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Autore: Roberto Turati    15/12/2018    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Laura non aveva mai fatto così tanta fatica a contenere la sua gioia come quel giorno. Non poteva fare a meno di immaginarsi incontri ravvicinati con tutte le specie di cui aveva letto nel libro di Darwin, di pregustare il brivido di toccare autentici “fossili viventi” con le sue mani. A momenti, la ragazza dimenticava che il vero scopo di quella spedizione era il misterioso segreto citato da Darwin, entusiasta com’era all’idea di studiare le creature e osservare coi suoi occhi le loro differenze dalle ricostruzioni dei fossili. Comunque, riuscì a controllarsi quanto bastava per ascoltare le istruzioni di Mei-Yin, una volta che furono sulla spiaggia. La guerriera cinese si pose davanti al gruppo come una vera guida e disse, in tono perentorio:

«Ascoltate bene, ragazzi: a partire da ora, stare vicini sarà di vitale importanza. Io e Gaius vi faremo da apripista e cercheremo di anticipare eventuali attacchi. Se notate movimenti sospetti nella boscaglia o sentite versi di animale, dovete dircelo subito. Su quest’isola, la vostra vita potrebbe finire da un momento all’altro, sul serio. Avete capito?»

Laura e i suoi amici fecero un respiro teso e annuirono. Sam alzò una mano per chiamare l’attenzione e chiese:

«Va bene se tiro fuori il machete da subito? Giusto per stare sicuro»

Nerva lo guardò come se avesse posto la domanda più ovvia di sempre e rispose:

«Ma certo. Bisogna sempre essere pronti a difendersi»

Dunque il rosso annuì e sfilò il machete dallo zaino. A quel punto, però, Jack si fece avanti con un’espressione diffidente e domandò:

«Ehi, aspettate. Voi due, che dovete fare gli apripista, rimanete disarmati? Non dovreste essere i più preparati di tutti a combattere? Non è che mi senti molto al sicuro, ora come ora»

I due guerrieri si scambiarono un’occhiata attonita e, senza dire una parola, si voltarono all’unisono per mettere in mostra i loro zaini. A quel punto, Laura si accorse per la prima volta che, dalle cerniere, sporgevano in parte le canne di due fucili. La ragazza si sorprese di non essersene mai accorta prima di quel momento ma, se ci pensava bene, era anche vero che non aveva mai fatto davvero caso ai bagagli dei quattro sopravvissuti.

«Dove li avete presi quelli? Avete il porto d’armi?» domandò Chloe, curiosa.

Nerva le spiegò in tono sereno:

«Sì, abbiamo ottenuto il permesso per usare le nuove armi della vostra epoca due anni fa. A me è stato richiesto per il mio lavoro, Mei-Yin l’ha ritenuto saggio per via del suo mestiere di accalappiatrice»

«Ho usato la caccia come motivo per farmi dare il permesso di avere un bastone sputafuoco» aggiunse Mei.

Helena ridacchiò:

«Anche con le armi usi ancora i nomignoli?»

La Regina delle Bestie fece spallucce:

«Ci sono troppo abituata»

A quel punto, Rockwell fece un sospiro nervoso:

«Ottimo, vi siete tutti chiariti. Ora che ne dite se partiamo per l’obelisco verde? Le giornate su ARK passano in fretta, quando ci si incammina troppo tardi»

Nessuno obiettò. I due guerrieri tolsero le armi da fuoco dagli zaini, rivelando due fucili da caccia, sistemarono la loro ottica e fecero cenno ai ragazzi di seguirli. Il palmeto oltre la spiaggia era caldo e afoso, ma a Laura non dava tanto fastidio: era stata in luoghi molto più soffocanti. Mentre teneva gli occhi e le orecchie aperti come le era stato detto di fare, cercava di avvistare qualche creatura nel sottobosco. Dopo aver visto quelle creature marine, non vedeva l’ora di quelle terrestri. Per il momento non ne vedeva nessuna, ma ne sentiva moltissime: quel palmeto era un concerto di versi lontani che facevano eco nel fitto della vegetazione. Stridii, schiocchi, ticchettii, fruscii; la paleontologa non riusciva mai a capire quanto fossero davvero lontani o vicini. C’era giusto una cosa che la inquietava: non aveva idea di quali versi fossero da segnalare a Mei-Yin come minacce. Però si confortava pensando che, se la Regina delle Bestie li ignorava, dovevano essere animali innocui a emetterli. Proseguirono in silenzio per ore, finché Chloe non fece una domanda:

«Per curiosità, quanto è grande quest’isola? Sapete un numero preciso?»

Rockwell si sistemò gli occhiali sul naso, fece qualche conto sulle dita e rispose:

«Se arrotondiamo per eccesso, ARK ha una superficie di circa ottomilacento chilometri quadrati»

Sam fischiò:

«Ah, però! Mi immaginavo il classico fazzoletto di terra sperduto nell’oceano»

Chloe ridacchiò:

«Insomma, un fazzoletto di terra non sarebbe proprio l’ideale per i lucertoloni giganti. Dico bene, Laura?»

La bionda sorrise e annuì:

«Be’, direi. A meno che non sviluppino il nanismo insulare, ma non mi pare questo il caso. Helena, confermi?»

La biologa rispose con una spiegazione assorta:

«Sai, la risposta è più complessa di quanto potresti credere. Tutte le specie di ARK hanno subito modifiche, da quando sono migrate sull’isola milioni di anni fa. Alcune si sono rimpicciolite, altre si sono ingigantite, quasi tutte hanno solo sviluppato tratti corporei mutati. Questa è la versione corta, per rispondere davvero dovremmo esaminarle tutte caso per caso»

All’improvviso, Jack sobbalzò ed esclamò:

«Ehi! Cos’è stato?!»

Tutti si fermarono all’istante e guardarono il ragazzo. Jack osservava il sottobosco cespuglioso del palmeto a occhi sgranati e si teneva le braccia premute contro il petto, come per proteggersi. Mei-Yin alzò il fucile, fece un passo verso di lui e gli chiese:

«Cos’hai sentito, di preciso?»

Jack iniziò a sudare freddo. Senza distogliere lo sguardo dalla vegetazione, farfugliò:

«Ecco, all’inizio mi sembrava un fruscio come gli altri, ma poi ho sentito anche dei passi accanto a me! Erano vicinissimi!»

«Hai sentito anche un verso? Qualche altro suono?» indagò Mei, vigile.

Laura iniziò a spaventarsi e si mise a scandagliare il palmeto a sua volta, timorosa che Jack non si sbagliasse. Eppure, per quanto si sforzasse di aguzzare la vista, non notava nulla: vedeva solo cespugli e piante basse dalle foglie larghissime, accanto alle palme. A volte gli steli si muovevano, ma era l’aria ad agitarle. Oltretutto, il coro della fauna era sempre lo stesso: era difficile isolare un verso in particolare, in quella cacofonia. D’un tratto, però, Laura sentì un pigolio simile a quello di un pulcino. Sembrava venire proprio dal cespuglio davanti a Jack. Di colpo, sentì il rumore di uno sputo e uno schizzo verdastro inzaccherò la faccia di Jack.

«Aaaaaaaaaaah!» urlò il ragazzo.

Il pigolio diventò un gracchio rauco e dal cespuglio spuntò un teropode grande come un umano, con due vistose creste dorate sul capo e una rada peluria ispida sul dorso. Nonostante la frenesia del momento, agli occhi di Laura spiccarono subito i suoi colori sgargianti: il corpo era grigio bluastro; la peluria e un ciuffo sulla punta della coda erano arancioni. Avvolto intorno al collo, si trovava un collare che le ricordava quello di un clamidosauro, verde smeraldo al centro e rosso rubino sui bordi.

«Porca troia!» sobbalzò Sam.

La bestia si avventò su Jack, che stava ingobbito con le mani sugli occhi. Mei-Yin puntò il fucile e sparò. Laura fu spaventata dal botto improvviso e si coprì le orecchie d’istinto. Il proiettile colpì solo di striscio la bestiaccia, mentre correva: le sfiorò il dorso. Il dinosauro si fermò con un gemito e si volse alla Regina delle Bestie. Laura ne approfittò per soccorrere Jack e aiutarlo ad allontanarsi. Mentre lo portava via, sentì un altro sparo alle sue spalle, ma la creatura continuava a gracchiare, segno che era stata mancata di nuovo.

«Che succede? Chi sei? Non vedo niente! Aaaaaaah, brucia!» mugolava Jack.

Laura si sforzò di ignorare le grida isteriche di tutti gli altri, miste ai versi inquietanti della bestia, e gli afferrò le spalle per tenerlo fermo. Iniziò a parlargli; faceva del suo meglio per avere un tono rassicurante:

«Sono io, sono Laura, Jack. Non preoccuparti, penso io ad aiutarti. Ti allontano il più possibile»

«Cos’è quello?! Cosa mi ha fatto?!» chiedeva lui, nel panico.

«Calmati, Jack. Prova a non agitarti, ascolta la mia voce. Quello è un dilofosauro, ti ha accecato con la saliva. Ora gli altri stanno… ehm…»

Preoccupata, la ragazza si voltò per controllare cosa stava succedendo. I due guerrieri stavano ricaricando i fucili, mentre Sam, Chloe e gli altri due sopravvissuti provavano a distogliere l’attenzione del dilofosauro. Sam teneva il machete con entrambe le mani e lo brandiva come se fosse una mazza da baseball. Rockwell si era impossessato dell’accetta da boy scout del rosso e stava in posa difensiva. In quanto a Chloe ed Helena, si sbracciavano e gridavano a turni per attirare l’attenzione. Il dilofosauro guardava ora l’uno, poi l’altro. Allargava il cappuccio e sibilava; non attaccava, ma non si tirava neanche indietro.

«Diciamo che lo stanno confondendo» concluse, insicura.

Jack annaspava come se stesse annegando e i suoi occhi lacrimavano, disegnando righe sulla macchia verde che aveva in faccia. Intanto, farfugliava:

«È velenoso? Morirò? Sarò cieco per sempre? Cosa fa questo schifo?! È disgustoso!»

«No! Certo che no! Non è letale! Dovremo solo sciacquare bene i tuoi occhi per un po’ e andrà via! Non sarai cieco per sempre, fidati di me!»

Fu allora che Laura sentì un terzo sparo, seguito da un lamento di dolore. Si voltò di nuovo e vide Nerva col fucile puntato: la canna dell’arma fumava. Il dilofosauro stava barcollando di lato e il fogliame sotto il suo corpo si stava sporcando di sangue. Il teropode crestato allargò il collare e lanciò un ultimo grido minaccioso, ma poi voltò le spalle al gruppo e scappò. Si dileguò nel fitto del palmeto in un batter d’occhio. Laura tirò un sospiro di sollievo e sorrise a Jack:

«A posto! L’hanno mandato via. Sei al sicuro, Jack!»

«Davvero?» mormorò lui.

«Sì! Tranquillo!»

Jack emise un mugugno sommesso. Provò a sollevare le palpebre, ma non riuscì a tenere gli occhi aperti per più di un secondo: erano troppo infiammati. Con le guance rigate di lacrime, dopo un altro gemito, abbracciò Laura all’improvviso e affondò il viso nella sua spalla destra. Non l’aveva mai stretta così forte. Dapprima, la ragazza si stupì, quasi si imbarazzò: si sentì arrossire. Tuttavia, capiva cosa stava passando il suo amico in quel momento. Così fece un sorriso intenerito e ricambiò l’abbraccio, dandogli delicate carezze sulla schiena.

Sulla spiaggia, a qualche chilometro da dove la comitiva aveva ancorato la barca, atterrò un girocottero che sollevò un polverone di sabbia. Il motore si spense e l’elica si fermò poco alla volta. Il baccano si affievolì fino a tacere. L’uomo con la bombetta inspirò a fondo, entusiasta e orgoglioso di sé, e mise piede sul suolo arkiano con fare solenne. Avanzò fino al limitare del palmeto a lente falcate e coi pugni sui fianchi e si guardò in giro, con un sorriso estasiato. Allargò le braccia e disse:

«Ammira, mia cara amica meccanica: l’isola preistorica si staglia davanti a noi, pronta a svelarci tutti i segreti che custodisce! E tutto grazie alla mia geniale idea di lasciare che fossero quei fessi a condurci qui!»

«Ti ho consigliato io di seguirli di nascosto» gli ricordò DOR-15.

Mike sbuffò:

«Sì, me lo ricordo, ma non sarà questo che racconteremo al mondo: non posso certo dire a tutti che la mente della spedizione è stata un cappello parlante!»

«A prescindere da tutto, la ritengo una discussione secondaria. La nostra priorità ora è organizzare la nostra ricerca dei manufatti»

Mike schioccò le dita, entusiasta:

«Giusto! Mettiamoci al lavoro! Dunque, se fossi nove pezzi di antiquariato su un’isola di dinosauri, dove potrei essere? Ehi, ho un’idea migliore! Lasciamo ancora che ci pensino loro, poi freghiamoglieli da sotto il naso! Che ne dici, Doris? Sono o non sono un genio delle tattiche ciniche?»

Doris ronzò sulla testa di Mike per elaborare i dati, poi rispose:

«È una strategia con ottime possibilità di successo, tuttavia comporta il rischio che i nostri concorrenti abbiano più probabilità di scoprire il segreto citato da Darwin prima di noi, se non agiamo abbastanza in fretta dopo la fine della loro ricerca»

Mike trasalì, frustrato:

«Ehi, è vero! Questo potrebbe rovinarci tutto all’ultimo»

«Inoltre, sussiste sempre il rischio che alcuni di loro o tutti loro muoiano a causa delle avversità dell’isola prima di trovare tutti i manufatti. Suggerisco pertanto di giocare di anticipo»

Mike si lisciò i baffi, intrigato:

«Il vecchio classico “chi primo arriva meglio si accomoda”, eh? Tanto meglio: sbattergli in faccia la mia palese superiorità renderà tutto ancora più glorioso, muhuhuhaha! Allora, come troviamo questi manufatti?»

Doris ronzò di nuovo, per poi suggerire:

«Propongo di raccogliere quanti più dati possibile, per prima cosa. Eseguirò una scansione aerea per rilevare elevate tracce di calore di corpi umani, la userò per localizzare l’insediamento indigeno più vicino»

«Va bene, ti aspetto qui»

DOR-15 si staccò dalla sua testa e volò fin sopra le fronde delle palme, quindi iniziò a girare su se stessa e a scandagliare il paesaggio. Mike la osservava da terra, con le mani sui fianchi. Capì subito che la bombetta ci avrebbe messo un po’, quindi decise di guardarsi meglio intorno nell’attesa. Si voltò verso il mare e si godé la brezza fresca. Trovò ironico quanto sembrava normale quel posto, a non sapere cos’era in realtà. Si accorse però di un essere bizzarro che strisciava sulla sabbia. Incuriosito, prese l’enciclopedia di Darwin dalla tasca e cercò la pagina giusta: era un trilobite, un artropode di mare antichissimo.

«Il mio primo incontro ravvicinato con un animale estinto! Ed è un animaletto schifoso senza capo né coda. Nel vero senso della parola» borbottò, deluso.

Con un sospiro, si avvicinò al trilobite e lo guardò da vicino. Più lo osservava, più gli faceva ribrezzo: era una sorta di guscio che si muoveva, con un casco triangolare e un ammasso di segmenti dietro. Non faceva nulla di interessante e sembrava un’aragosta avariata da mesi. E poi era così lento!

«E datti una mossa, sgorbio!» sbraitò Mike.

Tirò un calcio al trilobite, ma fu come dare una pedata a un mattone. Mike emise un urlo stridulo e si massaggiò le dita dei piedi doloranti, mentre il trilobite scattò via per lo spavento, con un rumore di sfregamento. Mike imprecava a denti stretti e camminava avanti e indietro per la spiaggia per ignorare il dolore. Ogni tanto, dava un’occhiata a Doris: la bombetta fluttuava sempre più lontano, volando a destra e a sinistra per scandagliare porzioni diverse del territorio. L’ultima cosa che voleva era perderla di vista, quindi Mike sibilò altre imprecazioni sul frustrante inizio della sua avventura e raggiunse il palmeto.

«Doris, non lasciarmi da…» iniziò.

Ma, prima di terminare la frase, calpestò qualcosa che si spappolò sotto il suo piede, con un rumore di frutta spiaccicata. Mike trasalì ed ebbe un fremito di disgusto; rimase immobile per qualche istante, prima di osare abbassare lo sguardo per controllare cosa aveva schiacciato. Aveva spappolato la testa di una formica. Una formica enorme, la più grande che avesse mai visto: era grossa come un gatto.

«Ih! Che schifo!» esclamò.

Fece un passo indietro e strofinò il piede nel terreno, per pulirlo dai fluidi biancastri della formica. Non contento, si accucciò e ci sputò sopra per sfregarlo con un lembo della giacca. Mentre puliva, però, iniziò a sentire un ticchettio frenetico. All’inizio era flebile, ma diventava sempre più intenso e risuonava da tutte le parti. Mike si sentì circondato. Si alzò, deglutì coi nervi a fior di pelle e si raccolse su se stesso, mentre indietreggiava.

«Doris? Ci sei?» chiese.

Non ottenne risposta. Al ticchettio si aggiunsero i fruscii del fogliame e le piante intorno a lui furono scosse da qualcosa. Ed ecco che, come se fossero uscite dal nulla, apparve un’intera armata di formiche giganti che schioccavano le mandibole e tastavano il terreno con le antenne. Procedevano verso di lui a passo di marcia, come un vero plotone. A Mike sembrò subito di essere in un film dell’orrore con gli insetti. Impallidì e strillò:

«Aaaaaaah! Le formiche mangiauomini! Aiuto! Doris! Vieni qui! Le formiche mi perseguitano!»

Si voltò indietro e corse a capofitto da dove era venuto, sulla spiaggia. Si guardava indietro di continuo e vedeva che le formiche zampettavano sempre più in fretta: gli si avvicinavano in massa. Ma Mike ebbe subito un’idea brillante:

«Non mi prenderete mai in mare, mostriciattoli!»

Con una risata trionfante, eseguì uno scatto da velocista olimpionico verso l’oceano, con lo sguardo fisso sulla linea dell’orizzonte. All’improvviso, però, inciampò in qualcosa di duro e perse l’equilibrio. In un attimo, si ritrovò con la faccia nella sabbia e il piede gli faceva ancora più male di prima. Nel panico, si alzò sui gomiti e si girò sulla schiena per guardare dietro di sé: vide il trilobite che scappava e la scia di formiche che lo inseguiva. Pestò il pugno sulla sabbia, incredulo:

«Ancora tu?! Non potevi vendicarti dopo?!»

Ormai le formiche gli erano addosso. Una manciata di esemplari con le ali si era aggiunta alla colonia e ronzava sopra l’esercito alla carica. Mike si raggomitolò e gridò:

«Doris! Dove sei?!»

Subito dopo, sentì un rumore di spruzzi e una pioggerella dall’odore pungente lo inzuppò da capo a piedi. Mike tossì per la puzza di agente chimico e si strofinò gli occhi, che gli pizzicavano. Notò però che le formiche non lo attaccavano. Stavano zampettando intorno a lui con circospezione e sondavano la sabbia intorno a lui con le antenne. Dopo qualche minuto, iniziarono a disperdersi in tutte le direzioni e il ticchettio caotico si placò.

«Oh! C’è mancato poco» commentò Mike.

Doris apparve accanto a lui. Con un sottile braccio meccanico segmentato, teneva una bomboletta di insetticida vecchia e rovinata. Mike la osservò e gongolò:

«Ah, quel repellente da Hong Kong! Sapevo che un giorno sarebbe stato la mia salvezza»

La bombetta posò la bombola a terra e ritrasse il braccio meccanico. Ronzò:

«Chiedo scusa per il mancato preavviso. Quando ho sentito la tua richiesta di aiuto sono andata al girocottero per prendere l’insetticida, senza premesse»

«Hai fatto bene! Brava, la mia bombetta d’azione! Ehi, dimmi, hai trovato niente con quel tuo occhio magico?»

«La mia strumentazione non è magica, ma sì. Il centro abitato più vicino è a Nord-Ovest di qui, in mezzo a un territorio erboso. Inoltre, ho rilevato i segnali termici degli otto soggetti che stiamo seguendo: sono diretti al grande obelisco oltre questa foresta di palme»

Mike rimuginò, pensieroso:

«Capisco. Allora mentre perdono tempo a guardare i monumenti locali, noi interrogheremo i selvaggi di qui e ci faremo dire dove trovare i manufatti! Coraggio Doris, non sprechiamo questo vantaggio!»

«Ne deduco che intendi andare al centro abitato»

«Devo proprio dirtelo? Sì!»

«Nuova destinazione impostata»

Doris si posò sulla testa di Mike e ritirò il visore. L’uomo con la bombetta si sfregò le mani, ridacchiò e tornò al suo girocottero. Ma si fermò interdetto, quando si accorse che due bizzarri gabbiani dal becco largo si erano posati sulle eliche e lo fissavano in silenzio. Mike li guardò a occhi sgranati per un paio di minuti, così stupito da rimanere imbambolato; poi si riscosse, si infuriò e tentò di scacciarli sbracciandosi e urlando:

«Ehi! Come osate? Sciò! Sciò, uccellacci! Giuro che se fate la cacca sul mio girocottero, vi stacco la testa!»

I due gabbiani strani rimasero del tutto indifferenti. Mike andò su tutte le furie e si guardò in giro, in cerca di qualcosa da lanciare. Trovò una conchiglia, la prese, mirò e la lanciò a uno dei due uccelli. Lo mancò, ma ciò bastò a irritare la coppia di gabbiani: entrambi si alzarono in volo con gridi assordanti e scesero in picchiata su Mike. Iniziarono a planare su di lui e beccarlo sulla schiena. L’uomo con la bombetta gridava terrorizzato e scappava verso le palme, ingobbito e con le mani sopra la testa.

«Ahia! Scusate! Ahi! Non volevo! Ah! Doris, non stare lì impalata! Doris?!»

«Sto valutando le opzioni per scacciare questa coppia di ittiorniti» spiegò la bombetta.

«Eddai! Ah! Andate via, non sono mica un tonno!»

«Si può dire che ARK ti ha riservato il suo benvenuto più distintivo, ragazzo» commentò Rockwell, sardonico.

Il vecchio inglese stava aiutando Jack a lavarsi gli occhi con un panno inzuppato, come avevano già fatto molte volte dopo l’attacco del dilofosauro. Il ragazzo era seduto su una roccia e si sforzava di tenere gli occhi aperti con le dita, con lo sguardo rivolto verso l’alto, mentre Edmund strizzava il panno per far gocciolare l’acqua sui bulbi oculari. Jack sibilava a denti stretti ogni volta che ripetevano il trattamento, ma Laura poteva vedere che ce la stava mettendo tutta per non lamentarsi. Era chiaro che non volesse sembrare ancora più rammollito di quello che dava già a vedere.

«Rimarranno degli effetti o tornerà a vederci come prima?» chiese Laura, apprensiva.

Ogni volta che Rockwell annunciava che era il momento di lavare gli occhi di Jack, la bionda li osservava con ansia, tenendosi un pugno davanti alle labbra e sorreggendosi il gomito con l’altra mano. Gli occhi di Jack la inquietavano: le cornee erano rosse e le pupille erano dilatate del tutto. Le ricordavano gli occhi di suo fratello, quando tornava dall’oculista. Solo che le gocce dell’oculista non erano la saliva tossica di un dinosauro. Con un gesto noncurante, Rockwell la rassicurò:

«Non avete nulla da temere: le pupille torneranno a contrarsi come al solito entro domani, mentre il bruciore si affievolirà col tempo. Scomparirà fra tre giorni, al massimo»

«Oh, meno male!» esclamò Laura.

«Non mi sento affatto al sicuro, a vedere solo sagome sbiadite su un’isola dei dinosauri» borbottò Jack.

Chloe gli si avvicinò, gli mise la mano sulla spalla per confortarlo e lo rassicurò:

«Suvvia, non sei da solo! Ci sono Mei e Gaius a proteggerci, hai visto?»

«No, non ho visto» ribatté Jack, irritato.

Chloe si rese conto della gaffe e ridacchiò, imbarazzata. Quando il lavaggio degli occhi finì, Laura si accostò a Jack e gli porse la mano, così da poterlo guidare. C’erano buone notizie: l’obelisco verde era ormai prossimo. Laura lo vedeva torreggiare oltre le palme più vicine ed era certa che l’avrebbero raggiunto, appena avessero superato quell’ultimo tratto di foresta. In quel momento, Mei-Yin tornò dalla sua rapida ricognizione e disse che non c’erano minacce. Il gruppo si rimise dunque in marcia.

La sensazione di Laura era giusta. Appena superarono la macchia di palme, si ritrovarono ai piedi dell’arcana struttura. La ragazza approfittò del momento per osservarlo meglio: aveva l’aspetto di un autentico obelisco egizio. La base doveva essere lunga dieci metri per lato e il monumento si innalzava fino a cinquanta metri, a occhio e croce. Ma le somiglianze con l’antico Egitto finivano lì, perché non era fatto di pietra. Laura non aveva mai visto un materiale del genere: sembrava metallo, ma la ragazza non capiva quale. Era grigio scuro e liscio; l’intera superficie era suddivisa in piccoli esagoni, come le cellette di un alveare. La punta, verde chiaro e molto luminosa, era senza dubbio fatta di cristallo. Laura abbassò lo sguardo e osservò meglio la base: era circondata da una sottile piattaforma di quello strano metallo, dal diametro di una quindicina di metri.

«Che strano materiale. Che roba è?» chiese Sam, affascinato.

«La stessa dei manufatti. Non abbiamo mai capito cosa sia» rispose Helena.

Il ragazzo si avvicinò alla struttura e fece scorrere le mani sulla superficie dell’obelisco, con uno sguardo rapito. Dopo un po’, si voltò ed esclamò, sbigottito:

«Ehi, questo affare pulsa! Molto piano, ma lo sento. È come premere il polso con le dita, è strano»

Rockwell fece un sorrisetto e annuì:

«Esatto. Straordinario, non è vero? Comunque, è ora di verificare»

Con le mani dietro la schiena, il chimico raggiunse l’obelisco e iniziò a fare tutto il giro della piattaforma, intento a scandagliarla palmo a palmo, assorto. Incuriosita, Laura guardò dove saettavano gli occhi dell’Inglese e notò un particolare: c’erano tre cavità, nel metallo. Le ricordavano gli stampini da riempire di gesso liquido con cui giocava da bambina, per fare le repliche dei fossili. Chiese a Helena se poteva tenere Jack un attimo e salì a sua volta sulla piattaforma. Si accovacciò accanto a ciascuno dei tre incavi, per osservarli meglio. Ciascuno aveva una forma unica, molto stilosa e ben distinta dalle altre. Era ovvio che lì si dovevano inserire i manufatti, come aveva raccontato Helena. Edmund sospirò:

«Come pensavo: sono stati rimossi»

Helena allargò le braccia:

«Be’, è evidente: la barriera è attiva. Il problema ora è cercarli»

«Sarà difficoltoso. Tre anni fa erano tutti nelle caverne, ma ora potrebbero essere ovunque»

Chloe guardò entrambi e azzardò un’ipotesi:

«Magari qualcuno se li tiene in casa e non ha idea del loro valore, come le uova di Fabergé»

Rockwell fece una risatina nervosa:

«Ah! Me lo auguro, signorina: sarebbe lo scenario più roseo»

«Scusate, qualcuno potrebbe descrivermi cosa state vedendo tutti?» chiese Jack, mogio.

Sam si voltò e gli rispose:

«C’è questo obelisco gigante coi battiti cardiaci, tre buchi in un metallo strano e i nostri manufatti sono tutti in culo al mondo. Insomma, in culo all’isola»

Sbalordito dalle parole dell’amico, Jack chiese di poter toccare l’obelisco per sentire le pulsazioni di persona. Laura lo osservò strofinare le mani con meraviglia con quel metallo sconosciuto e alieno, intenerita. Poi, però, senti un grugnito e un fruscio poco lontano da loro: qualcosa stava brucando, nella radura dell’obelisco verde. La paleontologa si guardò in giro, allertata; era così curiosa che qualunque timore di avvicinarsi al fitto della vegetazione scomparve. Andò a indagare in mezzo ai cespugli, al limitare della radura, e quello che scoprì la fece impazzire per l’emozione: c’era un piccolo rettile tondeggiante, con zampette corte e tozze e un becco dotato di canini. Laura si portò le mani alle guance e squittì:

«Iiiiiiiiiiiiiiih! Un listrosauro! Ed è carinissimo!»

L’animaletto alzò lo sguardo, confuso dai suoni acuti della ragazza, e la fissò mentre masticava con pigrizia un grappolo di bacche simili a more. Laura sentì subito l’impulso di ispezionarlo dalla testa alla codina, prenderlo e osservare ogni centimetro quadrato del suo corpo, ma si ricordò all’ultimo che era pur sempre un animale selvatico: era meglio evitare. Laura sentì Mei-Yin richiamarla, in tono contrariato:

«Ehi, se fossi in te non andrei così lontana: sei a due passi dalla foresta»

Helena, però, difese la ragazza:

«Eddai, Mei, lasciale vivere il suo sogno. Puoi sempre tenerla d’occhio da qui, non è mica lontana!»

La guerriera sospirò, nervosa:

«È facile per te dirlo, ma intanto abbiamo soccorso l’altro solo dopo che è stato attaccato»

«Grazie lo stesso per la premura» si intromise Jack.

Sam e Chloe si accostarono a Laura e osservarono a loro volta il piccolo animale. Il listrosauro ingoiò le ultime bacche e iniziò a fissarli tutti e tre uno alla volta; sembrava perplesso, ma tranquillo. Il rosso si accucciò per guardarlo meglio, si alzò gli occhiali da sole sulla testa e ridacchiò:

«E tu cosa saresti, un carlino prima che inventassero i carlini?»

Chloe si sbatté un palmo in faccia:

«Ti spiace dirmi che c’entrano i carlini con questo coso?»

Sam fece spallucce:

«Insomma, guardalo: piccolo, brutto, sembra tonto. È un carlino, ma rettile! Scommetto che la gente del posto li usa proprio così»

«Eddai, che ti ha fatto di male? Sembra così dolce»

Il listrosauro grugnì e iniziò a zampettare in giro, alla ricerca di altre bacche. Laura ridacchiò e non seppe fare a meno di trattenere una spiegazione:

«Sapete com’è, questo piccoletto fa parte dei dicinodonti. Significa “due denti da cane”, quindi in un certo senso Sam ci ha azzeccato»

«Ah, è per i due denti strani sul becco» capì Chloe.

«Esatto. Comunque, prima che uno di voi due dica una blasfemia, non è un dinosauro: è un sinapside. Sapete, rettili prima dei dinosauri. Erano loro gli animali di successo, nel Permiano»

Sam le fece un piccolo applauso sarcastico:

«Tutto molto interessante, ma hai intenzione di fare così ogni volta che ci capita un dinosauro nuovo?»

Chloe gli lanciò un’occhiataccia e gli diede una pacca furtiva sulla schiena. Sam si massaggiò il punto colpito e allargò le braccia:

«Che c’è? Dico solo che può fare la paleo-secchiona quanto vuole, ma se per noi è arabo, qual è il punto?»

«Ehi, io ho dovuto rinunciare al corso di arabo, non infierire!» scherzò Chloe.

Laura sbuffò e chinò lo sguardo:

«Tranquillo, Sam, a te si può perdonare quasi tutto. Quasi»

I tre ragazzi tacquero e si misero a contemplare in silenzio il listrosauro che brucava e spogliava i cespugli più piccoli a una velocità incredibile, per la sua piccola stazza. In effetti, Laura aveva notato subito che era alquanto in carne: doveva proprio avere una dieta abbondante. Chissà se aveva un metabolismo lento o se mangiava senza sosta? Avrebbe potuto rimuginarci sopra per ore, ma fecero tutti e tre delle smorfie preoccupate quando lo videro alzare la codina e divaricare le zampe posteriori. Si affrettarono a voltarsi e a tornare da tutti gli altri, ai piedi dell’obelisco. Quando si riunirono al gruppo, Rockwell aveva un annuncio da fare:

«Abbiamo deciso che ci accamperemo qui per la notte. Questo tragitto ha impiegato quasi tutto il giorno e non ha senso provare a raggiungere un’altra destinazione a quest’ora. Voialtri ne approfitterete per riposare, io farò mente locale sui posti in cui potremmo cercare i manufatti»

«Posso darti una mano con quello, se vuoi» si offrì Helena.

Fu evidente che Rockwell si sforzò per non ridere. Si sistemò gli occhiali e fece l’oltraggiato:

«Con tutto il rispetto, Helena, credo che sia meglio se me ne occupo io: ho scoperto di persona il primo dei manufatti mentre facevo speleologia, credo di essere più che abbastanza ferrato per fare una lista dei punti di ARK che hanno più possibilità di nasconderli»

Helena sospirò e incrociò le braccia:

«Sei convinto che non conosca abbastanza l’isola perché ci sono stata meno tempo di te, vero?»

«Non necessariamente»

Edmund si affrettò ad allontanarsi e iniziò a montare una tenda dall’altra parte dell’obelisco. Laura rivolse un rapido sguardo perplesso a Sam e Chloe, ma quando Nerva li esortò ad allestire l’accampamento, obbedirono in silenzio.

Era notte fonda. Il gruppo aveva finito di cenare intorno al fuoco da campo e ora quasi tutti si erano ritirati nelle loro tende. Jack era andato a dormire quasi subito, distrutto da tutto quello che gli era successo quel giorno. I suoi amici stavano chiacchierando a bassa voce tra loro, mentre Laura leggeva l’enciclopedia. Rockwell stava da solo per stilare il suo elenco dei posti in cui cercare. Infine, Mei-Yin e Nerva facevano a turni per stare fuori di guardia e tenere acceso il falò.

Helena fu svegliata da rumori di passi e fruscii. Fu disorientata e stordita per qualche minuto, prima di riordinare la mente e ricordarsi che era andata a dormire dopo una simpatica discussione con Laura sui sinapsidi di ARK, la quale si era dilungata fin troppo. La biologa sorrise, ripensando a quella sera. Quella ragazza faceva proprio come lei, nei suoi primi mesi su ARK: su di giri tutto il tempo, rapita da ogni singola cosa nuova che vedeva, impaziente di scoprire ciò che non sapeva ancora. Sapeva come si stava sentendo: conosceva la sensazione di essere tornata una bambina che esplorava il mondo per la prima volta.

Nel suo caso, però, la magia era scemata in fretta, una volta che aveva dovuto confrontarsi col rovescio della medaglia. La prigionia sull’isola, il senso di smarrimento quando non riusciva a dare un senso ai suoi misteri, il timore di restare coinvolta nella guerra tra gli Arkiani e la Nuova Legione. Una parte di lei era dispiaciuta per aver perso i momenti in cui il suo unico pensiero era emozionarsi di fronte alle creature preistoriche. E adesso aveva la seconda occasione che non aveva mai pensato di avere, grazie a una giovane paleontologa dalla passione contagiosa. In cuor suo, Helena sperava che quella fase della meraviglia durasse il più possibile per Laura. In teoria, l’unico vero mistero rimasto era il segreto di Darwin. Ormai sapevano come aprire la barriera e la guerra era finita. Non avrebbero dovuto esserci distrazioni.

“La aiuterò a trarre il massimo da questo viaggio. Glielo devo” si promise.

A quel punto, un altro fruscio la riscosse dai suoi pensieri. La biologa si mise seduta e si stirò: non aveva più sonno. Il sacco a pelo accanto a lei era vuoto, segno che Mei era uscita per il suo turno di guardia. Il rumore che l’aveva svegliata, quindi, dovevano essere stati lei e Gaius che si scambiavano di posto. Le venne voglia di trascorrere del tempo da sola con l’amica. Così sgusciò fuori dal sacco a pelo, abbassò la cerniera della tenda e sbirciò fuori. Mei-Yin era seduta su un ceppo davanti al fuoco da campo, col fucile sul grembo. Si era tolta il k-way e, adesso, la sua armatura cremisi scintillava alla luce del falò.

Helena uscì dalla tenda e raggiunse la Regina delle Bestie. Quando si sedé al suo fianco, la guerriera sembrò sorpresa per una frazione di secondo, prima di tornare fredda e concentrata come al solito. La biologa sorrise e tentò di iniziare una conversazione: era sempre quello il passo più difficile, con Mei.

«Una prima giornata intensa, non trovi?» chiese, ironica.

«Dovresti chiederlo al ragazzo biondo, non a me» replicò Mei-Yin, secca.

«Giusto»

Helena serrò le labbra, con una punta di imbarazzo. Si mise a osservare il fuoco, a concentrarsi sulla danza ipnotica delle fiamme e sul crepitio rilassante. Fu in quel momento che le fu chiaro il vero motivo per cui aveva voglia di stare lì con Mei-Yin: quella scena rievocava ricordi. Ricordi piacevoli dal suo naufragio su ARK. Le tornò il sorriso e disse:

«Ti ricordi quando ero la tua ospite, nella giungla? I nostri primi tentativi impacciati di chiacchierare?»

Gli angoli della bocca di Mei si piegarono in un mezzo sorriso divertito:

«Vuoi dire i tuoi tentativi impacciati. Il tuo mandarino era atroce»

Helena fece l’offesa:

«Ehi, all’università ero più brava! Era il tuo sguardo spaventoso che mi distraeva»

«Sai cos’era spaventoso? Le tue domande incessanti sullo sterco delle mie bestie»

Helena si sbatté un palmo in faccia:

«Possiamo saltare quella parte? Abbiamo avuto momenti migliori! Come quando abbiamo improvvisato uno stufato di verdure insieme. Ricordi? Mi era capitato di dire che ero stufa di arrostire un pezzo di carne tutte le sere, tu hai detto che valeva lo stesso per te e abbiamo avuto l’idea assurda di fare le cuoche»

Il sorrisetto di Mei diventò più caloroso per un istante e la guerriera commentò:

«D’altronde, se fossi stata brava a cucinare, sarei somigliata di più alle ragazze normali del mio villaggio»

«Ehm… sì, immagino di sì»

Calò il silenzio. Helena era sempre incerta su cosa dire, nei rari casi in cui Mei-Yin si faceva sfuggire dettagli sul suo passato in Cina: aveva paura di premere i tasti sbagliati. In quel caso, tuttavia, fu l’amica a rompere il silenzio con un affermazione seria:

«Ci servono delle bestie al più presto, Helena»

La biologa la fissò, sorpresa da quel tono cupo, e disse:

«Ma certo, siamo già d’accordo sul prenderle appena arriviamo a un villaggio»

La Regina delle Bestie la guardò negli occhi e aggrottò la fronte:

«No. Ci servono subito. Hai visto cos’è successo, oggi»

Helena allargò le braccia:

«So dove stai andando a parare, ma non andare in paranoia! Certo, quel dilofosauro ci ha colti alla sprovvista, ma…»

«Siamo stati troppo lenti per impedirgli di accecare il ragazzo. No, io sono stata troppo lenta. La prossima volta potrebbe essere troppo tardi anche solo per mettere mano al bastone sputafuoco»

Helena sospirò. Sapeva che la sua amica aveva ragione nella maniera più assoluta, ma d’altro canto voleva trovare un modo per alleviare il suo oneroso senso di responsabilità:

«Mei, è giusto che ti preoccupi, ma nessuno è infallibile. Certo, Jack è stato accecato prima che tu e Gaius lo salvaste, ma l’importante è che ci siate riusciti, no?»

La Regina delle Bestie ebbe un lieve fremito di stizza e la sua voce diventò un sibilo frustrato:

«Hai acconsentito a portare qui dei giovani in erba che non hanno neanche metà delle nostre speranze di stare vivi qui, dopo che hai deciso di tornare in questo posto maledetto, e ora mi dici di prenderla alla leggera?»

Helena ebbe un sobbalzo, disorientata da quel rinfaccio. Non sapeva più cosa dire, ma all’improvviso aveva la sensazione di aver commesso l’idiozia più ovvia ed evitabile di tutta la sua vita. D’altro canto, quando ripensò a cosa aveva pensato solo pochi minuti prima, capì che avrebbe dovuto essere la prima a concordare con Mei: se voleva che Laura si godesse ARK, invece di viverla come un incubo, doveva tenerla più al sicuro che mai. Quindi chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e annuì:

«È vero. Ci servono rinforzi bestiali al più presto. Allora, qual è il tuo piano?»

Mei-Yin chinò lo sguardo e rimuginò in silenzio per una manciata di secondi. Dopodiché guardò il margine del palmeto e rispose:

«Domattina, esplorerò la zona e mi metterò sulle tracce di qualche predatore piccolo o di taglia media. Bestie che si domano in fretta e facili da gestire per chiunque. Poi cercherò un nuovo raptor per me: questo è assoluto»

Helena ridacchiò:

«Sembra che la Regina delle Bestie sia tornata in pista, più in forma che mai»

La guerriera scrollò le spalle:

«È proprio vero quello che dicono: le vecchie abitudini sono dure a morire»

Dopo aver riflettuto in silenzio, la biologa ebbe un’idea folle. Le sembrava sfacciato fare una richiesta simile a Mei e pareva una ridicola contraddizione a tutto il discorso che avevano appena fatto, ma decise comunque di provare:

«Sai cosa penso? Che dovresti portare i ragazzi con te e mostrare loro come si fa»

Mei-Yin strabuzzò gli occhi:

«Cosa? Sei impazzita?»

«No, sono seria. Segui il ragionamento: vogliamo che sopravvivano il più possibile, no? Allora insegna i tuoi trucchi ai ragazzi. Addestrali a vivere come gli Arkiani, o quantomeno a imitarli. Prendiamo due piccioni con una fava: se sono più temprati, dipenderanno meno dalla tua protezione e non dovrai preoccuparti così tanto»

Dapprima, Mei-Yin fece per ribattere. Helena poteva capire dalla sua espressione che era contrariata. Invece, all’ultimo, lo sguardo della sua amica diventò titubante. La Regina delle Bestie distolse lo sguardo e fissò il vuoto, mentre tamburellava le dita sulla canna del fucile. Helena sapeva che Mei non poteva negare i vantaggi di quell’idea. Non disse più niente per provare a convincerla: si limitò a guardarla con aspettativa, fiduciosa che avrebbe fatto la scelta più intelligente. Alla fine, Mei-Yin sbuffò e guardò il fuoco:

«Ah! Come mi metti tu nei guai, non ci riesce nessun altro. Molto bene: farò vedere ai ragazzi come si sfugge alla morte su ARK. Mi sforzerò di essere paziente. Ma solo perché sei tu»

Helena non seppe trattenere una risatina, quando sentì l’ultima frase. Annuì e sorrise ancora:

«Grazie, Mei. Cosa farei senza di te!»

La guerriera scrollò le spalle:

«Be’, ho promesso di ripagare il favore, no? Forza, ora torna a dormire: non ti conviene distrarmi mentre faccio la guardia»

«Agli ordini, soldatessa» scherzò Helena.

La biologa si batté le mani sulle ginocchia e tornò nella tenda. Quando si distese nel sacco a pelo, si girò sul fianco e fissò le ombre proiettate dal fuoco, mentre si chiedeva come avrebbero reagito i ragazzi a ciò che li aspettava l’indomani. Con un sorrisetto divertito, si voltò dall’altra parte e chiuse gli occhi.

   
 
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