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Autore: Yugi95    17/12/2018    0 recensioni
Quando si perde l’unica cosa al mondo che abbia davvero importanza; quando si perde una parte di sé che mai più potrà essere ritrovata; quando si perde l’amore della propria vita senza poter fare nulla per impedirlo… è in quel momento, è in quel preciso momento che si cede lasciando che il proprio cuore sia corrotto dalle tenebre. Si tenta il tutto per tutto senza considerare le conseguenze, senza pensare al dolore che si possa causare. Se il male diventa l’unico modo per far del bene, come si può definire chi sia il buono e chi il cattivo? Se l’eroe, che ha fatto sognare una generazione di giovani maghi e streghe, si trasforma in mostro, chi si farà carico di difendere un mondo fatto di magia, contraddizioni e bellezza? Due ragazzi, accomunati dallo stesso destino, si troveranno a combattere una battaglia che affonda le proprie radici nel mito e nella leggenda; una battaglia che tenderà a dissolvere quella sottile linea che si pone tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VII – Il Preside Fu

 
In un’imprecisata zona del castello, una piccola figura avvolta in una pesante tunica damascata mugugnava con fare pensieroso. Era seduta su un alto e pericolante cumulo di cianfrusaglie e, rischiarando debolmente con la propria bacchetta l’opprimente oscurità del luogo, fissava una vecchia cartina pluristratificata. Sull’ingiallita superficie delle pagine di quest’ultima erano raffigurati i confini di Hogwarts, gli interni della scuola e una serie infinita di nomi che, istante dopo istante, cambiavano la loro posizione. «Wayzz, abbiamo a che fare proprio con un bel dilemma…» sibilò una pacata voce maschile in direzione di una piccola tartaruga.

Questa, intenta a mordicchiare una fresca foglia d’insalata, alzò lentamente la testolina e, quasi sembrasse aver capito ciò che le era stato appena detto, guardò in direzione del proprio padrone. Questi, dopo averle accarezzato il guscio con la punta di un dito, continuò quella specie di monologo. «È davvero strano… stando alle informazioni contenute nella mappa, nessun estraneo è entrato o uscito dalla scuola nella giornata di oggi. Quindi mi chiedo come sia stato possibile scatenare tutto quel panico in biblioteca. Colui che ha scagliato l’Imperio sul povero Max Kanté, deve per forza essere penetrato nelle mura del castello. Non è possibile effettuare una maledizione “a distanza”; nessun mago, nemmeno quello più potente, potrebbe riuscirci a meno che… a meno che…»

S’interruppe all’improvviso e, colpendosi la fronte con la mano chiusa a pugno, si maledisse per non averci pensato prima. La sua mente, dapprima affollata da una miriade di pensieri, congetture e teorie più o meno plausibili, si svuotò all’istante lasciando spazio ad un’unica e pericolosa possibilità; una possibilità che non avrebbe mai voluto prendere in considerazione. Puntando la sua bacchetta sull’antica pergamena esclamò due semplici parole. «Fatto il misfatto!»

Non appena pronunciò la formula magica, le scritte presenti sulla mappa divennero sempre più chiare fino a scomparire del tutto. I fogli, ormai completamente bianchi, furono riposti con cura in una delle tasche della lunga tonaca. A quel punto l’uomo posizionò la tranquilla tartarughina sulla propria spalla per poi saltare verso il basso. Nonostante si trovasse a quasi sei metri di altezza, non ebbe alcun problema a planare verso l’impolverato pavimento senza subire il minimo danno. «Bene! Adesso non mi resta che cercare la scatola… dove l’avrò messa? Tu te lo ricordi, Wayzz?»

L’animale ovviamente non proferì alcun suono, ma si limitò a muovere una delle zampe anteriori. Il proprietario rispose con un sorriso e, facendosi luce con la punta della bacchetta, si mosse nella direzione indicata dalla tartaruga. Procedeva rapidamente tra stretti passaggi costituti da numerosi cumuli di vecchi oggetti accatastati gli uni sugli altri, che si ergevano fino al soffitto di un’enorme stanza apparentemente priva di delimitazioni spaziali.

L’uomo si fermò dinanzi ad un singolare armadio di legno. Alto quasi due metri e dall’inconsueto profilo tetraedrico, svettava al centro di una piccola area stranamente sgombra. Il padrone del piccolo Wayzz si avvicinò con estrema cautela al delicato mobile e, afferrando due maniglie di ferro arrugginito, ne spalancò le pesanti ante. «Avevi ragione, amico mio» cinguettò, compiaciuto, l’uomo porgendo alla tartaruga un’altra foglia di insalata, «Le avevo nascoste proprio qui.»

Si piegò in avanti tirando fuori dall’armadio una pregiata scatola rettangolare di legno laccato, costituita da sette scomparti ognuno dotato di un proprio meccanismo di chiusura e decorata con un stilizzato ghirigoro rosso. La prese tra le mani e, dirigendosi verso un tavolino ricoperto di ragnatele, la posizionò al di sopra. Fece scattare la cerniera del sesto vano e con delicatezza lo aprì.

«Come immaginavo, qualcuno ha recuperato la Bacchetta del Controllo» mugugnò massaggiandosi il grigio pizzetto. «Non vi sono dubbi… la pietra non mente.»

Sfiorò con l’indice destro una gemma di forma irregolare: un’ametista che brillava di un’intesa luce viola. La pietra era inoltre incastonata a poca distanza da una lunga e stretta sagoma vuota scavata all’interno del legno grezzo. Dopo aver ispezionato con cura lo scomparto l’uomo lo richiuse e, rimuginando sul da farsi, si apprestò a riporre la scatola nell’armadio. Tuttavia, arrivato davanti le ante del mobile, iniziò a percepire una strana sensazione di inquietudine e malessere che lo spinse a tornare indietro al fine di controllare una seconda volta anche le altre.

Fu così che, dopo essersi posizionato allo stesso tavolino, aprì il terzo, il quarto ed il quinto scompartimento della scatola. In tutti e tre vi erano delle pietre preziose: rispettivamente un topazio giallo, dell’ambra e uno smeraldo. Le prime due gemme non brillavano, la terza invece, luccicava di una debole luce verde. A differenza dell’ametista viola, il bagliore emesso dallo smeraldo era di gran lunga più fioco. La cosa rasserenò l’uomo e, sebbene l’incavo dell’ultimo scomparto aperto fosse vuoto come il sesto, non sembro esserne affatto preoccupato.

Tirando un sospiro di sollievo richiuse i tre scomparti, poi, dopo aver ticchettato nervosamente sulla sporca superficie in vetro del tavolo, fece scattare il settimo meccanismo di apertura. All’interno del contenitore vi era l’ennesima sagoma vuota e un’altra pietra, nella fattispecie uno zaffiro: quest’ultimo emetteva una cupa luce azzurrina che sembrava dovesse spegnersi da un momento all’altro. «Come ho fatto a non accorgermene?! Anche la Bacchetta dell’Equilibrio è stata recuperata da qualcuno che non dovrebbe affatto sfruttarne i poteri. Siamo in seri guai…»

Wayzz, notando il disappunto e l’amarezza del suo anziano padrone, gli camminò lungo la spalla e, giunto nelle vicinanze dell’orecchio sinistro, ne mordicchiò affettuosamente il lobo. L’uomo apprezzò il gesto e, accarezzando delicatamente la testa della piccola tartaruga, riprese a parlare. «Non ho altra scelta, Wayzz: devo infrangere quella promessa. Il destino del nostro mondo dipende da questo, adesso. Spero solo di trovare le persone giuste… persone di cui potermi fidare. Non posso rischiare che gli errori del passato si ripetano di nuovo: le conseguenze sarebbero tragiche. No… non lo permetterò! È tempo che la leggenda torni ad essere realtà…»

Prese con sé la scatola e se la mise sotto il braccio sinistro. Subito dopo si affrettò a richiudere le ante dell’armadio ormai vuoto e, afferrando con la mano destra il lembo della sua veste damascata, eseguì un rapido giro su se stesso scomparendo nel nulla.

Intanto nello studio del Preside Fu Adrien e Marinette, riallacciato un rapporto di amicizia, parlavano tra di loro. Discutendo del più e del meno, erano in attesa che qualcuno gli spiegasse per quale oscuro motivo fossero stati portati in quel luogo. «Secondo te per quanto tempo ancora dovremo aspettare?» chiese il giovane Agreste all’amica.

«Non ne ho la più pallida idea. Spero solo che ci lascino liberi per la cena… sto morendo di fame» replicò l’altra mentre si massaggiava lo stomaco brontolante.

«Questa sera avrebbero servito la pizza. Quanto adoro la pizz…»

All’improvviso nell’ufficio riecheggiò un sonoro “crack”, simile al rumore prodotto dai rametti spezzati; seguito in breve tempo da un tonfo sordo. I due, spaventati da quell’evento inatteso, scattarono in piedi ed iniziarono a guardarsi intorno. Tuttavia, non fecero in tempo ad ispezionare neanche metà della stanza che una voce, proveniente dalle loro spalle, ne richiamò prepotentemente l’attenzione. «Signorino Agreste, Signorina Dupain-Cheng… benvenuti nel mio ufficio. Prego, accomodatevi: abbiamo molto di cui discutere.»

I ragazzi si voltarono di scatto e con grande sorpresa notarono che il massiccio scranno di quercia posto dietro un’imponente scrivania, dapprima vuoto, era occupato dal Preside Fu. Quest’ultimo, avvolto nella solita veste rossa arricchita da eleganti motivi floreali dorati, ridacchiava compiaciuto. Adorava stupire i suoi alunni con stravaganti trucchi di magia e fulminee apparizioni. Allo stesso modo gli studenti rimanevano sempre affascinati dalla bravura e dalla semplicità di quel piccolo grande uomo dai tratti orientali. Ciò che maggiormente li meravigliava era la storia del loro amato Preside che, partendo da un isolato villaggio tibetano, era riuscito a diventare uno dei più potenti maghi di tutti i tempi.

Adrien e Marinette, ancora intontiti dalla situazione, salirono i cinque gradini in marmo che collegavano l’ingresso con l’altra parte della stanza. Questa si presentava maggiormente curata dal punto di vista architettonico e dell’arredamento. Infatti, al posto dello scarno pavimento in pietra si trovava un elegante e scuro parquet. Alle pareti laterali erano appoggiate numerose librerie alte fino al soffitto e stracolme di antichi tomi.

«Suvvia ragazzi miei, non vi mangio mica.»

Quell’ennesimo richiamo del Preside ridestò entrambi i ragazzi dallo stupore, così barcollando timidamente verso delle poltroncine in pelle, poste davanti la scrivania, raggiunsero il loro interlocutore. Ricevuto nuovamente il permesso di sedersi, i due si lasciarono sprofondare nelle confortevoli poltrone, nascondendo a stento l’imbarazzo e la tensione.

«Bene…» esordì Fu tormentandosi il pizzetto con la punta delle dita, «Adesso che vi siete finalmente decisi, spiegatemi cos’è successo all’interno della biblioteca della nostra scuola.»

Il giovane Agreste, coadiuvato di tanto in tanto dalla figlia del Signor Dupain, raccontò in dettaglio quanto fosse accaduto quel pomeriggio. In particolare, si soffermò sull’inspiegabile atteggiamento di Max e sul loro coinvolgimento nella vicenda. L’anziano professore ascoltò con estrema attenzione ogni singola parola finché non interruppe il biondo asserendo di aver abbastanza elementi per la sua indagine. «Sono davvero impressionato, Signor Agreste. Nonostante le difficoltà, è riuscito a mantenere la calma e ad evitare che la situazione peggiorasse ulteriormente.»

«Non ce l’avrei mai fatta senza Marinette. Anzi, il piano d’azione è stato il suo, io ho solo eseguito gli ordini» replicò Adrien mettendo una mano sulla spalla della sua amica.

«Giusto, la Signorina Dupain-Cheng. I Corvonero non potevano avere studente migliore quest’anno.»

«La ringrazio per il complimento, ma sul serio… ho cercato solo di fare il mio dovere» concluse la ragazza sfoderando uno dei suoi meravigliosi sorrisi.

Il Preside Fu fece lo stesso; poi chinando a sorpresa il capo, ringraziò i suoi studenti per i servizi che avevano reso ad Hogwarts. Inoltre, tenendo conto dell’eroismo e, soprattutto, dell’altruismo dimostrato dai due, assegnò sia alla Casata di Grifondoro che a quella di Corvonero ben cinquanta punti. Entrambi, oltremodo felici di aver ottenuto un’inaspettata ma gradita ricompensa, non riuscirono a trattenere l’entusiasmo e, noncuranti della presenza di un docente nonché del luogo in cui si trovavano, si abbracciarono teneramente.

L’anziano professore fu colpito dalla spontaneità dei suoi alunni e dallo strano feeling che sembrava unirli. Era come se percepisse una sorta di legame tra quei giovani così promettenti, un invisibile filo rosso che intrecciava le loro vite in un unico destino comune. Anche Wayzz se ne era accorto e, dopo aver fatto capolino sulla spalla del suo padrone, non faceva altro che richiamarne l’attenzione. Voleva “parlare” con lui, suggerirgli la prossima mossa da compiere per il bene dell’intera umanità. Ma non ce n’era bisogno: Fu l’aveva capito benissimo da solo, ma aveva paura ad accettare la realtà. Non se la sentiva di affidare a quei due ragazzini una missione così importante. Maghi e streghe più esperti e capaci di loro avevano fallito e lui non poteva consentire che la storia si ripetesse.

«Preside, possiamo andare?» gli chiese improvvisamente Marinette ridestandolo dalla trance in cui era rimasto intrappolato.

«Ormai è quasi ora di cena» aggiunse Adrien leccandosi le labbra con la lingua, «Non vorrei perdermi la pizza prevista dal menu di oggi.»

Il docente aveva preso la sua decisione: non li avrebbe mai coinvolti in quella faccenda, era troppo pericolosa. Eppure, un’insistente vocina nella sua testa gli suggeriva di provarci. In fin dei conti avrebbe potuto sbagliarsi, forse non erano loro quelli che cercava. Doveva sapere, non poteva lasciare nulla al caso. «Ho… ho saputo che le vostre bacchette sono andate distrutte nello scontro di oggi.»

«Si, ma non si preoccupi… ne prenderemo al più presto di nuove.»

Fu, però, incurante dell’affermazione, estrasse da un cassetto della scrivania una scatola rettangolare di legno e la mostrò ai ragazzi. Successivamente, aprendo il primo ed il secondo scompartimento del contenitore, si rivolse nuovamente a loro. «Forse queste andranno bene…»

Le due matricole non furono in grado di trattenere un “ohhh” di stupore quando videro il contenuto della scatola. Sia il primo che il secondo scomparto contenevano due pietre: rispettivamente un rubino e un’onice nera; inoltre, accanto ad esse, adagiate in un incavo su misura, stavano due bacchette lunghe all’incirca trenta centimetri. La prima era totalmente nera con particolari dorati, il manico era tempestato di piccoli rubini, mentre alle estremità di questo presentava due perle bianche di differente larghezza. La seconda bacchetta, invece, aveva il corpo squadrato: di color argento, era impreziosita da piccoli ovali di onice nera di decrescente grandezza; il manico, leggermente lavorato, era totalmente nero e presentava una fascetta dorata sulla sommità che lo divideva dal resto.

«Professore…» sibilò Marinette, mentre esaminava con cura i due oggetti, «È sicuro di volerci dare queste bacchette? Mi sembrano molto antiche e preziose.»

«Concordo! Dovrebbero essere messe in una teca e protette dalle intemperie. Usandole rischieremmo di…»

Il Preside di Hogwarts lo fermò con un semplice gesto e, prendendo le due reliquie tra le mani, le consegnò agli studenti che aveva dinanzi. «Prendetele e vediamo cosa succede. Se dovessero rifiutarvi come loro padroni, me le restituirete. Dopotutto, è la bacchetta che sceglie il mago, quindi… lasciatele scegliere.»

Adrien e Marinette si scambiarono uno sguardo di reciproca intesa. Entrambi stesero il braccio destro in avanti e afferrarono i preziosi manici lignei. Non appena serrarono la presa, nell’ufficio, sebbene tutte le finestre fossero chiuse, si alzò un forte vento. Contemporaneamente le gemme, incastonate nella scatola, iniziarono a brillare con intensità impressionante.

La figlia del Signor Dupain fu pervasa da una piacevole sensazione di calore che dalla bacchetta si diffuse a tutto il corpo. Al contrario il giovane Grifondoro percepì sempre più freddo. Era come se il suo stesso animo stesse congelando, ma nonostante ciò non trovava per nulla sgradevole o insopportabile quello che stava provando. Il tutto durò circa una decina di secondi, poi la situazione tornò alla normalità: soltanto il rubino e l’onice nera continuarono ad emettere luce senza mai fermarsi.

«C-c-cos’ è successo?!» balbettò la ragazza appartenente alla Casata di Corvonero.

«Sono state le bacchette. Ci hanno scelto, non è vero?» ipotizzò il figlio di Gabriel Agreste massaggiandosi il mento con fare meditabondo.

Fu richiuse la scatola e, dopo averla messa via, parlò per l’ultima volta ai suoi studenti. «Queste bacchette hanno deciso che da oggi in poi vi serviranno con assoluta fedeltà. Mi raccomando riponete in loro tutta la vostra fiducia e non lasciate mai che il loro potere offuschi la vostra capacità di giudizio o peggio… il vostro cuore. Siate forti, coraggiosi e leali con il prossimo; solo così riuscirete a comprendere a pieno il vostro potenziale. Adesso però andate, rilassatevi e godetevi la serata.»

Le due matricole, soddisfatte per aver superato quella sorta di prova, fecero di sì con la testa; poi, voltate le spalle all’anziano professore, s’incamminarono verso l’ingresso. Tuttavia, a metà strada Marinette non poté fare a meno di porre un’ultima domanda. «Preside Fu… come ha fatto ad intuire che queste bacchette fossero adatte per me e Adrien?»

«Antico segreto cinese, mia cara… proprio come il tuo.»

Rimasto ormai solo, Fu si stiracchiò contro lo schienale del proprio seggio. Ad un tratto una voce, proveniente dall’ingresso dell’ufficio, fece eco nella stanza. «Hai fatto bene a seguire il tuo istinto, mio giovane amico. Sono sicuro che i due ragazzi sapranno farsi valere.»

«Lo spero con tutto il cuore: tempi difficili ci attendono, Isaac» sibilò l’insegnante, mentre raggiungeva uno dei quadri posti sulla parete destra, al di sopra delle vetrinette.

Un uomo anziano, dapprima intento ad osservare le stelle con un antico cannocchiale dorato, si affacciò dalla propria cornice in legno. Massaggiandosi la sua lunga
barba bianca, che con estrema eleganza gli ricadeva su una lunga tunica argentata arricchita da dei ghirigori bluastri, si rivolse nuovamente a Fu. «Fidati delle bacchette… loro non sbagliano mai.»


Bacchetta di Adrien:



Bacchetta di Marinette:

 
 
   
 
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