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Autore: piccina    10/12/2018    2 recensioni
"Non era mai stato un padre tradizionale, ma a quel figlio voleva bene e sentiva che in questo momento aveva bisogno di lui"
Brian alle prese con la difficile adolescenza di Gus fa i conti con il suo essere padre. Justin è al suo fianco.
Idealmente circa una decina di anni dopo la 5X13
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Gus Kinney, Justin Taylor, Lindsay 'Linz' Peterson, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Vi lascio questo pezzo appena scritto, senza neppure rileggerlo, spero non ci siano castronerie e vi piaccia. Ciao

Justin si era attardato qualche minuto più del solito in cameretta di Susan. Le aveva risistemato il piumino, accarezzato i capelli e poi si era fermato a guardala. Brian l’aveva trovato così, in piedi davanti al lettino. “Sta bene Jus e starà meglio. Ora vieni a letto.” L’aveva portato via, prendendolo per mano, una volta sdraiati se l’era stretto a sé, il marito aveva apprezzato e si era messo comodo, stupito solo per un attimo quando aveva sentito le labbra accarezzargli il collo e il fiato spettinargli i capelli sulla nuca. Un’esitazione che Brian aveva colto “Sei stanco?” “Mai per te!” si era girato fra le sue braccia e gli aveva sfilato con foga la maglietta scollata a Vu che Brian usava per dormire. “Mi sei mancato” “Pure tu, Wharol”
La mattina seguente Susan si era svegliata di ottimo umore e perfino a un’ora decente, così erano riusciti a fare colazione insieme, prima che Brian andasse in ufficio e desse un passaggio a scuola a Gus. Gus che come al solito era in ritardo ed era arrivato in cucina, dopo numerosi richiami, vestito alla bene e meglio, la divisa che addosso a lui sembrava un casino, la cravatta mezza storta e la camicia ancora fuori dai pantaloni. “Santi numi Gus e impara a sembrare una persona civile una buona volta!” Si era alzato e gli aveva aggiustato il nodo della cravatta, poi con un gesto fra una carezza e uno spintone leggero l’aveva indotto a sedere sullo sgabello. “Mangia in fretta, che siamo in ritardo!”
“Susan, adesso è tutto coccole e moine, poi diventa così … io ti ho avvisato” aveva replicato scherzoso verso la sorella che finito il biberon si era fatta prendere in braccio da Justin e sbocconcellava una pera che il ragazzo le tagliuzzava in un piattino.
Aveva ingurgitato due biscotti e trangugiato la tazza di latte alla velocità della luce, Brian che era nell’altra stanza doveva avere i super poteri, perché senza vederlo aveva intimato: “Denti!” Gus nel balzare giù dallo sgabello aveva fatto cadere il contenitore di terracotta decorato da Justin che conteneva i biscotti. L’impatto era stato secco e rumoroso, poi il vaso si era disintegrato in mille pezzi, con schegge che si erano irradiate sul pavimento.
“Cristo Gus! E stai attento! Cosa cavolo hai cacciato per terra stavolta?” l’aveva sgridato il padre dando per scontato che fosse lui il responsabile del tonfo. Non aveva fatto in tempo a sentire la classica scusa di risposta, che il silenzio era stato rotto dall’urlo di Susan e dal suo pianto isterico. Era tornato in cucina in pochi passi: cocci, biscotti, briciole e Justin in piedi con Susan che si dimenava in lacrime.
“Cazzo papà, è colpa mia. E’ come l’altra sera”
Brian aveva tirato una pacca sulla spalla al figlio “Sei un cazzone e fai un casino indemoniato, ma questa – indicando con la testa la bambina e la sua reazione – non è colpa tua… magari lo fosse, sarebbe più facile. Vai a finire di preparati” e gli aveva accarezzato il viso, poi si era avvicinato al marito che con voce calma e tenera allo stesso tempo stava riportando a ragione Susan. Si erano scambiati uno sguardo “Tutto bene Brian, ci siamo solo un po’ spaventate, ma stiamo bene. Tu vai pure a prepararti, noi andiamo a prendere una boccata d’aria in giardino” Brian aveva annuito e li aveva seguiti con lo sguardo mentre Justin apriva con una mano la porta finestra e uscivano nell’aria frizzante del mattino. Come sempre una sorpresa, Justin non era affatto entrato nel panico, era rimasto calmo, concentrato e attento ed era riuscito a tranquillizzarla molto prima di quanto fosse riuscito a fare lui due notti prima. Era salito a in camera e si era ripromesso di parlare a Gus dei loro dubbi riguardo alle reazioni di Susan ai colpi forti e improvvisi, approfittando del tragitto verso la scuola.  Quando erano scesi, pronti per andare, Susan era di nuovo sorridente e gli era corsa in contro, lui l’aveva acchiappata per farla volare, come ormai era di routine prima di andare in ufficio. “Ciao amore, passa una bella giornata e fai la brava con Justin, ci vediamo stasera” “Sì, ciao Bian. Fai bavo anche tu” “Farò del mio meglio” e si era goduto un bacio umido sulla guancia, poi l’aveva rimessa a terra. Aveva allungato il collo per cercare le labbra del marito “Sei stato grande” Justin aveva sorriso, aveva ricambiato il bacio “Chiamo Danielle, sarà meglio affrontare la questione con lei. Tu quando potresti vederla?” “Quando può lei, il prima possibile. Io mi libero”
“Ok … e fai il bravo Brian” lo aveva salutato al modo di Susan.
La psicologa si era data disponibile per il pomeriggio successivo, avevano lasciato Susan da Jeniffer il tempo della seduta.
“Grazie Danielle di averci ricevuto subito”
“Figurarsi”
Si erano accomodati e le avevano raccontato nel dettaglio i due recenti episodi.
“Domani mattina riuscite a portarmi Susan?”
Justin aveva annuito immediatamente.
“La ferita invisibile di Susan ha iniziato a sanguinare. Me lo aspettavo, non sapevo come, ma ero certa che il trauma e lo stress patiti dovessero uscire allo scoperto, prima o poi. È un bene che sia successo quando era a casa con voi, nell’ambiente che sente più accogliente e suo e con le persone di riferimento per lei. Non dovete spaventarvi, avete affrontato bene l’emergenza e avete fatto, non bene, benissimo a chiamarmi subito. Riusciremo ad aiutarla, state tranquilli. Non stupitevi se nei prossimi tempi la bambina dovesse avere atteggiamenti ed episodi aggressivi anche nei vostri confronti o di Gus, è normale. Accoglieteli e conteneteli, senza farvi vedere turbati, passeranno prima.”
Avevano respirato forte, aspirando profondamente l’aria e si erano stretti la mano.
“Adesso parliamo de il “problema mamma” – si era interrotta un attimo e aveva portato l’attenzione su Justin. - Come ti senti? Come ti sei sentito dopo che Brian ti ha raccontato?”
“Sai che non lo so? Più che altro sono stupefatto. Ero convinto, anzi ero sicuro, che non ricordasse neppure più Daphne e invece … - la voce si era incrinata”
“E invece la ricorda. Non devi, non dovete pensare, a un ricordo come i nostri, come quelli degli adulti, è un ricordo inconscio, una sensazione. Dovremo lavoraci perché mamma è il luogo di protezione, cura e sicurezza, adesso per Susan è invece una miscela di sentimenti contrastanti, fra i quali anche il terrore e la rabbia. Un’esplosione e la mamma non l’ha mai più vista. Sparita. L’ha abbandonata. Il trauma peggiore per un bambino, peggio della bomba. È arrivato il momento di parlarle di Daphne e del perché se ne è andata, ovviamente con le parole giuste, con gli strumenti adeguati per la sua età. Vorrei che lo faceste con me, se ve la sentite. Non sarà facile e non sarà immediato, ma è un momento cruciale per la serenità e l’equilibrio futuro di Susan”
“Ce la sentiamo” avevano risposto in coro. “Sì, me la sento anche io” aveva confermato a se stesso, al marito e alla terapista Justin. 
“Justin, vorrei che pensassi anche a cosa significa per TE che Susan chiami mamma. Vorrei parlarne al prossimo incontro e vorrei vederti da solo”
“Ok” era stata la laconica risposta, quindi Danielle si era alzata per salutarli quando Brian aveva sparato senza preavviso. “Le ho detto che sono papà, che c’era papà con lei e non doveva avere paura. Spero di non aver fatto un casino” Questo particolare non l’aveva raccontato neppure a Justin e gli pesava sull’anima da tre giorni.
Danielle era tornata a sedere e li aveva invitati a fare altrettanto. “Il paziente dopo aspetterà qualche minuto …”
Erano usciti Brian con l’animo un po’ più sgombro - non aveva combinato il danno che temeva - Justin con un magone trattenuto a stento e le immagini di Daphne che gli rincorrevano il cuore, ma decisi come non mai a venirne fuori insieme alla loro bambina.
Quel che non erano stati capaci di fare gli urli e le sgridate di Brian era riuscito in un lampo a Susan e alla sua paura: Gus stava finalmente attento a non fare sbattere le porte, a non produrre rumori forti improvvisi. Brian lo guardava accompagnare la porta, appoggiare per terra con calma la cartella che pesava 200 kg invece di lanciarla come un discobolo e provava un orgoglio profondo, un amore grato e adulto per quel figlio che era capace di gesti e di cambiamenti repentini per aiutare una sorella capitata, inaspettata, nella sua vita.
Il tran tran era ricominciato con l’alternanza Britin e casa famiglia, era sempre difficile riportarla là, ma le giornate senza la bimba li aiutavano a fare ordine nei loro pensieri e a fare spazio definitivo alla nuova vita. Danielle li stava aiutando molto, a volte le sedute erano insieme, a volte separate e Justin stava elaborando fino in fondo il lutto e il suo senso di colpa nell’essere felice di avere Susan anche se questo significa aver perso Daphne. Non c’era correlazione fra i due sentimenti, il dolore per l’amica e la gioia per questa figlia donata, il cervello lo sapeva da tempo, il cuore ci stava facendo i conti adesso, grazie a una bambina che non aveva dimenticato l’odore della sua mamma. Non avevano più parlato dell’infausta decisione di Justin di tenere Susan lasciando all’oscuro Brian, non avevano più affrontato il tradimento che aveva patito. Questo era ciò su cui stava lavorando Brian, toccava a lui, non poteva aspettarsi che lo facesse Justin e Danielle lo stava mettendo davanti al suo rimosso.
E così una sera che erano soli, ma soli veramente Gus era a Toronto dalle mamme, gli era uscita una domanda fuori contesto e senza preamboli:
“Lo erano proprio tutte?”
Justin, che stava trafficando con le regolazioni del forno, non si era girato alle parole, ma al tono.
“Che cosa Brian?”
“Erano tutte menzogne, solamente menzogne quelle che mi raccontavi quando partivi?”
Si era slacciato il grembiule che era unto, l’aveva lasciato in bilico sul sgabello ed era andato davanti al marito che lo fissava appoggiato allo stipite dell’arco che separa la cucina dal tinello. Per una volta erano state le labbra di Justin a baciare i capelli di Brian, mentre lo stingeva a sé e gli incorniciava il viso fra le mani.
“No, amore mio, no. C’era anche lavoro, non sempre e non solo, ma c’era. Più che altro allungavo le trasferte e i giorni in più li passavo con Susan. È così Brian, non ti sto nascondendo nulla, non più. La follia è che allora non mi sembrava neppure di mentirti, ma di proteggerti. Non volevo ingannarti, non ho mai voluto ingannarti nella nostra vita.”
Brian aveva scrollato le spalle, gli aveva spostato un palmo dal viso e aveva intrecciato le dita a quelle del marito, poi aveva piegato la testa e si era appoggiato alla spalla, più bassa, del compagno. Con la mano libera Justin gli aveva accarezzato la nuca ed erano rimasti in silenzio.  
Danielle diceva che doveva tirare fuori la rabbia, ma lui non la trovava, quando ci pensava trovava solo tristezza e freddo e senso di vuoto, che neppure la presenza di Justin riusciva a riempire.
 
  
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