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Autore: I_m_better_now    23/12/2018    0 recensioni
Tornata a Londra dopo anni di permanenza a Houston, Texas, Diana Goodman decide di seguire le orme di Sherlock Holmes, un detective di tutto cappello, e del suo aiutante John Watson, un ex soldato reduce dall'Afghanistan
Genere: Avventura, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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I casi - che potevano essere tutto tranne che semplici quando c'era Lui di mezzo - erano due:
O Sherlock mi uccideva;
O ero io a uccidere lui.
E in entrambi casi, tutti e due avevamo ottimi motivi per farlo.

Il suo motivo era dovuto al ritardo impressionate che che stavo facendo e il mio, di conseguenza, era dovuto alla sua sprecisissima organizzazione. Perché solo uno come lui, con la sua mente malata, poteva organizzare un immediato trasferimento da Houston a Londra in sole 14 ore e 17 minuti precisi e, naturalmente, senza l'uso del cellulare per eventuali domande.
E vi posso giurare su tutto quello che possiedo, che furono le 14 ore e 17 dannati minuti più stressanti della mia vita. Tuttavia, ci misi tutta me per rispettare il l'orario che suddivisi in: venti minuti spesi a cercare di fare una pianificazione della giornata, contando anche i possibili ritardi dei mezzi e i possibili disagi urbani; venti minuti di litigi e futili tentati di spiegazioni con Rayn, che a quel tempo era il mio attuale ragazzo; due ore suonate in tribunale per chiudere un caso investigativo al quale stavo lavorando; venti minuti di traffico  lungo la principale per tornare a casa;  altri dieci minuti di litigio con Rayn, dovuto al fatto che voleva venire con me; trenta minuti per disdire tutti gli appunti che avevo fissato in precedenza; venti minuti per preparare le valigie, mettendo lo stretto necessario; un'ora per arrivare all'aeroporto e per un saluto decente; e, infine, nove ore e diciassette minuti di volo per Londra e fidatevi quando vi dico che è meglio evitare il discorso del jet lag.

Furono realmente le 14 ore e 17 minuti più stressanti della mia vita. E fu solo quando atterrai all'aeroporto di Londra che ebbi dei ripensamenti. Ero partita improvvisamente, lasciandomi Rayn e Houston alle spalle, e non avevo nemmeno la minima idea di quanto tempo sarei dovuta rimanere a Londra e cosa mi aspettasse o se ne valesse la pena. L'avevo semplicemente fatto, senza pensare ad altro, perché sapevo che con Sherlock niente mi si poteva presentare tanto chiaro quanto intrigante. E forse fu proprio quel bisogno di avvenuta a farmi accettare quella stramba richiesta..

Appena atterrai nella mia vecchia e amata Londra, la mia prossima destinazione fu la Barts, una scuola di medicina abbastanza famosa nella contea. Trovarlo sulla mappa non fu difficile - anche se non toccavo Londra da 2 anni e mezzo e le cartine londinesi impresse nella mia mente erano state rimpiazzate da quelle texane -, tantomeno fu difficile trovare un taxi che mi ci portasse e in meno di mezz'ora ero dentro l'edificio, diretta al laboratorio di chimica. Perché dire Sherlock era come dire "Chimica" in una lingua complessa e arcana.

Il laboratorio era esattamente uguale a come l'avevo visto l'ultima volta: poco illuminato, confusionario e disordinato, e con oggetti puliti - spero - sparsi sui banconi immacolati. Persino il giubbotto nero di Sherlock era appoggiato sul bancone, come era solito lasciarlo.
Come facevo a dire che era il suo? Perché avevo visto quell'abito così tante volte che mi ero spinta anche a regalargli un altro cappotto pur di non vederlo mai più. E poi, chi mai l'avrebbe appoggiato su un bancone invece che appenderlo sull'appendiabiti?
L'unica cosa che non potevo ricordare era l'odore: appena entrata, avvertii un forte odore di profumo economico da donna e di sigarette.

"Ma qui non le aprono mai lei finestre?" pensai disgustata, appoggiando le mie valigie in un angolo del laboratorio. Mi rimboccai le maniche e mi diressi verso la finestra, aprendola. Il laboratorio dava direttamente sul giardino della scuola, che non era un granché da vedere. "Allora... dov'è il "genio"?" Pensai, voltandomi verso le scale bianche che davano all'obitorio, un luogo che - né per fortuna né per sfortuna - conoscevo come i palmi delle mie mani. "Non può accogliermi così..." fu l'ultima cosa che pensai prima di lasciare il laboratorio per scendere al piano inferiore. 

Quel che mi si presentò davanti una volta entrata fu... spaventoso e probabilmente - anzi, sicuramente pieno di "perché" per uno sconosciuto, ma per me era quasi normale vedere Sherlock Holmes frustare un cadavere di un uomo con un frustino nero. Non che fosse di routine, ma ci andava molto vicino.

Davanti a lui, dall'altra parte del tavolo, si ereggeva una donna dalla corporatura minuta e dai capelli rilegati in una coda che, senza rendersene conto, mi dava le spalle. Mi ci volle poco per riconoscerla: era sicuramente Molly Hopper, la giovane e impacciata patologa forense che aveva segretamente una cotta per Sherlock. Era da tempo che non la vedevo; io e lei non avevamo mai avuto un bel rapporto.

< Mi chiedevo se ti andasse una tazza di caffè. > fu quel che disse la ragazza, con un certo nervosismo ed agitazione, non appena entrai nella stanza silenziosamente. Certo, descriverla nervosa sarebbe stato un eufemismo ma ce la stava mettendo tutta per sembrare nei suoi panni.

< Nero. Con due zollette. Grazie. > rispose prontamente Sherlock, chiudendo di scatto l'agenda nera che teneva tra le mani.

Quel che mi stupì fu che pur trovandomi davanti a lui, mi ignorò completamente. E no, niente poteva sfuggire alla vista di Sherlock Holmes. Nemmeno la mia figura eccentrica, semi nascosta dal corpo della patologa. Quindi... Perché diavolo mi stava ignorando?

< Che ne dici di un macchiato? > chiesi invece, facendo voltare di scatto Molly, che mi guardò con una nota di stupore sul volto e un pizzico di paura negli occhi. Potrei anche scommetterci che non mi avesse sentito arrivare: il nervosismo e l'attesa della risposta dell'investigatore avevano isolato completamente i suoi sensi. < Cambiare non ti farebbe male. >

< Finalmente sei arrivata. > fu l'unica cosa che fu capace di dire Sherlock, senza degnarmi di un saluto. Rabbia,  Stupore, rigidità mascellare e scheletrica? Erano tutti fattori presenti nella figura magra e slanciata di Sherlock. Potevo esserne io la causa? Forse o quasi sicuramente, dato che prima del mio arrivo il detective era tutto tranne che arruffato come lo era adesso. < Ce ne hai messo di tempo. >

< Diana? > domandò confusa Molly, voltandosi completamente verso di me. La patologa mi guardò per qualche secondo e sul suo volto si dipinse il dubbio, susseguito dall'imbarazzo di un ricordo recente. Perché posso dirlo? Il suo sguardo si era corrucciato per qualche secondo - una caratteristica principale del dubbio frontale - prima che i suoi occhi si spostassero verso sinistra, guardando in alto - un chiaro segno di chi cerca di ricordare qualcosa - . < Che... che ci fai qui? >

Vederla in volto fu quasi uno shock per me. 30 mesi prima ero sparita dalla faccia di Londra e, in due anni e mezzo, niente in lei era cambiato! Era sempre la Molly sciatta e timida che avevo visto conosciuto anni prima, per non parlare del look esterno e dei modi di fare. E Sherlock... beh, Sherlock era e sarà sempre Sherlock. Niente era mai cambiato in lui: stesso aspetto, stesse abitudini, stesso carattere acerbo, stessa dannata parlantina svelta e stesso sarcasmo saccente.

< Non l'avevi avvertita del mio ritorno? > chiesi stupita ma Sherlock stava già salendo le scale, diretto al laboratorio. < Sherlock! > gli urlai con la speranza di attirare la sua attenzione, rincorrendolo su per le scale. Sinceramente, quello non era il saluto che mi sarei immaginata. < Mi stai togliendo il saluto o cosa? >

< Ben tornata nella nostra amata patria, Diana. > disse sarcasticamente, aprendo le porte del laboratorio per errare dentro. < Com'era il viaggio? > il detective andò a sedersi dietro un bancone, sistemando davanti a sé il microscopio. < Non hai portato il Matt con te? >

< Rayn. Si chiama Rayn e no, non l'ho portato con me. > lo rimproverai, entrando nella stanza. Non sapevo se Molly fosse dietro di me; ero troppo impegnata a fronteggiare la rabbia repressa di Sherlock, che si stava comportando come una checca isterica. < Sai che non puoi avercela con me solo perché ho fatto ritardo di venti minuti, vero? Tu non hai la minima idea di- >

< Quaranta. > ribattè Sherlock, afferrando una pipetta e una fiala. < Hai fatto quaranta minuti di ritardo. >

< È lo stesso! > sbottai scazzata, alzando gli occhi al cielo. < Non puoi pretendere che io faccia tutto nell'arco di 14 ore e 17 fottuti minuti! >

< Il mio calcolo era esatto e > Sherlock si alzò dalla sedia per andare a travasare qualcosa di verdastro nella fiala vuota, aiutandosi con la pipetta trasparente. La sua voce non trasudava un minimo di rabbia; era limpida e calma. < non ti era esclusa la possibilità di un rifiuto, se non sbaglio. >

< No ma- >

< Potevi rifiutare il mio invito, allora. >

< Devi darmi più tempo. > dissi allora, facendo un sospiro per calmare i nervi. Il suo comportamento mi faceva imbestialire ma arrabbiarsi con lui non sarebbe servito a niente. < Perché non sai come l'ha presa Rayn quando gli ho detto che avrei dovuto fare un salto a Londra per qualche giorno. >

Una volta riempita la fiala, Sherlock tornò a posto, rimettendosi ad aggeggiare con il microscopio e il liquido verdastro che mi faceva venire la nausea al solo guardarlo. < Non ho mai detto che questo sarebbe stato un "salto". >

< Visita, vacanza, escursione.. > dissi, andando verso la finestra per poi chiuderla. Un vento freddo era arrivato improvvisamente, portandomi brividi lungo il corpo e scossoni nelle ossa. "Anche Londra ha un meteo bipolare, a quanto pare". < chiamalo come vuoi. >

< Non cambia il fatto che non abbia mai detto che sarebbe non sarebbe stato permanente. > ribattè Sherlock, osservando con attenzione qualcosa sotto microscopio, prima di spostarsi verso altre provette e ampolle. < Ora fa silenzio, per favore. >

Improvvisamente, mi accorsi che quel che Sherlock stava dicendo era vero. Non mi aveva mai detto che questo "salto" a Londra sarebbe stato realmente un "salto" di pochi giorni, era stata una mia idea fin dal principio. Questo, però, significava solo una cosa... < E... quando intendi permanente, a che periodo di tempo ti riferisci? > chiesi, ancora insicura e scossa. Non potevo aver lasciato il mio ragazzo per stare al gioco di un detective eccentrico dalla parlantina svelta.

< Zitta! >

La mia bocca fece in tempo a chiudersi prima che qualcuno bussasse alla porta. Nessuno dei due ebbe il tempo di rispondere che due uomini entrarono nel laboratorio. Il primo era un uomo con gli occhiali e dalle fattezze abbastanza massiccie ma con un livello di educazione basilare alle spalle che gli permise di tenere la porta aperta al secondo uomo che camminava appoggiato alla stampella. 
Sherlock, naturalmente, gli degnò di un solo sguardo ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un saluto; Si limitò solo ad alzarsi dalla sedia.

< Molto diverso dai miei tempi. > osservò l'uomo storpio, guardandosi intorno come un bambino piccolo farebbe nella sua nuova classe elementare. I suoi occhi vagarono su ogni centimetro del laboratorio, finendo pure su di me per meno di un quarto di secondo.

< Non immagini quanto. > ribattè l'altro con un sorriso sulle labbra, annuendo leggermente.

"Conosce già i laboratori della Barts?" Quella domanda mi venne quasi spontanea davanti a quell'affermazione. In passato, avevo avuto modo di visitare più volte la scuola di medicina e in nessuna di quelle avevo avuto modo di incontrare quell'uomo.

< Mike, mi presti il tuo telefono? > chiese improvvisamente Sherlock, concentrandosi sul suo elaborato chimico. < Il mio non ha segnale e nemmeno il suo ce l'ha. > aggiunse, lasciandomi un'occhiata veloce.

"Non c'è davvero campo?" Presi il cellulare dalla tasca posteriore dei miei pantaloni solo per poter vedere se le parole di Sherlock erano veritiere. "Non prende davvero.."

Il Quattrocchi si voltò verso di Sherlock e, mentre le sue sopracciaglia si aggrottarono, le sue labbra si strinsero fino a ridursi a una riga sottile. < Scusa perché non usi il fisso? > chiese scocciato Mike, guardandolo.

< Preferisco gli sms. > tagliò corto Sherlock e quella frase riuscì a catturare l'attenzione dello storpio, che puntò lo sguardo su di lui per qualche secondo prima di distoglierlo.

< Scusa. > Mike alzò leggermente le spalle, sentendosi nel torto. < È nel giubbotto. >

< Oh, ecco.. usi il mio > disse subito l'altro, prendendo il cellulare dalla giacca marrone nocciola che indossava. Quell'uomo, con i suoi capelli di un biondo spento e i suoi vestiti sciatti, rappresentava la pura monocromia.

Lo sguardo di Sherlock si spostò sull'uomo guardandolo per qualche secondo. < Oh..! > nuovamente, il suo sguardo si spostò su Mike, come se fosse alla ricerca del suo consenso, prima di riportare lo sguardo su l'uomo. < Grazie. >

< Scusate, ma.. > il mio sguardo si spostò da quello dell'uomo a quello di Mike. < posso sapere chi siete? >

< Lui è un mio vecchio amico, John Watson. > lo presentò Mike, mentre Sherlock si alzò per andare a prendere il cellulare di "John".'

< E lei sarebbe? >

< Afghanistan o Iraq? > la voce di Sherlock uscì chiara e limpida, catturando l'attenzione di tutti i presenti nella stanza.

< Come, scusi? > domandò John, togliendomi le parole di bocca, lanciando sguardi scompigliati a Mike.

< Dov'è successo? > chiese allora Sherlock, aggeggiando il cellulare dell'uomo. < In Afghanistan o in Iraq? >

In un secondo, il mio sguardo e quello degli uomini presenti nella stanza finirono sulla parte invalida di John: la sua gamba. "Non può averlo chiesto davvero..." pensai sconvolta, coprendomi il volto con la mani. "Non. Può. Averlo. Chiesto. Davvero."'

< Afghanistan.. > risposte John, guardando confuso Sherlock. < M-ma come fa a saperl-? >

< Ah, Molly! > esclamò Sherlock, non appena Molly errò nella stanza con una tazza di caffè caldo in mano. Il detective lasciò il cellulare all'uomo per prendere la tazza tra le mani.< Il caffè, grazie... che fine ha fatto il tuo rossetto? > aggiunse, guardando attentamente le sue labbra.

< Oh... > Molly sorrise leggermente, con un forte imbarazzo stampato sul volto. < Non mi stava bene. > mormorò, tocendosi le mani nervosamente.

< Davvero? Invece stavi meglio. > disse Sherlock, tornando alla sua postazione. < Adesso hai le labbra troppo piccole. > aggiunse, bevendo un sorso di caffè.

< A-Ah, okay... > mormorò imbarazzata Molly, prima di voltarsi verso di me. < I-io non sapevo se lo volevi anche tu.. >

< Fa niente, Molly. > Dissi con noncuranza, alzando le spalle. La realtà era che non aveva minimamente pensato a me ma solo a il prezioso caffè di Sherlock che, a detta dei suoi gesti, sembrava essere buono. < Non importa. >

La ragazza annuì leggermente e ignorò i due uomini, uscendo velocemente dal laboratorio.

< A lei piace il violino? > chiese improvvisamente Sherlock, una volta tornato alla sua postazione. 

< Come, scusi? > chiese John, lanciando altri sguardi confusi diretti a Mike e, stavolta, anche a me. Il problema era che nessuno, a parte Sherlock, sapeva cosa aveva in mente il detective.

< Io suono il violino quando penso > continuò Sherlock, parlando come se la faccenda ci fosse limpida. < e a volte non parlo per giorni interi. Tre potenziali coinquilini  dovrebbero conoscere i difetti reciproci. >

< Coinquilini? > La mia voce uscì più acuta che mai per la sorpresa. < Che coinquilini, scusami? >

< Gli hai... parlato di me? > chiese John a Mike, sentendosi ancor più confuso, ma non riuscii a sentire la risposta dell'uomo perché la mia attenzione era volta a Sherlock che non sembrava aver prestato ascolto alla mia domanda.

< Spero che tu stia scherzando, Holmes. > ringhiai a voce bassa, mettendomi davanti a lui. < Non puoi avermi fatto fare un volo di nove fottute ore solo per aiutarti a trovare un coinquilino! >

< Ma chi ha mai parlato di coinquilini? > chiese allora John, attirando la nostra attenzione.

< Io. > Sherlock afferrò il giubbotto nero appoggiato sul bancone e lo pulì da pelucchi invisibili. < Stamattina Mike mi ha detto che sarà difficile per me trovarmi dei coinquilini. > continuò, mettendosi il giubbotto e la sciarpa color cobalto. < E dopo pranzo si presenta qui con un vecchio amico tornato dall'Afghanistan. Non è stato difficile. >

< Come sapeva dell'Afghanistan? > fu quel che John riuscì a chiedergli mentre nella mia testa regnava la confusione.

< E io cosa c'entro in tutto questo? >

< Ho adocchiato un piccolo appartamento al centro di londra. > Sherlock sembrò non sentire le nostre domande e andò verso John, con gli occhi fissi sul suo cellulare. < In tre potremo permettercelo. Ci vediamo lì domani sera alle sette. >

< Aspetta, Sherlock- >

< Scusate, adesso dobbiamo scappare. Ho lasciato il mio frustino all'obitorio. > disse, con la stessa semplicità di un bambino che descrive qualcosa di più che semplice ad un suo compagno.

< Tutto qui? > fu quel che chiese allora John, leccandosi le labbra dal nervosismo.

< Tutto qui cosa? > Holmes afferrò una delle due valigie che mi ero portata a Londra prima di voltarsi verso John, guardandolo interrogativo.

< Volete condividere un appartamento con me? >

Lo sguardo stupito di Sherlock volò su tutti i presenti nella stanza, finendo per ultimo su John. Davvero non riusciva ad afferrare un concetto così semplice? < Problemi?

Una risata nervosa sfuggì dalle labbra di John, che lanciò uno sguardo a Mike. < Noi tre non ci conosciamo affatto. Non conosco questo posto. E tanto meno i vostri nomi. >

Lo sguardo di Sherlock si indurì leggermente e notai la strana ma familiare postura di rigida che adottava prima di saltare addosso ai poveretti che osavano mettersi sul suo sentiero. E, semplicemente, era troppo tardi per fermarlo...
< Io so che lei è un medico militare, che è stato ferito in Afghanistan. > iniziò il detective, fissando l'uomo con fare impassibile. < So che ha un fratello che si preoccupa per lei, ma non gli chiederà aiuto perché non lo approva. Probabilmente è un alcolista, o meglio perché di recente ha lasciato la moglie. E so che la sua analista pensa che il suo zoppicare sia psicosomatico.>

A quell'affermazione, John lanciò uno sguardo alla sua gamba e si mise composto. Sherlock aveva colpito nel centro.

< Diagnosi corretta temo. > concluse Holmes. Ma non fu la vera concluse, dato che si voltò verso di me per iniziare la sua analisi completa. < Lei è Diana Goodman, 27 anni, diplomata con il massimo dei voti in un istituito londinese. Diana è un'esperta nelle microespressioni facciali e nel rilievo del linguaggio del corpo. Grazie a queste caratteristiche, ha avuto il piacere di affiancarmi durante le mie investigazioni, il che ha già portato ad un certo livello di conoscenza reciproca. > Sherlock fece un piccolo sorriso soddisfatto prima di voltarsi verso John. < È sufficiente per frequentarci, non crede? >

Gli erano bastati 2 minuti e 30 secondi per descrivere reciprocamente a due perfetti sconosciuti la loro piccola e insignificante vita all'interno del mondo. Erano quelle le piccole cose che ancora mi stupivano di Sherlock e che continueranno a stupirmi. < Sherlock, io credo che tu ti sia fatto un'idea sbagliata. >

< Sbagliata? Su chi? Sul presente John Watson? > Holmes non si fermò un altro secondo e corse alla porta del laboratorio. Tuttavia, prima che uscisse fuori, il detective si fermò sul posto e guardò l'ex soldato, come pronto per dargli il colpo di grazia. < Il mio nome è Sherlock Holmes e l'indirizzo è il 221b di Becker Street. > fu la sua banalissima presentazione, che accentuò con una strizzata d'occhio verso Watson, prima di farmi un cenno con la testa per chiedermi di seguirlo. < Buona sera. >

Naturalmente, non appena uscì gli fui dietro come un'ombra. Avevo troppe domande e troppe cose che non mi tornavano ma che potevo far tornare, se mi fossi applicata di più. Niente era semplice nel mondo di Sherlock - ed è qualcosa che in fondo ho sempre saputo - ma adesso quel mondo sarebbe diventato anche parte del mio. Ero disposta a permetterglielo?
< Ma sei impazzito per caso? Come ti è stata in mete la storia degli inquilini?! > chiesi, stando a fatica al suo passo veloce e duro. < È il tuo nuovo modo di fare? >

< No, mia cara. È un nuovo inizio. > disse, con uno strano sorriso sul volto e una scintilla nello sguardo che non poteva augurarmi niente di buono.


   
 
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