino a quando Edward, con il suo comportamento indifferente e distaccato, non gli aveva fatto capire che il suo modo di prendere le cose era sbagliato. Doveva badare meno al pensiero altrui, meno alle conseguenze che il suo comportamento avrebbe potuto avere, doveva… rilassarsi di più.

E quando Jonathan Shine, il capocasa di Apollo, finì di guarire Rick, Tommy aveva creduto che avrebbe potuto sprofondare nel letto e non uscirne mai più. Tutta la tensione che nemmeno aveva sentito accumularsi dentro di lui si sciolse di colpo, come se gli avessero tolto dalle spalle il peso del mondo.

Sua sorella maggiore ringraziò Jonathan, che sorrise accomodante. Tra tutti gli arroganti figli di Apollo, il capocasa era il meno peggio, anche se, pure in quel momento, sembrava che avesse deciso di aiutarli solo per dimostrare quanto fosse importante.

«Non c’è di che» rispose lui, alzandosi in piedi. Diede un buffetto sul naso di Rick. «Cerca di stare alla larga dai guai, ometto. D’accordo?»

Rick annuì. Aveva ancora gli occhi rossi di pianto, ma le lacrime erano cessate. Nonostante stesse meglio fisicamente, il suo spirito sembrava ancora ferito. Qualunque cosa gli fosse successa, doveva averlo traumatizzato. Tommy si domandò se davvero fossero stati i figli di Ares a conciarlo in quel modo. L’idea, più che farlo arrabbiare lo terrorizzava. Non poteva credere che davvero qualcuno potesse prendersela con un bambino. Non poteva biasimare Edward per come si era comportato quando aveva visto cos’era successo, anche se forse avrebbe fatto meglio a non uscire di casa come un turbine in quel modo. Tuttavia, Tommy non aveva avuto il coraggio di corrergli dietro.

Avrebbe mentito se avesse detto che, a volte, Edward non lo spaventava più di Buck. Lo sguardo nei suoi occhi… lo aveva turbato e non poco.

Accompagnò Jonathan alla porta, ringraziandolo un'altra volta, mentre Natalie si prendeva cura del fratellino. Proprio sull’uscio, incontrarono Edward. Ogni traccia dell’energia avuta fino a poco prima sembrava svanita nel nulla. Pareva il fantasma del sé stesso di cinque minuti prima, per quanto assurdo quel paragone sarebbe potuto sembrare.

«Ah, il nuovo arrivato» commentò Jonathan. Uno strano bagliore luccicò nei suoi occhi chiari. «Giù al campo di tiro con l’arco si fa un gran parlare di te. Mio fratello mi ha detto che non hai mai mancato un bersaglio.»

Edward abbozzò un sorrisetto, ma non sembrava molto interessato al discorso. «Che posso dire. Ho molti talenti.»

«Sì…» Il capocasa di Apollo annuì con un lungo gesto meccanico, squadrandolo quasi come se stesse cercando di prendere le misure della sua bara. «Ce ne siamo accorti.» Si voltò verso Tommy, distendendo quel sorriso freddo. «Buona fortuna per questa sera allora, Thomas. Se ti ferissi, non esitare a chiamarci, mi raccomando!»

Non aggiunse che così almeno avrebbero potuto vantarsi di nuovo di quanto belli e bravi fossero, ma il messaggio era quello.

«Certamente» annuì Tommy, cercando di ricambiare il sorriso. «Ma me la caverò, vedrete. Gli scorpioni non mi spaventano.»

E invece lo terrorizzavano.

Jonathan lanciò un’ultima strana occhiata ad Edward, poi si allontanò. Thomas si voltò verso di lui, notando la sua espressione assente. Fece per domandargli cosa avesse combinato dopo essere uscito in quel modo, quando la voce di Natalie alle sue spalle li chiamò: «Ragazzi, Rick riesce di nuovo a parlare.»

Si radunarono nella stanza. Rick era ancora seduto, con Natalie e adesso Leyla accanto. Derek era accovacciato di fronte a loro, assieme agli altri. Tommy si avvicinò, mentre Edward rimase indietro, vicino alla porta, a sorvegliare il tutto.

«Non… non mi hanno picchiato…» mormorò il bambino. Ancora una volta, Tommy sentì il peso del mondo scivolare via dalle sue spalle. Se non altro i figli di Ares avevano ancora un briciolo di umanità.

«No?» domandò Edward. Più che sollevato, parve quasi sorpreso. Angosciato, perfino. Tommy sollevò un sopracciglio, ma non poté dire nulla, perché Rick riprese la parola.

«No. Stavo… stavo lanciando le pietre nel lago, quando… quando…» Rick strinse i pugni. Sembrava incapace di sollevare lo sguardo dal pavimento. «… ho visto qualcosa nel bosco. Una… una luce bianca. Non l’avevo mai vista prima. Mi sono avvicinato ma la luce ha cominciato a muoversi tra gli alberi, così… l’ho seguita. Credevo che provenisse da una specie di animale.»

«Ti sei addentrato nel bosco?» lo interruppe Derek.

Rick annuì con aria triste, incapace di guardarlo.

Natalie gli avvolse un braccio attorno alle spalle. «Rick… lo sai che è pericoloso.»

Di nuovo, Rick annuì, tirando su con il naso. «Non… non me ne sono accorto che mi stavo allontanando così tanto. Quando la luce è scomparsa, mi sono girato e… e non sapevo più dov’ero. Così sono tornato indietro di corsa, ma mi sono inciampato e mi sono fatto male. Ho cercato di alzarmi e… e…» Rick si interruppe.

Tommy si sentì in colpa a incalzarlo in quel modo, del resto era ancora piuttosto scosso, ma la tensione, mista alla curiosità, era troppa. «E…?»

«D-Davanti a me… era comparso qualcosa.» Il bambino drizzò lo sguardo. Nei suoi occhi rossi dal pianto, lessero la paura. «Era… era… un mostro.»

«A volte alcuni mostri riescono a raggirare i confini del campo.» Natalie lo strinse a sé, cercando di fargli coraggio. «È per questo che non bisogna allontanarsi troppo.»

«Ma… ma lui era diverso… era tutto nero, la faccia però era bianca, aveva i denti affilati, le corna e… gli occhi… rossi…»

«Occhi rossi?» domandò Derek.

Un altro cenno di assenso da parte di Rick. «Mi… mi ha sorriso. Ma… ma non era un sorriso vero… poi… poi quando ha ruggito, io… i-io…» Il ragazzino si prese il volto tra le mani, senza finire la frase.

Sua sorella cercò di stringerlo più forte, poi guardò i fratelli. «Un Lestrigone?»

«Non saprei» mormorò Derek. «Di solito non sono come li ha descritti lui.»

Anche Tommy non sapeva che pesci pigliare. E lui era quello che più di tutti nella casa Undici se la cavava in mostrologia. Del resto, più informazioni aveva sulle bestie che avrebbero potuto ucciderlo – in particolare sui loro modi di agire e punti deboli – meglio era per lui. Ma quella descrizione non gli diceva nulla. E anche il resto dei suoi fratelli pareva della stessa opinione. L’unico che faceva eccezione era Edward. Nessun altro lo vide, ma Tommy sì, perché fu l’unico a voltarsi verso di lui.

Era indietreggiato, quasi appiattendosi contro il muro. Osservava Rick con espressione sconvolta, le dita premute talmente forte nelle braccia che era doloroso anche solo guardarle. Il volto era sbiancato. Ora sembrava davvero un fantasma.

Thomas schiuse le labbra. «Edward? Tutto ok?»

Vi fu un fruscio quando tutti quanti si voltarono verso di lui, facendolo sobbalzare. Tommy si sentì uno stupido per aver attirato in quel modo l’attenzione su di lui. Pensò che Edward si sarebbe arrabbiato, invece si ricompose e schiarì la gola: «Ehm… sì, certo… ero solo… pensieroso…»

«Dovremmo… avvisare Chirone?» Thomas riprese la parola, cercando di riparare al proprio errore. «Insomma… questa sera dovremo avventurarci nei boschi per la sfida, e se magari questa… creatura ricomparisse? Potrebbe essere pericolosa.»

«Più di uno scorpione?» Derek sembrava titubante. «Non saprei… come ha detto Natalie, può capitare che alcuni mostri riescano ad aggirare i confini magici.»

«E poi che cosa vorresti ottenere? Non credo proprio che Chirone sposterebbe la sfida proprio poche ore prima dell’inizio» fece eco Natalie. «Per non parlare del fatto che se noi figli di Ermes provassimo ad avvisarlo…»

«Ci prenderebbero tutti per codardi» concluse Derek. «Possiamo anche aspettare domani, per dirlo a Chirone. Ci basterà stare attenti questa sera... beh, nel tuo caso non servirà, Tommy, ma non temere: ti daremo una sepoltura degna di un eroe. Nel caso in cui rivenissimo il tuo corpo, naturalmente.»

Una tiepida risata si sollevò nella stanza al classico verso offeso che gli scappò. Non poteva farci nulla, quando lo punzecchiavano in quel modo era come se perdesse il dono della parola. Stava per ribattere, ma una mano si posò sulla sua spalla. Edward lo affiancò, volgendogli un cenno del capo. «Partecipo anch’io.»

Quella notizia lo rassicurò un po’. Tuttavia… forse voleva fargliela pagare per lo scherzetto di poco prima. Thomas deglutì. Certe volte era troppo paranoico.

Nel frattempo, Derek scosse le spalle. «Come ti pare amico. Ma se fossi in te… mi guarderei le chiappe. Se Buck e i figli di Ares non c’entrano niente con quello che è successo a Rick, potrebbero…»

Edward lo zittì con un cenno della mano. Ora pareva disinteressato. «Sì, sì, potrebbero ancora farmi la festa nel bosco. Dimmi qualcosa che non so.»

«Tommy sarà una zavorra. Oh, no, quello lo sapevi già.»

Dopo un altro grugnito privo di significato, i presenti risero più caldamente. Perfino Rick riuscì ad abbozzare un sorriso. A quella vista, la rabbia svanì da dentro di Tommy, che intuì il tentativo di Derek di smorzare la tensione.

«Buona fortuna allora, ragazzi» annunciò infatti il capocasa. «Non fatevi ammazzare.»

«Farò del mio meglio» rispose Edward.

«Ce l’hai già un’arma?» gli domandò Tommy.

«Uhm…» Il semidio estrasse un coltellino a farfalla dalla tasca della giacca, per poi osservarlo assorto. «Immagino mi serva qualcosa di più grosso…»

«Possiamo andare a fare un salto in armeria, tanto la cena è tra un’ora.»

«Va bene.»

Tommy arruffò i capelli di Rick, poi salutò il resto della banda e uscì insieme a Edward.

«Aspettate.» Appena fuori dalla casa Undici, Natalie li raggiunse. I lunghi capelli color rame le sventolavano sopra le spalle, arruffati. Anche lei era accorsa in fretta e furia per soccorrere Rick.

Posò gli occhi su Edward, seria in volto. «Non sono stati i figli di Ares, ma non pensare che la cosa ti scagioni.»

«C-Cosa?» domandò Tommy. «Nat, di che stai…»

Natalie lo ignorò, concentrandosi solo su Edward. «Da quanto sei arrivato non hai fatto altro che creare problemi, e forse gli altri non se ne sono accorti, perché ormai ti hanno accettato nella nostra casa, ma io lo vedo cosa stai facendo.» Piazzò l’indice sul petto di Edward, facendolo indietreggiare. Tommy non aveva mai visto Nat comportarsi in quel modo. «Sei un piantagrane. Sarà meglio che tu non abbia fatto stupidaggini quando sei uscito, poco fa. Se dovesse succedere qualcosa ad uno qualsiasi di noi per colpa tua, te la farò pagare cara.»

Edward serrò la mascella. I due ragazzi si osservarono negli occhi per un breve momento. Natalie non sembrava per nulla intimidita da lui. Alla fine, il ragazzo distolse lo sguardo, annuendo. «Non avevo cattive intenzioni. Voi siete la prima famiglia che ho da… da molto tempo. Volevo solo… proteggervi.»

«Non abbiamo bisogno di protezione» tagliò corto lei. «Non della tua, almeno. Non ci serve la balia, e di sicuro non ci servono altri problemi.»

«Va bene.» Edward annuì una seconda volta. «Mi… mi dispiace.»

«Sì.» Natalie lo osservò ancora per un momento. La sua espressione parve ammorbidirsi. «Anche a me.» Diede loro le spalle e tornò in casa.

 

***

 

La brezza tiepida della sera calante accarezzò la pelle di Tommy con delicatezza, trasportandosi dietro l’odore dolce delle piantagioni di fragole in fiore. Adorava quell’atmosfera. Gli ricordava i giorni trascorsi nella casa di campagna dei suoi nonni, quando era ancora più piccolo e tutte le difficoltà che lo avrebbero tormentato negli anni a venire erano ancora distanti.

Quanto tempo era passato…

I semidei non avevano mai vite facili, ma Thomas poteva considerarsi abbastanza fortunato. Tutti i suoi parenti più stretti erano ancora vivi, ad esempio. Certo, tutti quanti ignoravano la sua esistenza, a parte i suoi nonni, ma quella era un’altra storia.

Chissà com’era la storia di Edward. Non aveva mai raccontato molto di sé, la storia generale sulla sua vita era sempre sembrata piuttosto… sintetica. Ma a giudicare da come si comportava certe volte, non era molto difficile immaginare il suo passato. Edward arrivava da così tante battaglie, fisiche e anche mentali, che non poteva esserne uscito tutto d’un pezzo. Essere semidei ed arrivare a diciott’anni senza essere riconosciuti… Thomas non riusciva nemmeno a credere che fosse possibile. Il nuovo arrivato era una brocca piena zeppa d’acqua, ma nessuno sapeva quale sarebbe potuta essere l’ultima goccia.

Ora sembrava più tranquillo rispetto a poco prima, ma la tensione dentro di lui era ancora palpabile. Forse era ancora turbato dalle parole di Natalie.

«Non pensare troppo a Nat» cercò di rassicurarlo. «Fa così con tutti. Ha un mucchio di fratelli scalmanati a cui badare, a stento riesce a tenere a freno Derek, che in teoria dovrebbe essere il più maturo tra tutti noi. È normale che sia un po’ irascibile. Non è davvero colpa tua.»

«Mh… forse hai ragione.»

Non disse altro. Non sembrava che le sue parole avessero avuto particolare effetto. Thomas si mordicchiò l’interno della guancia, decidendo di cambiare argomento. «Tu… tu lo sai quale mostro ha visto Rick, vero?»

Edward parve rimuginare per un po’. Alla fine, si lasciò scappare un sospiro. «Credo di saperlo. Ne ho incontrato qualcuno di simile, una volta. Ma… spero che Rick si sia sbagliato.»

«Perché?»

«Perché se è davvero quello che penso, siamo nei guai.»

Thomas spalancò la bocca come un baccalà. E dopo quella frase carica di positività, Edward non pronunciò più parola fino a quando non giunsero alla loro meta.

All’arena di combattimento non trovarono molte persone, e le poche che c’erano erano indaffarate con i loro allenamenti dell’ultimo minuto. Nessuno badò a loro quando si avvicinarono alle rastrelliere delle armi.

«Dunque…» cominciò Tommy, ancora teso, dando uno sguardo. «… cosa vorresti usare?»

Edward si prese il mento. Il suo sguardo cadde sul lanciafiamme di fuoco greco.

«Meglio di no» commentò Thomas, intuendo cosa gli frullasse per la mente. «Il fuoco greco è un po’… volatile.»

Edward parve deluso. Si illuminò di nuovo poco dopo, tuttavia, quando vide un arco. Era del colore della neve, intatto e pulito, facendo sembrare che fosse fatto di avorio e non di legno. Aveva una forma insolita, simile a una M ondulata, con la parte centrale costituita dall’impugnatura rivestita di cuoio nero. Era piuttosto spesso, l’impugnatura pareva quella di una spada. Una frase di colore nero dai piccoli caratteri era dipinta lungo la parte ricurva. Edward la esaminò e Thomas si avvicinò per vedere meglio.

 

風のように速

 

«È… uhm… cinese?» domandò, un po’ imbarazzato.

«Giapponese» lo corresse Edward, gli occhi incollati sulla scritta quasi come fossero magnetizzati. «Kaze no yō ni hayai» mormorò, come in trance.

Tommy spalancò gli occhi. «Eh?»

Edward trasalì. «Ehm… significa “Veloce come il vento.”»

«E come fai a saperlo? Conosci il giapponese?»

«B-Beh… non proprio. No.» Edward si rabbuiò. Strinse con più forza la presa attorno all’arco. «Non… non lo so come faccio a saperlo. Ho visto la scritta e…»

«Blake!»

Una voce tuonò alle sue spalle, facendolo saltare di un metro. Odiava essere chiamato per cognome. Ma ancora di più, odiava quando lo facevano trasalire in quel modo. Si voltò per vedere in faccia l’autore di quello scherzetto, ma non vide nessuno.

«Ehm-ehm.» La voce proveniva da più in basso. Tommy aggiustò lo sguardo, accorgendosi di una delle poche persone più basse di lui in quel campo, il coach Hedge.

«C-Coach!»

Il satiro lo osservò con la sua classica espressione burbera. Era uno dei satiri più anziani, aveva una moglie e perfino un figlio poco più grande di Tommy, ma anziché ritirarsi aveva continuato a svolgere un ruolo nel campo, abbandonando il più pericoloso compito da protettore e abbracciando quello da addestratore. Probabilmente il coach Hedge avrebbe continuato a urlare ai semidei di fare flessioni fino a quando non avrebbe esalato il suo ultimo respiro.

«Immagino che tu non sia qui per finire quelle flessioni. A proposito, te ne ho aggiunte altre cinquanta. E continueranno ad aumentare fino a quando…» Hedge parve dimenticarsi di lui quando si accorse di Edward. «Uh, ancora tu. Hai messo su un bello spettacolino, l’altra volta.»

«Sì, beh… quegli idioti se lo sono meritato» rispose Edward.

Hedge grugnì, una risposta che poteva voler dire tutto e niente allo stesso tempo. Si accarezzò la barbetta sotto al mento, osservandolo scrupoloso. «Non riesco ancora a inquadrarti.»

«È sempre per via del mio strano odore? Giuro che mi sono fatto la doccia anche oggi, coach.»

Il satiro abbozzò un sorrisetto. «Pare che non abbia funzionato. Continuo a percepire qualcosa di diverso, in te. Ma non so se è qualcosa di buono o di cattivo. E visto che sono in dubbio, non ti farò fuori. Per ora

«Oh, che gentile…»

«Lo so! Sono così gentile che ha volte sembra quasi che gli altri se ne approfittino...»

Edward ignorò il satiro e si concentrò sull’arco. Se lo rigirò tra le mani, accarezzò i pittogrammi, dopodiché prese la sua decisione e se lo infilò a tracolla. Recuperò una faretra piena di frecce con la punta di bronzo celeste, poi indossò anche quella. Si voltò verso di Tommy. «Non mi serve altro.»

«Ne sei sicuro?» domandò Tommy, girando con cautela attorno ad Hedge. «Non pensi sia un po’ poco contro degli scorpioni giganti?»

«Ha ragione!» fece eco Hedge. «Per sconfiggere uno scorpione bisogna colpirlo forte sulla testa! Le frecce gli faranno il solletico!»

Tommy non ricordò al coach che la strategia del colpire alla testa la applicava ad ogni cosa. Non voleva mica che si arrabbiasse e colpisse alla testa pure lui.

«Credimi, basterà» rispose Edward.

Thomas sollevò un sopracciglio. Stava per chiedergli che cosa avesse in mente, ma il corno della cena risuonò in lontananza, distogliendo la sua attenzione.

«Beh, angioletti, direi che qui avete finito. Non appesantitevi troppo, o per gli scorpioni sarà più facile raggiungervi!» 

E con questa seconda nota molto positiva, Thomas ed Edward lasciarono l’armeria.

 

***

 

Una ventina di coppie era radunata attorno a Chirone, ai margini della foresta. Tutti indossavano l’armatura apposita per la sfida: una cotta di maglia, copri ginocchia, parastinchi, proteggi gomiti, tutte protezioni rivestite di bronzo celeste.

Tommy probabilmente si sarebbe scambiato per un Power Ranger se si fosse guardato allo specchio conciato in quel modo, ma dopotutto l’armatura era fatta sì per dare protezione, ma anche velocità nei movimenti. E a lui serviva la velocità, perché avrebbe corso, e anche tanto.

Non aveva armi con sé, solo lo zainetto magico, ben fornito di granate e di uno scudo ed un falcetto di bronzo celeste, anche se sperava di non doverli usare, perché l’idea del corpo a corpo non lo entusiasmava molto. Faceva schifo a combattere.

Diede uno sguardo alle coppie attorno a loro: vide Buck e alcuni suoi fratelli confabulare tra loro, vide Paul, della casa di Demetra, che a quanto pare avrebbe fatto coppia con Derek, alcuni dei suoi fratelli, più una sfilza di tutti i semidei appartenenti a quelle case che, in circostanze come quella, era meglio evitare; figli di Nike, i già citati figli di Ares, figli di Nemesi, figli di Ecate, di Atena, perfino gli arcieri della casa di Apollo sembravano in trepidante attesa di cacciare qualche insetto formato extralarge.

E poi… lei.

Se le brezze tiepide d’estate miste all’odore dolce delle fragole avrebbero potuto avere un aspetto umano, quell’aspetto sarebbe stato il ritratto di Rosa Mendez. La bellissima semidea stringeva la sua spada di argento prediletta, quella con cui aveva macellato centinaia e centinaia di manichini nell’arena. I suoi grandi e meravigliosi occhi verdi brillavano sotto la luce della luna, carichi di determinazione. Il naso piccolo, i lineamenti aggraziati, le labbra sottili tirate all’insù in quel sorrisetto vispo ed entusiasta che mostrava in continuazione, la pelle color caffelatte, i capelli di quella tonalità arancione accesa mista al biondo. L’armatura le calzava a pennello, anche se probabilmente qualsiasi cosa le sarebbe stata bene.

Rimase così incantato da lei che non si accorse nemmeno di chi fosse il suo partner. Ammesso che ne avesse qualcuno. Nemmeno lei era molto popolare tra i semidei, soprattutto perché tutte le volte che maneggiava una spada diventava piuttosto spaventosa.

E Thomas pensava che non ci fosse ragazza più sexy di quella spaventosa. Dei, se era innamorato. Peccato che lei fosse all’oscuro della sua esistenza. Un po’ come tutte le altre ragazze del campo, a parte le sue sorelle e Stephanie.

E tal a proposito, Tommy si sorprese di vedere anche la sua amica prendere parte alla gara. Ma la sorpresa provata nel vedere lei non fu niente se messa a confronto con quella provata nel vedere la persona con cui era in coppia.

E anche Edward parve accorgersi di loro, perché afferrò Tommy per il braccio con forza, stringendo al punto da fargli male. «Che diamine sta facendo?!»

«E-Edward, mi spezzi il braccio!»

«Scusa.» Edward mollò la presa, per poi tornare ad osservare sconvolto Konnor e Steph, messi in disparte, quasi a non voler dare nell’occhio. Peccato che ormai erano finiti nei loro occhi. In quelli di Edward in particolare.

Prima che uno di loro potesse dire ancora qualcosa, Chirone richiamò l’attenzione di tutti a sé. «Semidei» esordì, mostrando un sacchetto di seta rossa. «Era da molto che questa sfida non veniva proposta, quindi sarà meglio spiegare nuovamente le regole: nel bosco sono stati liberati sei esemplari di scorpioni, ciascuno dei quali possiede un sacchetto come questo legato attorno al collo. Tuttavia, solo uno di loro possiede l’alloro della vittoria. La prima coppia che tornerà in suo possesso, sarà dichiarata vincitrice. Sarebbe meglio aggiungere che, di norma, la disposizione delle coppie sarebbe dovuta essere casuale, ma per quest’anno ho deciso di chiudere un occhio. Vedremo se questo ne gioverà alla competizione! Buona fortuna a tutti quanti e che vinca il migliore!»

Il centauro ordinò loro di prepararsi. Poi, quando diede il via, un boato si sollevò tra i semidei, che cominciarono a correre verso il bosco. Tommy fece per avviarsi, ma Edward lo afferrò. «Seguiamoli.»

«C-Cosa?» Tommy lo guardò confuso. «Chi? Oh…»

Lo sguardo di Edward era ancora fissato su Steph e Konnor. Thomas cercò di protestare. «Veramente io avevo altri piani… e speravo che tu avessi deciso di partecipare per aiutarmi. L’onore della casa di Ermes dipende da me!»

Certo, anche Derek partecipava, ma lui e Paul probabilmente avrebbero, come poteva dirlo in modo gentile, cazzeggiato per tutto il tempo. Tommy invece non era lì per distrarsi.

Ed Edward parve capire il suo stato d’animo, perché sospiro. Tuttavia, parve avere un’idea. «Ascolta, Steph è una figlia di Demetra, lei saprà come muoversi nel bosco, mentre Konnor è un figlio di Ares, lui saprà come sconfiggere gli scorpioni. Se li seguiamo potremmo lasciare che facciano tutto il lavoro e…» 

Non finì la frase, incitando Tommy a giungere alla conclusione con un cenno della mano. A Thomas quel piano non piaceva affatto, ma sapeva di non poter convincere Edward a cambiare idea. Così, a malincuore, acconsentì. E insieme si inoltrarono nella vegetazione, al seguito della strana coppia.

 

***

 

Cercarono di tenere una distanza di sicurezza piuttosto elevata, per non farsi notare. Il figlio di Ares e la figlia di Demetra procedevano fianco a fianco, parlottando. Di tanto in tanto Steph si voltava verso Konnor, apparendo piuttosto confusa. Chissà di cosa stavano discutendo. Sicuramente era una domanda che nella testa di Edward doveva risuonare piuttosto forte. Certo, senza ombra di dubbio vedere quei due assieme era strano. Tuttavia, osservandoli, una vecchia storia cominciò a tornargli in mente, una storia che le figlie di Afrodite avevano cercato di affossare in tutti i modi e che riguardava proprio loro due.

«Ohh…» mormorò all’improvviso, quando fu colto dall’illuminazione.

«Che ti prende?» domandò Edward.

«Mi sono ricordato una cosa che avevo sentito» spiegò Tommy. «Circa un anno fa, un paio di anni dopo che Steph era arrivata nel campo, Konnor le aveva chiesto di uscire… beh, “uscire” si fa per dire, nel Campo Mezzosangue non ci sono molti posti dove uscire, ma ci siamo capiti. Però lei aveva rifiutato. E le figlie di Afrodite che andavano pazze di lui non l’hanno presa bene. Unisci questo al fatto che Steph è figlia di Demetra e…»

«Ed ecco perché la odiano» concluse Edward, stringendo i pugni. «Non ha senso, però. Perché mai dovrebbero avercela con lei? Dovrebbero essere felici del fatto che lui sia ancora libero.»

«Immagino che sia perché lui non l’ha mai chiesto a nessuna di loro. E l’unica ragazza a cui l’ha fatto, nemmeno una loro sorella, ha detto di no. Si saranno sentite… prese in giro.»

«Minacciate, vorrai dire…» 

Thomas si strinse nelle spalle. Tutta quella storia non l’aveva mai riguardato e un po’ lo metteva a disagio. Inoltre, lo portava a domandarsi cosa si provasse a piacere così tanto a delle ragazze al punto da spingerle a odiarne altre. Lo portava a domandarsi cosa si provasse a “piacere alle ragazze” e basta.

«Magari ci sta provando di nuovo con lei…» suppose Tommy, mentre lui ed Edward erano nascosti dietro a dei cespugli. L’espressione che apparve sul volto di Edward non fu molto rassicurante, ma rimase in silenzio, e Thomas si riguardò dall’aggiungere altro.

Decise di lasciare ad Edward il compito di tenere sotto controllo quei due. Del resto, l’idea era stata sua. Fece vagare lo sguardo attorno a sé, annoiato. Non era quello che si aspettava di fare in quella sfida, del resto. E anche se sapeva che il piano di Edward non consisteva davvero nel rubare la vittoria sotto al naso di Steph e Konnor, l’idea di farlo lo turbava lo stesso. Steph era sua amica, dopotutto. E Konnor… beh, era un figlio di Ares. E loro non erano simpatici. Stava quasi per dire ad Edward di voler rinunciare, quando qualcosa apparve alla sua visuale.

Sgranò gli occhi. Diede un colpetto al braccio di Edward, chiamandolo. «E-Edward?»

«Che c’è?»

«Guarda.»

Il semidio si voltò con un grugnito, per poi sussultare. Poco distante da loro, nascosta tra gli alberi, una lucina bianca faceva capolino.

«È… è…» A Tommy mancavano le parole. Non poteva essere proprio quella luce. Edward, sfortunatamente, era di altro avviso.

«Sì» mormorò, alzandosi in piedi. Si diresse verso di lei, dimenticandosi di Konnor e Stephanie, cosa che Tommy non seppe dire se fosse buona o cattiva. Seguì il compagno, imitando i suoi stessi movimenti lenti e calmi e arginando rametti e foglie che avrebbero potuto scricchiolare.

Si infilarono tra gli alberi, facendo il giro attorno ad una grossa quercia e la fonte della luce si trovò di fronte a loro. Tommy non riuscì a credere ai propri occhi. Non aveva mai visto niente del genere prima di allora.

La fonte di quella luce… era una piccola creatura vivente, delle dimensioni di un bambino. Il corpo era tutto bianco, le gambe e le braccia erano costituiti da moncherini senza mani, piedi o dita. Qualsiasi tipo di tratto fisico era assente. La testa era tonda, priva di capelli, orecchie, naso. Gli occhi e la bocca, o quelli che credeva fossero gli occhi e la bocca, erano soltanto tre cavità nere.

Era rannicchiato a terra e giocherellava tracciando segni nella terra. La luce bianca proveniva proprio dal suo corpo, riflessa da quella naturale della luna, anche se talvolta pareva avere sfumature verdi.

«Non… non capisco se è carino o inquietante…» mormorò Tommy.

Il piccoletto si voltò di scatto verso di loro, facendolo sussultare. Li scrutò con quel volto che sembrava perennemente sorpreso, piegando la testa.

Thomas si voltò verso Edward. «Che… che cos’è?»

Per la seconda volta nel giro di quelle poche ore, lo vide di nuovo scosso. Non rispose alla domanda.

«Edward?» Tommy lo chiamò nuovamente. «Tu… tu lo sai cos’è?»

Dopo un attimo di esitazione, Edward si strinse nelle spalle. «Non so come si chiamino, ma… sì. Li ho già visti qualche volta, molto tempo fa. Non preoccuparti, sono innocui. Vivono negli alberi.»

«Negli alberi? Come le driadi?»

«Sì.»

Il piccoletto parve intuire di essere chiamato in causa, perché si alzò in piedi. Puntò le orbite vuote proprio su Edward, che, nonostante l’avesse appena definito innocuo, fece un passo indietro. Pareva piuttosto combattuto da quella vista. Come se non riuscisse ad accettare ciò che stava vedendo. E in effetti, anche Tommy faticava a crederci: come avevano fatto a non vedere quegli spiriti degli alberi prima di allora? E perché di loro non c’era nessuna informazione da nessuna parte? 

Ma la scoperta più grande doveva ancora arrivare: Rick aveva detto di aver visto una luce che si muoveva tra gli alberi. Era palese che stesse parlando di quella creaturina. Ma se allora non si era sbagliato su di lei, ciò voleva anche dire…

Il piccoletto sobbalzò di colpo, facendo sobbalzare Thomas a sua volta. In un istante, era già scappato tra gli alberi, smarrendosi in mezzo ad essi. Tommy schiuse le labbra. «Ma… ma cosa…»

«Sì è spaventato» disse Edward.

«Ma noi non abbiamo…»

«Non siamo stati noi» lo zittì l'amico, per poi afferrarlo per un braccio e tirarlo di peso dietro un grosso masso nascosto tra dei cespugli poco lontani.

Prima che Thomas potesse domandare, per l’ennesima volta, cosa diamine stesse succedendo, un parlottare soffuso giunse da lontano. Il figlio di Ermes ammutolì e tese le orecchie. Le parole confuse cominciarono ad assumere significato man mano che le voci si avvicinavano, accompagnate da alcuni passi pesanti.

«… visti passare di qua» disse la prima voce. Tommy la riconobbe: era di uno dei figli di Ares. E questo poteva significare solo una cosa.

Buck grugnì. «Bene. Sbrighiamoci. È ora che quel novellino impari a conoscere il suo posto. E già che ci siamo vediamo di dare una ripassata anche a quel nano.»

Thomas sussultò. Lo sapeva che non doveva rispondere a quei tizi all'arena, lo sapeva!

Il gruppo di ragazzi, forse tre coppie, proseguirono lungo il percorso erboso, allontanandosi dalla zona e continuando a confabulare su come avrebbero fatto loro la festa quando li avrebbero trovati. Tommy riprese a respirare solo quando furono abbastanza lontani e il rumore dei loro passi scomparve del tutto. Sempre accanto a lui, rintanato tra i rametti del cespuglio, Edward non sembrava per niente di buon umore.

«L’unico che ha bisogno di una ripassata è quell’idiota» sbottò, rialzandosi in piedi. «E ora abbiamo anche perso Konnor e Steph…»

«Edward.» Anche Tommy si rialzò. Non gli importava granché del figlio di Ares e della figlia di Demetra, e per quanto non gradisse l’idea di essere pestato, nel cespuglio aveva avuto modo di pensare ad altro. «Se la storia della luce bianca era vera… questo significa che anche il mostro…»

«Lo so.» Edward strinse i pugni. «Lo so.»

«Che cosa facciamo, quindi?»

«Questo non lo so.»

«Oh… ok.»

Edward abbassò la testa. Non disse altro.

«Ehm… andiamo ad avvisare Chirone, o…»

«Tommy» lo interruppe Edward, voltandosi di nuovo verso di lui. La sua espressione era indecifrabile. «Ascolta. Queste creature… gli spiriti degli alberi, il mostro che ha visto Rick… loro…»

Un grido proveniente da lontano lo frenò bruscamente. Un grido di una ragazza.

«Hai… hai sentito?» domandò Thomas.

Edward non rispose nemmeno: cominciò a correre, sfilandosi l’arco dalla tracolla, dirigendosi verso il luogo da cui l’urlo di Stephanie era provenuto.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: edoardo811