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Autore: Roscoe24    10/12/2018    6 recensioni
"Magnus si chiese se il fatto che nel giro di nemmeno un’ora, quella fosse la seconda volta che rimanevano incantati a fissarsi, potesse avere un significato. Forse poteva sperare. Ma in cosa?"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alec non sapeva come interpretare quella curiosità quasi morbosa che sentiva nascere in sé ogni volta che la sua famiglia nominava Magnus. Izzy raccontava un aneddoto che riguardava lei e Magnus in un negozio di trucchi e, improvvisamente, un argomento per il quale non aveva mai provato interesse alcuno, diventava interessante.
Magnus e sua sorella erano amici. Si conoscevano da un anno perché, a quanto pareva, pochi giorni dopo la partenza di Alec, Magnus aveva chiamato Clary informandola del suo ritorno a casa, a NY – e tutta la sua famiglia si era data da fare per aiutare l’amico di infanzia di Clary con il trasloco. Alec non credeva alle coincidenze, era un uomo prettamente logico, ma una parte di lui gli stava suggerendo che ci doveva essere un motivo per cui non si erano incontrati prima. E questo motivo era chiaro e semplice: non dovevano oltrepassare nessuna linea. Essere amici, evitare di fare qualcosa di stupido, che avrebbe portato discordia in entrambe le parti della famiglia. Se Magnus fosse stato colui al quale Alec doveva rivolgersi per guarire le sue ferite, il destino li avrebbe fatti incontrare prima che Alec partisse con il cuore ridotto a brandelli e la convinzione che avrebbe passato la vita da solo.
Si chiese quando era diventato così bisognoso, per non dire patetico, quando il suo cellulare squillò, facendolo sobbalzare sul letto nel quale si era letteralmente gettato dopo un turno di dieci ore. Rispose senza nemmeno guardare chi fosse.
“Eccomi.” La sua voce suonò impastata e un tantino assonnata,  dal momento che prima della telefonata stava per addormentarsi. Si passò una mano sulla faccia per cercare di svegliarsi un po’ e prestare attenzione a chiunque fosse al di là del telefono.
“Alexander.”
Mai si sarebbe aspettato di sentire la voce di Magnus, soprattutto perché l’unica sera in cui si erano visti era stata più di una settimana prima e non si erano scambiati i numeri di cellulare.
“Disturbo?” domandò titubante. Alec non riusciva ad immaginarsi uno come Magnus titubare, eppure il suo tono suggeriva proprio titubanza. Il ragazzo si mise a sedere, pensando che non voleva che Magnus provasse quella sensazione con lui, e appoggiò la schiena alla testiera del proprio letto. “No, io… dimmi tutto.”
“Biscottino ha detto che potevo chiamarti.” Si giustificò ancora Magnus e al cervello stanco di Alec ci volle un po’ per ricordare che l’uomo stesse parlando di Clary. “Ma sembra che tu stessi dormendo. Posso richiamare più tardi.”
Alec sapeva che concentrarsi su quanto suonasse vellutata e premurosa la voce di Magnus non giovava per niente alla sua causa di vederlo solo come un amico. “Non dormivo, tranquillo. Cosa succede?”
Magnus sospirò impercettibilmente, come se stesse ponderando l’idea di dare retta ad Alec o lasciarlo riposare in pace. Alec trattenne il fiato senza nemmeno rendersene conto. Magnus gli faceva un effetto strano. Lo scombussolava. Il che era ridicolo perché si erano visti una volta e quella era la seconda volta che si parlavano. Eppure…
“Clary doveva accompagnarmi a vedere l’asilo, ma è rimasta bloccata al lavoro.” Spiegò, alla fine Magnus, interrompendo il filo dei pensieri di Alec. “Puoi accompagnarmi tu?”
Eppure, Alec bramava la sua vicinanza – per quanto spaventosa quella bramosia fosse. C’era qualcosa in Magnus, qualcosa che lo portava ad interrogarsi su una domanda: cosa c’è al di là della paura?
“Certo.” Rispose, quindi. “Dammi il tempo di farmi una doccia e mandami l’indirizzo di casa tua, ti passo a prendere.”

 
Magnus viveva a Brooklyn, in un imponente palazzo che faceva angolo. Alec parcheggiò la sua auto nel primo posto disponibile e poi scese dalla macchina, dirigendosi a piedi verso l’edificio che corrispondeva all’indirizzo che Magnus gli aveva inviato via messaggio. Trovò ad asciugarsi i palmi delle mani sul tessuto dei jeans più di una volta, come se quello a cui stava per presentarsi fosse una specie di appuntamento e lui, improvvisamente, fosse retroceduto all’adolescenza.
Alec sospirò, scacciando i ricordi di un se stesso sedicenne alle prese con cotte segrete e sguardi controllati, scontroso e arrabbiato con un mondo che non conosceva la sua verità, e si concentrò sulla situazione attuale. Non era un appuntamento e Alec, per grazia divina, non era più un adolescente. Poteva gestire questa situazione. Era un uomo adulto che incontrava un altro uomo adulto per andare a visitare un asilo. Praticità, doveva appellarsi solo a quella. Senza contare che l’asilo che andavano a visitare era per la figlia di Magnus.
Padre single, gli ricordò una parte infida del suo cervello, ma Alec decise di non concentrarsi su ciò. Non poteva permetterselo.
Arrivato davanti al palazzo di Magnus, rimase in attesa. Non voleva andare a suonare, mettendogli fretta. Era qualche minuto in anticipo, quindi decise di aspettare. Estrasse il proprio cellulare dalla tasca del pantaloni e controllò se ci fossero nuovi messaggi: non c’erano, il che poteva essere solo un segno positivo. Di solito, quando all’ospedale avevano bisogno di lui, il suo cellulare veniva intasato e Alec doveva fare le corse per cominciare prima il suo turno. Non che qualche straordinario pagato non gli facesse comodo, ma la fretta non piaceva a nessuno. Tanto meno ad Alec, che era meticoloso e organizzava le sue giornate ora per ora.
“Ciao.”
Alec alzò lo sguardò dallo schermo del proprio cellulare, incontrando la figura di Magnus. L’uomo gli sorrise cordiale e Alec ricambiò. Magnus era una di quelle persone pienamente consapevoli dell’effetto che facevano sugli altri e che risultava bellissimo qualsiasi cosa indossasse, il che era un tantino ingiusto se lo si chiede ad Alec. O a quella parte di sé convinta di dover essere solo un suo amico e che, in quel momento, si sentiva pesantemente sabotata. Che l’Universo volesse prenderlo in giro? Non sarebbe stata la prima volta, si trovò a riflettere Alec.  
Gli occhi dell’uomo erano truccati con un ombretto grigio scuro pieno di brillantini, una riga di eyeliner e mascara; indossava una maglietta nera – aderente e con uno scollo a V relativamente profondo, che mostrava molte collane – abbinata ad un paio di pantaloni dello stesso grigio dell’ombretto, ai cui lati pendevano delle bretelle nere, infilati dentro ad un paio di stivali.
Se Alec avesse negato di trovarlo attraente, sarebbe stato più bugiardo di Pinocchio, ma non poteva di certo dare voce ai suoi pensieri.
“Ciao.” Lo salutò con un sorriso.
“È tanto che aspetti?”
“No, sono solo arrivato un po’ prima. Tu sei puntualissimo.”
Magnus gli fece l’occhiolino. “Solo perché sei tu.”
Alec cercò di non prestare attenzione all’effetto che quel piccolo gesto gli provocò alla bocca dello stomaco. “Quindi devo ritenermi fortunato?”
“Non potevo mostrarmi per il disastro ritardatario che sono proprio il giorno che sei disposto a farmi un favore, ti pare?”
Alec si trovò a sorridere, divertito. “Lo prenderò come un sì.” Dedusse, quindi. “Vogliamo andare?”
Magnus annuì e insieme si diressero alla macchina.

*

 Il viaggio in auto fu abbastanza piacevole. Alec e Magnus parlarono del più e del meno, iniziando prima con il tempo, successivamente commentando il traffico e infine, in prossimità dell’asilo, Magnus espresse la sua agitazione.
“Non sono pronto. Mi sembra troppo presto.” Confessò, mentre Alec parcheggiava. Conosceva quella sensazione perché Jace provava la stessa cosa: «Sembra ieri che mi si addormentava in braccio e adesso va già all’asilo. Com’è possibile?» diceva sempre suo fratello e Alec gli dava mentalmente ragione, anche se poi finiva con fargli discorsi di incoraggiamento tipo fa parte della crescita e cose simili.
“Sarà sempre troppo presto. Crescono in fretta e noi nemmeno ce ne accorgiamo.”
“Non possiamo premere un pulsante e farle rimanere piccole ancora per un po’?”
Alec rise, mentre spegneva la macchina e si toglieva la cintura, pronto per scendere. “Penso non sia possibile. Altrimenti, il mondo sarebbe popolato interamente da bambini i cui genitori non hanno avuto il coraggio di far crescere.” Aprì la portiera e scese dall’auto. Quando Magnus fece lo stesso, Alec chiuse a chiave l’auto.
“Scommetto che da bambino eri carino quanto adesso. Ma nel tuo caso, sono felice che tu sia cresciuto.” Magnus gli riservò un occhiolino che ne aveva del malizioso e squadrò Alec dalla testa ai piedi. L’interessato sentì le guance avvampare, prima di rendersi conto che una sensazione di bruciante calore stava pervadendo ogni centimetro del suo corpo.
“Dovremmo entrare.” Tagliò Alec, smorzando la situazione e parlando il meno possibile perché non si fidava della sua voce, che sarebbe sicuramente uscita alterata dall’emozione.
Magnus, comunque, non sembrò farsi scoraggiare da quella reazione. “Ma certo. Fai strada.” Gli fece cenno con la mano, quindi Alec si incamminò per primo.
Magnus ne approfittò per osservare come la maglietta di Alec scendesse perfettamente lungo la sua colonna vertebrale, mostrando la muscolatura definita, ma sinuosa, della sua schiena. E poi, proprio perché voleva farsi un regalo, guardò anche il sedere di Alec.
Sì, decisamente era felice che non esistessero bottoni che fermano la crescita, altrimenti il mondo – e Magnus, soprattutto Magnus – sarebbe stato privato di tale visione celestiale. E sarebbe davvero stato un peccato.

Entrarono uno dietro l’altro passando attraverso una porta la cui parte superiore era di vetro e sulla quale stavano appiccicati moltissimi disegni di vario genere: fiori, farfalle, stelle, nuvolette, due soli e qualche montagna in miniatura. L’ambiente sembrava accogliente: una volta varcata la porta, Alec e Magnus si trovarono in una grossa sala piena di piccoli divanetti e poltroncine a misura di bambino e mobiletti dove stavano ordinatamente riposti giocattoli di ogni genere. Ufficialmente l’asilo non era ancora cominciato, quindi non c’era nessun bambino, ma c’era il personale addetto all’orientamento e alla visita della struttura. Alec riconobbe subito il ragazzo che era di turno quando Jace l’aveva portato a vedere l’asilo e non riuscì a trattenere un mugugno di disagio.
“Tutto bene?” gli domandò allora Magnus.
Alec lasciò la figura del ragazzo, che stava venendo loro in contro, e guardò Magnus. “Sì, ma solo che… avrei preferito non ci fosse lui.”
“Perché?”
Alec cominciò a sussurrare per fare in modo che solo Magnus sentisse. “Perché mi ha chiesto di uscire e gli ho detto che ero impegnato, così lui mi ha dato il suo numero, ma non l’ho mai richiamato perc-”
“Buongiorno!” Salutò il ragazzo, interrompendo la spiegazione di Alec. Magnus era curioso di sapere la fine di quella storia, ma decise che prima era necessario aiutare Alexander a uscire da quella situazione. Il tempo di osservare il ragazzo guardare Alec come se fosse un dolce e salutarlo con più interesse di quanto fosse necessario in un ambiente lavorativo e la mano di Magnus era già intrecciata a quella di Alec, che sussultò e lo guardò lateralmente. Magnus, però, riuscì a camuffare la sua sorpresa con un bacio sulla guancia.
“Buongiorno,” rispose, quindi. “Sono Magnus. Mia figlia verrà qui tra qualche giorno e vorrei vedere l’asilo.”
“Sono David,” si presentò a sua volta il ragazzo, che osservò le mani intrecciate dei due per qualche istante, prima assumere un’aria più professionale. “Mi occuperò personalmente di farvi fare un giro adeguato ed esaustivo di tutta la struttura.”
Magnus si accoccolò maggiormente ad Alec e appoggiò la mano che aveva libera all’altezza del suo bicipite. Il fatto che stesse facendo un favore ad Alec, non voleva dire necessariamente che non potesse farne uno anche a se stesso. Alec, comunque, superata la sorpresa iniziale, non si irrigidì per quel contatto.
“La ringrazio infinitamente, David. Sono preoccupato, sa? È il primo anno per la mia bambina.”
“Molti genitori sono preoccupati, ma i bambini si trovano sempre bene, qui da noi.” David sorrise e si incamminò all’interno della struttura, facendo strada a Magnus e Alec, che rimasero con le mani intrecciate per tutta la visita.  
Alec aveva le mani calde, le sue dita erano affusolate e i suoi palmi erano leggermente ruvidi, come se avesse avuto dei calli. Magnus dovette fare uno sforzo per non concentrarsi su troppi dettagli, incuriosito da Alec come non gli capitava da tanto tempo.
David parlava e gli mostrava le varie stanze dell’asilo: la zona gioco, la sala mensa, la stanza piena di lettini dove i bambini potevano fare un riposino, il giardino con gli scivoli e i dondoli e le altalene. Era un posto bellissimo e Magnus era super emozionato all’idea che la sua bambina avrebbe passato le sue mattinate in un luogo che trasmetteva una tale serenità.
A fine visita, David consegnò a Magnus un foglio dove erano presenti tutti gli orari dell’asilo.
“Grazie David, è stato molto esaustivo.”
David sorrise. “Lieto di sentirglielo dire. Allora ci vediamo la prossima settimana?”
“Certo.”
Magnus lasciò la mano di Alec – non si erano separati un istante – per stringere quella di David. Alec fece lo stesso, sorridendo cordiale. “Grazie.” Disse a sua volta.
David gli fece un cenno del capo e osservò un’altra volta Alec e Magnus che stavano vicini. “Non avevo capito che con impegnato intendessi questo, mi dispiace.”
“Tranquillo.”
I tre si salutarono un’ultima volta, poi Magnus e Alec uscirono dall’edificio.


“Ok, adesso spiega.” Cominciò Magnus, una volta lasciato l’asilo. Alec si coprì il viso con le mani e cominciò a scuotere la testa.
“Prima di tutto: grazie.” Disse, scoprendosi il viso. “Secondo: non volevo uscire con il maestro di mia nipote per ovvi motivi, anche se la verità è che non sono pronto ad uscire con qualcuno in generale.”
“Perché?”
Alec si fece pensieroso, spostando il peso da un piede all’altro. “Lo vuoi un caffè?”
Magnus aggrottò la fronte davanti a quella risposta, che non c’entrava assolutamente niente con la domanda, ma decise che forse era un argomento troppo personale da affrontare con qualcuno che si conosce a mala pena. “Alexander,” disse quindi, “Faccio finta di essere il tuo ragazzo per un’ora e organizzi già un appuntamento?”
Alec per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. “Cosa?” La sua voce salì di un’ottava. “N-no, io non-”
“Rilassati, stavo scherzando. Non mi piace il caffè, ma berrò un tè. E siccome ti ho buttato giù dal letto, offro io.”
Alec fece per protestare, ma Magnus alzò un dito e lo portò davanti alle sue labbra, senza toccarle. “Non obiettare, tesoro. Lascia che ti offra un caffè. È solo un caffè dopotutto, no?”


Non fu solo un caffè.
Alec e Magnus avevano una sintonia che stupì entrambi. Erano quasi agli opposti, ma si erano presi con una facilità disarmante. A Magnus piaceva il tè, ad Alec il caffè. A Magnus piacevano le montagne russe, Alec dava sempre di stomaco. Ad entrambi, però, piaceva l’altezza e avevano scherzato sul fatto che un giorno sarebbero potuti andare a fare un’arrampicata, con tanto di imbracatura di sicurezza e gesso sulle mani per migliorare l’aderenza della presa.
Alec preferiva i posti silenziosi, Magnus adorava le feste e più rumorose erano, più le trovava divertenti. Ad entrambi piaceva andare al cinema e leggere libri. Alec preferiva il vino rosso, Magnus quello bianco.
Magnus era più un tipo da vodka, Alec da gin. Ad entrambi piaceva il whiskey.
“Vediamo questa.” Cominciò Magnus, mescolando il tè nella tazza. “Snack consolatorio.”
Alec arricciò le labbra, riflessivo. “Snack consolatorio da cuore infranto o da ‘ho avuto una giornata pesantissima mi merito un premio’?”
“Entrambi.”
Alec si sistemò meglio sulla sedia e appoggiò i gomiti al tavolo della caffetteria dove si trovavano da almeno un’ora. “Per il primo vado sempre sul classico: gelato. Se la situazione è orribile lo diluisco con il gin.” Magnus rise e Alec con lui. “Nel secondo caso, invece, mi strafogo in maniera imbarazzante di yogurt alla vaniglia e cereali al miele.”
Magnus accartocciò la faccia. “Sembra stucchevole.”
“Non lo è, in realtà.” Alec abbracciò la sua seconda tazza di caffè con le mani. L’aveva appena ordinata, quindi sentì il calore arrivargli ai palmi. “Mi piace perché è dolce, ma non stucchevole. Come dovrebbe essere quasi tutto, nella vita.”
“Anche le storie d’amore?” azzardò Magnus, ripensando alla conversazione di poco prima, che Alec aveva abilmente evitato.
“Soprattutto quelle. E dovrebbero essere sincere, totalmente. Gli snack non mentono, gli uomini sì.” Alec si rattristò all’improvviso. I suoi grandi occhi, che solo qualche istante prima brillavano insieme ai suoi sorrisi, furono coperti da un velo cupo di tristezza e malinconia. Magnus decise che non era il caso di andare oltre. Non voleva che Alec soffrisse. Era andato tutto bene tra di loro, fino ad ora. Alec si era mostrato per la persona gentile e dolce che Clary e Maia gli avevano descritto e Magnus confidava profondamente nel fatto che sarebbero potuti diventare ottimi amici. E lui, in genere, trovava ogni modo per non far soffrire gli amici.
“Allora, sarei un finto fidanzato pessimo se non sapessi che lavoro fai, tesoro.”
Alec accennò una risata e quel velo malinconico scomparve un poco. “Pediatra.”
“Hai fatto il turno di notte?”
“Sì. Per riprendere il ritmo ho chiesto di poter lavorare anche un po’ al pronto soccorso.”
“E capitano molti bambini?” chiese Magnus con il cuore che si stringeva. Ogni volta che si parlava di possibili bambini in difficoltà, pensava ad Erin, a come reagirebbe lui se le succedesse qualcosa di grave.
“Meno di quanto pensi. In realtà, in pronto soccorso mi occupo di altre cose.”
“Vuoi continuare a fare il misterioso o vuoi spiegarmi tutto senza che ti cavi le parole di bocca?”
Alec ridacchiò. Magnus era un tipo così diretto, senza filtri. Gli piaceva quella caratteristica. “Sono un chirurgo d’urgenza, specializzato in pediatria. Esercito principalmente come pediatra, ma in pronto soccorso mi occupo di casi che richiedono interventi chirurgici.”
Magnus era senza parole, mentre fissava Alec con stupore. “Sei tipo un genio, quindi.”
Alec arrossì ed evitò lo sguardo di Magnus, concentrandosi principalmente sulla sua tazza. “No, sono un normalissimo individuo, un chirurgo come tanti altri. E non è nemmeno la mia prima scelta, quindi ne esistono a vagonate migliori di me.”
“Non dovresti sminuirti. Sono sicuro che sei bravo nel tuo mestiere.”
Alec alzò lo sguardo. “Il mio mestiere è fare il pediatra. E comunque non mi hai mai visto lavorare, quindi non puoi saperlo.”
Magnus agitò una mano. “Quanto sei puntiglioso, Alexander.”
“Dillo ad uno a caso dei miei fratelli, ti daranno ragione.” Alec bevve un sorso del suo caffè. Decise di cambiare argomento, spostando l’attenzione su qualcun altro che non fosse lui. Avrebbe potuto chiedergli di Erin, ma sapeva che Magnus l’aveva lasciata a casa con una sua amica a farle da baby-sitter, quindi trovò opportuno interessarsi a lui, nello stesso modo in cui Magnus si stava interessando ad Alec. “E tu? Non hai sempre insegnato danza, Izzy me l’ha detto. Ha anche aggiunto che il fatto che non sapessi chi fossi mi rendeva più disadattato di quanto si aspettasse.”
Alexander parlava di lui con sua sorella. Magnus nascose un sorriso soddisfatto dentro la sua tazza. “Tua sorella è parecchio diretta.”
“Amore fraterno, che vuoi farci.” Alec fece spallucce. “Allora, il mio finto fidanzato è una specie di star e non lo so?”
Magnus rise e Alec non poté fare a meno di seguirlo. Magnus aveva una risata bellissima.
Ero una star del balletto. Lavoravo con una compagnia, facevamo spettacoli in ogni teatro. Ogni adattamento dal più classico a quello meno conosciuto. Era un’avvenuta continua. Il mondo era la nostra casa.”
A Magnus brillarono gli occhi, Alec lo notò. C’era un entusiasmo particolare, qualcosa che accendeva la sua voce di un’emozione pura e incontrastabile. “Perché hai deciso di insegnare, visto che è ovvio che ami quello che facevi?”
“Perché amo di più mia figlia. Sentirsi cittadino del mondo è bello solo se sai di avere una casa a cui tornare. Se avessi continuato con quella vita, Erin non avrebbe mai avuto un posto da associare a quel concetto. E non volevo.”
La prima volta che l’aveva visto, Alec aveva notato che Magnus era bellissimo. La seconda volta, a quella cena in famiglia, aveva capito che era un tipo diretto e molto spigliato, carismatico. Quella mattina, aveva capito che era intelligente e appassionato. In quel preciso istante, aveva capito quanto fosse premuroso e sensibile. Magnus era raro. “È molto nobile da parte tua.”
“Chiunque l’avrebbe fatto. Amo Erin e mi piace la mia vita con lei.”
“Anche lei sembra adorarti.”
“Quando ottiene quello che vuole. Quando invece si tratta di rispettare delle regole che non le piacciono, diventa una specie di mostriciattolo.”
Alec sorrise ampiamente. “Ti assomiglia, sai?”
“Mi stai dando del mostriciattolo?” Magnus si portò teatralmente una mano al petto. “Non è una mossa da bravo finto fidanzato!”
Il sorriso di Alec si trasformò in una risata. “Dio, no! Sei tutto tranne che un mostriciattolo!” Esclamò, prima di rendersi effettivamente conto dell’implicazione presente in quelle parole. Arrossì un poco, ma Magnus non disse niente, così Alec proseguì. “Intendevo fisicamente.”  
“Ti sei ripreso. A volte mi sento meschino a pensarlo, ma… sono contento che assomigli a me.”
Alec titubò un attimo, poi si fece coraggio e chiese, con più discrezione possibile: “Con sua madre non è finita bene? Non devi rispondere, se non vuoi.”
“Limitiamoci a dire che no, non è finita bene.” Magnus fece vagare lo sguardo nella caffetteria. I divanetti posti ai lati di ogni tavolo, il bancone davanti a cui stavano gli sgabelli, le cameriere, il profumo di zucchero bruciato, caffè e dolci. Tutto trasmetteva quotidianità, qualcosa di normale, persino tranquillo, nelle ore in cui luoghi simili non venivano presi d’assalto. Con Camille tutto questo veniva sempre meno. Non c’era mai normalità con lei, tutto era sempre frenetico, passeggero, effimero. Le piccole cose perdevano di importanza, perché a lei piacevano solo quelle appariscenti, quelle grandiose. Non apprezzava una giornata se non terminava con qualcuno che applaudiva, la venerava, o la riempiva di complimenti e regali. Per questo, quando aveva scoperto di essere incinta, voleva abortire.
«La mia carriera è rovinata, Magnus! Rovinata! Come posso continuare a vivere la mia vita, se ho questa cosa che mi cresce dentro e dipenderà da me?»
«Non è una cosa! Dio Camille, è il nostro bambino!»

«Io non lo voglio un bambino!»
Camille aveva sbattuto la porta della loro camera da letto a Parigi e si era rintanata dentro, chiudendosi a chiave e lasciando Magnus fuori. Si era torturato la mente per ore, poi lei era finalmente uscita da quella stanza. Bella come un miracolo, letale come la morte. «Voglio abortire.» Aveva detto e le sue parole erano calate sul cuore di Magnus come una spada impugnata dal più crudele dei boia.
«No, non è un’opzione!»
«Sì che lo è!»
Aveva gridato Camille, in preda ad un attacco isterico. «È il mio corpo, la mia vita, la mia carriera! Cosa ne sarà del mio futuro?»
Magnus si era arrabbiato, rendendosi conto di quanto fosse egoista Camille, che non era per nulla felice di quell’opportunità di avere una famiglia insieme: Magnus pensava che un giorno avrebbero avuto dei bambini, che si sarebbero addirittura sposati e avrebbero passato la vita insieme, amandosi. Era stato un illuso. Aveva creduto che il suo amore venisse ricambiato, ma Camille non era in grado di amare nessuno al di fuori di se stessa e dell’immagine sfavillante che gli altri avevano di lei. Così Magnus aveva usato la stessa moneta usata da Camille. «Hai ragione: è il tuo corpo, ma è anche il mio bambino. Perciò ti dico cosa faremo: non diremo a nessuno di questa gravidanza, usciremo dai riflettori per un po’, ci inventeremo che sei malata o cose simili e che hai bisogno di cure, le migliori. Porterai avanti la gravidanza fino alla nascita del bambino e rinuncerai legalmente ai tuoi diritti di madre. Se non lo farai, dirò a tutti la verità. E dirò anche qual era il tuo piano. Non vuoi che i tuoi sponsor o i suoi fan sappiano che razza di egoista sei, non è vero?»
Magnus si era vergognato tantissimo di se stesso per essere ricorso ad un ricatto. Non era da lui, era da Camille. Lei manipolava gli altri per ottenere quello che voleva, non lui. Ma c’era di mezzo il suo bambino e sentiva che in qualche modo ciò che stava facendo avesse un fondo di giustizia.
«D’accordo. Ma tra di noi è finita. Finita, Magnus, mi hai capita?»
«Pensavo che quello fosse già ovvio.»

“Magnus senti, mi dispiace. Non sono affari miei, non volevo intromettermi.”
La voce di Alec attirò l’attenzione di Magnus, che si era fatto inghiottire dai suoi ricordi. “Oh, tesoro, non preoccuparti. Togliti quell’espressione affranta dal viso, suvvia. Sei più bello, quando sei tranquillo.”
Alec arrossì. Anche tu, pensò. Ma non lo disse. Se lo tenne per sé, come se fosse un pensiero proibito che doveva rimanere segreto. “Ti sei zittito, quindi pensavo di aver toccato un tasto dolente. Non era mia intenzione.”
“Rilassati, Alexander.” Magnus sorrise e Alec ricambiò, sebbene nei suoi lineamenti c’era ancora un segno di preoccupazione.
“Facciamo così: niente remore, d’ora in poi. Se uno di noi non vuole parlare di una cosa lo dice, d’accordo?”
“Almeno eviti di rispondere a domande tipo: perché non vuoi uscire con nessuno? Sviando il discorso su un caffè?”
Alec sgranò gli occhi e appoggiò la schiena allo schienale del divanetto. “Sai che ti dico? Ho cambiato idea: sei davvero un mostriciattolo.”
Magnus rise, tirando indietro la testa ed esponendo maggiormente il suo pomo d’Adamo, su cui Alec potrebbe (o non potrebbe) aver indugiato più a lungo del necessario approfittando della distrazione di Magnus.
“Me lo sono meritato. Comunque, affare fatto. Ci sto.”
“Bene.” Alec bevve un sorso del suo caffè e quando appoggiò di nuovo la tazza sul tavolo, il suo telefono cominciò a squillare. Lo afferrò dalla tasca dei pantaloni e rispose, mormorando delle scuse a Magnus per l’interruzione.
“Max.”
“Dove sei?”
“Con Magnus. Che succede?”
Una pausa e poi Max parlò di nuovo. “Ti sei dimenticato che oggi devo tornare al campus?”
“Certo che no. Ti devo venire a prendere alle dieci.” Alec afferrò la tazza e agitò il caffè all’interno di essa con movimenti circolatori, facendo agitare il liquido nero all’interno di essa.
“Alec sono le dieci.”
Solo allora Alec prestò attenzione al suo orologio da polso, che segnava proprio le 10.02. “Cazzo!” imprecò.
“Magnus deve averlo magico, se è riuscito a distrarti.” Disse Max all’altro capo del telefono, con una risatina che faceva intuire quanto fosse orgoglioso di se stesso per quella battutina. Alec alzò gli occhi al cielo e gli riservò un’occhiata tagliente anche se non erano nella stessa stanza e non poteva vederlo. Aveva la sensazione che il suo fratellino l’avrebbe percepita dal suo tono di voce seccato quando gli rispose: “Non è successo niente.” Guardò Magnus, che continuava a mescolare il suo tè, ignaro delle insinuazioni che stava facendo Max. “Vengo a prenderti tra mezz’ora. Arriveremo comunque puntuali.”
“Lo scopo di partire presto era arrivare in anticipo, ma va bene comunque.”
“Non fare il puntiglioso.” Lo rimbeccò Alec.
“Chissà da chi avrò preso. È fastidioso quando sono gli altri a guardare il pelo nell’uovo, vero?”
Alec si passò il palmo della mano che non reggeva il telefono sul viso con fare esasperato. Gestire il sarcasmo di Max era più difficile che gestire quello di Jace. E dire che doveva esserci abituato, ormai. “Ci vediamo tra mezz’ora.”
“D’accordo, fratellone.”
Alec riattaccò e guardò Magnus, che lo guardava con un sorriso. “Problemi a casa?”
“No. Dovevo accompagnare Max al campus, oggi. Ma non mi sono reso conto del tempo che passa e mi è sfuggito l’orario. Dovrei essere già da lui.”
Magnus si alzò immediatamente. “Allora andiamo. Non voglio essere la causa del ritardo di tuo fratello!”
Alec rise delicatamente, ma si alzò a sua volta. “Non lo sei. È colpa mia, mi sono… distratto.” I suoi occhi incontrarono quelli di Magnus, ovvero la più bella distrazione che potessero mai incontrare.
Ci siamo distratti.”
Alec deglutì, mentre cercava di ignorare la scarica di adrenalina elettrica che provava ogni volta che Magnus lo guardava come stava facendo adesso, come se Alec fosse una piacevole sorpresa, o la cosa che trovi dopo aver cercato tanto e che quando la ottieni ti rende più felice di quanto avevi immaginato.
“Ti accompagno a casa.” Disse e Magnus annuì.


*


“Allora, come mai il mio super puntuale fratellone si è dimenticato di me?”
Alec teneva gli occhi fissi sulla strada. Max, al suo fianco, giochicchiava con il suo iPod per cercare la canzone da viaggio perfetta. Ne aveva già cambiate otto da quando erano partiti, dieci minuti prima. Direzione: NY University. Max studiava ingegneria meccanica ed era al suo secondo anno di college. Alec si era perso il primo, perché la sua partenza, l’anno prima, aveva coinciso con l’inizio delle lezioni di Max, quindi si era perso il primo giorno di college del suo fratellino – che tanto ino ormai non era più. Quell’anno aveva voluto rimediare, offrendosi per accompagnarlo al campus.
“Non mi sono dimenticato di te.”
“Sei solo stato distratto.”
Alec abbandonò la strada solo mezzo secondo per lanciare un’occhiata truce al fratello. “Piantala.”
“Allora, come ti è sembrato?” Max fece partire una canzone rap piuttosto orecchiabile. Alec fissò la strada davanti a lui, l’asfalto che veniva divorato dalla macchina mano a mano che procedevano. Quella mattina il traffico era abbastanza scorrevole e Alec non poteva che esserne felice. Odiava rimanere imbottigliato nel traffico – come il novanta percento della popolazione, dopotutto.
Come gli era sembrato Magnus? Affabile e carismatico. Gli piaceva, in senso amichevole. Il fatto che fosse l’uomo più bello su cui avesse posato lo sguardo non doveva influenzare il suo giudizio: amici, dovevano limitarsi solo a quello. E sul piano strettamente amichevole, Magnus era davvero una bella persona.
“Simpatico.” Rispose, anche se mentre l’aggettivo lasciava le sue labbra, Alec si rese conto di quanto fosse riduttivo. Era quasi uno spreco associare Magnus a quell’unica, semplice parola.
Max sorrise e non disse altro. Era solo felice di vedere che suo fratello si stesse avvicinando a qualcuno che non facesse direttamente parte della sua famiglia. Alec era quel tipo di persona che si dedica agli altri, ma che ha bisogno di tempo per farli entrare nel suo cuore. Dava tutto se stesso a chi amava, per questo Max tendeva ancora a detestare l’ultimo ragazzo di cui Alec si era (innamorato) fidato e che, senza remore alcuna, aveva calpestato il suo cuore. Capiva perfettamente perché, quindi,  suo fratello voleva andarci piano. Era già un enorme passo avanti il fatto che avesse passato del tempo con Magnus, anziché respingerlo come tendeva sempre a fare.
Rimasero in silenzio ancora qualche istante. Max guardava fuori dal finestrino, Alec la strada. Dopo minuti interi, il più piccolo emise un sospiro e parlò.
“Papà ha chiesto di te.”
Alec tamburellò con le dita sul volante. “Ah, sì? E che ha detto? Se ho finalmente una ragazza?”
Max emise una risata dal naso, simile ad uno sbuffo. “No, ha chiesto se verrai alla cena a casa sua, questo week-end.”
Il primo istinto di Alec fu quello di dire di no, ma una parte di sé gli frenò la lingua. Non era in buoni rapporti con suo padre, prima di tutto perché aveva tradito sua madre e in secondo luogo perché non aveva ancora accettato la sua omosessualità. Alec aveva fatto coming-out da dieci anni, ormai, ma suo padre continuava a vivere la cosa come una fase. Diceva che prima o poi si sarebbe reso conto che era tutto un capriccio, dettato da qualche trauma – forse quello di Max, diceva sempre Robert – e che una volta superato il disturbo post-traumatico avrebbe capito qual era la strada da percorrere. Sottintendendo ogni volta la giusta strada, perché qualsiasi cosa che non rientrasse nella coppia uomo-donna era inconcepibile, per lui. Robert non riusciva ad accettare che uno dei suoi figli fosse gay e mascherava la sua intolleranza dietro ad una serie di discorsi di falso buonismo che in realtà implicavano soltanto il desiderio di sentirgli confessare che in realtà gli uomini non gli erano mai piaciuti.
Stronzate. Erano tutte una marea di stronzate che rendevano Alec particolarmente intollerante alla presenza del padre.
“Ci penserò, ok?”
“Ok.” Rispose Max, abbozzando un sorriso.
“Siamo quasi arrivati.” Disse Alec, contento di poter cambiare argomento. Svoltò verso destra, entrando in una strada decisamente più stretta rispetto a quella in cui erano stati fino a quel momento, trovandosi imbottigliato in una miriade di automobili tutte dirette verso il campus.
“Sembra l’inizio di La La Land.” Commentò Max.
“Sì, ma senza Ryan Gosling, quindi è decisamente uno schifo.”
Max rise di gusto e scelse un’altra canzone dall’iPod, prima di prendere il cellulare e puntarlo contro di sé. “Dai, avvicinati.” Gli intimò. “Nell’attesa, mettiamo un selfie su Instagram!”
Alec si sentì decisamente vecchio per certe cose, ma non riuscì a dirgli di no, così si avvicinò e sorrise pure, come gli suggerì Max. Passarono il successivo quarto d’ora a scegliere didascalia ed hashtag. E Alec, contro ogni sua immaginazione, lo trovò persino divertente.


*


Alec rientrò a casa che erano passate le nove di sera. Era stanco, mezzo affamato e desideroso di farsi una doccia che durasse almeno due ore. Avrebbe voluto avere un materasso impermeabile dentro alla sua vasca, almeno avrebbe potuto riempirla d’acqua e addormentarsi direttamente lì.
Si tolse il giubbotto e lo mise sull’attaccapanni, poi gettò le chiavi di casa e della macchina nel piattino che teneva sul mobile all’entrata.
Alec viveva in un appartamento non troppo grande, visto che ci viveva da solo, quindi la porta d’ingresso dava direttamente sulla sala. Gettò un’occhiata al suo divano e fu enormemente tentato di gettarsi su di esso con la stessa intensità con cui un salmone tenta di risalire la corrente, ma decise di farsi forza e trascinarsi fino al suo bagno. Lo fece, con la stessa euforia e gioia di vivere di uno zombie, trascinando i pieni e sbuffando.
Una volta in bagno, recuperò il cellulare dalla tasca dei pantaloni e lo appoggiò sopra ad un mobiletto vicino al lavandino, si tolse i vestiti e accese l’acqua della doccia. Una volta che fu calda, si mise sotto al suo getto, sentendo la stanchezza della giornata che veniva lavata via.
Ripensò alla sua mattinata, che era risultata la parte più piacevole della giornata, e a Magnus che gli chiedeva un favore e finiva per prenderlo per mano. Il suo cuore si era agitato come quello di un adolescente quando le loro pelli erano entrate in contatto. Quella di Magnus era così morbida che Alec si era vergognato dei calli presenti sulle sue mani a forza di praticare pugilato. Magnus, inoltre, aveva un buon odore, che gli era rimasto nelle narici anche quando Alec aveva accompagnato Max al campus. Doveva ammettere – e solo con se stesso – che quel profumo gli aveva fatto compagnia, durante il viaggio di ritorno, quando si era ritrovato solo con i suoi pensieri e ancora la voce di Magnus nelle orecchie, che suonava delicata, ma accattivante allo stesso tempo. Magnus non aveva niente di noioso – non il guardaroba, non il modo di parlare, non il modo di muovere le mani, cariche di anelli.
Si lavò i capelli, scacciando quei pensieri dalla propria mente: era inopportuno. Magnus era come David. Essendo l’insegnante di danza di sua nipote era off-limits. Come aveva rifiutato David, doveva rifiutare anche Magnus.
Eccezion fatta, signorino, che Magnus non ti ha chiesto di uscire. Non montarti la testa. Te la stai suonando e cantando tutta da solo.
Vero, pensò.
Magnus si era limitato a qualche battutina maliziosa buttata là in modo scherzoso, l’aveva guardato due o tre volte in un modo che ad Alec aveva fatto attorcigliare le budella e scaldare ogni minima parte del suo corpo – un qualcosa che gli aveva pericolosamente ricordato l’eccitazione –, ma a parte questo non aveva detto altro. Avevano semplicemente chiacchierato, come fanno due persone che stanno imparando a conoscersi. Tuttavia Alec, ancora si stupiva per com’erano state facili le cose tra di loro, come se in realtà una parte di lui già conoscesse Magnus e stesse solamente riallacciando quel rapporto che avevano sempre avuto, ma che, con il tempo si era solamente sbiadito. Sembrava che stessero colorando un tatuaggio che con l’andare del tempo si era ingrigito, mantenendo, però, i contorni netti e marcati. Qualcosa che c’era sempre stato, ma che andava solamente riempito. Era una sensazione strana, assurda quasi, ma piacevole. Magnus era un estraneo, ma allo stesso tempo Alec lo sentiva l’essere umano meno estraneo con cui si fosse rapportato fino ad ora.
Alec si sciacquò dallo shampoo e dal sapone che ricopriva il suo corpo e rimase sotto il getto dell’acqua qualche istante più del necessario – c’erano poche cose che gli piacevano come la sensazione rilassante che trasmette l’acqua calda sulla pelle – poi chiuse la valvola della doccia e uscì, scavalcando la vasca per mettere i piedi su un tappetino, che Izzy gli aveva regalato appena si era trasferito, e si allungò per afferrare l’accappatoio, in cui si avvolse.
Si stava godendo la sensazione simile ad un abbraccio di spugna datagli dall’accappatoio, quando sentì il cellulare squillare. Il suono breve di un messaggio. Controllò chi fosse e quando l’anteprima gli mostrò il nome di Magnus, non riuscì a trattenere un piccolo sorriso.

> From: Magnus, 21.26
Allora, tuo fratello ha cominciato ad odiarmi o sono ancora il suo preferito?

Alec ridacchiò.
> To: Magnus, 21.26
Il suo preferito? Pensi di piacergli così tanto?
> From: Magnus, 21.26
Non penso, lo so per certo.
> To: Magnus, 21.27
Ah, sì? E in base a che cosa, di grazia?
> From: Magnus, 21.27
Non posso rivelarti tutti i miei segreti, ti pare?

Alec rise di nuovo, scuotendo la testa.
> To: Magnus, 21.27
Allora rivelami un qualsiasi altro segreto.
Alec si stava giusto chiedendo quanto fosse inopportuno un messaggio simile, se stesse valicando qualche linea che non andava valicata per quanto riguardava la discrezione, ma poi Magnus gli rispose.

> From: Magnus, 21.28
Livello di segretezza base o avanzato?
> To: Magnus, 21.28
Direi base. Partiamo dalle cose semplici.
Mentre aspettava la risposta di Magnus, Alec si diresse ancora con l’accappatoio addosso verso la sua camera. Appoggiò il cellulare sul suo letto di una piazza e mezzo, situato al centro della stanza, e si diresse verso l’armadio, che occupava la parete opposta a dove si trovava la porta. Ne estrasse una tuta e si vestì, dopo essersi asciugato per bene. Più comodo e con i capelli ancora bagnati, recuperò il cellulare mentre tornava in bagno per sistemare l’accappatoio al proprio posto e mettere a lavare i vestiti che si era tolto prima della doccia. Doveva assolutamente fare una lavatrice, costatò, guardando il cestello dei panni sporchi. L’avrebbe fatta la mattina successiva, prima di andare a lavorare.
Prestò di nuovo attenzione al cellulare, mentre usava la mano libera per asciugarsi i capelli con un asciugamano.

> From: Magnus, 21.33
Detesto in maniera assoluta i film sullo spazio. Mi fanno venire l’ansia.
> To: Magnus, 21.33
Non hai mai visto Interstellar?
> From: Magnus, 21.33
No. E mai lo guarderò.
> To: Magnus, 21.34
Non sai cosa ti perdi.
Alec sistemò di nuovo l’asciugamano al suo posto, i capelli ancora umidi ma decisamente meno bagnati. Ogni volta che li lasciava asciugare in quella maniera pensava ad Izzy, che lo rimproverava sempre dicendogli che in quel modo si sarebbe procurato una cervicale con i fiocchi. Alec sapeva che avrebbe dovuto cominciare ad asciugarsi i capelli come la maggior parte della popolazione, ma, a meno che non fosse inverno inoltrato, lui proprio non lo reggeva il phon puntato addosso.
Uscì dal bagno, dirigendosi verso la cucina, il cellulare nella tasca dei pantaloni che ancora non dava segni di vita. Forse Magnus aveva avuto da fare – magari con Erin –  e non aveva più tempo di stare al cellulare. Decise di aspettare. Aprì il frigo ed estrasse lo yogurt, poi si diresse verso la dispensa e prese i suoi cereali e una scodellina. Si preparò il suo snack di fine giornata con grande gioia del suo stomaco che aveva cominciato a brontolare. Non aveva cenato. L’unica cosa che era riuscito a mangiare era stata una barretta energetica nella sua pausa, avvenuta più di quattro ore prima.
Seduto su uno sgabello all’isola della sua cucina, Alec immerse il cucchiaio nello yogurt e mangiò il primo boccone di cereali. Era consapevole che un uomo adulto non avrebbe dovuto avere quel tipo di alimentazione – e nonostante avesse trent’anni poteva chiaramente sentire la voce di sua madre nelle orecchie che lo rimproverava dicendogli di sforzarsi per cucinare come una persona normale – ma non poteva resistere alla comodità di quella sottospecie di cena ritardataria. Veloce ed efficacie.
La cosa strana era che ad Alec piaceva cucinare. Era anche abbastanza bravo, se si escludeva lo stufato. Quello proprio non gli riusciva e ogni volta che provava a cucinarlo, sembrava l’avesse condito con il cianuro. Per il resto, se la cavava piuttosto bene.
La vibrazione prolungata del suo telefono seguito immediatamente dalla suoneria delle chiamate, attirò la sua attenzione. Alec prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni e sorrise quando vide il nome di Magnus comparire sullo schermo. Rispose, sistemando il cellulare tra la spalla e l’orecchio.
“Ehi.”
“Disturbo?”
“No, figurati.” Sgranocchiò un’altra cucchiaiata di cereali.
“Stai mangiando?”
“I miei cereali.”
“Quelli stucchevoli al miele?”
“Mi stai giudicando, Magnus?”
Magnus dall’altro capo del telefono rise e Alec si lasciò contagiare. Era bella la sua risata. “No, tesoro, non ti sto giudicando.”
Alec arrossì un poco, quando quel nomignolo lasciò le labbra di Magnus e fu felice che l’altro non potesse vederlo. Alec decise anche, per il bene della sua sanità mentale, di non concentrarsi sulla morbidezza del tono di voce usato dall’uomo. “Bene, perché non sarebbe una cosa carina.”
“Sarei proprio un finto fidanzato orribile, se ti giudicassi.”
Alec arrossì ulteriormente. Era una caratteristica di sé, quella, che non gli era mai piaciuta. Alec arrossiva da quando era un ragazzino e se a sedici anni una reazione simile poteva anche essere scusata e, in qualche modo, vista come tenera ad occhi esterni, a trenta era solo una cosa imbarazzante. Alec l’aveva sempre odiata e ancora di più odiava quando le persone gli facevano notare che stava arrossendo, portandolo ad arrossire ancora di più.
Alec si sentiva davvero un disagio ambulante.
“Allora, non mi vuoi dire cosa mi perdo?”
Alec deglutì il boccone che stava masticando. “Mi stai dicendo che sei propenso a cambiare idea?”
“Sto dicendo che potrei avere un’apertura mentale tale da essere disposto a sentire il tuo punto di vista.”
“È modestia quella che tracanna dalla tua voce?” Commentò Alec, divertito.
“È sarcasmo quello che sento nella tua?”
“Touché.” Alec doveva ammettere che era giusto un po’ intrigato dal modo che aveva Magnus di stuzzicarlo. Non che l’avrebbe mai detto ad alta voce, comunque. “In ogni caso, la mia spiegazione non renderebbe l’idea. Dovresti guardarlo per comprendere in pieno la sua bellezza.”
“D’accordo.” Disse Magnus. “Lo guardiamo insieme?”
Alec per un pelo non si strozzò con i suoi cereali. Niente panico. Niente panico. Niente panico.
Ma ripeterselo risultò inutile: era già preda del panico.
Quanto sei disagiato, Alec. Mica ti ha chiesto di sposarlo, dannazione! Accetta!
Perché era la voce di Isabelle che gli risuonava nelle orecchie? E perché anche quando non era fisicamente con lui doveva dargli del disagiato?
“Ehm, s-sì. Quando?”
Magnus non esitò nemmeno un istante. A differenza di Alec, non era un totale imbranato, a quanto pare. “Domani sera?”
“Va bene.”
“Perfetto. Chissà, magari mi farai anche cambiare idea.”
“Nel caso, sarà merito del film, non mia.”
Magnus rise piano e poi lo salutò, augurandogli la buonanotte. Alec fece lo stesso.
Era solo un film, si disse, quando bloccò lo schermo del cellulare e se lo rimise in tasca.
Non aveva motivo di agitarsi. Gli amici guardano film insieme, dopotutto, no?
Mentre metteva la scodellina, ormai vuota, nella lavastoviglie, Alec decise di non dare troppo peso al fatto che la sua mente gli stesse ricordando che, in anni che conosceva Simon, non aveva mai accettato nessuna delle sue proposte a guardare un film insieme. Eppure, lui e Simon erano amici. È solo un film, si ripeté.
Solo. Un. Film.





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Ciao a tutti e ben ritrovati!
Volevo trovare un modo per far legare Alec e Magnus, almeno un pochino ed è nata questa cosa. Ora, onestamente parlando a me questo capitolo crea dei dubbi, un po’ perché ho paura di non riuscire ad esprimere bene il concetto su cui si baserà questa storia, ovvero il fatto che Alec e Magnus saranno amici per un bel po’ (è un mio fiacco tentativo di scrivere una slow burn, anche se dubito di esserne capace), un po’ perché temo di essere sfociata nell’OOC, soprattutto con Alec. La parte in cui viene nominata Camille è un pezzo che verrà approfondito più avanti e anche in quel caso, nel mini-dialogo che hanno lei e Magnus, mi sembra di aver fatto uscire quest'ultimo dal suo carattere originale. Quindi se voleste farmi sapere cosa ne pensate a me farebbe piacere!
Inoltre, volevo provare a fare la stessa cosa che ho provato a fare nella long precedente: chiedervi cosa vi piacerebbe vedere (leggere?) tra questi due, o se avete anche delle idee riguardanti o solo Alec o solo Magnus, non per forza insieme! Provare a inserire le vostre idee nell’altra storia mi era piaciuto, quindi se vi va come idea, potrei farlo anche qui!
Vi saluto e ringrazio chi ha recensito il capitolo precedente e chi l’ha messo nelle preferite/seguite/ricordate. Mi fa un piacere immenso, quindi grazie! <3  
Alla prossima! :D 
   
 
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