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Autore: Evola Who    08/12/2018    1 recensioni
Una vacanza ad Asbury Park. Sette giorni in una piccola località di mare della provincia Americana. Per lei era un posto che nascondeva un luogo pieno di storia del rock, grazie al passaggio del mitico boss...
In quel momento provava una profonda tristezza e solitudine. E non era solo all'idea di tornare a casa, piuttosto per quello che si stava lasciando alle spalle...
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Andarono a casa di Jean, che alloggiava in un piccolo appartamento sulla spiaggia. Quando entrarono in camera, si gettarono subito l’uno sull’altra. Sandy gli tolse la giacca e gli slacciò i bottoni della camicia, accarezzando avidamente la sua pelle nuda.
 
Jean le mise le mani sotto il vestito, toccandola leggermente, sebbene in modo piuttosto lussurioso, risalendo dai suoi fianchi fino alla schiena, togliendole di dosso l’indumento.
 
Quando si furono privati dei vestiti, si unirono con dolcezza, senza smettere di baciarsi, di accarezzarsi e di dirsi piccole frasi dolci.

Si desideravano a vicenda: per Jean erano passati mesi, che sembravano eterni, dall’ultima volta in cui qualcuno lo aveva desiderato così tanto, e si sentiva così fortunato e felice. Per Sandy, invece, era l’esperienza più folle che avesse mai fatto.
 
Ma quel desiderio, i suoi respiri e le sue parole la facevano sentire desiderata e amata come donna. Era la sensazione più intensa e eccitante che avesse mai provato.
 
Dopo l’atto, si coccolarono a vicenda, rimanendo a letto, sodisfatti e felici, soprattutto trovarsi l’uno accanto all’altro. Sandy confessò che era stata la sua prima e vera esperienza sessuale – con lo stupore di Jean – ma lo rassicurò subito, dicendo che era stata l’esperienza più bella della sua vita.

E lui confessò che era la prima donna con cui avesse fatto sesso dopo essere stato lasciato e ammise di essere stato anche un po’ nervoso.
 
La ragazza lo rassicurò, dicendo che era stato molto dolce, e lo baciò sulla guancia. Entrambi continuarono a coccolarsi fino a che non si addormentarono.

Quando Sandy si svegliò, vide dalla sveglia che erano le due di notte passate e doveva andare. Si alzò dal letto, senza far rumore, per evitare di svegliare Jean, si vestì e andò via.
 

****

 
Ora si trovava in quella sala d’attesa, in aeroporto. Dopo aver sistemato la valigia, ed essersi fatta una doccia, era andata a prendere l’autobus per Atlantic City.
 
E tutto questo dopo la sua prima volta, era scappata via come una ladra, senza dire nulla a Jean, nemmeno un bigliettino scritto. Pensava a tutto questo, tenendo tra le dite la collana che lui le aveva regalato, sentendosi terribilmente in colpa per avergli mentito.

Il suo nome non era Sandy, non era Inglese e, di certo, non studiava letteratura all’università.

In realtà, si chiamava Eva, era Italiana, viveva una piccola città di provincia sull’appennino Bolognese, lavorava come utente in una cooperativa sociale e, se non avesse vinto una piccola somma con un gratta e vinci, non avrebbe mai potuto permettersi quella vacanza.
 
Quando Jean si era presentato per la prima volta, aveva deciso di “esagerare” un po’, sperando di diventare un po’ più interessante davanti a lui.
 
E, quando avevano iniziato a frequentarsi, aveva pensato che sarebbe stata una piccola avventura estiva, nulla di che.

Certo, poi si era invaghita di lui. E dopo quella notte, che pensava fosse solo una “avventura di una notte”,
Come nei film, si sentiva ancora peggio. Senza pensieri, senza emozioni.

Ma lei non era così. Eva era sensibile ed emotiva, si faceva coinvolgere delle cose. E purtroppo per lei, si era accorta di essere innamorata di lui. Non doveva succedere, non doveva capitare e non poteva essere vero.
 
Ma era così. Doveva ammetterlo a se stessa. Così come doveva accettare il pensiero che, dopo che fosse salita su quell’aereo, non l’avrebbe mai più rivisto e sarebbe dovuta andare avanti con la sua solita vita.
 
Fece un lungo sospiro e chiuse gli occhi per riposarsi un po’. Ma in quel momento, sentì qualcuno che gridava: “Eva! Eva!”.
 
Aprì gli occhi di scatto, spaventata, e si guardò intorno, per capire se qualcuno la stesse effettivamente chiamando o si stesse rivolgendo ad un’altra ragazza con il suo stesso nome. Rimase quasi sconvolta: era Jean, vestito e con la chitarra dietro alla schiena con la tracolla e si guardò intorno. Correva attraverso tutto l’aeroporto, gridando il suo nome.
 
A quel punto, Eva si alzò chiamandolo: “Jean!”.
 
Lui si girò e sorrise, vedendola, quindi corse verso di lei: “Eva!”.
 
Quando le fu davanti, Eva si accorse che Jean aveva il fiatone: “Pensavo, pensavo che fossi già sull’aereo” disse e riprese fiato.
 
“No” rispose lei un po’ perplessa “Il mio parte fra un’ora e devo fare due scali”. Poi si rese conto di quello che stava spiegando e domandò confusa: “Ma come hai fatto a trovarmi? E soprattutto, come fai a sapere il mio vero nome?”.
 
Jean si sedette accanto a lei e spiegò: si era svegliato verso le sei, sentendo accanto a sé l’altra parte del letto fredda e vuota.

Era rimasto davvero confuso dalla sua assenza, così era andato al bed and breakfast per cercarla, visto che non si erano mai scambiati i numeri di cellulare, ma aveva avuto qualche difficoltà, visto che non c’era una “Sandy” con la sua descrizione fisica e senza un cognome. Allora, aveva deciso di mostrare il selfie che avevano fatto il giorno precedente. La signora della reception aveva spiegato che la ragazza non si chiamava “Sandy” ed era partita meno un’ora prima.
 
“So che quasi tutti i turisti partono dall’aeroporto di Atlantic City. Così ho preso un autobus diretto qui per cercarti, sperando che non fosse troppo tardi”.
 
Eva lo guardò con aria sorpresa, con la bocca semi aperta. Non sapeva cosa dire o pensare. Era forse la scena più dolce a cui avesse mai assistito. O una cosa da stalker. Ma non poteva fare a meno di essere stupita di lui e di come l’avesse cercata.
 
“E… immagino che tu sia venuto qui per chiedermi perché me ne sono andata via senza dire niente”.
 
“No, al contrario. Voglio chiederti di restare qui con me. Almeno per un altro po’” rispose Jean e le prese la mano.
 
“Cosa?!?” rispose Eva, quasi urlando.
 
Non poteva credere a quello che aveva sentito. Si aspettava che Jean fosse arrabbiato con lei o che ne fosse rimasto tremendamente deluso, ma non che volesse ancora stare con lei.
 
“So che devi andare, ma ti prego rimani qui con me. Solo per un po’. Per vedere se questa storia tra di noi può andare avanti”.
 
“Come puoi chiedermi una cosa del genere?” chiese lei, sconvolta, guardandolo negli occhi malinconici ma con lo sguardo speranzoso.
 
“Ti ho mentito, Jean. Io non sono Inglese, non studio letteratura e non mi chiamo nemmeno Sandy!”.
 
Il viso del ragazzo rimase stranito come se non capisse le sue parole.

“Come puoi fidarti di me? Dopo che ti ho mentito su questo?”
 
“Perché a me di queste cose non interessa!” rispose Jean con sicurezza, guardandola.

Eva batté le palpebre, confusa da quelle affermazioni: “A me non interessa del tuo nome, della tua nazionalità o del tuo lavoro. Perché so che le tue passioni, i tuoi sogni, i tuoi sorrisi, le tue emozioni e tutto quello che ci siamo detti, erano veri” rispose e le strinse la mano con dolcezza “Come quello che ti ho detto di me, dei miei sogni, delle mie passioni, della mia famiglia. Ma soprattutto, so che le nostre risate, il nostro bacio e questa notte erano reali. E so che lo sono anche per te”.
 
Eva continuò a guardarlo, titubante ma colpita dalle sue parole e di come le stringeva la mano. Nessuno aveva mai fatto tanto per lei. Si sentiva amata e anche un po’ spaventata.
 
“In fondo, che cosa è un nome? Ciò che chiamiamo rosa, anche non un altro nome, conserva sempre il suo profumo”.
 
Eva rise un po’ divertita, dicendo: “Vuoi conquistarmi citando Shakespeare?”.
 
“Veramente volevo usare l’aiuto della mia vecchia amica” rispose Jean.
 
Si alzò, prese la chitarra in mano per poi mettersi in ginocchio davanti a lei. Eva era perplessa, ma capì subito le sue intenzioni.
 
“Jean, non…”
 
“Non dirmi che non devo” la interruppe subito. “Prima di dirmi tutto quello che pensi o di criticarmi, ascoltami”.
 
Eva era dubbiosa, ma acconsentì, seppure con un po’ di imbarazzo.
Jean iniziò a suonare, erano gli accodi di “Sandy”.
 

“Eva, the fireworks are saluting inside me now…”

 
Non poteva crederci, aveva cambiato il testo per lei, non sapeva che cosa provare.
 

“enlightening all those frightened faces by force
remained stranded in this five of July
down at the airport it's full of with switchblade lovers
so fast so shiny so sharp
and the wizards play on Pinball Way
on the catwalk, past the dark
and the boys drink bars
with their open shirts like Latin lovers along the balcony.
chase all those silly foreign sturiste..”

 
Al quel punto, si sentì una fisarmonica in lontananza ed Eva vide una giovane donna con in mano lo strumento che si mise accanto a Jean.
 
Eva si portò una mano alla bocca dallo stupore. Il solo fatto che lui cantasse quella versione di “Sandy” per lei era una cosa incredibile. Jean aveva organizzato un vero e proprio spettacolo solo per lei, per convincerla a restare.
Si formò una piccola folla intorno a loro e alcune persone li filmarono persino con il telefono. Ma Eva orami aveva il cuore pieno di gioia, si emozionò quando Jean suonò l’assolo strumentale.
 

“Eva the aurora’s rising behind us,
the pier lights our carnival life forever
oh love me now and I promise I’ll love you forever”

 
Jean finì di suonare, senza staccare gli occhi dai suoi, sorridendo, mentre la piccola folla iniziò ad applaudire. Jean non diede loro attenzioni.
Rimanendo ancora in ginocchio disse: “Allora? Questo non ti ha fatto capire che non mi importa di quelle piccole bugie, ma solo di te e di noi? Quindi, ti prego, rimani qui ancora per un po’” le disse, poi entrambi rimasero in silenzio.
 
Eva aveva entrambe le mani sulle labbra con gli occhi lucidi.

Jean rimase in ginocchio in attesa della sua risposta, come le presone attorno a loro. Tutti erano impazienti di sentire la sua risposta, come se fosse una scena cult di un film.
 
Eva voleva urlare di sì, buttarsi tra le sue braccia e baciarlo. Non tanto per il suo gesto a dir poco romantico, ma perché era veramente innamorato di lei, nonostante quelle piccole bugie. Avrebbe voluto dirgli di sì, come nei migliori finali delle commedie romantiche.
 
 Ma quello non era un film, era la vita reale. Doveva pensare alla sua vita, alla sua famiglia e a quello che doveva fare.
 
Così, guardò in basso, tolse le mani dalle labbra e disse: “Jean, io vorrei tanto dirti di sì, ma non posso”.
 
Le lacrime iniziarono a scendere lungo le sue guance, mentre il pubblico ci rimase male.
 
“Io devo tonare a casa. Devo tornare della mia famiglia, dal mio lavoro, alla mia vita. Quindi non posso restare, per quanto io lo voglia. Mi dispiace” disse piano.
 
Eva si sentì ancora peggio. Questa volta lo avrebbe davvero ferito. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei non sapeva come riuscisse a trattenersi dal piangere per il dolore. Probabilmente per le persone che li fissavano e li filmavano. Jean non sembrava molto scosso da quel rifiuto. Anzi, sembrava che non fosse nemmeno triste.
 
“Beh, avevo previsto questa risposta. Ma ho ancora un asso della manica. E questa volta, so che non rifiuterai”.
 
Eva rimase perplessa da quella frase, non sapeva se dovesse essere preoccupata o spaventata da quelle parole.
 
Jean mise una mano nella tasca posteriore dei jeans e ne tirò fuori un biglietto. Si trattava di un biglietto rigido e abbastanza lungo, come quelli degli stadi. All’inizio, Eva era titubante, ma lo prese e rimase sconvolta.
Springsteen on Broadway!” lesse emozionata.
 
Non ci voleva credere. Aveva in mano un biglietto per il concerto di Bruce Springsteen a New York! Ed era datato per quel sabato. Aveva la bocca aperta per lo stupore, come la gente che si trovava ancora attorno a loro.
 
“Come li hai avuti? Avevi detto che erano già esauriti!” chiese, guardandolo con un sorriso.
 
Jean ricambiò il sorriso, spiegando: aveva passato la giornata con sua sorella nella grande Mela, prima del loro appuntamento. Lei aveva comprato i biglietti per sé e la sua ragazza.
 
 Ma all’ultimo momento le hanno dato un impegno di lavoro. Così, li aveva regalati al fratello. Jean voleva fare una sorpresa a Eva durante il loro appuntamento. Ma li aveva dimenticati al suo appartamento.
 
“Visto che nessuno di loro aveva mai visto il boss del vivo. Quindi, ti va di vivere questa esperienza insieme? Per la prima volta?”.
 
Le lacrime di Eva non erano più di tristezza, ma di gioia. Non per i biglietti, non per la canzone, ma per le sue parole e i suoi gesti. Non aveva mia assistito ad una cosa del genere. Soprattutto per lei. Allora i sentimenti di Jean erano davvero sinceri. E anche i suoi. Non voleva fare la scelta sbagliata per poi pentirsene per sempre.

“Allora? Che ne dici?”.
 
“Perdermi probabilmente l’unica occasione della mia vita di vedere il Boss dal vivo? Sarei una pazza a dire di no!”.
 
Lo sguardo di Jean era luminoso di felicità. Entrambi si alzarono e si abbracciarono, scambiandosi un lungo bacio sulle labbra, sotto gli applausi e la gioia della piccola folla intorno a loro.
 
Quel bacio augurava l’inizio della loro storia, una storia fatta di gioia, passioni, rispetto e reciproco amore.
 
Dopo il bacio, entrambi si misero fronte contro fronte e sorrisero felici.
 
“È la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per me. Grazie”.
 
“No. Ti devo ringraziare io per avermi di sì”. Entrambi risero.
 
“Comunque, se te lo stai chiedendo, la ragazza della fisarmonica è una studente di mia sorella” aggiunse Jean.
 
Eva rise divertita e i due continuarono a baciarsi.


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Note:
Nuovo capitolo!
Ma, tranqulli, questo non è l'utimo. Ben sì, il perlutimo!
La prossima settimana, ci sarà il prologo di questa
rimantica storia estiva!
Spero che questa storia vi sia piacuto
e grazie ad tutti quelli che hanno letto questa
piccola storia!
Buon weekand!
Evola 

   
 
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