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Autore: Dida77    22/12/2018    7 recensioni
John è tornato ad abitare a Baker Street, ma non è tornato veramente a casa.
Sherlock troverà un modo per farlo tornare.
Questa storia è stata scritta per l’evento "Marry Christmas" del gruppo "Johnlock is the way… and Freebatch of course".
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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John era tornato ad abitare al 221B da poche settimane, dopo che aveva lasciato Mary. Erano giornate strane.
 
L'aveva lasciata perché lei non era la donna di cui si era innamorato. Lei era, ed era sempre stata, una menzogna. Non sapeva davvero chi fosse quella donna con cui aveva diviso parte della sua vita e con cui avrebbe voluto dividere il proprio futuro.
 
Lei era stata un'ancora di salvezza. Uno scoglio a cui aggrapparsi come un naufrago in mezzo alla tempesta del suo dolore.
Un dolore accecante e totalizzante, dopo la morte di Sherlock. Un dolore che aveva portato via tutto.
 
E anche dopo il suo ritorno le cose non erano migliorate poi molto. John si sentiva tradito da Sherlock, dall'unica persona di cui si fidava ciecamente. E il dolore si era tramutato in rabbia.
 
Ma John pensava di avere comunque Mary, di cui potersi fidare e con cui poter costruire un futuro insieme.
 
Ma le cose erano andate diversamente. John si era sentito di nuovo tradito dall'unica persona a cui avesse affidato il proprio cuore. A quel punto, lasciare Mary era stata l'unica scelta percorribile.
 
John aveva lasciato Mary e, insieme a lei, aveva lasciato tutto il resto.
 
Tutto aveva perso interesse. Il suo amore per Mary, le sue speranze per il futuro, i suoi sogni. Tutto. Persino la rabbia nei confronti di Sherlock non c'era più e si era spenta con John. Ormai viveva la sua vita come un automa, in un mondo dove i sentimenti non esistevano più e, forse, non ne esisteva più nemmeno il ricordo.
 
Tutto era diventato grigio e freddo e umido.
Come una nebbiosa notte londinese che invogliava soltanto a rientrare in casa per scaldarsi davanti al camino.
 
Solo che lui sentiva di non aver più una casa dove tornare. La sua vecchia camera in Baker Street era solo un posto dove dormire e tenere le sue cose. Non era più casa. Nemmeno lì.
E in quella nebbiosa notte londinese John si sentiva senza un posto caldo dove tornare.
 
Quella fase si stava protraendo da qualche settimana ormai. Anche se John faceva di tutto per far sembrare le cose normali, Sherlock si era reso conto delle condizioni di John, del buco nero in cui stava piano piano affondando il suo amico.
Se ne era reso conto, ma non aveva chiaro in mente cosa fare per aiutarlo.
 
Aveva deciso che l'unica cosa da fare era lasciare a John i suoi spazi. Lasciare che fosse lui a dettare i tempi e aspettare che fosse pronto per sentirsi di nuovo a casa nel loro appartamento.

John aveva capito. E avrebbe voluto ringraziare Sherlock per questa decisione. Ma non ne aveva le forze. Si sentiva svuotato e senza energie, come se una mano fredda gli stesse stringendo il petto e non gli permettesse più di respirare. Aveva solo voglia di stare al buio, da solo, in camera sua, senza parlare con nessuno o far finta di interessarsi a qualcosa.
 
Anche quell'anno, come ogni anno, dicembre era arrivato portando con sé la magia delle feste. Ma John non era in vena di festeggiare. La sua delusione per come era andata la sua vita fino a quel punto aveva portato via tutto, anche la voglia di festeggiare il Natale.
A lui, che il Natale lo aveva sempre adorato, che solitamente aspettava a malapena i primi giorni di dicembre per iniziare ad ascoltare canzoni di Natale e a compilare enormi liste di regali da comprare.
 
Ma gli anni in cui era rimasto senza Sherlock, prima, e poi la delusione infertagli da Mary quando pensava di aver trovato il suo posto nel mondo lo avevano lasciato svuotato. Perso. Proprio come se in quel mondo per lui non ci fosse più un posto sicuro e non ci fosse più nessuna persona con cui lasciarsi andare e sentirsi a casa. Nessuno che si interessasse veramente a lui.
 
Era la vigilia di Natale, praticamente ora di cena, e John stava rientrando dal lavoro. Dato che il Natale aveva perso tutta la sua magia, tanto valeva andare a lavorare e coprire i turni in ambulatorio di qualche collega che avesse famiglia. A lui davvero non importava…anzi, meglio lavorare e aspettare con pazienza che arrivasse rapidamente il 6 di gennaio.
 
Aveva iniziato a piovere. Una pioggerellina impalpabile, fastidiosa, che non si riparava nemmeno con l'ombrello, che bagnava il giaccone e ghiacciava le ossa.
 
Arrivato davanti al 221B si affrettò ad entrare in casa. Lasciò il giaccone grondante sull'attaccapanni vicino alla porta e salì le scale per arrivare all'appartamento.

Non appena aprì la porta, rimase immobile per la sorpresa. Il salotto era illuminato solo dalla luce tremula di tantissime candele bianche e rosse e dalla fiamma che crepitava nel caminetto acceso.
Un'infinità di cuscini avevano preso posto sulle due poltrone e sul divano e contribuivano non poco a creare un'atmosfera natalizia.
 
Il colore rosso si era impadronito del loro salotto. Rosso dii tantissime tonalità diverse: i cuscini rosso porpora, le candele rosso scarlatto, un plaid di lana rosso carminio ripiegato sul divano.
 
Suo nonno diceva sempre che "senza rosso non è Natale". Qualche volta, non ricordava quando, doveva averlo detto a Sherlock, e Sherlock doveva aver memorizzato quel dettaglio importantissimo e insignificante al tempo stesso.
 
Sherlock aveva fatto tutto questo per lui. Malgrado il suo odio profondo per il Natale e per tutte le convenzioni ad esso collegate, aveva passato un sacco di tempo a decorare il salotto e vestirlo a festa, di rosso. Solo per lui. Tutto quel tempo e tutte quelle energie spese solo per provare a riaccendere il sorriso sul volto di John. E questo scaldava il cuore di John più di ogni altra cosa.
 
Il fatto che si fosse ricordato del “rosso”, di quel minuscolo particolare, servì più di mille parole.
 
Era rimasto lì, imbambolato sulla porta, a guardare tutte quelle candele accese, quei cuscini, lo splendido plaid e un piccolissimo albero di Natale appoggiato sul tavolo che, in un primo momento di stupore non aveva nemmeno notato.
 
Era rimasto lì, imbambolato sulla porta, ad aspettare che il magone che gli si era formato in gola decidesse di lasciare spazio alle parole che, però non volevano uscire.
 
Sherlock era seduto sul divano, aveva alzato semplicemente gli occhi dal libro che stava leggendo e lo guardava in attesa di capire quale effetto avesse avuto la sua sorpresa.
 
Lo guardava negli occhi ed aspettava. Senza fretta, senza pretendere parole di apprezzamento o di ringraziamento. Semplicemente aspettava i tempi di John, come aveva fatto in tutte quelle ultime settimane. Senza dire niente, semplicemente, aspettava.
 
E John si rese conto che non c'era bisogno di parlare. Era bellissimo, non aver bisogno di dire niente. Perché, in fondo, Sherlock aveva già capito tutto. Sherlock aveva già visto il calore che si stava allargando nel suo petto, portando via il freddo di quelle ultime settimane.
 
Era merito di Sherlock, solo suo. Era l’aver ricordato quel minuscolo particolare del passato di John. Era lo sforzo che aveva fatto per mettere in atto quel tentativo di farlo sorridere nuovamente, senza sapere se avrebbe funzionato o meno.
Senza avere alcuna certezza, aveva semplicemente provato.
E questo scaldava il cuore di John più di tutto il resto.
 
Sherlock aveva visto tutto. Il calore nel petto di John, il magone in gola, le parole che non volevano uscire e gli occhi che si riempivano di lacrime.
Sherlock aveva visto tutto. Alzandosi dal divano e andandogli incontro, disse: “Buon Natale, John”.
 
John fece un passo in avanti, titubante, e poi improvvisamente le lacrime iniziarono a scendere, sempre di più, sempre più veloci.
Poi le lacrime si tramutarono in singhiozzi. Sempre più forti.
 
Poi John le sentì, le braccia di Sherlock attorno a sé, come a voler tenere insieme i pezzi di un vaso ormai rotto. I singhiozzi erano sempre più forti. John piangeva lacrime mai scese, ma si sentiva al sicuro, protetto in quell'abbraccio dapprima titubante ma via via sempre più saldo e forte. Sentiva di poter piangere liberamente, perché quell'abbraccio lo teneva insieme e tra quelle braccia non c'era pericolo di andare in frantumi.
 
Piano piano i singhiozzi si calmarono e una gran pace scese nel petto di John. Come se quelle lacrime avessero lavato via tutto il dolore e tutto il freddo di quegli ultimi anni.
Si scostò un po’ da quell'abbraccio, solo quel tanto che bastava per alzare lo sguardo e guardare Sherlock negli occhi.
 
Non parlò, nemmeno in quel momento, ma sorrise. Un sorriso piccolo e incerto, ma il primo dopo un'infinità di tempo, dopo troppo tempo.
Fu un sorriso piccolo e incerto, ma bellissimo.
 
Sherlock, sorrise di rimando “Ben tornato a casa, John.”
Poi, sorridendo, continuò “Sarai stanco. Mettiti sul divano che preparo la cioccolata calda con la cannella.”
 
John ubbidì senza discutere. Il tempo di mettersi velocemente una tuta comoda, sedersi sul divano e coprirsi con il nuovo caldissimo plaid natalizio che era lì piegato, e Sherlock tornò con due tazze di cioccolata fumante in mano.
 
La bevvero seduti vicini, davanti ad uno dei film di Natale preferiti di John, senza prestare troppa attenzione a ciò che accadeva sullo schermo.
 
Quello sfogo aveva lasciato John sfinito, privo di energie, e seguire la trama del film era sempre più difficile. Appoggiare la testa pesante alla spalla di Sherlock fu un gesto spontaneo, così come il braccio di Sherlock che si spostò attorno alle spalle di John con fare protettivo.
La testa di John si spostò sul petto di Sherlock, gli occhi ormai chiusi, il respiro regolare di chi si è addormentato.
 
Sherlock si limitò a coprire ben bene entrambi con quell'enorme plaid natalizio e sorrise.
La più bella notte di Natale di tutta la sua vita.

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Dedicata ad Annina, senza la quale non avrei nemmeno iniziato (e che ha gentilmente betato questo racconto)!
   
 
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