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Autore: Yugi95    20/12/2018    0 recensioni
Quando si perde l’unica cosa al mondo che abbia davvero importanza; quando si perde una parte di sé che mai più potrà essere ritrovata; quando si perde l’amore della propria vita senza poter fare nulla per impedirlo… è in quel momento, è in quel preciso momento che si cede lasciando che il proprio cuore sia corrotto dalle tenebre. Si tenta il tutto per tutto senza considerare le conseguenze, senza pensare al dolore che si possa causare. Se il male diventa l’unico modo per far del bene, come si può definire chi sia il buono e chi il cattivo? Se l’eroe, che ha fatto sognare una generazione di giovani maghi e streghe, si trasforma in mostro, chi si farà carico di difendere un mondo fatto di magia, contraddizioni e bellezza? Due ragazzi, accomunati dallo stesso destino, si troveranno a combattere una battaglia che affonda le proprie radici nel mito e nella leggenda; una battaglia che tenderà a dissolvere quella sottile linea che si pone tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IX – La lezione di volo

 
Il resto della mattinata proseguì in maniera piuttosto tranquilla, quasi monotona. Dopo aver aiutato l’amica, anche Adrien riuscì al primo tentativo a far levitare il manico di scopa nella propria mano sbalordendo i presenti. Sebbene adducesse la buona riuscita di tale impresa alla fortuna, Marinette non gli credette: conosceva bene il suo talento eccezionale. Non di rado quell’immensa bravura l’aveva fatta sentire inferiore e a disagio. Era più bravo di lei in ogni disciplina e per questo motivo, nonostante se ne vergognasse tremendamente, lo invidiava.

Con il tempo però si era resa conto di quanto dovesse essere difficile per Adrien sopportare tutta quella pressione. Costantemente al centro dell’attenzione, era suo malgrado osservato e giudicato da chiunque conoscesse il suo nome. Agreste, una semplice parola che racchiudeva al proprio interno una serie infinita di precetti, obblighi e responsabilità. No, lui non avrebbe mai voluto essere il migliore di tutti, ne era certa. Ciononostante, non aveva altra scelta: era il figlio di Gabriel Agreste e come tale era suo dovere esserlo.

Ad eccezione di loro due, quasi nessun’altro era stato capace di portare a termine il compito assegnato. Ad esempio, Alya si era limitata a far sobbalzare la propria scopa. Nino, invece, colto da un improvviso momento di eccitazione mista a disperazione, aveva infuso nel comando un po’ troppa enfasi rimediandosi una bastonata in pieno volto. Soltanto Kim e Alix, dopo un paio di tentativi a vuoto, erano riusciti ad agguantare l’oggetto magico. Si erano allenati duramente per riuscirci: il loro sforzo aveva dato i risultati sperati.

«Molto… ehm… bene…» sibilò il Professo D’Argencourt con una leggera nota di imbarazzo della voce, «Credo si arrivato il momento di farvi cavalcare queste scope!»
Un coro di stupiti “oh” si levò dagli studenti del primo anno. Non avrebbero mai immaginato che fosse concesso loro di montare sulle scope alla prima lezione. Alcuni ragazzi, tra cui Nino e Kim, già si vedevano sorvolare la torre dell’orologio o planare in picchiata sul Lago Nero. L’insegnante, però, richiamando l’attenzione su di sé con un rapido movimento della mano, smorzò immediatamente gli entusiasmi. «Ci limiteremo ad alzarci di pochi centimetri da terra. Sarebbe da incoscienti lasciarvi strafare!»

«Ma non aveva detto che per insegnar loro a volare, li avrebbe buttati giù dalla torre di astronomia?» gli domandò, bisbigliandogli nell’orecchio, la giovane dalla pelle scura che quella mattina aveva rivolto strane attenzioni a Marinette e Alya.

«Purtroppo, il Preside me l’ha vietato. Mi dispiace, Nora.»

«Peccato ci sarebbe stato da divertirsi…»

«Lo so» concluse amaramente l’altro, mentre comandava ai suoi assistenti di sistemare le matricole.

Furono disposti su due file parallele. Maschi da un lato e femmine dall’altro. I ragazzi erano saliti a cavallo del proprio manico di scopa e, fremendo in preda all’eccitazione, non aspettavano che un gesto del Professor D’Argencourt per librarsi in aria. Questi, posizionatosi tra i due schieramenti, si accertò innanzitutto che ciascuno studente avesse eseguito alla lettera le sue raccomandazioni, poi diede il via alla prova.

Come c’era da aspettarsi non un manico di scopa si alzò da terra. Nonostante gli studenti cercassero di spiccare il volo tendendo più che potevano le gambe, nessuno di loro fu in grado di librarsi in aria. Alcuni a causa dello sforzo si strapparono qualche muscolo, altri invece ricaddero in avanti ormai esausti. Il Professor D’Argencourt e i suoi assistenti, facendo di tutto per non farsi notare, se la ridevano di gusto osservando quelle matricole così impacciate.

«Nino stai attento!» esclamò, inviperita, Alya allontanando il compagno con un calcio, «A furia di spingerti avanti, mi stavi venendo addosso.»

«Ehm… scusa, stavo cercando di far volare questa dannata scopa.»

«Mi sa che non ne siamo ancora capaci. Come se non bastasse guarda come si divertono alle nostre spalle, non li sopporto!»

La figlia del Signor Césaire indicò l’insegnante e i ragazzi che gli facevano da assistenti. Intenti a parlottare tra di loro, non si resero conto delle occhiatacce che la giovane gli stava lanciando. Allo stesso modo Nino, messa da parte la ramazza, incrociò le braccia al petto rifiutandosi di continuare. Era ormai evidente che non avrebbero ottenuto alcun risultato utile. «Io ci rinuncio! Preferisco ripetere l’ultimo argomento spiegato a Storia della Magia.»

«Mi unisco a te: ci sono delle cose che vorrei chiarire.»

Alya prese sotto braccio il compagno che non poté fare a meno di arrossire. I due si appartarono sotto il porticato del cortile e, sedutisi su una panchina, si concentrarono sul ripasso. Intanto Adrien e Marinette, rimasti soli, continuavano ad esercitarsi.

«Non dovresti sforzarti così tanto, Marinette…»

«C-c-come?! Che intendi dire?»

Adrien sorrise, «Non si tratta di una “questione fisica”, ma mentale. Mi segui?»

«Non molto a dir la verità» farfugliò l’altra con imbarazzo temendo di poter sembrare una totale incapace.

Il giovane Agreste smontò dalla propria scopa e si accovacciò alla destra della ragazza. Le poggiò delicatamente una mano sulla schiena, mentre con l’altra afferrò il manico di legno. Marinette rimase immobile: il suo corpo era teso, un unico fascio di nervi. Non aveva il coraggio di muoversi; credeva che anche il più impercettibile dei gesti potesse dar fastidio. Respirava a fatica, la gola le si stava seccando. Provava un miscuglio di strane sensazioni che non era in grado di spiegarsi. Era confusa, in balia delle sue stesse emozioni.

«Bene adesso rilassa i muscoli di gambe e braccia» sibilò dolcemente Adrien ottenendo però l’effetto opposto. «Ehi, non così altrimenti rischi di spezzarti le ossa.»

«S-s-scusa, non l’ho fatto apposta» balbettò l’altra prendendo dei profondi respiri al fine di calmarsi.

«Stai tranquilla. Ci sono io vicino a te, andrà tutto bene.»

Quelle parole le scaldarono il cuore e, quasi avessero avuto un potere catartico, furono un toccasana per i suoi nervi. Rilassò il proprio corpo sentendolo immediatamente leggero, privo di consistenza. Sgombrò la mente da ansie e preoccupazioni e si concentrò unicamente sulla voce dell’amico che stava accanto a lei. Le suggeriva di annullarsi completamente, di abbandonarsi al proprio istinto. Finalmente l’aveva capito: non era una “questione fisica” ma mentale.

«Ecco… ci sei…» le sussurrò il ragazzo stringendo la presa sul manico di scopa, «Adesso chiudi gli occhi e… e lasciati andare.»

«N-n-non sarà pericoloso.»

«Non aver paura: ti tengo io, fidati di me.»

«D’accordo!»

Quell’ultima affermazione, così decisa, così carica di convinzione, racchiudeva tutta la sicurezza che Marinette nutriva nei suoi confronti. Fece come le era stato detto. Chinò il capo e, isolandosi dal mondo esterno, focalizzò tutta se stessa sull’oscurità che aveva avvolto il proprio corpo. Era sola. Anche Adrien era scomparso, inghiottito da quell’oblio che si era andato ad interporre tra lei e tutto il resto. Doveva concentrarsi, ma allo stesso tempo rilassare il corpo e la mente. Non sarebbe stato affatto facile, però era certa ci sarebbe riuscita: lui era lì, non poteva deluderlo.

Una debole folata di vento agitò i verdi fili d’erba del cortile esterno. Il giovane Agreste sorrise compiaciuto: ci era riuscita. Sotto lo sguardo sbigottito dei suoi compagni, i piedi della ragazza si staccarono da terra. Ben stretta tra le mani del suo compagno, aveva iniziato a fluttuare senza accorgersene. Lo stesso Professor D’Argencourt, dapprima sorpreso per l’accaduto, batteva le mani divertito. «Molto, molto bene Signorina Dupain-Cheng. Mi congratulo con lei: nessuno dei miei studenti era mai riuscito in quest’impresa. Si è guadagnata ben 20 punti per Corvonero!»

Marinette sentì chiaramente la voce dell’insegnate, ma non si mosse né esultò. La paura di interrompere quella sorta di trance che le aveva permesso di volare era troppo forte. Adrien lo capì immediatamente. Lasciò la presa sulla scopa dell’amica e le accarezzò dolcemente la testa al fine di tranquillizzarla. «Marinette ce l’hai fatta, puoi riaprire gli occhi. Sei stata bravissima, eccezionale…»

«Il merito è soltanto tuo» biascicò la figlia del Signor Dupain alzando lentamente le palpebre.

Temeva fosse soltanto un sogno, che si fosse immaginata ogni cosa. No, era reale: si stava veramente librando in aria. Un’irrefrenabile sensazione di euforia mista a gioia le pervase l’animo. Adrien era ancora accanto a lei, mentre il resto degli studenti avevano fatto capannello. I loro sguardi di ammirazione, velati da una comprensibile nota di invidia, erano puntati sulla giovane Corvonero. Solo Chloé e Sabrina, ormai diventate un concentrato di bile vivente, se ne stavano in disparte e continuavano ad esercitarsi.

«Sei grande Marinette!» cinguettò Alya facendosi largo tra la folla, seguita a ruota da Nino. «Woah sorella! Hai sbaragliato la concorrenza!»

«G-g-grazie ragazzi…» balbettò Marinette in preda all’imbarazzo, «Ma il merito è tutto di Adrien. È stato lui a spiegarmi come fare.»

«Ehi amico! La prossima volta mi aspetto lo stesso favore!»

«Oh andiamo Nino… è stato merito di Marinette. Io le ho solo dato qualche dritta» replicò il figlio di Gabriel Agreste massaggiandosi la nuca con fare colpevole.
«Ragazzi, occhi a me!» esclamò all’improvviso l’insegnante di volo, concentrando su di sé l’attenzione degli studenti. «Per oggi la lezione finisce qui, ci siamo esercitati abbastanza. Signorina Dupain-Cheng può scendere a terra, adesso.»

Marinette annuì. Prese un profondo respiro e si concentrò affinché i suoi piedi toccassero terra. Non ne fu in grado. Avvertì un’improvvisa scossa sull’impugnatura che la fece sobbalzare. La scopa si sollevò ulteriormente e, nonostante la ragazza cercasse di impedirglielo, si inclinò verso l’alto. I presenti, non avendo ancora ben capito cosa stesse accadendo, rimasero ad osservare la scena, immobili e in silenzio. Soltanto Adrien sembrava aver compreso la gravità della situazione.

Non appena il manico iniziò a vibrare con intensità, si lanciò in avanti verso la sua amica. «Marinette! Scendi immediatamente prima che…», le ultime parole del giovane Grifondoro si persero nell’impetuoso vortice di vento causato dal decollo della scopa. «Dannazione! Non sono arrivato in tempo.»

Si scatenò il panico. Le matricole, spaventate per la sorte della loro compagna, gridarono a gran voce l’aiuto del Professor D’Argencourt. Quest’ultimo era però totalmente impreparato ad una tale evenienza: in più di trent’anni di carriera non era mai capitato che uno studente corresse un tale pericolo. Non sapeva cosa fare, era nel pallone. No, era troppo distante per fermarla con un incantesimo: avrebbe potuto ferire la ragazza. Avrebbe potuto lanciarsi all’inseguimento e al momento opportuno trarla in salvo. Certo, era la soluzione migliore. «Nora! Prendi il mio manico di scopa!» urlò l’uomo rivolgendosi alla sua assistente.

La ragazza dalla pelle scura non aspettò che quell’ordine le fosse ripetuto per una seconda volta. Correndo a testa bassa, si precipitò nello studio del professore. Tuttavia, non fece neanche in tempo a raggiungere il porticato del cortile che un secondo manico di scopa spiccò il volo. Al cavallo di quest’ultima vi era il figlio di Gabriel Agreste che, sbalordendo i suoi compagni di corso, stava dimostrando un’abilita fuori dal comune. «Resisti Marinette… sto arrivando!»

Intanto Marinette si teneva stretta al proprio manico di scopa. Quest’ultimo, ormai del tutto privo di controllo, continuava ad innalzarsi. Come se non bastasse, si stava anche allontanando dal perimetro del cortile esterno. Puntava pericolosamente alle alte torri di Hogwarts. «Per mille croissant! A questa velocità non le eviteremo mai, ci schianteremo» esclamò, allarmata, la ragazza cercando di deviare la traiettoria.

Per quanto si sforzasse, non vi era alcun verso di cambiare la “decisione” della scopa volante. Era come se qualcuno la stesse controllando; anzi no, come se le avesse conferito una totale autonomia. Sembrava dotata di una propria volontà. Aumentò ulteriormente la velocità sfrecciando verso una delle guglie della torre di astronomia. Alla giovane Corvonero non restò altro da fare serrare le palpebre e, abbarbicatasi all’impugnatura, urlare di paura.

Chiusa in se stessa, irrigidendo ogni singolo muscolo del corpo, rimase in attesa dell’impatto. Ormai c’era quasi: niente e nessuno l’avrebbe potuta salvare. Avvertì un forte scossone laterale, poi una voce familiare le rimbombò nella testa. «Marinette… Marinette! Sono io, Adrien!»

«C-c-cosa?! Com’è possibile?» farfugliò l’altra riaprendo con difficoltà gli occhi. «Che ci fai qui? Devi andartene via, è pericoloso!»

«Non dire sciocchezze!» la rimproverò Adrien, mentre le si affiancava con la scopa, «Non potrei mai lasciare un’amica in difficoltà. Non me lo perdonerei mai!»

Marinette sorrise, era felice che il ragazzo si interessasse così tanto a lei. Dopotutto, era questo il vero significato della parola “amicizia”, no? Prendersi cura l’uno dell’altro, fare in modo che i problemi delle persone che amiamo siano anche i nostri. Eppure, c’era qualcosa che non le tornava. Una strana sensazione che andava oltre qualsiasi emozione e sentimento provati in passato. Era come se lo stare insieme ad Adrien comportasse una lo scoprire una nuova parte di sé, un aspetto del proprio essere che mai si sarebbe immaginata.

Al giovane Agreste occorsero altri tre spintoni affinché il manico di scopa cambiasse definitivamente direzione. Sarebbero tornati al cortile esterno e lì il Professor D’Argencourt avrebbe trovato il modo di riportare a terra la ragazza. Tuttavia, proprio quando stavano sorvolando l’enorme Campo da Quidditch, la scopa di Marinette riprese a vibrare con maggiore forza e insistenza. «Adrien! Ho paura che stia per… per farlo di nuovo.»

«Tieniti forte! Ci siamo quasi…» gridò l’altro tentando di afferrare l’impugnatura in legno.

Fu inutile. La scopa volante scattò in avanti sfuggendo alla sua presa. Superò il cortile esterno e si diresse al ponte in pietra che permetteva l’accesso alla scuola. La figlia del Signor Dupain, stanca di essere scorrazzata in giro, tentò di opporsi. Serrò la presa sul manico e si concentrò con tutta se stessa al fine di fermarsi. L’oggetto incantato però, quasi avesse capito le sue intenzioni, glielo impedì. Eseguì una rotazione di cent’ottanta gradi mettendo la Corvonero a testa in giù; poi prese a muoversi a zig-zag in modo tale da farla cadere.

L’imponente struttura in roccia era sempre più vicina. Marinette, ormai del tutto impossibilitata ad evitare il peggio, si era rassegnata all’idea di schiantarsi. Sebbene in quella situazione fosse comprensibile, si sforzò di non piangere. Non voleva mostrarsi debole e impaurita agli occhi dei suoi compagni. Era stupido, nessuno la stava osservando. Avrebbe anche potuto supplicare senza che altri lo venissero a sapere. No! Non doveva lasciarsi dominare dalla paura, voleva essere coraggiosa proprio come lui. Proprio come Adrien.

«Marinette! Sono sotto di te, Lasciati andare!»

Il suono di quella voce arrivò ovattato, impercettibile. Possibile che se lo fosse sognato? «Lascia la scopa, ti prendo io! Ti prego non abbiamo più tempo…». Per una seconda volta quelle parole riecheggiarono nell’aria senza sortire alcun effetto. La giovane Corvonero si era rassegnata al suo triste destino, nulla avrebbe potuto cambiarlo. Stava accadendo tutto nella sua testa: un ultimo scherzo del destino che si accaniva contro di lei. Niente aveva più alcun senso, solo la morte.

«Staccati da quel manico, Marinette!» gridò Adrien con gli occhi gonfi di lacrime quando solo una cinquantina di metri li separava dal ponte in pietra. «Per favore lasciati andare… non posso perdere anche te.»

Quei singhiozzi rimbombarono nelle orecchie della ragazza. Come spade affilate, le trafissero il petto inondandolo di dolore. Era reale: lui era lì per lei, non poteva arrendersi. Avrebbe rischiato, messo in gioco dalla sua vita. Non sapeva cosa sarebbe accaduto, ma non le importava. Si fidava di Adrien e questa era l’unica cosa che doveva sapere. Allentò la presa sull’impugnatura e si fece cadere nel vuoto. Furono attimi interminabili, poi avvertì il caldo abbraccio del suo amico.

Era stata coraggiosa, non si era piegata alla paura. Fiera come non mai, era andata a testa alta contro la sua stessa fine. Ma in quel momento, stretta tra le braccia di Adrien, non riuscì più a trattenersi. Le sue lacrime si mischiarono a quelle di Adrien; i volti stanchi ma felici.
   
 
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