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Autore: Akame28    19/12/2018    2 recensioni
AU! [Accenni Klance]
"Keith si sofferma poi sulle altre palle di neve, anch'esse strette tra dita ormai rosse che, però, non appartengono a lui, finendo con il fermare gli occhi sui volti sudati e i capelli scompigliati, appiccicati alla pelle come se fossero stati imbevuti di colla. Lo guardano senza battere ciglio, come in attesa della prossima mossa.
Allora capisce."
[One-shot scritta per il Calendario dell'Avvento di Fanwriter.i (Giorno 20)]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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È freddo, tanto freddo. Più freddo e bagnato di prima. Keith se ne rende conto "a scoppio ritardato", quando gli pare di sentire la mancanza di sangue nei vasi sanguigni della guancia destra e una moltitudine di gocce scendere lungo il collo, andandosi ad infilare tra i vestiti.
Si porta una mano nel punto formicolante, scoprendolo prossimo al congelamento, ma ancora in grado di captare segnali esterni. Alza una mano in un movimento meccanico, in trance, e la porta nel punto preciso, per poi rimuovere una poltiglia bianca e umida. La porta davanti a sé, stringendola tra le dita della mano coperta dal guanto, e la esamina attentamente, quasi appartenga ad un altro pianeta. Cerca di collegare i pensieri e di dar loro un ordine. Stava camminando, un momento prima, sì, diretto chissà dove, senza meta...
Solleva lo sguardo di scatto, colpito da un fulmine, verso il luogo da cui la piccola pallina deve essere giunta. Cinque ragazzi all'incirca della sua stessa età — tranne uno, che deve avere almeno sette anni in più — ed un uomo strambo con i baffi arancioni lo stanno fissando con sei diverse paia di occhi su cui sono stampate sei diversi tipi di espressioni. Una in particolare lo innervosisce sin da subito: lo sguardo che lo scruta con aria di sfida, unito ad alla smorfia sul volto simile ad un ghigno, è un evidente segno di sfida.
Keith si sofferma poi sulle altre palle di neve, anch'esse strette tra dita ormai rosse che, però, non appartengono a lui, finendo con il fermare gli occhi sui volti sudati e i capelli scompigliati, appiccicati alla pelle come se fossero stati imbevuti di colla. Lo guardano senza battere ciglio, come in attesa della prossima mossa.
Allora capisce.
Con fare a metà tra il complice e il "determinato a battere tutti", aumenta la presa sulla pallina e socchiude gli occhi fino a farli diventare due fessure, mentre lampeggiano di una vaga euforia che gli cresce sempre di più dentro il petto. Gli altri intercettano il messaggio; quindi piegano tutti leggermente le gambe e si preparano.
Swash.

Keith tira e punta sul moro, quello che aveva il ghigno poco prima, il quale schiva il colpo qualche millesimo di secondo prima che vada a segno. «A quanto pare ti è andata male, eh, Keith?» lo punzecchia e lancia anche lui nel momento più favorevole, fallendo comunque miseramente. A quel punto, nel notare l'espressione soddisfatta del corvino, non gli rimane altra scelta se non scappare. A quanto pare, quella strana battaglia di neve può dirsi iniziata.
Tutti, dal primo all'ultimo, non possono fare a meno di ridere e scherzare, in perenne movimento, armati di palle di neve e una riserva di ossigeno che va a esaurirsi con maggior velocità ad ogni passo che compiono. Per un attimo, sembra loro di essere tornati bambini, in balìa di una specie di rincorsa senza tempo, ben distante dall'oblio dove gran parte dei giochi d'infanzia, prima o poi, finiscono per cadere e rimanere sepolti.
D'un tratto, uno di loro si discosta dal gruppo pian piano, senza però abbandonare il sorriso che gli scalda il volto, quasi non voglia rompere quella strana magia che li avvolge. È sudato in modo assai orribile, ma non sembra farci caso; piuttosto, tra una boccata d'aria e l'altra, indietreggia fino a toccare il busto di un albero, i cui rami sono coperti da strati di neve che, al suo tocco, cadono verso terra, bagnandolo sui capelli già umidi.
Guarda da lontano gli altri, in preda ad un senso di nostalgia a lui estraneo fino a quell'istante. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che si era divertito in quel modo? Ah, sì, probabilmente un paio d'anni, da quando aveva iniziato gli studi in quella città sconosciuta...
«Takashi?» si sente chiamare da una voce familiare. Si volta verso colui che l'ha pronunciata. «Adam?» dice sorpreso, «Cosa ci fai qui?»
«Sono venuto a cercarti. In camera non c'eri, così ho pensato che ti avrei trovato qui, a fare una passeggiata» gli risponde raggiungendolo, avvolto nel cappotto invernale. Ha in mano una giacca, che porge a Shiro appena gli è davanti, sebbene quest'ultimo, con una strana smorfia, gli faccia intuire che non è molto propenso ad indossarla. «Ti prenderai un malanno» è la scusa dell'altro, in un tono che non ammette repliche. Shiro abbozza un sorriso, in parte divertito – e intenerito – dalla sua premura; quindi allunga un braccio e si poggia sulle spalle quella sorta di mantello "anti-freddo", per poi tonare a guardare gli altri.

«Sembrano dei bambini, non trovi? Fanno tenerezza, in un certo senso» dice Adam un paio di minuti dopo, anche lui incantato dalla scena.
«Hanno tutta la vita davanti a loro e il periodo che stanno vivendo non è certo dei più semplici... a volte, sarebbe meglio tornare indietro, sai, un po' come fare la retromarcia con la macchina de "Ritorno al futuro"» gli risponde Shiro tentando di nascondere quella punta di nostalgia che lo ha già preso a intaccare la voce. Perché sì, sebbene tutti lo considerino un esempio da seguire, tra le persone più dotate in qualsiasi campo nonostante la giovane età, anche lui, spesso e volentieri, desidera poter riavvolgere i nastri degli anni per tornare a quei momenti in cui tutto era più facile e il mondo più grande e luminoso. Ma no, non può, per quanto lo voglia: di macchine del tempo non ce n'è nemmeno l'ombra e dubita fortemente che possa accadere in futuro.
E poi, inutile dirlo, piangere sul latte versato non risolve mai niente; quindi sospira di nuovo e si volta verso Adam che, si accorge, lo guarda con aria interrogativa. «Takashi, guarda che in "Ritorno al futuro" nessuno va in retromarcia. La macchina va sempre in avanti, per prendere lo slancio, e poi parte e "salta nel tempo".»
«Davvero? Probabilmente mi sono confuso...» fa un'altra pausa, ma non ha il tempo di distogliere lo sguardo che qualcuno richiama la sua attenzione. «Forse c'è una spiegazione del perché la macchina vada sempre in avanti.»

Coran è a pochi passi da loro, ridotto pressappoco come Shiro, anche se con le ossa che gli dolgono di più. Ha un'espressione soddisfatta, di quelle che assume quando è certo di sapere qualcosa che nessun altro conosce. Arrotolandosi tra le dita i lunghi baffi arancioni, fa una pausa ad effetto a causa della quale Adam inizia a dubitare fortemente che quell'uomo sia del loro stesso pianeta; a dirla tutta, gli sembra uscito da uno di quei libri di avventura che era solito leggere da piccolo.
«Non ci avete mai pensato? E se fosse un messaggio?» ricomincia ed è come se riprendesse spirito, infervorato com'è. «Sì, un messaggio che ci dice di andare sempre avanti, anche quando si torna involontariamente nel passato. Anzi, è proprio in quei momenti che bisogna essere forti, essere capaci di continuare a camminare lungo il proprio cammino senza voltare completamente le spalle a quello che è stato. Insomma, è un insegnamento di vita» conclude il suo mini teatrino alla Shakespeare, fatto di alzate di braccia e cambiamenti di tono nelle parti "intense".
I due lo fissano increduli e non dicono nulla. Che abbia parlato in aramaico?, si ritrova a domandarsi Coran, seppur certo di non saperla neanche lui quella lingua.
«Wow... belle parole» riesce solo a dire Adam dopo qualche secondo.
«Spettacolare Coran! Non credevo...»
«Lo so, lo so, Shiro, ma vedi, questo è quello che io chiamo "spirito natalizio": siamo in uno dei periodi più belli dell'anno e farsi prendere dallo sconforto – e non dire che non è vero, te lo si legge in volto – proprio adesso non mi pare giusto. Poi, ammira la neve che c'è! Cristal-»
Non riesce a finire la frase che viene colpito sul viso a tradimento. «Voi, teppisti!» esclama in un secondo istante, mentre i ragazzi ridono di cuore.
«Ok, ragazzi, devo andare adesso. Passerò il Natale con la mia famiglia e se non mi sbrigo rischio di perdere l'autobus» dice Hunk, asciugandosi al contempo con il dorso della mano la fronte imperlata di sudore.
«Anche io devo andare. Mio fratello mi starà aspettando da un'ora» fa Pidge, e s'incammina dietro al ragazzo salutandoli con un cenno. Gli altri li guardano allontanarsi silenziosi e sparire dalla visuale.
Ben presto se ne vanno ognuno per la propria strada, fin quando gli unici a rimanere in mezzo a quell' immenso deserto di ghiaccio sono Keith e Lance.
Sebbene preferisca di gran lunga chiacchierare di qualsiasi cosa con qualunque tipo di persona, Lance si ritrova ad ammettere che il fatto di trovarsi in uno stato di completo silenzio non gli dispiaccia quasi per nulla; non che odi il ragazzo in sé, ma trovare argomenti con cui discutere con il solitario Keith è un 'impresa ardua perfino per lui.

È in gran parte per questo se, una volta intascate le mani e aver gonfiato i polmoni quel tanto che gli serve, apre la bocca con la chiara intenzione di salutarlo ed andarsene, ma si blocca nel vederlo con talmente assorto nei suoi pensieri. Non riesce a trattenersi dal domandare: «A cosa stai pensando?»
Keith tira su il capo e sbatte le palpebre, colto alla sprovvista. «Niente. Mi è solo... venuta in mente una cosa» risponde evasivo e, quasi senza accorgersene, inizia ad allontanarsi. «Ehi, aspetta!»
Lance lo raggiunge, non sapendo nemmeno del perché lo faccia. «Che programmi hai per le vacanze?»
Per un attimo, Lance è sicuro di scorgere il volto del corvino rabbuiarsi, mentre tenta di rimanere impassibile. «Il solito... starò con mia madre e farò visita a mio padre... niente di eccezionale, insomma.»
Avverte di aver toccato un tasto dolente. Vorrebbe fare qualcosa per rimediare, ma non ne ha idea. Keith sembra- Lance non sa spiegarlo. E' chiuso in un guscio, una corazza inviolabile e per nulla propenso ad uscirne fuori; se fosse possibile...
«Che ne dici di passare il Natale con la mia famiglia? Ah, aspetta, prima che tu possa dire qualsiasi cosa, t'informo che ai miei farebbe piacere vedere delle facce nuove, quindi non preoccuparti, siete i benvenuti» esala tutto d'un botto, come se tema di dimenticarsi di fare quella proposta. Che poi, non ha tutti i torti: è da una paio d'anni che sua madre gli propone di invitare qualche amico, giusto per non obbligarlo a dover correre sempre dietro ai nipoti, andando a finire col lamentarsi del mal di schiena il giorno dopo.
Keith alza un sopracciglio. E' interdetto. Davvero può accettare? Non gli scoccia che due estranei s'infiltrino in casa sua? «Non ti scoccia il fatto che due estranei entrino in casa tua proprio il giorno di Natale?» gli domanda.
«Te l'ho detto, è tutto a posto»
Altro momento di silenzio, poi Keith esala un «D'accordo» non troppo convinto.

Keith torna verso casa, infreddolito e stanco. Ogni tanto si ritrova a sorridere nel ripensare agli avvenimenti di poco prima, con un Lance esaltato più del dovuto e lui stesso che, nel vederlo, ha un'espressione a dir poco contraddittoria. Deve ricordarsi di dire a sua madre dell'invito. Solleva la testa quando si accorge che dei piccoli fiocchi di neve stanno scendendo verso terra e ne raccoglie uno sul palmo della mano.
Oh, beh, almeno quell'anno non sarebbe stato come tutti gli altri.

 

   
 
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