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Autore: Hebi_Grin    08/12/2018    1 recensioni
[TakaZura] [Zura!PoV] [Post-guerra] [Pre-serie] [Flashback Guerra] [Temi delicati: PTSD] [Hurt/Comfort] [Lieve sottotono S/M] [Storia nella storia] [Riferimenti culturali]
Katsura e Takasugi passano la notte insieme. Quando si addormenta, Zura ha un incubo/flashback estremamente vivido in cui rivive i ricordi dell'ultimo giorno di guerra, ferita ancora fresca, da quando è stato catturato con Shinsuke e fino ai momenti immediatamente precedenti l'esecuzione di Shouyou. Al suo risveglio è visibilmente scosso.
“Tutte le cose sono vuote apparizioni.
Non nate né distrutte, non pure né impure,
non si accrescono né decrescono
Perciò nella vacuità non c'è forma né sensazione, né percezione, né discriminazione, né coscienza”

[Sutra del cuore]
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kotaro Katsura, Takasugi Shinsuke
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'And a Golden Butterfly is Dancing Upon His Ebony Hair '
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NdA:

 

Ambientata non troppo tempo dopo la fine della guerra, all'incirca un anno o poco più. O comunque quando il trauma era ancora abbastanza fresco. Supponendo che quelli che erano appena diventati/sarebbero stati a breve i leader dei più importanti gruppi di  terroristi patrioti si incontrassero e leccassero le ferite a vicenda. Ciò ovviamente comprende anche il sesso.

È un momento ancora di fragilità e instabilità per entrambi, pur vissuto in modo molto diverso. Spero di aver fatto trasparire ciò e la comprensione del dolore senza sforare nell'OOC.

La Lime angst all'inizio è autoindulgente perché tra S e M ho una forte tendenza M, pare.

E Zura chiama Takasugi “Shinsuke” perché è un headcanon che in momenti particolari come quelli intimi usi il nome anziché il cognome.

Le parti in corsivo fuori dai dialoghi riflettono il pensiero di Katsura.

Quando virgolettati sono proprio il suo pensiero diretto, senza filtro.

 

Glossario

Juban: “sottoveste” che si mette sotto il kimono.

Datejime: fascia con cui si chiude lo juban.

Kiseru: pipa giapponese, come quella di Takasugi, Tsukuyo o Jirocho.

Koiki: tipo di tabacco giapponese particolarmente indicato per la kiseru.

Naraka: inferno buddhista. Sono 16.

Shakujou: bastone cerimoniale da monaco buddhista, come quello usato da Katsura quando ci si traveste o dai Naraku.

 

Ulteriori precisazioni a termine.

 



 

Entangled

 

 

Katsura poteva distinguere i tratti del volto di Takasugi sopra il suo alla fioca e tremolante luce rossastra della lanterna: la sua bocca era semiaperta e ansante; una goccia di sudore aveva percorso lo spazio dallo zigomo alla mascella; le bende sull'occhio sinistro erano allentate e un lembo della stoffa gli sfiorò la spalla.

Magari più tardi gliele avrebbe sistemate.

Sapeva che la ferita di Shinsuke era fisicamente guarita da tempo e avrebbe potuto fare a meno del fastidio di indossarle, così come capiva perché non smettesse.

'Un simbolo della ferita ancora stillante nella sua anima, un memento, un candido drappo funereo'.

Con la punta delle dita sfiorò la cicatrice attraverso la stoffa in un gesto delicato e intimo, richiamando alla mente l'urlo straziante che aveva preceduto – preceduto, non seguito – il momento in cui quell'iride color smeraldo si era chiusa per sempre e delle lacrime comparvero agli angoli degli occhi di Kotarou.

Un ciuffo di capelli inumiditi dal sudore gli copriva la visuale sull'altra pupilla, e Katsura ne scostò con garbo le ciocche incontrando il suo sguardo, che gli parve brillare non unicamente della luce riflessa.

'Eccitazione, rabbia, o entrambe?'

«Non distrarti, Zura».

'Entrambe', giudicò Kotarou dal tono feroce usato dall'altro appena un attimo prima che gli affondasse i denti con forza nel labbro inferiore soffocando un mugolio di piacere provocato da un'altra, decisa, spinta.

Il sapore del proprio sangue si mescolava alla saliva di entrambi e l'aroma del costoso koiki fumato da Shinsuke che ora lo baciava con urgenza e disperazione.

Kotarou amava e odiava assieme tutto ciò.

«Non sono Zura, sono Katsura» rispose con affanno riprendendo fiato quando staccò le labbra. Si aggrappava al proprio nome come alle braccia dell'altro.

Takasugi si era fermato e aveva raccolto le sue lacrime con la nocca dell'indice ma lo scrutava indagatore e severo, come se volesse leggergli nella mente.

E forse, nudo com'era adesso nel corpo e nell'anima, poteva davvero riuscirci.

Katsura non lo poteva sapere con sicurezza, ma deglutì comunque.

Takasugi gli tracciò lentamente la carotide con l'indice e la gola col pollice, in movimenti discendenti e ascendenti, applicando troppa pressione per chiamarla carezza.

Più volte Shinsuke gli aveva dimostrato di esser diventato imprevedibile, instabile e distruttivo, capace di alternare – o addirittura sovrapporre – parole o atti teneri e brutali con assoluta disinvoltura. I lividi che spesso in momenti come questi gli aveva lasciato sul corpo e che con cura Kotarou nascondeva sotto le vesti ne erano una prova tangibile.

Ogni volta che li vedeva si trovava a chiedersi perché glielo permettesse, eppure mai lo impediva, così come offriva comprensione e il proprio corpo per aiutare l'amico a lenire la sofferenza – e dimenticare la propria per un po' – cedendogli il controllo con la convinzione di poterlo riprendere se le cose si fossero fatte troppo pericolose.

Non lo fermò, eppure se avesse applicato una maggiore forza sarebbe stato pericoloso, e Kotarou avrebbe reagito riacquistando il controllo anche a costo di essere lui a ferirlo davvero.

Rabbrividì di questa consapevolezza, ma si convinse che la colpa fosse di una folata di vento sulla pelle sudata che era esistita solo nella propria immaginazione.

«Come vuoi. Katsura. Concentrati su di me. Non vagare con la mente».

'Io sono concentrato su di te!', urlò nella propria testa stringendo la presa sui bicipiti come a volervi sprofondare le dita. Desiderava lasciare anche lui sul corpo dell'altro un segno visibile e reale che testimoniasse la propria esistenza e il proprio passaggio.

Fece per spingerlo verso sé con le gambe avvolte attorno alla sua vita e ruotò il proprio bacino verso il suo, per incoraggiarlo a riprendere a muoversi e farsi indurre a obliare di nuovo la mente.

«Intendo dire» cominciò Takasugi assolvendo all'invito mentre una sua mano afferrava rude la mascella di Kotarou e l'altra si intrecciava ai suoi lunghi capelli – così aspro e dolce al tempo stesso – «che sentirmi è più importante che guardarmi se ti fa pensare troppo».

Come se gli avesse letto davvero nella mente.

Katsura chiuse gli occhi e portò istintivamente la mano sinistra alla bocca per forzarsi a rimanere il più possibile silenzioso. Le dita dell'altra mano serrarono maggiormente la presa e cominciarono a graffiare la pelle sottostante, lasciando delle strisce rossastre che sperava rimanessero qualche giorno.

«E farti ascoltare fa parte del permettere a me di sentirti» ringhiò Takasugi contro il suo orecchio un attimo prima di afferrargli il polso sinistro con veemenza e forzarlo all'immobilità, fasciato dalle dita e schiacciato dal peso caricatovi.

L'indomani avrebbe dovuto fare i conti anche con quel livido.

«Bene, così va meglio».

La sua voce rauca e i suoi ansiti gli giunsero come un ronzio nelle orecchie, un suono confuso che si mescolava al rumore del suo corpo ogni volta che incontrava il proprio, irregolare, frenetico, delirante.

Kotarou faceva eco con ogni mugolio e gemito sommesso o acuto, concedendogli di ascoltarlo com'era quando lo sentiva, completamente perso nel momento, eppure concentrato e aggrappato saldo ad esso.

La sua mano destra scivolò dal braccio alla nuca, le dita affondarono tra i capelli madidi del compagno e la schiena si arcuò verso lui, che lo guardava con un'espressione più confacente a una bestia famelica di fronte a una preda che un uomo.

«Shinsuke» mormorò a fatica contro le sue labbra, baciandolo con la stessa prepotenza densa di malcelata sofferenza che l'altro gli aveva rivolto prima.

Katsura sentì il polso venir liberato dalla morsa e le sue dita intrecciarsi alle proprie, informicolite per il lungo scarso afflusso di sangue, mentre il bacio diventava meno rude e più lento secondo il ritmo imposto da Takasugi.

Percepì un piacevole calore dentro sé e tutto il corpo dell'altro irrigidirsi con un gemito strozzato.

Per un attimo, attraverso gli occhi socchiusi offuscati dalla nebbia del piacere, lo vide accennare un sorriso sereno prima che nascondesse il viso posando la fronte sull'incavo della spalla e tutto il corpo sul suo, tenendo le loro dita intrecciate finché i respiri e battiti non tornarono regolari.

Per ora la bestia si era calmata.

 

*

 

 

Kotarou gli carezzò a lungo la schiena, salendo fino alle spalle e infine i capelli, prima di prendere con premura tra le dita un lembo delle bende e cominciare a scioglierle.

«Che stai facendo?».

Shinsuke aveva sollevato il capo spalancando l'occhio e il tono era stizzoso, ma nell'improvviso irrigidimento del corpo e dalle note quasi acute che la sua voce solitamente grave aveva raggiunto, Katsura riconobbe il disagio, l'avversione, l'atteggiamento difensivo nei confronti di ciò che toccasse quel nervo scoperto.

«Te le risistemo. Si sono allentate» gli rispose pacato, posando una mano sulla guancia nel tentativo di trasmettergli un senso di sicurezza nel gesto. «Me lo concedi?».

'Fidati di me, Shinsuke', pensò in una silente richiesta che l'altro non poteva udire ma forse capire.

Lo scrutò attentamente, e proseguì solo quando sentì l'altro rilassarsi sotto il suo tocco.

Un altro fremito lo spinse a fermarsi all'ultimo giro delle bende, che avrebbero rivelato la ferita. Katsura accennò un sorriso, posò una mano sull'occhio sinistro per fermarle e cominciò ad avvolgerle nuovamente, senza scoprirlo.

«Fatto» lo informò infine, accompagnando alle sue parole un leggero tocco sul volto, e lasciò che si sdraiasse al suo fianco con la fronte a toccargli la spalla e una mano sul petto senza che gli rivolgesse una parola.

 

 

«Puoi evitare di fumare a letto?» mormorò Kotarou insonnolito.

La vista era coperta dal proprio avambraccio buttato stancamente sugli occhi, ma l'aveva sentito allontanarsi da sé, il fruscio del suo yukata mentre lo indossava, un piattino posato sul tatami come improvvisato posacenere e l'accendersi di un fiammifero dopo che il suo peso era tornato sul materasso. L'odore caratteristico del koiki bruciato era una conferma superflua.

«Perché dovrei?».

«Perché non è opportuno».

«A me invece sembra il momento migliore per farlo».

Katsura sbuffò, allungando il braccio dal proprio volto verso il tatami per afferrare lo juban. Si mise seduto per indossarlo e legò il datejime in vita prima di lasciarsi ricadere mollemente sul futon.

«Che cliché. Sai che non è ciò che intendo». Il suo tono era fiacco; gli occhi chiusi non gli impedivano di sentire lo sguardo dell'altro su di sé.

«Non è un cliché quanto il tuo sembrare un derelitto ogni volta dopo il sesso. Voglio dire, se ne volessi fare ancora questo tuo atteggiamento renderebbe tutto inappagante. In questo momento il tabacco ha una maggiore attrattiva di te».

«Non... Non dire cose imbarazzanti, Takasugi!» farfugliò sgranando gli occhi. «È una conseguenza fisiologica, non certo un cliché! Ed è stata una giornata lunga e faticosa! Posala e smetti di dire cose sconcerie!».

«Non mi sembri nelle condizioni di forzarmi a fare alcunché» disse emettendo una boccata.

Una via di mezzo tra l'ironia e una constatazione.

Kotarou rise istericamente e senza traccia di divertimento.

«Non lo sarei comunque, visto che hai deciso di distruggere tutto partendo proprio dalla tua salute. Prego al tuo posto affinché non collassi prima dello Shogunato, dato che son certo che tu non abbia care le divinità».

«Pensavo che quello da monaco fosse solo un travestimento per giocare al gatto e al topo con la polizia, non che si fosse fatta una cosa tanto seria. Beh, quando hai preso i voti? Insomma, non avremmo mica commesso una blasfemia?».

«Non essere sciocco, Takasugi... E son certo non ti metteresti davvero certi problemi. Tu e la blasfemia andreste a braccetto. Due cuori e una capanna, come si dice».

«Sai com'è, a volte le bestie possono essere blasfeme» disse con tono evocativo aspirando una boccata più lunga del solito prima di posare la kiseru.

Katsura capì dal ghigno che aveva qualcosa in mente e allertò i sensi, ma prima che potesse reagire la visuale gli fu coperta da una mano di Shinsuke sugli occhi, privandolo della possibilità di vedere cosa pianificasse.

«Taka–» cominciò a urlare, quando il compagno lo silenziò approfittando delle sue labbra aperte per baciarlo ed esalare il fumo nella sua bocca.

Kotarou provò a divincolarsi e spingerlo via rifiutando il contatto – eppure bramandolo, baciandolo a sua volta –, ma Shinsuke resisteva e con la mano libera lo teneva fermo per il collo, strappandogli un mugolio frustrato dietro l'altro.

Una piccola nube di fumo uscì dalle labbra di entrambi quando infine Takasugi si staccò con una malsana risata e l'altro tossiva rimasto senza fiato, più del solito, e con un sapore amaro e spiacevole in bocca.

«Di certo sei l'unica bestia a fumare» commentò Kotarou sdegnato per il gesto, tossendo ancora una volta.

«Per essere uno che afferma di non averne una, sembri intendertene abbastanza. Mi sta bene essere unico nel mio genere».

«Lo so» rispose svariati secondi dopo, come se ci avesse riflettuto o si fosse dimenticato di parlare.

Takasugi non rispose e Katsura scivolò nel sonno.

 

*

 

Gli occhi di Katsura si muovevano rapidamente sotto le palpebre mentre dormiva.

 

La pioggia scrosciava impetuosa e incessante sopra Shinsuke e Kotarou, gli unici sopravvissuti alla battaglia appena conclusa. Sakamoto aveva abbandonato la guerra ormai da qualche mese, inseguendo il suo sogno tra le stelle e Gintoki aveva arbitrariamente deciso – contro il parere di Katsura – di gestire da solo il fronte più pericoloso e lasciare a loro le retrovie.

Faceva sempre di testa sua.

A quanto pareva, però, erano stati proprio loro due a trovarsi ad affrontare il grosso delle forze nemiche in quella che si era rivelata un'imboscata.

Camminavano per il campo di battaglia, i corpi divenuti ormai gusci vuoti senz'anima tanto degli amici quanto dei nemici, il cui sangue si mescolava ora all'acqua e al terreno melmoso.

Attorno a loro solo un'ampia landa desolata che non offriva più alcun riparo dalla pioggia, dopo che quell'area era stata bombardata dai potenti cannoni Amanto cancellando dalla faccia della terra una foresta secolare di querce e delle caverne che, adesso, sarebbero state estremamente utili.

Non potevano far altro che avanzare, trascinando i propri corpi pesanti per la fatica e le ferite dell'estenuante battaglia – delle estenuanti battaglie che si erano accumulate –, coi vestiti ormai intrisi d'acqua appiccicati al corpo che ormai erano divenuti più un impedimento e un vettore per il freddo che una protezione contro di esso.

I lampi che si riflettevano nei loro occhi, vacui e fissi davanti a sé, potevano sembrare l'unica scintilla di vita che li cogliesse. La visione della morte ormai appariva loro ovunque.

I piedi affondavano e slittavano nel fango; più volte si erano ritrovati bocconi per terra o con la faccia in una pozzanghera. Ogni volta si erano aiutati a rialzarsi e avevano proseguito ancora più inzaccherati, indolenziti, esausti e infreddoliti di prima reggendosi alle spalle l'un l'altro o usando la propria katana come un bastone con cui sostenersi.

Dovevano solo sperare di arrivare al campo base senza più ferite di quelle che già avevano. Di questo passo, potevano sperare forse di arrivare poco prima dell'alba. Il sole era tramontato da poco, ma il cielo coperto dalle nuvole del temporale rendeva l'ambiente tanto buio da far sembrare fosse già notte inoltrata.

Katsura sentì un piede affondare in qualcosa di indefinito, in parte molle e viscido e in parte duro, percependolo bagnato da qualcosa di caldo. Deglutì, sperando con ardore fosse una pozzanghera ma con la tremenda sensazione di sapere trattarsi di tutt'altro.

Un lampo in quel momento illuminò il paesaggio, dandogli conferma di ciò che sperava non vedere.

Ritirò il piede zuppo di sangue diluito dalla pioggia, trascinando parte dell'intestino tenue del cadavere del loro compagno appiccicato alla suola e portò una mano alla bocca per sopprimere un conato di vomito sentendo le lacrime salirgli agli occhi per il senso di colpa di averne calpestato il corpo.

«Takasugi...» si interruppe dando un colpo di tosse e allontanandosi dai resti, mentre l'altro si era voltato verso lui. «Aspetta».

«Che c'è?».

«Non dovremmo seppellirli?».

«Ti sei rincoglionito tutto in una volta? Ti rendi conto della situazione di merda in cui siamo?».

Kotarou lo guardò mesto per qualche istante. Di certo Shinsuke difficilmente si poteva accostare alla delicatezza, ma battaglie disastrose come quella appena conclusa lo rendevano addirittura volgare e il nervosismo traspariva dal tono della sua voce che aveva raggiunto note stridule.

«Me ne rendo conto, però...».

«'Però' un cazzo, Zura. Se perdiamo tempo saremo noi quelli morti qui senza tomba».

Katsura rimase immobile in silenzio e non lo corresse.

«Andiamo, grande generale». Shinsuke lo aveva afferrato per un polso, tirandolo mentre cominciava a camminare per esortarlo a muoversi.

«Ti ricordi chi sei, vero? Il generale. Non un dannatissimo becchino o un fottuto monaco. Seppellire i morti non è la priorità quando in gioco c'è la nostra vita».

Il discorso filava; aveva ragione. Se fossero arrivati i rinforzi dell'esercito del Bakufu o Amanto avrebbero potuto non cavarsela una seconda volta, eppure Katsura non poteva fare a meno di pensare alla carneficina di uomini che non aveva saputo proteggere che si stavano lasciando alle spalle.

«Non è colpa tua. Non potevamo saperlo».

Kotarou non sapeva se l'amico avesse capito cosa stesse pensando o se fosse un caso.

«No, non potevamo saperlo...» rispose monocorde e Shinsuke gli lanciò un'occhiata proprio mentre un altro fulmine si stagliava in cielo seguito da un lungo e poderoso rombo.

Katsura aveva ancora altre persone da proteggere e una si trovava al suo fianco e, giurò al lampo splendente, non avrebbe fallito.

«Velocizziamo il passo, Zura».

«Non sono Zura,» cominciò assumendo un tono fiero ed erigendo il busto come se con quel voto si fosse buttato alle spalle le incertezze, il senso di colpa e l'esitazione di poco prima, «Sono il generale».

Takasugi sogghignò soddisfatto e accelerarono l'andatura.

 

 

«Takasugi, pensi che Gintoki sia già tornato al campo? Sono un po' preoccupato per lui».

«Quell'idiota è sicuramente già tornato e starà raccontando soddisfatto le sue gesta attorno al fuoco. Se arriveremo vivi la prima cosa che farò sarà prenderlo a calci e mettermi al suo posto al caldo».

«Non parlare così, Takasugi!» lo rimproverò.

Katsura lo sentì sogghignare.

«Tranquillo, lo scemo quando si siede divarica tanto le gambe che avrò conquistato abbastanza spazio da farci stare anche te, Zura».

«Intendevo dire che se ci stringiamo ci sarà sicuramente posto per tutti e tre vicino al fuoco! Sono sicuro che se chiederemo a Gintoki gentilmente di farci spazio capirà la situazione. E non è Zura».

Una folata di vento gelido fece rabbrividire entrambi, abbastanza persino da distoglierlo dal proposito di continuare la correzione.

 

Il cielo per il momento aveva placato la sua furia e le nubi si erano in parte diradate.

Ora ai due giovani samurai era finalmente concesso avere la luna a illuminare il percorso verso il campo che, secondo i calcoli di Katsura, proseguendo allo stesso passo, distava due ore di cammino.

Entrambi proseguivano stringendo le braccia al petto, tremanti per il freddo che era penetrato fin dentro le ossa.

Katsura avanzava un passo dopo l'altro guardando con aria assente il terreno su cui posava i piedi, formulando pensieri che non osava rivelare.

Le perdite in termini di capitale umano della loro ultima battaglia si aggiravano attorno alle ottanta unità, che sommate alle vittime che sicuramente c'erano state tra le fila che avevano seguito Gintoki e le vittime che erano già cadute durante gli anni della guerra, pur senza contare i feriti – chi non avrebbe più potuto camminare, impugnare una spada o vedere, ed erano tanti – sfioravano i duemila morti. E altrettante famiglie che li piangevano, e per cui Kotarou aveva decretato e giurato sul proprio onore di samurai che, a qualsiasi costo, non avrebbe reso vano il loro sacrificio.

Ma ormai gli uomini che potevano ancora combattere erano un numero esiguo: in questo conto i feriti dovevano essere considerati nella sottrazione.

Le forze dell'esercito ribelle erano allo stremo, ed era un dato di fatto. Pura aritmetica.

Lanciò un'occhiata veloce a Takasugi, discretamente e senza farsi notare.

E poi, Shouyou-sensei...

Se i suoi tre allievi erano entrati in guerra per salvare il maestro, Katsura aveva capito da tempo che Shinsuke sarebbe sceso in tutti i sedici Naraka, più di lui e forse persino di Gintoki, pur di liberarlo. E sperava che non ci scendesse comunque se, invece, avessero fallito nel tentativo.

Non avevano mai potuto ricevere spesso lettere dal sensei dalla prigione, e ognuna di esse era scritta su un foglio di fortuna, che ultimamente sul lato opposto recava dei timidi e infantili tentativi di scrittura – il sensei stava insegnando a qualcuno a scrivere in prigione? Sarebbe stato effettivamente da lui –, sempre con caratteri eleganti e inviate probabilmente dopo essersi ingraziato un carceriere.

Katsura le conservava, nel libro da cui Shouyou aveva insegnato loro, che teneva sul petto protetto sotto l'armatura.

Avrebbe potuto citare a memoria ciascuna di esse, tante erano le volte che le aveva rilette.

Eppure l'ultima, giunta la settimana prima col consueto ritardo, lo aveva particolarmente colpito. Il suo contenuto gli aveva dato una tremenda sensazione di angoscia, al punto da considerare persino di nasconderne l'esistenza ai due amici, e rivelandola solo dopo alcune ore di dubbio nel timore che compissero azioni sconsiderate.

 

 

Cari allievi,

Come scrisse Kobayashi Issa,


 

'Mondo di sofferenza:
eppure i ciliegi
sono in fiore'.


 

Sebbene sia autunno, preferisco accomiatarmi da voi, i miei adorati studenti, col pensiero della vita che nasce, piuttosto che delle foglie che si preparano a cadere al suolo.

Non so se mi sarà possibile farvi ricevere altre mie lettere, ma state sereni: sto bene. Mi giungono voci delle ultime imprese che avete compiuto. Come maestro, sono orgoglioso dei samurai che siete diventati e che continuerete a essere.

Non posso, tuttavia, fare a meno di preoccuparmi per voi. Vi prego di stare attenti e di avere care le vostre vite quanto le ho io. Gintoki, Shinsuke, mi riferisco soprattutto a voi due. Kotarou, son certo che stia facendo del tuo meglio per impedire loro di fare sciocchezze: continua così.

Gintoki, non ho dimenticato che è il tuo compleanno. Ti faccio i miei migliori auguri, anche se temo li riceverai in ritardo. Per favore, fammi tu il dono di ricordare la nostra promessa.

Vi saluto, ricordandovi che 'Quando sopraggiunge la sventura, il samurai deve rallegrarsene e andare avanti con coraggio: quando le acque salgono, la barca fa altrettanto'.


 

Sinceramente,

Yoshida Shouyou


 

Hagi, 10 Ottobre”

 

Sentì dei corvi gracchiare e una strana, indecifrabile, sensazione anticipò di un attimo la voce di Takasugi, interrompendo il flusso dei pensieri di Katsura.

'Corvi di notte?'

«Ohi, Zura... Sono monaci, quelli?».

Kotarou alzò immediatamente lo sguardo, avvertendo il pericolo e si guardò attorno, realizzando con orrore di essere stati circondati, nel silenzio più totale, come se fossero comparsi dal nulla.

Nessuna via di fuga, ammesso che avessero avuto le forze di scappare. E probabilmente non ne avevano abbastanza per combattere contro tutti.

Istintivamente, come le battaglie avevano insegnato loro, si posizionarono schiena contro schiena ed estrassero la spada, brandendola in attesa che compissero loro la prima mossa.

«Takasugi, potrebbero essere quelli che...».

«Sembra di sì» lo interruppe frettolosamente Shinsuke.

'Quelli che portarono via Shouyou-sensei'.

Stando così le cose, la percentuale di possibilità di vittoria diminuiva drasticamente.

«'Lo spirito con il quale si sconfigge un uomo è lo stesso con il quale se ne sconfiggono dieci milioni', no?» disse Katsura, citando 'I Cinque Anelli' nel tentativo di incoraggiare entrambi di fronte alla situazione disperata.

«Sei l'unico idiota che possa ricordarsi di Musashi in un momento del genere».

«Non sono l'unico idiota, lo sei anche tu che l'hai riconosciuto nonostante tutto».

 

Gli anelli dei shakujou suonarono mentre si avvicinava la prima ondata di avversari.

Loro erano gli insetti, e il tintinnio li avvertiva che se fossero stati schiacciati la colpa era da imputare unicamente a loro stessi.

I giovani samurai raccolsero le loro forze per contrastarne l'attacco, separarono le loro schiene lanciandosi con un grido di guerra ognuno sugli avversari che aveva di fronte, certi che l'altro si occupasse di quelli dietro sé.

Le katana oscillarono, e con tagli netti e puliti abbatterono la prima ondata, colpendo contemporaneamente l'ultimo uomo mentre le loro spalle frementi per l'adrenalina tornavano a toccarsi e si avvicinava la seconda carica avversaria.

«Stai bene, Takasugi?».

«Non avere 'sti dubbi».

Si separarono nuovamente, e Katsura tagliò le armi dei primi tre, ora a portata di spada, che eliminò squarciando il torace con un unico movimento.

Uno saltò sopra la sua testa dalle loro spalle, diretto dietro le sue.

Compì mezzo giro su sé e affondò la katana nel diaframma, voltandosi nuovamente verso gli altri senza che i suoi occhi scorgessero Shinsuke.

Uno lo colpì col bastone alla mascella, facendogli sentire il sapore del sangue prima ancora di percepire il dolore, dimenticato per l'alta carica di adrenalina nel delirio del combattimento.

Con la mano sinistra, afferrò l'arma che l'aveva colpito e fece leva con un calcio per spingerlo lateralmente spostandogli il baricentro.

L'avversario cadde a terra, e il Nobile Furioso gli tirò un calcio in volto.

Registrò passivamente il suono del setto nasale infrangersi contro il suo piede, mentre sputava un grumo di sangue e saliva causato dal colpo subito solo pochi istanti prima.

'In guerra...'

Un attimo dopo, recideva la calotta cranica di un altro, facendo schizzare brandelli di cervello.

'… non sempre c'è...'

Schivò un colpo spostandosi a destra e aprì l'addome all'ennesimo uomo, cui ora fuoriuscivano intestino e stomaco.

'… tempo per essere puliti'.

Era una cosa con cui era dovuto venire a patti e farsene una ragione. La pioggia che ora stava nuovamente cadendo a ridosso del sorgere del sole, rendendo il terreno più scivoloso, avrebbe lavato tutto.

Katsura decapitò un Naraku ancora, ma un fiotto di sangue schizzò verso il volto costringendolo a chiudere le palpebre e scoprire il fianco.

Un altro ne approfittò e colpì con lo shakujou dalla parte senza anelli, che Kotarou prontamente e alla cieca afferrò con la sinistra spezzandolo con un colpo di spada.

Un altro ancora gli mirò i piedi, ma aperti gli occhi evitò saltando con un balzo in avanti, e infilzò il cuore dell'uomo che l'aveva colpito.

Girandosi, ne caricò uno che lo aveva intanto raggiunto alle spalle.

Per un attimo Katsura vide Takasugi altrettanto in difficoltà a gestire la netta superiorità numerica dei monaci – lo erano davvero ? – quando venne sopraffatto da dieci di loro e cadde schiena a terra per il suolo fradicio.

I loro bastoni erano puntati dalla parte metallica contro la sua gola e la mano che reggeva la katana impedendogli di usarla.

Non sembravano volerlo uccidere subito, e questo poteva essere persino peggio.

Ormai fermo, l'adrenalina cominciava a calare e il dolore a farsi sentire assieme al freddo.

Il fango si insinuava tra i capelli e i vestiti, rendendo il corpo ancora più pesante dei muscoli tesi allo spasmo e respirare diventava sempre più difficile.

La posizione di svantaggio gli permise di vedere in cielo una aeronave militare Amanto scendere sempre più giù.

«Shinsuke, scappa!» urlò con quanto fiato aveva ancora in gola, ma non avrebbe saputo dire come l'altro avrebbe potuto aprirsi un varco e salvarsi.

Sentì un forte colpo in testa e perse i sensi.

 

Quando riprese lentamente conoscenza, si trovava legato seduto per terra e con la schiena posata alla parete, così come Shinsuke al suo fianco, su quella che presumette essere l'aeronave che stava atterrando prima di svenire.

«Sei sveglio, Takasugi?».

Tutto ciò che ottenne in risposta fu un grugnito, e Katsura si fece bastare quella risposta.

Almeno era vivo e cosciente.

Senza farsi notare dagli aguzzini, provò a muovere le braccia, nel tentativo di farle scivolare, guadagnare spazio e liberarsi con l'intenzione di sciogliere in qualche modo i nodi che tenevano legato il Comandante della Kihetai, ma tutto ciò che ottenne fu il dolore bruciante causato dall'abrasione delle corde di bambù sulla pelle.

Sospirò rassegnato, posando la testa sulla spalla dell'amico, che inclinò la testa nella direzione della sua e sentì la guancia gelida sfiorargli il capo.

«Temo che non potremo riscaldarci vicino al fuoco con Gintoki oggi...».

Due anni prima, era stato fermato fermato da lui nel proposito di fare harakiri per evitare di cadere in mani nemiche, esortato a vivere invece una vita gloriosa anziché terminarla in modo onorevole, e adesso...

'Né l'una né l'altra cosa è più possibile.'

Un forte rombo seguito da un brusco scossone li avvertì che erano atterrati e interruppe il contatto, spingendo i loro busti in avanti.

Il portone si aprì e la luce filtrò attraverso essa, mentre un gruppo di carcerieri tentò di costringerli ad alzarsi, ma loro, fieramente, si misero in piedi da soli reggendosi sulle gambe malferme.

 

Ormai era passata da poco l'alba, il cielo era grigio per le nuvole e il paesaggio brullo mostrava uno scenario non troppo differente da quello che lui e Shinsuke avevano lasciato alle spalle la notte prima.

Katsura capì, e probabilmente anche Takasugi, che si trattava del luogo in cui Gintoki aveva condotto le proprie truppe, e lo cercò con lo sguardo, ma di lui non vi era traccia.

Camminarono su per un promontorio, con le membra esauste e la parte appuntita degli shakujou contro le loro schiene, ed entrambi si gelarono sul posto quando, arrivati in cima, riconobbero la figura di Shouyou-sensei. I suoi lunghi capelli biondo cenere celavano solo in parte le corde che lo tenevano legato come lo erano loro.

I due vennero malamente spinti in avanti e sbatterono il torace contro il suolo; i monaci buttarono le katana ai loro piedi.

Tenevano gli occhi fissi sull'uomo, che tanto a lungo avevano cercato di salvare, per cui tanto avevano combattuto entrando in guerra.

Ora, dopo anni di dura lotta lo avevano finalmente davanti ma come avrebbero potuto salvarlo? E dov'era Gintoki?

'Non sarà...?'. La sua stessa mente si rifiutò di proseguire il pensiero.

 

«I tuoi studenti sceglieranno di morire invano con te, o invece...» cominciò a dire l'Amanto vicino a Shouyou, mentre dietro i due giovani si muovevano dei passi «Decideranno di vivere, anche a costo di uccidere il loro maestro con le loro stesse mani?».

Entrambi i ragazzi riversi a terra voltarono contemporaneamente lo sguardo alle loro spalle, incontrando la figura di Gintoki.

Shiroyasha era ritto, dietro di loro, la veste bianca e i capelli intrisi di sangue e la katana sguainata.

I suoi occhi rossi vacui e apparentemente fissi nel vuoto si contrapponevano nettamente ai loro, che lo fissavano coi loro sgranati.

«Non credi che sia questa l'esecuzione perfetta per un educatore come te?» disse l'Amanto a Shouyou, prima di rivolgersi a Gintoki.

«Scegli ciò che preferisci, il tuo insegnante o i tuoi amici».

Katsura fremette in attesa, e nell'attimo in cui il compagno superò di un passo le loro teste, capì quale era la difficile decisione che aveva preso.

Takasugi aveva fatto altrettanto, cominciato a urlare intimandogli, supplicandolo, di fermarsi.

Kotarou si morse fortemente l'interno del labbro, realizzando che avrebbe fatto la stessa scelta, e nemmeno lui si sarebbe fermato, eppure desiderava non vedere, né sentire l'altro urlare, ma il suo sguardo era fisso contro la sua volontà e le sue mani legate non potevano tappare le orecchie.

In pochi attimi, la katana di Gintoki aveva reciso la testa del sensei e quello che sembrava il capo dei monaci aveva chiuso per sempre l'occhio sinistro di Shinsuke lanciatosi con un grido contro il compagno.

Era finita. Avevano perso la guerra, la gloria, il sensei e loro stessi. Ogni cosa.

 

 

*


 

Improvvisamente spalancò gli occhi, una opprimente sensazione di un peso sul petto pareva averlo privato di tutta l'aria nei polmoni impedendogli di incamerarne altra che disperatamente cercava con affanno.

Gli occhi erano rigonfi di lacrime che ora scorrevano incontrollate sulle sue guance senza che ne avesse coscienza. Tutto il suo corpo era attraversato da brividi di freddo ed incapace di muoversi.

 

“—ncubo” fu ciò che a mala pena sentì di ciò che gli aveva detto Shinsuke.

Lo sguardo era fisso al soffitto la cui vista era annebbiata dal buio e le lacrime, e gli apparve come un cielo notturno privo di stelle e luna.

La voce dell'uomo a fianco gli era giunta tanto ovattata e distante che pareva provenire da un altro mondo.

«Ohi, Zura. Torna qui, era un incubo» ripeté.

«Non Zura» rispose come un automa, riconoscendo il nomignolo tra le parole ma bloccandosi, incapace di continuare la frase.

Takasugi si mise seduto scrutandolo con attenzione, come allertato.

«Non Zura, ma...?» lo esortò a continuare in tono fermo.

«Generale» disse velocemente Katsura dicendo la prima cosa che riuscì a ricordare di essere.

«Generale, eh?» ripeté Shinsuke alzando un sopracciglio. «E poi?».

 

Katsura accarezzò col dorso della mano le lenzuola del futon, che profumavano di bucato fresco sebbene fossero leggermente umide per il sudore, e si sentì spaesato.

Incapace di ricordare dove si trovasse, sicuro di non averne mai visto uno in tutta la guerra, di certo non pulito.

Forse aveva perso conoscenza dopo quanto successo ed era stato portato via da qualcuno, chissà dove?

Portò faticosamente la mano sinistra alla fronte sudata, ancora scosso dai tremori, che spostò poi lungo il viso, segnandone i contorni – occhi, naso, zigomi, labbra, mascella –, sulla gola e poi lo sterno, fermandola sul cuore dai battiti impazziti.

Era veramente il suo corpo reale? Non gli pareva riconoscerlo, sentendolo inconsistente sotto il suo stesso tocco.

Sollevò la mano a mezz'aria, posando lo sguardo sul segno che cominciava ad essere visibile lasciato sul polso da Shinsuke appena qualche ora prima, ma molti mesi dopo rispetto a dove la sua mente era rimasta impigliata.

Era il segno lasciato da Shinsuke quando l'aveva trascinato, distogliendolo dal proposito di seppellire i compagni?

«Dove sono?» farfugliò confuso, con voce tanto flebile da poter essere a mala pena sentita.

«Nella realtà, ora dimmi chi sei».

Takasugi gli avvicinò una mano alla fronte e Katsura lo guardò con gli occhi sgranati e pupille dilatate nell'incontrarne il viso per la prima volta dal risveglio, spostando per reazione istintuale il corpo più lontano da lui, in un atteggiamento difensivo.

Era certo che la voce che aveva sentito fosse quella del Leader della Kihetai, eppure l'immagine dell'uomo vicino cozzava prepotentemente con l'ultima che aveva visto, nel sogno.

«Chi sei tu!», provò ad urlare. La bocca si mosse ma la voce non uscì.

L'altro ignorò la sua ritrosia e posò la propria mano sulla sua fronte muovendo la punta delle dita all'attaccatura dei capelli. Il suo tocco, rilassante e familiare, indusse lentamente Kotarou a tornare alla realtà del tempo presente.

«Ti chiami Katsura Kotarou» gli disse con tono fermo prendendogli il mento tra indice e pollice e il palmo dell'altra mano scivolò sulla guancia, asciugandogli le lacrime.

L'altro fece per deglutire, ma a vuoto per la bocca secca.

«Katsura... Kotarou» disse infine alcuni minuti dopo, riappropriandosi della propria identità e coscienza.

 

Mosse lo sguardo facendolo vagare per la stanza buia, riconoscendone finalmente i contorni.

'La mia camera. Il mio futon. La mia katana. Il mio armadio. La mia libreria. Takasugi.'

Si mise seduto, sporgendosi verso l'altro e gli strinse tra i pugni lo yukata, posando l'orecchio all'altezza del cuore per ascoltarne i battiti.

«Allora, che hai sognato?», chiese Shinsuke qualche minuto dopo avergli cinto la vita con una mano carezzando la schiena con l'altra.

'Come se dirlo aiutasse me o lui'.

Kotarou scosse il capo.

«Non ricordo», mentì, preferendo evitare di richiamare quell'episodio anche nella sua memoria, pur conscio che non passasse giorno o notte – forse istante – che non lo facesse. Takasugi ne era stato ben più traumatizzato di Katsura, e ammettere di essere lui a esser stato ridotto così, trovando conforto in chi stava pagando un prezzo più alto lo avrebbe fatto sentire colpevole e ridicolo.

Le dita di Shinsuke passavano ora delicatamente tra le fila di capelli in disordine, li allisciava e districava con cura i nodi in un gesto rilassante probabilmente per entrambi.

«E così mi hai mentito» lo sentì dire in un sussurro con le labbra che gli sfioravano la testa.

«Mh?» alzò il capo, incontrando il suo occhio.

L'aveva capito?

«Sembra che anche tu abbia una bestia oscura, ma del tipo che preferisca rivoltarsi contro di te».

«Mi conosci, non so resistere al fascino di un animale da accogliere in casa, anche quando sarebbe più saggio scacciarlo». Ormai più tranquillo, si sforzava a dare una parvenza di normalità.

«Ohi, così sembra quasi che stia parlando di me».

«Davvero? Non era mia intenzione». La sua voce era appena un mormorio cui seguì una risata forzata, tornando a posare l'orecchio sul suo petto e concentrarsi sul suo respiro e i suoi battiti.

«Oh, invece credo di sì».

Takasugi si sdraiò sul futon e Katsura, ancora tenuto a lui, ne seguì il movimento.

Con la punta dell'indice ricalcava i contorni delle decorazioni sullo yukata dell'altro.

«Anche tu li fai, vero?» chiese trovando il coraggio di porre la scomoda domanda.

Ci fu qualche attimo di silenzio e Kotarou alzò lo sguardo, osservandone l'espressione – contemplante, meditativa, fissa nel vuoto, malinconica.

«Scusa, non dovevo chied–».

«Sì, ne ho anche io» rispose infine dopo l'apparente esitazione.

«È per questo che non ti vedo quasi mai dormire. Li eviti».

«Questo è vero solo in parte, a esser sincero».

«Mh?», chinò la testa da un lato, con espressione interrogativa.

«Zura, lo sai... Non è necessario dormire per avere incubi. Vivere in un mondo corrotto come questo lo è di per sé. Uno da cui non possiamo svegliarci se non distruggendolo».

«Sono Katsura Kotarou, non Zura».

Non disse nulla sul resto, stringendosi al torace dell'unica persona che pensava potesse capire i suoi ideali – o almeno parte di essi.

Mentre Shinsuke prendeva a giocare con una ciocca, Kotarou riprese a carezzane gli abiti,

recitando una parte del Sutra buddhista del Cuore, che trovava particolarmente – e tristemente – adatta.

 

«Tutte le cose sono vuote apparizioni.

Non nate né distrutte, non pure né impure,

non si accrescono né decrescono

Perciò nella vacuità non c'è forma né sensazione, né percezione, né discriminazione, né coscienza;
Non ci sono occhi né orecchi, naso, lingua, corpo, mente;
Non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti;
né c'è un regno del vedere,
e così via fino ad arrivare a nessun regno della coscienza;
non vi è conoscenza, né ignoranza,
né fine della conoscenza, né fine dell’ignoranza,
e così via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte;
né estinzione di vecchiaia e morte;
non c’è sofferenza, karma, estinzione, via;
non c’è saggezza né realizzazione
».

 

«Sembri davvero un monaco, Zura», fu il commento laconico di Takasugi.

 

 


Note finali:

È abbastanza scontato che tutti e tre gli allievi di Shouyou abbiano avuto disturbi da stress post-traumatico. Katsura è quello in cui attualmente risulta meno evidente avendolo razionalizzato forse meglio degli altri due (o almeno sicuramente meglio di Takasugi), anche se forse in parte la sua frammentaria e multiforme personalità è una conseguenza del/reazione al trauma, ma certo non ne è stato immune. E siccome avrei odiato banalizzare questo tema, così come tutti quelli delicati, ho fatto le dovute ricerche per essere più appropriata possibile, rompendo le scatole chiedendo a una amica laureata in Psicologia, che ringrazio della pazienza, consulti vari. Perché rendere la dissociazione, sia a livello personale che ambientale, non è una fattibile senza la guida di chi la conosca.

Comunque è una fic, non un articolo scientifico sul tema, e considera la personalità del personaggio, che comunque è abbastanza forte da uscirne con relativa facilità. Quindi... Spero di avercela fatta. A essere accurata, non di rompere le scatole, intendo.

 

Vorrei chiarire una cosa. Anche se da qui potrebbe sembrare, non ritengo Katsura masochista, non uno 'puro' almeno: ha dimostrato più volte (sebbene raramente) di avere un lato sadico. Per me, e possiamo pure definirlo un headcanon, è decisamente uno switch  “Switch janai, Katsura da!”.

Però, vista la situazione e il periodo, l'ho ritenuto più adatto. Non è strano che Zura proceda per fasi, adattandosi alla situazione e al periodo. Anzi, l'ha sempre fatto.

Discorso analogo ma rovesciato per l'altro bimbo adorato che è Takasugi. Ho voluto forzare un po' il suo lato sadico, ma anche lui si stabilizzerà. Più o meno.

 

 

Ricordo che qui anche Zura aveva propositi distruttivi nei confronti del mondo (come afferma in Benizakura). Questo spiega il riferimento alla fine sul comprendere gli ideali. Anche se chiaramente erano due livelli diversi di intensità (Zura è sempre stato più moderato di 'Sugi, anche quando era lui stesso estremista).

 

La frase conclusiva della lettera di Shouyou, “Quando sopraggiunge la sventura, il samurai deve rallegrarsene e andare avanti con coraggio: quando le acque salgono, la barca fa altrettanto'” è una citazione all'Hagakure, il più famoso testo sul bushido.

 

Loro erano gli insetti, e il tintinnio li avvertiva che se fossero stati schiacciati la colpa era da imputare unicamente a loro stessi.”: il tintinnio degli shakujou serve anche a questo. Se gli insetti vengono schiacciati, il monaco non ne ha colpa e non vi sono conseguenze karmiche, perché il suono è un avvertimento della propria presenza.

 

La scena del combattimento: ne ho scritte in passato, ma mai soffermandomi così sui dettagli. Mi auguro di esser riuscita a renderla, perché non è facile ahahah. Ho fatto del mio meglio per renderla immaginabile ma anche caotica, usando il ritmo del testo e i pensieri frammentati per renderla incalzante e avvincente.

 

Spero di aver incuriosito qualcuno al potenziale di questo sottovalutatissimo pairing.

 

Recensioncine sempre gradite <3 Anche solo per dire di non esservi addormentate/i, lol.

Se poi mi dite pure per mp che shippate TakaZura e non son sola nel fandom italiano mi rendete felice. Mi sento una mosca bianca, ahahah <3

 

(Non è betata, quindi se trovate errori/sviste, ditemelo pure -w- )

In caso qualcuno volesse leggere la prima parte in inglese tanto per passarci il tempo e con minimi cambiamenti, l'ho autotradotta e postata su AO3

 

 

   
 
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