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Autore: Dhialya    21/12/2018    2 recensioni
Il legame profondo tra una ragazza divenuta Regina e una guerriera dallo sguardo dolce e le frecce dalle piume bianche.
Un passato di cui pochissimi sono a conoscenza, risalente a prima dell'arrivo di Jadis e dei cento anni d'inverno.
Il compito di una lupa dagli occhi di ghiaccio ed un destriero dal manto nero come la notte.
Cosa si cela realmente dietro la Grande Magia e il cui potere è conosciuto solo dal grande Aslan?
C'erano regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non potevano più essere taciuti, legami che andavano ripristinati e compiti da svolgere. E tutto ciò sarebbe venuto a galla, presto. E non osava - o non voleva - immaginare le conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.
Sulle persone coinvolte e sull'equilibrio di Narnia stessa.

Sullo sfondo della guerra contro Telmar un segreto, tenuto nascosto per più di milletrecento anni, sta per essere rivelato.
[Revisione totale programmata alla sua conclusione.]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Spirits Within - The Just and the Sly special moments.'
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Narnia's Spirits
Il silenzio del dolore.









Edmund quasi si ritrovò a correre, per poter uscire il prima possibile da quel posto.

Aria.
 

Aveva un bisogno profondo di allontanarsi da quella stanza dalla temperatura troppo bassa per i suoi gusti.

Aveva sempre immaginato nei propri sogni la possibilità di poter rincontrare Jadis, della soddisfazione di poter finalmente avere l'occasione di fargliela pagare per tutto ciò che gli aveva fatto penare in passato e della pugnalata che gli aveva riservato durante la guerra.

Una parte di sé aveva forse sempre bramato la possibilità di vendicarsi, ripagandola con la stessa moneta.

Vendetta.


Jadis aveva inciso in lui, nel profondo del suo animo, cicatrici più profonde di una spada piantata nello stomaco durante una battaglia. Gli aveva instillato il seme del dubbio, il germoglio del tradimento, era riuscita ad insinuarsi nella sua mente come un serpente rivoltandolo contro i fratelli. Gli aveva fatto perdere del tutto l'innocenza di ragazzino incompreso, spingendolo a mettere in pericolo la cosa che più amava al mondo.

La sua famiglia.


E lui, come uno stupido, ci era cascato.

Aveva sempre pensato che si sarebbe sentito meglio, più leggero, ma ciò che provava dopo quel gesto che – per volere del destino? Della sua buona stella? – aveva sempre bramato, consapevole che non sarebbe mai riuscito a compiere perché era morta, era solo un gran senso di vuoto.

Una sensazione sgradevole che gli lasciava l'amaro in bocca.

Rivedere Jadis aveva riaperto quella ferita mai totalmente richiusa e che ora sanguinava di nuovo, tornando a pungolargli la mente e tormentarlo con quel senso di colpa che invano negli anni aveva convinto se stesso di aver sepolto.

No, non era stato per niente liberatorio come aveva creduto, soprattutto considerando le circostanze.

Edmund quasi andò addosso a Susan, preso com'era dalla fretta di lasciare quel posto, rischiando di darle una spallata. La sorella gli lanciò un'occhiata, percependo il disagio dal suo volto sempre così posato in quel momento indecifrabile, decidendo di lasciarlo andare senza fargli domande ed immaginando le possibili emozioni che poteva star provando.

Si voltò poi verso Peter e Caspian, riservando loro uno sguardo ben più piccato e deluso.

Il Principe non riuscì a sostenere la sua espressione di rimprovero a lungo, non sapendo cosa dire per scusarsi e sentendosi tremendamente responsabile per quella situazione che avrebbe potuto trasformarsi in un disastro. Forse, non c'erano nemmeno le parole adatte.

Aveva rischiato di far ammazzare tutti e liberare la più grande nemica di Narnia.

Sospirò, rendendosi conto che Evelyn lo stava guardando con una muta domanda negli occhi. Il moro si sforzò di sorriderle tra le emozioni che facevano a gara per emergere, poi lanciò uno sguardo ai resti della lastra e dei pezzi di ghiaccio sparsi in giro.

Si portò una mano alla nuca, grattandosela pensieroso, ragionando sul fatto che probabilmente sistemare quelli e far sparire i corpi dei nemici era la soluzione migliore per tenere la sua mente tormentata impegnata.

Eve si staccò da Peter, andando vicino a Lia, posandole una carezza sul pelo, ed osservando Dhemetrya raccogliere le proprie frecce dai cadaveri. Poi andò da Lucy, inginocchiata davanti al corpo di Nicabrik in religioso silenzio, aspettando che Trumpkin dicesse qualcosa.

Evelyn si limitò a posare una mano sulla spalla del Narniano in gesto di vicinanza, percependone la tensione, che però non alzò lo sguardo per guardarla, continuando a tenerlo fisso sul compagno.

Perché?


Trumpkin abbassò il capo se possibile ancor di più, sentendo la sconfitta affossargli il cuore insieme alla sensazione di perdita.

Perché Nicabrik li aveva traditi?


Rinfoderò il pugnale, cercando di non lasciarsi andare alle lacrime di frustrazione e alla rabbia per le azioni dell'amico.

-Mi dispiace.-

Lucy si alzò in piedi, congiungendo le mani in grembo e osservando il nano con i suoi occhioni pieni di tristezza. Trumpkin si limitò a farle un cenno del capo, senza il coraggio di guardarla in faccia, ricordando nella mente solo il momento in cui aveva affondato il pugnale nella schiena di quello che considerava uno dei pochi amici che aveva avuto nel corso della vita.

Perché l'hai fatto, Nicabrik?


-Si... anche a me.-

Evelyn osservò critica Lucy, constatando che stava bene e facendole cenno di uscire con lei dalla stanza. Ma la ragazzina negò con la testa, palesando l'intenzione di rimanere accanto al nano, ancora in veglia davanti all'amico a cui era stato costretto a togliere la vita.

L'aveva salvata.

Lucy chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, percependo la temperatura della stanza iniziare ad alzarsi.

Trumpkin l'aveva salvata, si... ma a quale prezzo?

Peter continuò ad osservare Susan senza sapere cosa dirle, fino a che la sorella non gli scoccò un'ultima occhiata di fuoco e gli diede le spalle, lasciando lui e Caspian nel loro pesante silenzio.

I due si guardarono ed il biondo strinse un pugno, reprimendo un urlo di frustrazione e voltandosi verso il punto in cui pochi minuti prima c'era Jadis e in cui ora, al suo posto, svettava l'immagine di Aslan.

Peter osservò la figura nella pietra, pentendosi immediatamente della debolezza che aveva dimostrato nei confronti della Strega. Si era lasciato incantare. Aveva quasi reso vano tutto ciò che avevano fatto, tutto ciò per cui avevano combattuto, milletrecento anni prima.

Era imperdonabile.

Caspian andò verso le ragazze, chiedendo loro se stessero bene, lasciando Peter ai suoi pensieri. Il biondo continuò ad osservare Aslan, la testa piena di domande.

Era stato debole. Quando era stato il momento in cui aveva smesso di avere fiducia nel leone che aveva salvato lui e la sua famiglia? Quando aveva commesso un errore così grosso?

Peter si morse un labbro, rinfoderando Rhindon per avere un motivo valido per distogliere lo sguardo da Aslan, sentendosi troppo in difetto nei suoi confronti per sostenere il suo sguardo anche solo attraverso una rappresentazione.

Si voltò, incontrando le figure di Dhemetrya e Lia ed andando loro incontro, notando solo distrattamente l'assenza di Evelyn e Caspian. Quei passi gli risultarono tremendamente pesanti da fare, tanto che si domandò se non fosse ancora legato a qualche cosa che lo teneva fissavo al terreno.

-Vi ringrazio per essere intervenute.- disse, senza reale entusiasmo. L'unica cosa che voleva in quel momento era sistemare il prima possibile quel posto per potersene restare da solo con i propri pensieri.

-Non ti ci abituare.- gli fece Dhem, dandogli una pacca sul braccio. Nonostante il pessimo tempismo di quel gesto ironico, Peter non poté fare a meno di farsi scappare un mezzo sorriso.

In quel momento Glenstorm entrò nella stanza seguito da qualche Narniano, mandati su ordine di Caspian che gli aveva spiegato vagamente la situazione. Se rimase spiazzato da ciò che si trovò davanti nessuno seppe dirlo, perché con estrema calma e con il suo tono neutrale ordinò ai suoi subordinati di fare sparire i corpi dei nemici.

-Se mi è concesso... Vorrei occuparmi io di Nicabrik.- s'intromise Trumpkin, voltandosi a guardare in faccia direttamente l'antico sovrano. Tutti gli occhi si fissarono su Peter, in attesa della sua decisione.

Nicabrik li aveva traditi, magari avrebbe voluto bruciarne il corpo come sarebbe stato per gli altri.

Lucy attese con il cuore in gola, ben consapevole di quanto Jadis o chiunque collegato e lei fosse un punto dolente per il Pevensie e sapendo anche quanto Trumpkin ci tenesse. Contrariamente alle sue aspettative, il fratello annuì, strappandole un sospiro di sollievo.

-Miei Signori, e questo?-

Istintivamente gli sguardi di tutti si fissarono su un fauno che aveva parlato alle loro spalle. Ciò che catturò la loro attenzione, però, fu quello che teneva tra le mani.

Peter sentì improvvisamente la gola secca, osservando l'oggetto dalla forma arabesca e dai riflessi ghiacciati, mentre Lucy si portò le mani alla bocca, sorpresa da quella visione.

Lo scettro di Jadis.


***


Caspian percorse i lunghi e tortuosi cunicoli del rifugio di Aslan, scavati nella pietra nel corso dei secoli, in cerca di un luogo in cui pensare in solitudine.

All'esterno aveva scorto Susan scaricare la tensione – o la voglia di usare lui e Peter come bersagli – allenandosi con l'arco, e per quanto avrebbe voluto raggiungerla, il senso di colpa e l'imbarazzo per la situazione che aveva involontariamente creato l'avevano bloccato dall'andare a parlarle e fatto dimenticare di ogni proposito di aiutare a sistemare ciò che era rimasto di quell'incontro spiacevole.

Aveva capito dallo sguardo che la Regina gli aveva rivolto alla tavola spezzata che il possibile ritorno di Jadis le aveva fatto provare un profondo senso di delusione e rabbia nei suoi confronti, e non aveva potuto fare a meno di sentirsi tremendamente deluso da se stesso.

Sospirò, cercando di far lavorare la mente per cercare una soluzione a quella patina di tensione che era scesa su tutti loro. Obbiettivamente era consapevole di essere stato ingannato, che non aveva fatto niente, eppure... eppure essere stato così debole da farsi soggiogare da Jadis, da aver quasi creduto alle sue parole, consapevole dai racconti che era una bugiarda fin nelle ossa...

No.


Caspian scosse la testa vigorosamente, stringendo la torcia fino a farsi sbiancare le nocche. No, non si sarebbe mai perdonato quel momento di debolezza.

Percorse ancora una manciata di metri, arrivando alla fine di quel cunicolo incavato nella pietra, deciso a cercare di lasciarsi alle spalle quella storia il prima possibile. La luce del sole lo accecò per un istante e Caspian si bloccò, lasciando ai propri occhi il tempo di adattarsi all'esterno. Si osservò intorno, notando di aver raggiunto uno dei punti di vedetta in quel momento deserto.

Ringraziò di essersi fermato, perché se avesse fatto anche solo un metro in più sarebbe finito con il cadere di sotto – il che, forse, considerando come stavano le cose sembrava il minore dei mali.

Si sedette su delle pietre, osservando dall'alto la figura slanciata di Susan che centrava un bersaglio dopo l'altro. Passò lo sguardo sulle fitte chiome degli alberi della foresta che li isolava dal resto del mondo e li divideva momentaneamente dai Telmarini, facendo scorrere gli occhi fino ai profili delle montagne che si scorgevano in lontananza tra gli sbuffi di nuvole bianche che, placide e silenziose, passavano nel cielo azzurro del primo pomeriggio.

Se qualcuno gli avesse raccontato che avrebbe passato più di un giorno in quella terra che per millenni era stata maledetta dai suoi avi e dalle leggende non ci avrebbe creduto.

Ancor più se gli avessero detto che avrebbe aiutato i suoi abitanti a riprenderne il controllo, combattendo con loro, mangiando con loro, soffrendo con loro... - diventando, quasi, uno di loro, affezionato a Narnia ed ai suoi molteplici abitanti.

No, l'avrebbe definitivamente preso per pazzo.

-Ecco dov'eravate nascosto, mio Principe.-

Caspian sussultò, voltandosi quasi di scatto tanto che sentì il collo scricchiolare pericolosamente provocandogli un leggero fastidio.

-Maestro...- fu tutto ciò che riuscì a dire, osservando il precettore prendere posto accanto a lui. Il moro abbassò il capo, imbarazzato, rivolgendolo nuovamente a quel paesaggio in cui ogni volta gli sembrava di notare dei dettagli nuovi.

I due stettero così vari minuti, senza bisogno di parlare, beandosi della presenza reciproca e della complicità che avevano sviluppato negli anni.

Caspian percepiva su di sé i velati sguardi del maestro, il quale attendeva pazientemente che si aprisse con lui. Avrebbe scommesso senza problemi che già sapesse ciò che era successo poco prima, ma gli stava dando tempo per rimettere in ordine i pensieri sparsi per la sua testa.

Tutto ciò che riusciva a formulare la mente del Principe, però, era irrimediabilmente collegato al senso di colpa che vibrante gli affossava il cuore.

-Vi ho deluso.- Esalò, rompendo quella quiete quasi surreale, torturandosi le mani. Aveva deluso i Pevensie, aveva deluso i Narniani, aveva deluso l'uomo che per tanti anni gli era stato dietro, aiutandolo a crescere e maturare affinché diventasse un Re degno di possedere tale titolo e verso cui provava maggiore stima ed ammirazione.

Caspian corrugò la fronte, riflettendo sulla possibilità che quei sentimenti di confusione e rimprovero verso se stesso non fossero collegati solo all'incontro con Jadis, ma li stesse covando da molto prima, fin da quando, scoperta la verità su suo padre, si era lasciato guidare dall'impulsività.

-Non sono io la persona verso cui avete dei doveri, mio Sovrano.- Cornelius sospirò pesantemente, posizionando meglio gli occhiali sul naso e lanciando un'occhiata vispa in direzione di Caspian, intercettandone lo sguardo sconfitto che gli lanciò. Si ritrovò quasi a sorridere sotto la folta barba, notando lo sguardo del ragazzo virare verso una ben più rosea figura di un anziano con la pancia. 

-E nemmeno i Sovrani di un tempo.- Tossì un paio di volte, per far ritornare l'attenzione su di sé. Il moro si voltò completamente verso di lui, interessato su dove volesse andare a finire con quel discorso il Precettore e alzando un sopracciglio in una muta domanda.

-L'unica persona a cui dovete rendere conto per prima siete voi stesso.- Caspian prese a torturarsi le mani, abbassando il capo. La tensione creata dalla miriadi di domande con cui avrebbe voluto investire l'anziano sembrò permeare l'aria.

-Perché non mi avete mai detto di mio padre?- domandò, in un sospiro. Accettare di crescere senza i genitori era una questione difficile, ma scoprire che uno di questi era stato strappato via da una persona che invece avrebbe dovuto guardargli le spalle gli faceva ribollire il sangue nelle vene di collera.

Traditore.


Caspian strinse i pugni attorno alla stoffa pesante dei calzari, osservando ostinatamente il paesaggio per non incrociare gli occhi del suo maestro. Non voleva che vedesse l'uragano di emozioni che lo stavano scuotendo direttamente dall'interno.

-Mia madre discendeva dai nani delle terre del Nord.- Cornelius vide il ragazzo sussultare a quelle parole, come pungolato da una spada. Era sicuro che avrebbe compreso le sue ragioni oltre quelle parole senza bisogno che si perdesse in troppe spiegazioni.

Il Principe era un ragazzo sveglio ed intuitivo, doveva solo racimolare la fiducia in se stesso per diventare quel grande uomo che, secondo lui, era destinato ad essere.

-Tutto ciò che ho detto, o che non ho detto, l'ho fatto solo per una ragione. Perché sono certo che voi sarete un Re migliore di tutti i vostri predecessori. Sarete diverso, mio Principe.-

Il Precettore dovette soffocare un sorrisino compiaciuto osservando come gli occhi di Caspian avessero iniziato ad ardere a quelle parole, mostrando l'animo determinato che aveva spinto quel ragazzo a dare la propria parola d'onore alle creature di Narnia notti addietro.

-Diverso?- domandò, osservando con circospezione l'uomo accanto a lui, mostrando confusione. Gli occhi vispi del maestro luccicarono da sotto gli occhiali, come se conoscessero una verità già decisa da tempo.

-Sarete l'uomo di Telmar che ha salvato Narnia.-


***



Evelyn aumentò il passo, in modo da poter uscire da quel posto il prima possibile, seguendo l'esempio di Edmund e Caspian, spariti chissà dove già da vari minuti. Percepiva dietro di sé ancora le spire del gelo che le aveva ghermito l'anima, ma cercò di non farci caso, catalogando tutto ciò come frutto della sua fantasia.

Sospirò, evitando per un soffio un fauno che batteva il ferro, uscendo fuori senza degnare nessuno di uno sguardo, ignorando le fitte al ginocchio o il bruciore alle mani.

Respirò appieno l'aria esterna non appena varcò la soglia di quel posto che fino a quel momento l'aveva fatta sempre sentire al sicuro, ma che, dopo quell'incontro con il passato, non le riusciva più a trasmettere quella sensazione – seppur lieve – di casa.

Eve scosse la testa, portandosi una mano tra i capelli, permettendo allo sconvolgimento di venire a galla.

Jadis. Era davvero stata Jadis ad attaccarla nel bosco, giorni prima, come i suoi fratelli avevano ipotizzato.

Perché?


Non ne capiva la ragione. Ed era davvero stata Jadis quella che aveva riprovato a corromperli, approfittando della situazione di disperazione in cui si trovavano gli animi di Caspian e suo fratello, per cercare di tornare alla vita.

Evelyn strinse un pugno, reprimendo la frustrazione e pestando i piedi, tremando visibilmente per tutte quelle risposte mancanti.

Si incamminò senza nemmeno rendersi conto verso il prato dietro la casa di Aslan in cui era stata con Edmund, afflitta dai suoi stessi pensieri, camminando stancamente tra l'erba.

Non pensava che la Strega Bianca fosse ancora viva, intrappolata nel suo mondo di ghiaccio – in qualche modo a lei inspiegabile. Tutti loro avevano sempre creduto che Aslan l'avesse uccisa, divorandola durante la grande battaglia.

Ciò voleva dire che, se era davvero viva, ci sarebbe sempre stato il rischio che tramasse nell'ombra per riuscire a tornare?

Evelyn sbatté le palpebre, sconvolta, non riuscendo a frenare la sensazione di pericolo imminente che quell'eventualità le creò. Appena avrebbe avuto modo di vedere il leone era sicura che sarebbe stata una delle prime cose che gli avrebbe chiesto. Non era possibile che su Narnia vagasse ancora la possibilità che quella donna tornasse, sconvolgendo l'equilibrio già fin troppo fragile di quel mondo e rischiando di far tornare a galla tutti i problemi che avevano affrontato con estrema fatica con...

-Edmund-

Si congelò sul posto, incontrando la figura del fratello appoggiata ad un tronco caduto in quel luogo dove l'aveva guidata l'inconscio.

Il moro aveva gli occhi chiusi, ma le fu chiaro il tormento che doveva provare a causa di quell'incontro con il passato dai tratti rigidi del suo volto, la fronte aggrottata, un piede che dondolava ritmicamente... e ne ebbe la conferma quando Edmund le rese visibili quei baratri castani, fissandoli stancamente su di lei.

Evelyn si bagnò le labbra, indecisa su cosa fare e valutando la possibilità di tornare indietro e trovare un altro posto in cui rimuginare, lasciandolo solo con i propri pensieri. Per quanto immaginasse i tormenti del fratello, per quanto desiderasse solo abbracciarlo per fargli passare l'ombra che vedeva nei suoi occhi, in quella circostanza non fu sicura che avvicinarsi fosse la scelta migliore.

Ma il Pevensie interruppe quei suoi ragionamenti, indicandole con la mano il posto accanto a lui, senza però sforzarsi di sorridere.

La ragazza rilassò le spalle, avvicinandosi lentamente, non del tutto convinta. Si sedette, incapace assumere una posa rilassata e iniziando a torturarsi le mani, evitando di guardare Edmund negli occhi. Iniziava a sentire il groppo della responsabilità e del senso di colpa dilaniarla.

-Mi dispiace.-

Il Pevensie si girò verso di lei, alzando un sopracciglio in una muta domanda.

-Cosa? Perché?- si preoccupò, corrugando la fronte. Il pensiero che Evelyn potesse aver accettato qualcosa da Jadis prima che intervenissero gli passò come un flash nella mente.

-Se avessi reagito prima che arrivaste, se l'avessi sconfitta o avessi agito diversamente, tu... t-tu...- gli occhi della ragazza dardeggiarono per la radura, inquieti come poche volte Edmund li aveva visti.

Scattò sull'attenti automaticamente, allarmato, percependo il cambio nel tono di voce di Eve e voltandosi del tutto per guardarla in faccia. Quella non ricambiò lo sguardo, vergognandosi della frustrazione che l'aveva improvvisamente investita come un treno lasciandola senza fiato, restando con lo sguardo lucido puntato sulla foresta.

-Io cosa, Evelyn?- le domandò, posandole una mano sul braccio per obbligarla a guardarlo, non comprendendo il motivo della sua sofferenza. La vide sospirare pesantemente, voltandosi poi nella sua direzione, facendolo specchiare nei suoi occhi sull'orlo delle lacrime.

Sentì qualcosa dentro di sé spezzarsi a quella visione, percependo il tormento di Eve terribilmente famigliare. Era lo stesso che aveva provato lui per molto, molto tempo, quando aveva realizzato la sofferenza causata ai suoi fratelli.

-Tu non l'avresti vista.- si decise a confessare lei, in un sussurro. Abbassò lo sguardo, permettendo ai capelli di nasconderle il viso. Se non si fosse lasciata prendere come una stupida Edmund non avrebbe dovuto rifare i conti con quel passato che, lei sapeva benissimo, gli faceva così male.

Si morse un labbro, nervosa.

Non voleva che lui si ritrovasse braccato nuovamente da quel senso di colpa che per troppo tempo l'aveva accompagnato, non voleva vederlo pensieroso o insonne per notti intere. Non era giusto. Non se lo meritava.

Edmund le mise un braccio intorno alle spalle in un modo talmente naturale e veloce che rimase con il fiato sospeso quando si rese conto di avere la testa appoggiata alla spalla di suo fratello.

-Non dire più certe cose, stupida.-

Chiuse gli occhi, lasciandosi scappare una lacrima, percependo le mani gelide del senso di colpa abbandonarla lentamente.


***


Susan incoccò l'ennesima freccia, tendendo la corda dell'arco il più possibile fino a sentire le piume del sottile bastoncino di legno a contatto con la pelle del viso. Si prese qualche secondo per respirare, recuperando tutta la concentrazione di cui disponeva per prendere la mira.

A vari metri da lei, il bersaglio che aveva scelto per sfogare la frustrazione sembrava guardarla contrariato, spiccando nella radura con vari dardi piantati nel centro a distanza ravvicinata l'uno dall'altro.

Mollò il tutto e nel giro di un battito di ciglia anche quello andò a conficcarsi senza remore verso l'obbiettivo.

Susan sospirò, percependo la tensione nelle spalle renderla troppo rigida tanto da darle quasi dolore alla schiena, tastando con la mano a caso alle proprie spalle per cercare di prendere un'altra freccia dalla faretra, accorgendosi con una veloce occhiata che le aveva finite.

Si voltò, puntando lo sguardo davanti a lei ed incamminandosi lentamente verso il bersaglio, scrutandosi intorno con disappunto. Tirò fuori le frecce con forza, senza preoccuparsi di nascondere la collera che l'aveva assalita o del rischio di far rimanere la punta di ferro incastrata dentro.

Jadis.

Non pensava l'avrebbe mai rivista, e non pensava che, composta e padrona delle proprie emozioni come era sempre stata, la cosa l'avrebbe sconvolta in quel modo.

Si era ritrovata a piantare i propri occhi su quella figura algida ed eterea dal viso che non era stato schiavo del tempo, ad osservare il ghigno soddisfatto e lo sguardo compiaciuto nell'avere davanti Peter tenderle la mano. Era stata una frazione di secondo, il tempo di un respiro prima che Edmund trafiggesse la lastra da cui stava tentando di uscire, ma era bastato per far si che si facesse un'idea ben chiara su ciò che stava succedendo.

Susan si passò una mano tra i capelli, spostando delle ciocche ribelli dietro l'orecchio e togliendosi la faretra dalla schiena per poter mettere dentro le frecce appena recuperate.

Sbuffò, mordendosi un labbro, incapace di capire da dove provenisse tutto quel nervoso che sentiva scalpitare sotto la pelle, sentendosi quasi affogare da come quel turbine di emozioni le stesse mettendo a dura prova i nervi. Chiuse gli occhi, alzando il viso verso il cielo per poter sentire i raggi del sole sulla pelle, provando ad immergersi nella pace che trasmetteva la natura che le stava intorno e che un tempo conosceva alla perfezione.

Scosse la testa, cercando di cancellare dalla mente l'immagine di suo fratello e di Caspian ai piedi della Strega Bianca, scacciando violentemente la voglia di prenderli a schiaffi e il senso di tradimento che l'assaliva ogni volta che ci ripensava ed immaginava quelle che sarebbero potute essere le conseguenze.

Doveva calmarsi. Non era da lei lasciarsi trasportare così dalle emozioni.

Cercò di liberarsi da tutta la negatività che sentiva crescerle alla bocca dello stomaco in modo tanto pressante da darle quasi la nausea, domandando a se stessa perché non avesse notato nulla nei giorni precedenti che la avvisasse su ciò che sarebbe successo.

Non accettava l'idea che i suoi occhi sempre abituati a scrutare tutto in maniera fin troppo eccessiva e la sua mente intuitiva ed attenta non avessero colto dei gesti, degli sguardi, delle parole... qualsiasi cosa che potesse essere anche solo lontanamente un indizio che la mettesse in guardia su ciò che stava venendo tramato alle loro spalle.

Non poteva accettare di aver avuto quella debolezza, Susan, di aver abbassato la guardia in quel modo dopo ciò che era successo ad Evelyn.

Non voleva piegarsi all'idea che tutto quello avrebbe solo dovuto metterla maggiormente sull'attenti su ciò che circondava lei ed i fratelli, che sarebbe stato compito suo assicurarsi che tutto procedesse al meglio – che avrebbe dovuto avere maggiore controllo, quello stesso controllo che le stava mancando in quel momento, lasciandola in balia di quei pensieri ed emozioni.

Lanciò uno sguardo verso il rifugio, lasciando che i suoi occhi tormentati incontrassero la figura di Caspian che con passo lento camminava nella sua direzione, scorgendo la titubanza nel suo sguardo ed il viso contratto.

Susan ingoiò il rospo amaro della delusione, appigliandosi a quella visione come se fosse l'unico punto che le potesse dare un po' di pace in quel momento. Si sentì confusa, trovandosi spiazzata per il modo in cui la visione del Principe di Telmar avesse appianato un poco l'oceano in tempesta che si stava abbattendo nel suo animo.

Se Caspian e Peter si stavano facendo soggiogare le colpa era stata anche sua, che non era stata capace di stargli accanto come forse avrebbe dovuto, consapevole di quanto le ombre aspettino i momenti in cui la luce si fa più fioca per farsi avanti. Era stata una sprovveduta.


***
 


Lucy entrò a passo leggero nella cripta di Aslan, tanto da che quasi non fece rumore, cercando con lo sguardo la figura di suo fratello che sapeva esservi all'interno.

Peter aveva aiutato gli uomini più fidati di Glenstorm a portare via i resti di quello scontro cercando di far trapelare il meno possibile ai Narniani, per evitare che si agitassero, buttando i resti del ghiaccio nel fiume che settimane prima avevano incontrato durante il giro di perlustrazione della zona e bruciandovi li vicino i cadaveri.

I suoi occhi dardeggiarono per quella stanza immersa in un silenzio quasi innaturale, trovando la sagoma immobile di suo fratello adagiata su alcune rocce vicino alla tavola spezzata. La Pevensie fece passare lo sguardo da lui a ciò su cui era fissato, trovandolo in contemplazione della figura di Aslan incisa nella pietra.

Lo conosceva così bene che non le fu per niente difficoltoso percepire a pelle le motivazione dietro il mutismo in cui si era ostinatamente chiuso.

Si avvicinò con passo leggero, aggirando la tavola spezzata e posando una mano sulla pietra ruvida, notando la veloce occhiata che il biondo le lanciò per segnalarle di averla sentita. Lucy sospirò, accomodandosi accanto al fratello e prendendo a guardare nella sua stessa direzione.

Aslan li osservava, imponente nemmeno la metà di come le era apparso nel sogno, in quel varco dove fino a poco prima la Strega Bianca ne copriva la vista. Non ebbe problemi a sostenere lo sguardo di pietra, Lucy, riuscendo quasi a sovrapporvi il ricordo degli occhi dorati, sapendo nella parte più istintiva di sé che da qualche parte Aslan li stava osservando, aspettando un gesto da parte loro per tornare ad aiutarli.

-Sei fortunata, Lu.- Peter abbassò lo sguardo, sospirando, lanciando una profonda occhiata alla sorella minore accanto a lui.

-Perché?- Lucy studiò il profilo del Pevensie, che sospirò appena, con una nota di confusione negli occhi chiari, trovando il suo viso particolarmente stanco.

-Tu l'hai visto. Vorrei avere avuto anche io qualche tipo di segno da parte sua.- Il Pevensie tornò a fissare la figura di Aslan, sentendo la mano di Lucy accarezzargli il braccio per cercare di confortarlo. Si morse l'interno di una guancia, percependo addosso tutta la frustrazione per non essere riuscito ad agire diversamente affossargli il cuore per la prima volta da quando era tornato.

Era sicuro che se Aslan lo avesse visto in quel momento gli avrebbe riservato una profonda occhiata di disapprovazione per tutto ciò che aveva combinato, uno di quei suoi sguardi penetranti capaci di rendere al silenzio chiunque.

Da quando era li, mai come in quel momento Peter, sotto lo sguardo silenzioso del padre di Narnia, permise ai dubbi di inondargli la mente, facendogli vacillare quella sicurezza in se stesso che aveva sempre sbandierato senza problemi.

Jadis lo stava convincendo così facilmente...

Nascose gli occhi dietro le palpebre, cercando di ritrovare un punto fermo nel vortice di emozioni che lo stava travolgendo.

-Forse siamo noi a dovergli dimostrare qualcosa questa volta.-

Peter voltò il viso, posando lo sguardo su Lucy, trovando, a dispetto delle proprie aspettative, il viso sereno della sorella che lo guardava, incoraggiante. Il Pevensie non poté evitare di sentirsi rasserenato da quella visione, dal modo in cui, nonostante tutto, Lu gli stesse vicino, scaldandogli il cuore con la sola presenza quando avrebbe avuto tutte le ragioni per fargli qualche ramanzina.

Peter sfoggiò un'espressione pensierosa per qualche attimo, ripensando a tutto ciò che era successo, sentendo una fiammella di speranza riaccendersi nel vedere come la sorella sorridesse a quella che era solo una figura incisa nella pietra.

-Credo tu abbia ragione.-


***
 


-Ormai non dovrebbe mancare molto, giusto?-

Dhemetrya si rigirò lo scettro tra le mani, studiando quegli arabeschi ghiacciati incisi sulla superficie che le ricordavano vagamente gli stessi disegni che decoravano il suo arco. Quell'oggetto doveva essere sparito da anni, ma evidentemente, con il passare del tempo ed a furia di cercare, aveva avuto modo di tornare alla luce e finire nelle mani sbagliate.

Percepiva ancora dell'alone di magia provenire da quel bastone, le spire di freddo che cercavano di congelarle la mano pungendole il braccio come tanti spilli. Cercò conforto nel calore del corpo di Antares, immergendo la mano libera nella criniera e lasciandogli delle carezze sul collo.

Cedere al freddo che sprigionava era solo uno dei tanti modi per finire dalla parte del male. Se fosse stato impugnato da qualcuno di debole o corrotto, quell'oggetto maledetto che racchiudeva i rimasugli di volontà della Strega Bianca gli avrebbe fatto fare esattamente tutto ciò che voleva.

-No, siamo quasi arrivati.-

Lia saltò su un masso, annusando l'aria, sentendo l'odore di salsedine solleticarle l'olfatto. Stavano percorrendo a ritroso il cammino che i Pevensie avevano fatto per raggiungere il rifugio di Aslan, percorrendo quella distanza molto più brevemente di quanto i ragazzi non avessero fatto, nascosti tra la vegetazione e trasportati dal vento.

L'unico modo per disfarsi di quello scettro era consegnarlo nelle sapienti mani della Grande Magia.


***


-Noi possiamo occuparcene.-

Lia osservò lo scettro nelle mani del fauno, lanciando poi un'intensa occhiata a Dhemetrya, che si affrettò a raggiungere il Narniano con un paio di balzi. Gli prese l'oggetto dalle mani senza aspettare una sua risposta o quella di chiunque altro, tornando vicino alla lupa.

Si prese qualche secondo per osservare l'oggetto che aveva davanti agli occhi, provando una profonda sensazione di disagio e amarezza che le bloccarono il respiro in gola. Quello scettro era stato usato per creare così tanta sofferenza, così tante morti...

-Possiamo farlo sparire. Per sempre.-

Dhemetrya tornò a posare lo sguardo su Peter, trovandolo con i lineamenti contratti e gli occhi che non si staccavano dallo scettro, pensierosi. Effettivamente dire che potevano farlo “sparire per sempre” era una promessa fatta con parole dal peso non indifferente.

Vide il Pevensie sospirare, immaginando che stesse valutando la situazione, e lanciare una profonda occhiata a Lia senza preoccuparsi di nascondere una nota di scetticismo.

-Per sempre?- confermò i suoi pensieri Peter, e Dhem lanciò un'occhiata alla lupa, la quale sembrò perfettamente a suo agio nonostante le remore del Re.

-E' l'unico modo per non farla più tornare. Se non ci credi potrai chiedere ad Aslan... quando tornerà.-

Peter sembrò arrendersi all'idea di affidare a quei tre Narniani una cosa così importante, memore delle varie volte che li avevano aiutati nei momenti di difficoltà e della profonda conoscenza che Lia sembrava avere di Narnia, della pacatezza che sprigionava sempre intorno a sé, perfino in quel momento per un discorso così importante.

Sospirò pesantemente, fissando gli occhi azzurri in quelli di Dhemetrya che ancora reggeva lo scettro.

-Va bene.-


***


Antares fermò la propria marcia sulle sponde di una delle tante ramificazioni che andavano a formare il fiume che i Pevensie avevano percorso con la barca rubata ai Telmarini. Il manto nero faceva un bellissimo contrasto con la natura, facendo risaltare ancora di più la vividità dei colori che la ornavano.

Dhemetrya scese con un movimento veloce, non creando nessun rumore con i calzari quando sfiorò il terreno. Mosse qualche passo incerto, facendo scorrere lo sguardo su quell'ambiente che le smosse sotto la pelle un'incredibile senso di familiarità.

Era uno dei tanti luoghi in cui aveva passato quei lunghi anni immersa nel silenzio, abbastanza lontano dai confini di Telmar perché gli uomini fossero un pericolo e nelle vicinanze di Cair Paravel, tanto che spesso per nostalgia aveva raggiunto le rovine del castello e si era fermata ad osservare il mare dai ciò che rimaneva delle grandi balconate.

Dhemetrya sospirò, posando lo sguardo sul fiume che scorreva davanti a loro, ricordando quando le sue acque risplendevano delle risate delle naiadi e le driadi suonavano melodie rilassanti sedute sui rami di quegli stessi alberi ora chiusi nel silenzio. Osservò il proprio riflesso nello specchio d'acqua, facendo quasi fatica a immedesimarsi con la figura che vi vedeva all'interno.

Quella ragazza dal volto scavato, lo sguardo spento, la pelle così pallida da sembrare grigia e una speranza ormai gettata alle ortiche... non era lei. La lucente Figlia del Cielo.

Lucente...


Dhem chiuse gli occhi, irrigidendo i tratti di un viso che ricordava molto più delicato ed armandolo di un sorriso amaro, stanco come lo era il suo spirito, stringendo lo scettro che teneva in mano con così tanta forza che le nocche le sbiancarono.

Cosa le era rimasto di lucente?

“Figlia mia.”

Dhemetrya si irrigidì, aprendo gli occhi di scatto come se si fosse scottata, rimanendo abbagliata per qualche secondo dalla luce del sole riflessa sull'acqua. Rimase immobile, incapace di darsi una spiegazione sul motivo per cui le era sembrato che la voce sentita nella testa provenisse in qualche modo dall'acqua, studiando la superficie calma restituirle l'immagine di una ragazza dagli occhi agitati e pieni di confusione.

Si voltò verso Lia ed Antares, rimasti in disparte per decidere la strada migliore da percorrere, indecisi se avrebbero avuto più fortuna con il luogo in cui erano comparsi i Pevensie o in cui Dhemetrya aveva visto la Grande Magia.

I due Narniani la guardarono, sentendosi osservati, lanciandole degli sguardi interrogativi per la tensione che stava spargendo intorno a sé e che percepirono irradiarsi nel silenzio in cui erano immersi. La mora scosse la testa, non capendo, continuando a tenere gli occhi puntati sui due. Stava forse diventando pazza?

“Figli miei...”

Quando quella stessa voce per la seconda volta le penetrò nella testa come un sussurro leggero, con quella nota di dolcezza inconfondibile, Dhemetrya stava ancora osservando Lia ed Antares. Li vide irrigidirsi e tendere le orecchie, riuscendo a riconoscere nei loro sguardi la stessa miriade di emozioni che avevano preso a tormentarla.

Nessuno dei tre osò parlare, facendo calare tra di loro un silenzio carico di aspettativa.

“Figli miei, sono qui.”

Dhem voltò il viso, puntando gli occhi pieni di stupore nel fiume e trovando al posto del proprio riflesso il volto della Grande Magia che la guardava, sorridendo appena, i lineamenti eterei come li ricordava.

Sembrava galleggiare al di sotto della superficie, i lunghi capelli argentei che si fondevano in leggeri arabeschi con l'acqua.

“Madre? Cosa...”

La donna puntò gli occhi sapienti accanto a Dhemetrya, permettendosi qualche secondo per studiare quei visi che l'avevano affiancata ed a cui da troppo tempo non si era mostrata.

“So che avete bisogno di me.” Si limitò a dire, sfoggiando un sorriso mentre scrutava oltre l'apparenza, notando lo stupore che si dipinse sui visi dei tre ragazzi che la guardavano dalla sponda del fiume.

Dhemetrya portò avanti lo scettro, mostrandoglielo apertamente. Lo avvicinò all'acqua e degli arabeschi di luce e gocce si allungarono verso l'oggetto, inglobandolo in una bolla fatta di magia impalpabile che lo trascinò nelle mani della donna che stava sotto la superficie – oltre quel mondo che loro conoscevano, trascinandolo in una dimensione da cui nessuno sarebbe più riuscito a strapparlo via.

“Mi dispiace non potere fare di più per aiutarvi, Figli Miei...” Gli occhi della Magia si oscurarono di tristezza, osservando come quelle creature che erano così profondamente parte di lei fossero sciupate, stanche e deboli.

“Non preoccupatevi. Vi stavamo cercando proprio per questo motivo.”

Dhemetrya si voltò per osservare l'espressione che Lia poteva aver assunto, incuriosita dalla voce suonata leggermente diversa, strabuzzando gli occhi quando si trovò davanti il motivo per cui la donna riflessa nell'acqua sorrideva.

Trovò al posto della lupa la figura formosa di una ragazza dai lunghissimi e ricci capelli castani e gli occhi smeraldini.

Non è possibile...


Rimase a bocca aperta qualche secondo, incapace di sapere cosa dire ed ignorando il dialogo tra le due, girandosi poi di scatto dalla parte opposta, sentendo una stretta alla bocca dello stomaco. Si portò una mano alla bocca, sentendo il respiro che le si mozzava in gola, ricevendo in risposta un'ammiccante occhiata dai due profondi occhi nocciola, talmente chiari e vividi da sembrare quasi ambrati, che spiccavano sul volto del giovane uomo accanto a lei.

Quanto tempo era che non vedeva quei volti?

Sentì la testa vorticare, Dhem, tanto che dovette appoggiare una mano sul terreno per sostenersi.

“Figlia mia.”

La ragazza si sforzò di puntare lo sguardo nell'acqua, cercando di trovare in quella voce un appiglio per evitare di annegare nella marea che le stava sconvolgendo l'animo.

“Co-come è possibile?” Domandò, facendo passare lo sguardo sui due ragazzi accanto a lei. Temeva che li avrebbe dimenticati a furia dei secoli passati senza vederli.

Il ragazzo le mise una mano sulla spalla, ma ciò che vide nel profondo dell'occhiata rassicurante che le stava dando, Dhemetrya, fu solo una profonda tristezza. Una tristezza data dalla consapevolezza di essere rilegato in una forma che non gli apparteneva.

“Purtroppo la poca magia rimasta mi permette di farvi solo questo regalo. Appena me ne sarò andata... tutto tornerà come prima.”

La mora vide gli occhi della donna passare in rassegna i loro volti, riservandogli un'occhiata di scuse, notando l'immagine che iniziava a sbiadire e la stanchezza che ne segnava i tratti. In qual modo strano che era il legame tra loro sentì come se le forze venissero meno anche a lei.

“Non fatevene una colpa. Dovete rimanere fiduciosa, come ci avete sempre detto.” Il ragazzo si allungò verso l'acqua, immergendovi una mano come se volesse accarezzare il viso al di sotto di essa – senza riuscire, però, a toccarlo davvero. La donna sorrise nella sua direzione, divenendo sempre più confusa sotto i loro sguardi.

Avrebbero voluto riempirla di domande, sapere perché era successo tutto ciò, perché si era arrivati al punto in cui la magia in Narnia stava scomparendo, ma erano troppo consapevoli del fatto che non c'era tempo.

Essersi mostrata per quei pochi minuti doveva esserle costato un immenso sforzo, e l'acqua sempre più torbida davanti a loro era la prova di quanto rapidamente la sua presenza in quel pezzo di fiume stesse scomparendo senza la delicatezza a cui erano sempre stati abituati, rigettata indietro come se fosse fuori luogo.

Dhemetrya continuò a fissare gli occhi nel ruscello, incapace di muoversi, sentendosi ancora addosso il calore sprigionato da quegli occhi sapienti.

“Arrivederci, Madre.”


























































































































Tadadadannn!
Ciao a tutti :)
Non ho molto da dire in realtà su questo capitolo, credo sia abbastanza esplicativo da sé. Era necessario per me sondare i vari pensieri che prendono i Pevensie dopo Jadis, quindi mi scuso se potrebbe essere risultato un po' pesante da sopportare. La scena tra Eve ed Edmund se la sono gestita praticamente da soli e io li ho trovati teneriii... e li ho lasciati fare xD
Da dopo il prossimo capitolo inizierà un arco di almeno 4/6 capitoli che riveleranno parte della trama, quindi mi prenderò tutto il tempo necessario per sciogliere le varie situazioni che si andranno a creare. Nel frattempo spero che questo vi sia piaciuto. :)
Il prossimo aggiornamento sarà verso fine gennaio, se riesco un pochino prima. Nel frattempo vi ringrazio per aver letto e vi auguro buone feste.
Love,
D <3
   
 
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