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Autore: Soul_light04    16/12/2018    0 recensioni
La regione di Johto, dove vive la bella Lyra Soul, viene invasa dal Team Rocket, banda criminale che ha operato a Kanto tre anni prima, per poi essere sconfitta da una squadra di agenti segreti.
Gli abitanti di Goldenrod City sono costretti ad una nuova vita a fianco del Team Rocket, ma non tutti sono uguali, e Lyra lo impara grazie all'uomo stabilitosi a casa sua, il Generale Proton Sherwood.
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[NoPokémonAU] [Cannonshipping - Lyra/Cetra x Proton/Milas, sì, ho delle ship strane]
Ispirato dal romanzo "Suite Francese" di Irene Nemirovski, da cui è stato poi estratto l'omonimo film.
ATTENZIONE: questa storia è completa, sto solamente revisionando i capitoli; aggiornamenti costanti (si spera). Forse i personaggi sono un po' OOC.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Crystal, Gold, Lyra / Kotone, Milas
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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Capitolo 6

Tutto era pronto per il giorno della partenza, o meglio, della fuga, di Lyra Soul.

Ancora non credeva che stava per abbandonare la sua città, la sua casa, i suoi amici. Aveva con sé solo una borsa contenente pochi vestiti, soldi, acqua e cibo a sufficienza per due o tre giorni e una divisa del Team Rocket per sicurezza e una fotografia leggermente sgualcita della sua famiglia al matrimonio di Crystal e Gold. Non aveva nemmeno superato la loro morte che già doveva abbandonarli definitivamente.

Aveva dato l'ultimo saluto a Ruby, Petrel e Sapphire il giorno prima. Era stata accompagnata da Proton, siccome le strade erano pesantemente controllate da quando i membri della Resistenza erano scappati chissà dove. Tutto in città preannunciava lo scoppio di una nuova rivolta.

Proton stava ordinando alle reclute di sistemare le merci nel vagone il più in fretta possibile. A Lyra, che era già salita, venne quasi da piangere. Appena vide che le reclute si allontanarono, uscì dal suo nascondiglio e si buttò tra le braccia di Proton, il cuore pesante e gli occhi lacrimosi.

Poche lacrime trafissero le sue guance, in quel momento. Per entrambi fu breve ma molto intenso, come una scarica elettrica. Rimasero immobili per un minuto, senza il coraggio di guardarsi negli occhi. Il tempo di un ultimo bacio, che Lyra risalì sul treno. Lo guardò solo un attimo negli occhi vitrei.

Non si erano detti nulla, eppure era bastato. Il silenzio tra di loro ormai era una cosa a cui entrambi erano abituati: dopotutto, non avevano bisogno di parole per esprimere i loro sentimenti. Gli bastava guardarsi negli occhi per capire, ed entrambi capirono. Non si confrontarono mai su ciò che lessero l'uno negli occhi dell'altra, ma sapevano che era la verità. Una verità silenziosa, certo, ma pur sempre la più pura delle verità, ma i loro silenzi erano diversi da quello che li coinvolgeva all'inizio della convivenza: era un muro di silenzio a dividerli, e si era sgretolato ormai da tempo, mentre i loro silenzi, quelli voluti, valevano più di mille parole, come aveva sentito nominare spesso Lyra. Non avrebbe mai pensato di sentire quell'affermazione così intimamente sua. Eppure, la loro era una storia d'amore di parole mai dette. una storia d'amore di silenzi.

Lyra pianse in silenzio: davvero non capiva perché fosse sempre lei a doversi salvare, era certa di non meritarlo totalmente. Non sapeva se fosse meglio la morte del suo crudele destino coronato da sofferenze.

Il viaggio normalmente sarebbe dovuto durare quattro ore ma, contando il tempo di sbarcare le merci, le soste, i posti di blocco disseminati per la regione, ci avrebbe messo almeno un giorno per arrivare a destinazione: Saffron City, la città dai toni giallognoli.

Proton le aveva spiegato che in realtà il capotreno non faceva parte del Team Rocket, ma era stato rapito e costretto a guidare il treno fino a Mahogany Town. Le disse che Lyra sarebbe dovuta stare attenta e non far nessun rumore e nessun movimento: se gli agenti che controllavano Mahogany Town l'avessero scoperta, Lyra sarebbe stata uccisa barbaramente davanti a tutti. Era in quel momento che doveva stare particolarmente attenta.

Si rifugiò in un angolino del locale buio e appoggiò la testa sulle ginocchia. Prese a pensare a Proton, e le lacrime riaffiorarono. Il solo pensiero che sarebbe potuto morire la fece rabbrividire; la pioggia picchiettava forte sul tetto del treno, e quasi temette che si bucasse.

Attorno a lei, per fortuna, non c'era nessun container, in modo che le reclute non avrebbero controllato nel momento in cui avessero scaricato le merci.

E il treno partì, dapprima lento per farsi sempre più rapido. Lyra aveva spostato l'orecchio sullo sportello per sentire Proton, ma non si capiva niente. Certa che non l'avrebbe più rivisto, pregò che almeno si salvasse come si sarebbe salvata lei.

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Ogni posto di blocco era un inferno, per Lyra. Aveva il vivido terrore che sarebbe stata scoperta. Non era sicura se dovesse nascondersi anche dal capotreno, dopotutto lui era presumibilmente contro il Team Rocket, ma avrebbe potuto denunciarla in qualsiasi momento.

L'aveva visto durante un posto di blocco: era un uomo anzianotto, basso e robusto, i segni della stanchezza sul viso, dei baffi grigi e i capelli corti coperti parzialmente da un cappello, una piccola cicatrice sulla tempia. Lyra presunse che si trattasse di una traccia delle torture del Team Rocket. Nella penombra Lyra era riuscita a vedere i gentili occhi marroncini. Era venuto solo per controllare che tutto fosse apposto.

Dall'esterno non si udiva alcun rumore, al contrario che nei posti di blocco. Sentì lo sportello dei vagoni davanti aprirsi e dei passi pesanti e coordinati: quello doveva essere lo sbarco delle merci.

In due ore Lyra non aveva mai provato tanta ansia, nemmeno quando Proton l'aveva scovata all'interno dello studio. Sapeva che il suo sogno si era infranto: non avrebbe più frequentato l'Università delle Belle Arti, non avrebbe potuto vivere con Proton, non avrebbe mai più rivisto i suoi quadri, non avrebbe potuto andare a prendere un tè alla locanda Black and White insieme a Ruby e Sapphire, ma soprattutto non avrebbe potuto dare l'ultimo saluto a sua sorella, alla persona più importante della sua vita. Sapeva che non sarebbe mai tornata indietro, che non avrebbe più udito il soave suono del pianoforte nel cuore della notte per mano di Proton, che non avrebbe mai udito la fine della sua canzone, che non avrebbe baciato più quelle morbide labbra. Ed era perfettamente consapevole che la guerra, perché era sicura che si sarebbe scatenata una guerra, glielo avrebbe portato via, che non avrebbe mantenuto la sua promessa.

Respirò affannosamente, il cuore che batteva all'impazzata. Per calmarsi Lyra infilò la mano nella borsa per cercare la foto della sua famiglia, ma un altro foglio di carta, a lei poco familiare, finì tra le sue mani. Con un'espressione corrucciata scrutò il foglio cercando di leggere: presto la sua vista si abituò al buio e finalmente intravide delle note musicali e la firma di Proton Sherwood all'estremità destra. Era la sua composizione, e portava il suo nome al posto del titolo. Ciò la ridusse, ancora una volta, alle lacrime. Portò lo spartito al petto, ispirando profondamente. Poteva risentire nella sua memoria le note soavi del pianoforte.

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Non riuscendo più a contenersi, Lyra aveva urinato in un secchio, ma dopo aver finito, si era accorta che il capotreno era entrato nella stanza. Cacciò un urlo e indietreggiò, andando a sbattere contro una cassa vuota. La reazione dell'uomo non fu troppo differente.

"E voi cosa ci fate qui?" Chiese con estrema sorpresa. Il suo viso assunse un'espressione stranita, quasi buffa.

"M-Mi dispiace, signore. Non era mia intenzione spaventarvi" Disse Lyra posando una mano sul cuore che batteva all'impazzata, come a cercare di calmarlo.

Il capotreno capì presto che la ragazza doveva essere fuggita dal Team Rocket.

"Come vi chiamate?" Domandò con calma. Capiva la sua situazione e avrebbe voluto aiutarla.

"Lyra Soul"

"Pryce Filch, piacere di conoscervi. Da dove venite, se posso?" Disse cortesemente.

Lyra fece un piccolo passo in avanti: "Vengo da Goldenrod City, ma voi? Non mi pare d'avervi mai visto".

"Mahogany Town, a nord della regione. A Goldenrod City si sono stabiliti i capi del Team Rocket, giusto?"

"Esatto. La situazione all'inizio non era tanto male, ma... a casa di mia sorella hanno trovato i membri della Resistenza" Si interruppe guardandolo negli occhi glaciali, "e io sono dovuta fuggire; il Generale Capo era ossessionato da me. Mia sorella e suo marito sono stati giustiziati, il Team Rocket ha importo ulteriori divieti. Poi è arrivata una bomba, la notizia che l'esercito di Kanto e di Johto stanno liberando Johto... Proton - cioè, il Generale che ero costretta ad ospitare - ha temuto per la mia vita e sono partita".

Lyra raccontò brevemente gli ultimi avvenimenti con il distacco e la sicurezza che raramente la caratterizzavano. Ormai aveva capito che più nessuno l'avrebbe rassicurata, se non avesse incominciato a rassicurarsi da sé. Inoltre, si era resa conto solo in quel momento che per tutta l'occupazione era stata un'egoista: pensava che solo lei fosse insicura e che quindi avesse più bisogno di altri, ma in realtà la sicurezza di persone come Sapphire, Ruby, Platina, il visconte Berlitz, fino a Gold e Crystal, prima di contare sull'appoggio di altri erano sicuri di loro stessi, non si erano lasciati sopraffare dagli eventi, ma ciò non era una colpa, ed era arrivato il momento di darsi da fare, per la patria, per Proton e per la sua famiglia.

Fu il turno di Pryce Filch a raccontare la sua storia: anch'egli aveva vissuto l'occupazione del Team Rocket. Era stato scelto per condurre il treno fino alla destinazione, gli avevano promesso che avrebbero lasciato liberi lui e sua moglie ma lei è deceduta. Le avevano sparato poco tempo prima: un contadino aveva attaccato una recluta di ronda, ma mentre scappava sua moglie era stata confusa per una ribelle e la avevano fucilata proprio mentre il signor Filch commerciava con il Team Rocket per la libertà.

"Vuole dell'acqua, signorina?" Le domandò gentilmente.

"No grazie, signor Filch. Per il viaggio sono stata ben rifornita. Piuttosto, quanto tempo manca per arrivare a Saffron City?"

"Non molto, circa un'ora e mezza"

Il resto del viaggio lo passarono in un silenzio di riflessione, e non poteva essere un caso che si fossero trovati proprio in quel momento.

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Al loro arrivo alla stazione di Saffron City, blindatissima, erano stati travolti da un'orda di poliziotti. Furono perquisiti, interrogati, esaminati e, infine, accettati. Dopo pochi giorni vennero recapitati loro dei documenti. La gente era incuriosita: c'era chi li evitava con ogni mezzo, chi li trattava come persone normali, cioè ciò che erano, chi invece preferiva semplicemente ignorarli.

Il signor Filch venne accolto in una casa di riposo, mentre Lyra dovette arrangiarsi con i soldi che bastavano a pagare l'affitto per due mesi. Si trovò un lavoro part-time come cameriera in un caffè pagato decentemente. Ogni giorno visitava il signor Filch.

I suoi colleghi conoscevano vagamente la sua storia, e nonostante la curiosità li stesse divorando dall'interno preferivano non toccare quell'argomento, per Lyra era un sollievo.

Appena avesse avuto abbastanza soldi, Lyra avrebbe ripreso a dipingere. Solamente il signor Filch era a conoscenza delle sue vere aspirazioni, perciò cercava in tutti i modi di aiutarla. Per lei diventò una specie di controparte della signora Hazel.

Il suo appartamento era piccolo: le pareti bianco panna avevano un lieve strato di muffa all'angolo tra il soffitto e la parete, una finestra con le spranghe in ferro, la tapparella marroncina, il divano in tessuto rosso posizionato davanti ad un tavolino sul quale Lyra consumava i suoi pasti. Il bagno era sul fondo di un breve corridoio con le luci giallastre e le piastrelle d'un particolare bianco sporco. La sua camera da letto, invece, presentava un semplice armadio in legno di quercia e un letto ad una piazza. L'appartamento, al contrario di alcuni che aveva visitato in città, non era squallido ed il prezzo era buono. All'esterno il condominio, come la maggioranza degli edifici della città, era di un colore simile allo zafferano.

La sua vicina di casa era una donna sulla trentina dall'aria cupa, i capelli verdi tendenti al nero, gli occhi rossi e la carnagione pallida, perennemente in silenzio, che lanciava sguardi truci a chiunque passasse per il corridoio nell'esatto momento in cui c'era anche lei. Aveva un cagnolino che sembrava non sapesse fare altro che ringhiarle contro. Dal suo appartamento proveniva uno strano odore di incenso.

Un'anzianotta del piano di sopra le aveva riferito che in molti pensavano fosse una psiche oppure che facesse esperimenti satanici prima sul suo cane, poi sui suoi vicini di casa. Lyra aveva riso a quelle notizie, ma un lieve senso d'inquietudine le infestava il petto.

Nel giro di cinque mesi Lyra raccolse i soldi necessari per comprare un cavalletto, delle tele, le tempere e i pastelli a olio. In realtà l'acquisto di quei materiali non richiedeva certo tutti quei risparmi: Lyra li avrebbe usati per acquistare dei biglietti del treno per diversi posti da dipingere nei giorni festivi.

Il primo posto in cui decise di andare, non troppo lontano da dov'era lei, era Vermillian City. Si era posizionata sul molo all'alba e aveva dipinto una barca in lontananza parzialmente coperta da una scia di nebbia, dei gabbiani che volavano alti nel cielo verso il sole albeggiante. Quel dipinto era totalmente simbolico: il gabbiano era la libertà, la nave erano i ricordi ormai lontani, e l'alba rappresentava per lei un nuovo inizio su cui contare.

Sorrise teneramente alla visione del suo dipinto e, aspettato che si asciugasse, tornò nel suo appartamento. Era proprio ciò a cui ambiva di più: riuscire ad esprimere l'emozioni, i significati nascosti dietro ogni oggetto, paesaggio o persona. Riuscire ad esprimere ciò che provava con l'arte.

Per il suo compleanno, il signor Filch le pagò a sua insaputa un viaggio di due giorni a Cinnabar Island. Diceva che le avrebbe fatto affluire tanta di quell'ispirazione che non avrebbe nemmeno saputo cosa farne, alla fine.

Effettivamente il signor Filch non aveva mai avuto più ragione: Cinnabar Island era una piccola isola dalla sabbia insolitamente rosa. Solo che tre anni prima il vulcano era eruttato senza preavviso e aveva investito qualunque cosa fosse sull'isola. Era sopravvissuto solo un anzianotto arzillo, che si era trasferito a Celadon City.

Cinnabar Island era deserta. Gli unici rumori che Lyra udiva era quello lo scorrere del pennello sulla tela ancora candida, i versi di uno stormo di gabbiani e l'infrangersi contro la costa delle onde del mare.

Quel silenzio le aveva ricordato casa sua, a Johto. Naturalmente non si sapeva niente di Johto, a parte che alcuni battaglioni da diverse ragioni stavano combattendo per liberarla del Team Rocket.

Disegnò una città distrutta, a metà tra Goldenrod City e Cinnabar Island.

Qualche ora dopo, Lyra se ne andò soddisfatta dalla sua visita. Si sentiva sopraffatta da una nuova energia positiva, si sentiva pronta a rinascere.

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Celadon City.

Mai aveva visto città più bella e suggestiva. Aveva sentito dire che fosse la capitale dell'arte e del divertimento di Kanto. Ogni cosa in città, a partire dai palazzi, dai marciapiedi e dai tetti delle case, aveva una colorazione dall'azzurro al blu, persino alcuni abitanti di quella città si divertivano a vestire in tinta con i colori della città. Dalla Piazza Centrale simile, ancora, a quella presente anche a Johto, si poteva andare da qualsiasi parte. In un viale c'erano il centro commerciale e il casinò, un altro era un quartiere residenziale. Tutto era così pittoresco da poter essere comparabile alla magnifica regione di Kalos.

Era a Celadon City per una mostra di fotografia e per mostrare alcuni sue opere al Celadon Saloon, posto dove venivano esposti i maggiori quadri di nuova generazione. Era certa che le avrebbero riso in faccia; l'incontro con il direttore era stato prefissato per le quindici e trenta, quindi aveva più di due ore libere. Le tremavano le mani dall'emozione, e per la prima volta era riuscita ad eludere pensieri su Proton e sulla sua vecchia vita, tuttavia non poteva che ricordare della morte dei suoi genitori passando davanti ad un teatro di musica. Suo padre e sua madre si stavano dirigendo lì per l'ultima tappa della tournée di concerto al pianoforte.

Si era innamorata dell'arte visitando Celadon City per la prima volta, e, se il colloquio fosse andato bene, avrebbe potuto lavorare e viverci proprio accanto.

Perdendosi tra i monumenti della città, Lyra si accorse a stento che tra poco più di venti minuti si sarebbe svolto l'incontro con il direttore del Celadon Saloon. Si avviò verso l'imponente edificio in dieci minuti e diede il suo nome ad una gentile segretaria profumante di fiori, che le disse di accomodarsi in stanza d'attesa. Aveva i capelli corvini e corti e gli occhi marroni, indossava un kimono gialloornato da foglioline brune e arancioni e portava una fascia vermiglia ai capelli. Il viso era pallido e pareva avere sempre un sorriso tranquillo in volto. In qualche modo la presenza di quella donna poco più grande di lei l'aveva calmata per un po' di tempo. Ma quando la stessa donna, Erika, la venne a chiamare per conto del direttore, Lyra riprese a torturarsi le mani o a strofinare il pollice e l'indice contro l'orlo della gonna blu zaffiro.

Entrò nell'ufficio luminoso del direttore e si chiuse la porta alle spalle.

"Buongiorno" Disse in tono incerto, azzardando qualche passo. Teneva saldamente alcune delle sue opere con il braccio destro.

Il direttore sembrò più gentile e comprensivo di quanto le fosse parso dalle voci: era un uomo anziano, che le sembrava di aver già visto, la testa pelata, occhiali hippy a cerchio, baffi bianchi sotto il naso e lo sguardo arzillo. Accanto a lui, appoggiato sulla scrivania, c'era un bastone in legno di quercia. Aveva un gusto bizzarro e una sfumatura retrò nel vestire: indossava un pantalone color sabbia, una camicia rossa e un gilet bianco. Tra l'altro, all'ingresso aveva scorto un cappello bianco e rosso sull'appendiabiti. Aveva un sorriso allegro dipinto in faccia, e Lyra non sapeva se rilassarsi o se quella fosse una prova.

"Salve" Disse invitandola con la mano a sedersi di fronte a lui.

Si appoggiò con la schiena dritta contro lo schienale, accavallando le gambe e stendendo il braccio lungo il bracciolo sinistro; con l'altra si appoggiò i quadri davanti e la riportò al grembo con estrema eleganza. Lyra non sapeva se stesse facendo le mosse giuste, aveva letto un veloce manuale su internet sul linguaggio del corpo.

"Sono Lyra Soul, è un piacere conoscervi" Lyra gli porse cordialmente la mano. Il direttore gliela strinse con fare sicuro, e Lyra ricambiò.

"Piacere signorina Soul, io sono il direttore Blaine. Potete chiamarmi signor Blaine o semplicemente direttore" Disse in tono autoritario. Il sorriso di Lyra si restrinse leggermente e annuì. Blaine... aveva già sentito quel nome. Pensava a qualcosa che non fosse riferito all'arte.

"Incominciamo con il colloquio. Parlatemi di voi" Lyra venne totalmente colta alla sprovvista. Non aveva alcuna traccia su cui iniziare e, sinceramente, si sarebbe aspettata qualcosa di più specifico e mirato.

Deglutì a fatica e inspirò, cercando di parlare: "Mi chiamo Lyra Soul".

Blaine la interruppe subito e inclinò la testa: "Questo lo sapevo già".

"Sono vissuta fino ad un anno fa a Goldenrod City, a Johto. Studiavo arte all'Università delle Belle Arti, ma ho dovuto interrompere gli studi dopo l'arrivo del Team Rocket" Blaine arricciò le labbra per un breve momento al fatto che non avesse concluso l'università, ma la lasciò continuare.

Lyra parlò, finalmente, nel modo più sicuro e determinato che le era capace: "Signor Blaine, so che io molto probabilmente non soddisfo i requisiti di cui voi siete alla ricerca, tuttavia io sono soddisfatta, anche nel caso in cui non dovessi essere ingaggiata, di aver tentato. Un anno fa sono fuggita su un vagone merci dopo che la mia città è stata bombardata. Ho perso tutto, ma non mi sono tirata indietro. Ho perso tutti, ma io credo che la mia arte, se così si può definire, sia sempre stata con me e-"

"Basta così" Blaine la interruppe ancora all'improvviso. Lyra spalancò gli occhi e cercò di rimanere impassibile. Aspettando che parlasse, si morse il labbro inferiore e inarcò la schiena già in tensione.

"Mostratemi i vostri quadri"

Lyra, un po' scombussolata, aspettò un attimo prima di sollevare uno dei suoi quadri. Blaine glielo prese dalle mani e, adagiandolo sulle ginocchia, lo guardò con occhio critico cinque secondi esatti prima di ridarglielo. Lo stesse fece con il secondo e il terzo. Sorrise leggermente.

Però, appena Lyra gli porse il quarto e ultimo quadro, i suoi occhi si illuminarono. Quello era il suo quadro preferito e a parer suo anche il migliore che avesse mai dipinto. Il dipinto che aveva realizzato a Cinnabar Island doveva averlo colpito in particolare, perché lo fissò trentasette secondi in più rispetto agli altri.

Il direttore incrociò le braccia e stette in silenzio. Lyra represse l'impulso di battere il piede a terra in attesa di un giudizio, di una parola, di un gesto o di un qualunque segno di vita. Ma per secoli non arrivò nulla.

Lyra cominciò a temere il peggio. Forse Blaine stava solo aspettando che se ne andasse, che l'aveva rifiutata. Oppure stava meditando su come vendicarsi per lo sfrontato discorso di prima. Forse lo aveva infastidito e basta. Forse era stata una perdita di tempo per entrambi.

Nel momento in cui decise di alzarsi dalla sedia, Blaine batté le mani una, due, tre, quattro volte. Lyra lo guardò persa, chiedendosi se si stesse complimentando davvero o se la stesse prendendo in giro.

"Complimenti, signorina Soul. E' vero, voi non siete laureata. Avete ancora bisogno di migliorare, ma c'è una cosa che mi ha davvero colpito di voi: avete una storia da raccontare, questa è una qualità che più o meno molti hanno, ma io ho visto in voi un'altra qualità: voi sapere raccontarla questa storia, signorina Soul. Tuttavia, per ora preferirei che voi prendeste lezioni da me. Le assicurerò un alloggio e anche una paga mensile se seguirà le lezioni e a seconda dei risultati la paga sarà aumentata. Perciò, se siete interessata, potrete trasferirvi alla Celadon Mansion dal prossimo sabato"

Lyra rimuginò per qualche minuto; cosa sarebbe stato meglio per lei: seguire i suoi sogni ma non potersi più prendere cura del signor Filch, o restare a Saffron City e vivere per il resto della vita in un buco di appartamento?

La risposta fu ovvia.

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La vita di Lyra Soul si evolse incredibilmente nel giro di tre anni. Dopo essersi trasferita a Celadon City, cominciò a seguire le lezioni di Blaine. Erano difficili e lui pretendeva il massimo. Erika, la segretaria, era diventata una delle sue migliori amiche. Presto aveva guadagnato abbastanza soldi per tornare a Saffron City. I battaglioni di Kanto, Kalos, Unima, Hoenn e Sinnoh stavano procedendo per eliminare la presenza del Team Rocket. Di Proton non si sapeva assolutamente nulla, Lyra aveva perso le speranze. Acquistò un pianoforte, così che calata la sera potesse suonare la sua melodia. All'inizio era stato difficile per lei imparare la canzone e seguire allo stesso tempo i consigli di Proton.

Celadon City era la città perfetta: era un posto sicuro, aveva degli amici e una carriera. Si era ritrovata. I suoi genitori sarebbero stati fieri di lei. Crystal e Gold, il signor Filch, Proton, tutti sarebbero stati fieri di lei.

Dopo un anno e mezzo di lezioni con Blaine, Lyra dipinse un quadro che sarebbe stato esposto al Celadon Saloon. Alla fine si era ricordata dove aveva letto di lui: era l'unico sopravissuto all'eruzione del vulcano di Cinnabar Island.

Lyra aveva quasi dimenticato la sua vita tranquilla nella sua grande casa a Celadon City. Aveva dimenticato del silenzio, aveva dimenticato il tragitto per la casa di Gold e Crystal, per la Piazza Centrale, per la locanda di Black e White. Aveva dimenticato il timbro della voce di Proton, di come la baciava. A malapena ricordava di Ruby, Sapphire e Petrel e di Archer.

Tornò a Saffron City solo per il funerale del signor Filch.

La svolta nella sua movimentata ma ordinaria vita avvenne quando, un sabato mattina, alla Celadon Maison le venne recapitato un pacco. Non aveva ordinato nulla, quindi da dove poteva venire quel pacco? Alla sua domanda, il postino fece spallucce e se ne andò. Non c'era mittente da nessuna parte.

Lyra rimase sconvolta dal contenuto del pacco: erano tutti i quadri e gli schizzi che aveva lasciato a casa sua a Goldenrod City.

"Non è possibile..." Farfugliò. Le mani le tremavano tanto che lasciò cadere a terra un suo quadro. Indietreggiò e si portò le dita alla bocca, come a tappare un urlo represso troppo a lungo. Sentiva dolore dappertutto, così si abbassò e portò la testa tra le ginocchia, mentre le lacrime sfuggirono al suo controllo. Non seppe dire se fossero lacrime di felicità o altro. Proton Sherwood era vivo; doveva essere stato per forza lui, dopotutto era l'unico che conosceva il nascondiglio dei suoi quadri, l'armadio a muro. Aveva lasciato la chiave nel cassetto della sua scrivania prima di andare via. Inoltre dubitava che se fosse stato qualcun altro a ritrovare i suoi quadri li avrebbe recapitati proprio a lei invece che venderli, dargli fuoco o tenerli per sé. Ma come aveva fatto a sapere dove abitava?

Qualcuno bussò alla porta un paio di volte, poi entrò senza essere stato invitato. Blaine faceva sempre così.

"Lyra, ho provato quel carboncino che mi avevi consigliato, è fanta-" Si interruppe appena la vide. Si precipitò al suo cospetto e si chinò. Restò immobile, non sapendo cosa fare.

Lyra gli indicò i quadri sul tavolo. Blaine li raggiunse e li squadrò, capendo dal tratto e dalla data da dove provenissero.

"Come sono arrivati qui?" Chiese Blaine aiutandola ad alzarsi.

"Un postino..." Sussurrò Lyra.

"Ti sembrava familiare?" Chiese ancora. Lyra scosse la testa: era sicura di non averlo mai visto.

Dovette aspettare una settimana (che passò a rimuginare sui quei quadri, nonostante fossero ricordi troppo dolorosi da sopportare) prima di sapere da dove fossero arrivati.

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Era una tarda mattinata di sabato mattina. I dipinti di Lyra erano stati presi da Blaine per preservarli e organizzare una mostra apposta per lei. Lyra era eccitata solo all'idea che, per la prima volta, il Celadon Saloon avrebbe ospitato solo suoi quadri, che la gente sarebbe venuta apposta per lei, per la sua arte.

Si mise al pianoforte e suonò dei tasti a caso, ma che in qualche modo esprimevano la sua allegria. Davanti aveva il malinconico spartito denominato come "Lyra", scritta da Proton. Ormai non ne aveva nemmeno bisogno, l'aveva imparata a memoria; note di fuoco erano incise nella sua mente. Faceva ancora fatica a mantenere la schiena perfettamente dritta per tutta l'esecuzione, lo doveva ammettere, tuttavia aveva fatto enormi progressi con lo spettro di Proton che la tormentava ogni singola volta che toccava un tasto d'avorio e le sussurrava parole cattive. Lyra copriva la sua voce con la musica fino a farlo svanire. Però ogni volta le mancava sempre di più, nonostante sapesse che quello spettro non fosse il vero Proton e non sarebbe mai potuto esserlo.

Quel giorno Lyra sarebbe andata in studio solo nel primo pomeriggio per risistemare tutti i materiali da disegno.

Ad aspettarla al bancone d'ingresso, come al solito, c'era Erika. Si salutarono amichevolmente, si diedero appuntamento per una cioccolata calda (Lyra non beveva caffè) e Erika, prima che Lyra andasse verso l'ascensore, le riferì che un uomo l'aspettava nella sala d'attesa.

Incuriosita, Lyra attraversò il corridoio fino a ritrovarsi in una stanza con delle sedie blu appoggiate al muro, un tavolino di vetro con dei giornali e delle riviste, un area per i bambini con un abaco, delle seggiole rosa e blu e un tavolo di plastica pasticciato e dei disegni sparsi sul pavimento.

Vide un uomo piuttosto alto, magro e con i capelli viola. Lo riconobbe solo quando si girò: aveva il braccio sinistro fasciato, un occhio nero e dei tagli sul viso. Il pizzetto gli era cresciuto fino a diventare barba, ma aveva sempre lo stesso sorriso scherzoso.

"Petrel? Petrel!" Lyra gli si precipitò contro, abbracciandolo dalla parte sana ed incominciando a piangere.

"Calmati" Disse dandole delle pacche goffe sulla spalla. Non si aspettava di certo una reazione simile; beh, almeno era felice di vederlo.

"Sei fuggito? La guerra è finita? Com'è Goldenrod City? Sei stato tu a mandarmi i quadri? Dov'è Proton? Sta bene, vero? E' ancora vivo? Tornerà presto?"

"Calma, calma" Ripeté. Lyra fece un respiro profondo e riuscì a sedersi senza svenire.

"Okay, sono calma" Disse, ma non era affatto calma. La domanda che la assillava più di tutte era: Dov'è Proton?

"D'accordo, incominciamo: sono fuggito dal Team Rocket. Proton ha recuperato i tuoi quadri, la città è stata bombardata ancora, ma la tua casa è illesa. Ruby e Sapphire non ce l'hanno fatta, neanche la signora Hazel. Io e Proton siamo stati picchiati dalle reclute di Archer. Sono arrivato in bicicletta qui a Kanto, ho fatto recapitare io i tuoi quadri, due mesi fa. Mi avevano avvertito che ci sarebbe voluto un po' di tempo affinché li spedissero, perché Celadon City è lontana da dove sono arrivato io, Viridian City. Di Proton non so nulla, solo che è stato picchiato duramente da Archer dopo che ha scoperto che ti ha lasciato fuggire, ma non credo sia morto. Il Team Rocket è in seria crisi, si devono spostare in fretta visto che tutti i fronti stanno cedendo. Proton mi ha implorato di ridarti i quadri e di ricordarti che vi rivedrete, che siate vivi o meno" Fece una pausa per respirare poi, posandole la mano destra sulla spalla, riprese: "Lyra, Proton mi ha pregato di dirti... di dirti che ti ama".

Lyra scoppiò in singhiozzi rumorosi, che fecero preoccupare immediatamente Erika.

"Tutto bene, Lyra?" Chiese con la sua voce calmante. Lyra si rifugiò tra le sue braccia e le pianse sulle spalle. Le disse che le avrebbe spiegato tutto più tardi, di non preoccuparsi.

Erika li lasciò soli, lanciando un'occhiataccia a Petrel.

"Dove alloggi?" Chiese Lyra una volta ripresasi.

"Al Celadon Hotel. Ma ogni edificio qui inizia con Celadon?" Lyra ridacchiò.

"Sì, gli abitanti di Celadon City sono molto orgogliosi della città" Disse Lyra, ridacchiando leggermente.

Nonostante Petrel avesse portato notizie orribili o incerte, Lyra era davvero felice di averlo rincontrato. Apparte il signor Filch e lei, Petrel era l'unico ad essere fuggito dal Team Rocket, e aveva riacceso in lei un'emozione ormai sconosciuta: la speranza


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Funesto angolino della funesta autrice:

Buon pomeriggio, cari lettori!
Spero che questo capitolo non vi abbia turbato per la velocità in cui si svolgono gli eventi :) detto questo, torno nel mio buio e funesto angolino.

Comunque ho finalmente finito la revisione della fanfiction! ^_^ e niente, pubblicherò forse questo pomeriggio stesso.

Alla prossima,
Soul. <3
   
 
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