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Autore: Rei Murai    27/12/2018    3 recensioni
«Ci sei solo tu?».
Saguru era uscito dal suo nascondiglio, lo sguardo meravigliato come quando era bambino.
Non c’è tempo per pensare a questo.
«Ci sono solo io».
La mano era corsa a stringere le manette, Kid aveva raddrizzato la schiena e, per la seconda volta si erano ritrovati davvero soli.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kaito Kuroba/Kaito Kid, Saguru Hakuba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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NdA: questa storia nasce come esperimento al posto di dormire.
Ho avuto l’ispirazione da alcune fanArt di una disegnatrice giapponese HakuKai bravissima e come un fulmine sono stata colpita dalla prima Drabble fino ad arrivare all’ultima aumentando sempre di più il numero di parole.
In sintesi è una piccola raccolta di momenti tra Saguru e Kaito dal punto di vista di Hakuba con una buona parte di cose che avrei volto mettere in Ikigai ma che non incastrandosi con la trama non hanno trovato sbocco.
Come sempre i personaggi non sono miei ma di Aoyama (anche se lui a Saguru me l’ha un po’ abbandonato) e non scrivo a scopo di lucro o a fini di nessun tipo, tanto sto fandom è vuoto e questa coppia ce la caghiamo davvero in pochi TT’’’’
Buona lettura chiunque voi siate. Sappiate che sento il vostro sostegno anche da lontano.
 
 
 
The End of Ordinary Sadness
 
 
This unstopping sadness and unstopping pain
Floats through now like a wave, and then dawn breaks
My feelings are swirling more violently than usual
So I feel like all of me will crumble
 
 
Giornale
La prima volta l’aveva visto su un giornale.
La foto era sfocata, il mantello bianco tagliato a metà; il bagliore dietro di lui lo rendeva quasi totalmente posto all’oscuro e il fatto che lo scatto fosse in bianco e nero non aiutava affatto a chiarire cosa fosse davvero quella macchina d’inchiostro in mezzo all’articolo che il padre stava leggendo.
Saguru aveva quattro anni ma era rimasto affascinato da quello strano tizio a cui tutti stavano prestando attenzione.
 
 
Decisioni
Suo padre urlava nella stanza accanto.
Seduto alla scrivania ascoltava in modo distratto l’insegnante e le sue noiose spiegazioni; la sua attenzione totalmente catturata dal telegiornale che trasmetteva le immagini in diretta del nuovo furto.
A sei anni Saguru sapeva già cosa voleva fare da grande.
Era solo la seconda volta che vedeva Kaitou Kid, il misterioso ladro fantasma che non sbagliava un colpo e incantava tutti con i suoi trucchi di magia ma, stringendo i pugni, si era ripromesso che lui lo avrebbe incontrato.
 
 
Distacco
«Cosa vuol dire che ti trasferisci in Giappone? E non ci pensi alla tua famiglia? Questa è follia!».
«…Tu non capisci! Kid…».
«Kid! Kid! Non ripeti altro da quando Nakamori ti ha scritto quella dannata lettera! Vattene dove vuoi, ma non porterai con te nostro figlio!».
Saguru era rimasto tutto il tempo nascosto dietro la porta della camera da letto il giorno in cui suo padre era partito alla volta del continente asiatico.
Sua madre aveva pianto e lui non aveva capito granché se non che c’entrava qualcosa con il ladro.
Si era voltato verso il ritaglio di giornale appeso al muro; il ladro, leggermente inclinato in avanti nella sua posa galante, sembrava sorridere sbeffeggiante sotto la tesa del cappello a cilindro.
«Kid» aveva sussurrato, prima di strappare il foglio dal muro e ricacciare indietro le lacrime.
 
 
Tokyo
Cambiando il piano di studi, aveva finito in maniera inevitabile ad allontanarsi dalla madre.
Il suo desiderio di liberare il padre dal fardello che si era caricato sulle spalle lo aveva portato più volte oltre oceano, placando la sua sete di conoscenza ma distanziandolo dai suoi coetanei.
A sedici anni, Hakuba non aveva né famiglia né amici.
Saguru era cresciuto solo e la sua genialità, alla fine, gli aveva aperto uno spiraglio; una possibilità di rimettere ogni cosa al suo esatto posto.
«Mi traferisco in Giappone da papà, Kaitou Kid è riapparso».
La madre non aveva fatto una piega, non aveva nemmeno alzato lo sguardo.
I ciuffi biondi che le nascondevano il viso sembravano dirgli “Sapevo che sarebbe finita così.
Il giorno dopo si era imbarcato sul primo volo diretto a Tokyo.
 
 
Kid
«Mio figlio si è montato la testa, dovresti insegnargli cos’è il lavoro del vero detective, Nakamori».
Aveva osservato con sufficienza l’uomo in piedi davanti a lui; l’ispettore della seconda sezione di Tokyo non gli era sembrato particolarmente sveglio o competente, ma del resto non si era mai aspettato niente di più da coloro che – per anni – si erano fatti sfuggire un semplice ladro dalle mani.
Aveva ispezionato la stanza, cercato ogni più piccolo indizio; quando aveva trovato il capello sul pavimento aveva sorriso vittorioso.
Ogni passo lo portava più vicino a Kid.
Ogni passo gli permetteva di portare a termine la sua missione.
 
 
Scherno
Era riuscito a prevedere ogni sua mossa.
Una settimana a studiarne i comportamenti gli era bastata per comprendere il suo modo di operare, le sue più perverse inclinazioni.
Aveva sbarrato ogni via d’uscita portandolo dove voleva e quando era arrivato ad un passo dal prenderlo, il ladro si era dimostrato più furbo di quanto si era aspettato.
La ferita al suo orgoglio era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: le sue dita lo avevano mancato per un soffio prima che il gas facesse effetto. Si erano strette attorno al nulla mentre quelle del ladro gli portavano via la maschera da sotto il naso.
Kid aveva sorriso beffardo e poi il buio lo aveva avvolto.
 
 
Deduzione
«Kaito Kuroba».
Nakamori lo aveva squadrato con scherno prima di scoppiare a ridere.
«Non può essere. Inseguo Kid dalla mia gioventù! Dovrebbe avere attorno ai 50 anni, non può certo essere un moccioso delle superiori!».
Saguru aveva contratto la mascella stringendo la scheda tra le mani.
Stupido, odioso, vecchio incompetente! Si era morso la lingua per non dar voce ai suoi pensieri e aveva ingoiato il rospo.
«Vi dimostrerò che Kuroba è Kid» aveva detto, invece, impedendosi di lasciar trapelare qualsiasi emozione.
Avevano riso di lui e lo avevano lasciato da solo.
Quella notte non aveva chiuso occhio ma a nulla erano serviti i suoi piani complicati: mentre il polso di Kuroba era saldamente ancorato al suo dalle manette, un altro Kid era apparso nella stanza e aveva mandato all’aria ogni suo piano.
La cosa che lo aveva sorpreso, però, era stata l’espressione esterrefatta del ragazzo, mentre Aoko dava al ladro dell’effemminato. Quasi non avesse minimamente previsto che qualcun altro potesse prendere il suo posto.
 
 
Litigi
«Kuroba! Hakuba! Smettetela immediatamente e tornate ai vostri posti!».
Con uno sbuffo si era accomodato al proprio banco, lo sguardo torvo puntato verso il compagno di classe.
Kaito aveva fatto lo stesso e Aoko gli aveva rifilato una gomitata.
Riesce a farmi innervosire e perdere il controllo aveva pensato cercando di ignorare la rabbia.
Aver scoperto l’identità di Kid e non poterla dimostrare era un affronto alla sua intelligenza.
«Stronzo» gli aveva sentito sussurrare a denti stretti.
Bastardo aveva stretto i pugni tirando un calcio allo zaino. Una volta o l’altra verrai colpito da una pallottola vagante, te lo prometto.
 
 
Preoccupazioni
Le occasioni per catturarlo non gli erano mai mancate.
A distanza di 3 anni da quando si era trasferito, tuttavia, non era mai riuscito a prenderlo.
Sua madre gli scriveva raramente; suo padre e l’intero corpo di polizia erano sempre più nervosi.
Anche la collaborazione con altri detective non aveva dato frutti e, ogni giorno che passava senza riuscire a mettere le mani su quel fottuto bastardo lo rendeva sempre più insofferente.
«Ancora una volta la nemesi di Kid è stata chiamata dal presidente della Suzuki corporation per impedire l’ennesimo furto del ladro-».
Aveva tirato un calcio alla sedia facendola ribaltare sul pavimento. Avrebbe spaccato tutto se il campanello non avesse suonato.
«Hakuba sono due giorni che non vieni a scuola, siamo preoccupati per te».
Bloccò la mano all’altezza della maniglia, sorpreso di sentire quella voce oltre la soglia.
Kid.
Kid era lì.
Così vicino… così fottutamente a portata di mano.
«So che ci sei, aprimi!».
Aveva preso un paio di respiri prima di spalancare l’uscio.
Pioveva e Kuroba era fradicio; la frangia appiccicata al viso e gli occhi azzurri cerchiati dalla preoccupazione nascosta dietro un sorriso pieno di disagio.
Si erano squadrati a lungo, poi Kaito gli aveva allungato gli appunti blaterando cose tipo “Dovresti stare a letto se hai la febbre, perché hai addosso la giacca? Non starai pensando di uscire!” e ancora “Hai preso le medicine? Aoko mi ha detto che ieri deliravi per via della temperatura alta”.
In silenzio aveva afferrato gli appunti e gli aveva dato le spalle allontanandosi.
Perché cazzo non stai zitto?
Kuroba si era spento d’improvviso e lui si era chiesto se non l’avesse detto davvero ad alta voce.
«Beh, torno a casa. Riguardati» l’altro non era nemmeno entrato.
Era tornato sotto la pioggia, sistemandosi lo zaino sulle spalle e lui si era sentito una merda.
 
 
Invito
L’invito era arrivato a lui e a lui soltanto.
Non che il ladro non l’avesse mandato alla centrale di polizia e non avesse cercato di avvisare Nakamori del suo furto, semplicemente Hakuba l’aveva intercettato prima e, senza dire nulla a nessuno, aveva teso la sua trappola.
Quando la figura ammantata di bianco si era poggiata, leggiadra, sul cornicione del balcone, Hakuba aveva sentito i muscoli contrarsi.
Kid si era guardato attorno, aveva mosso qualche passo incerto e, alla fine, si era inchinato davanti ad un pubblico inesistente.
Come nel ritaglio di giornale la mano aveva formato un arco prima di fermarsi all’altezza dello sterno. La tesa del cappello copriva il viso giovane e l’ornamento alla fine della catenella del monocolo dondolava a mezz’aria.
«Ci sei solo tu?».
Saguru era uscito dal suo nascondiglio, lo sguardo meravigliato come quando era bambino.
Non c’è tempo per pensare a questo.
«Ci sono solo io».
La mano era corsa a stringere le manette, Kid aveva raddrizzato la schiena e, per la seconda volta si erano ritrovati davvero soli.
Niente poliziotti.
Niente collaboratori.
Niente proprietari dell’oggetto del desiderio del ladro.
Kuroba non si era nemmeno preoccupato del fatto che l’avesse fatto portare via. Si era presentato come segnato nell’avviso ed era in piedi davanti a lui, per nulla spaventato alla prospettiva di essere arrestato.
«Ti è passata la febbre, Hakuba?».
La domanda l’aveva fatto sorridere ma non era intenzionato a lasciarsi fregare nuovamente da lui.
«Spero tu non ti sia preso il raffreddore a camminare senza l’ombrello».
Non poteva vederlo in viso ma era certo che stesse ridendo.
Riderai ancora per poco, Kid.
 
 
Morso
Era convinto che il bacio fosse partito da Kid! Il suo viso era così vicino e il suo odore così buono che gli si era appannato il cervello: un secondo prima gli girava il braccio dietro la schiena facendo scattare la manetta attorno al suo polso e quello dopo si era ritrovato bloccato contro il muro con il corpo dell’altro addosso.
La mano che doveva essere bloccata affondava tra i suoi capelli e il capello a cilindro del ladro giaceva ai loro piedi dimenticato.
Le labbra di Kid lo divoravano con passione mentre, febbrili, le sue mani correvano a slacciare i bottoni della camicia; tiravano la cravatta cercando di avvicinarlo di più a sé o, ancora, graffiavano la stoffa candida della giacca.
Era dannatamente convinto che il bacio fosse partito da Kid.
Doveva essere partito da lui.
Non vi era alcun dubbio che fosse così.
«Non respiro, Hakuba» il mento gli sfiorò la mandibola mentre il viso dell’altro si alzava in cerca d’aria.
Strinse la presa tra i suoi capelli; affondò i denti nella pelle candida del collo e fece saltare l’ultimo bottone della giacca incurante delle sue proteste.
«Sa…» spense l’ennesima protesta contro le proprie labbra e ribaltò le posizioni spingendolo contro il muro.
Aveva desiderato di nuovo che stesse zitto.
Non aveva bisogno delle sue preoccupazioni o della sua pietà.
Non gli serviva che l’altro si interessasse della sua salute o gli dicesse come prendersi cura di sé stesso.
Non erano lì per quello! Non era quello il modo in cui doveva svolgersi quell’incontro.
Eppure era lui che lo aveva zittito.
Anche se era stata la lingua di Kaito quella che si era infilata nella sua bocca per prima, era lui che lo aveva istigato.
Era lui che si era sporto mordendolo con forza alle labbra e ringhiando basso alla sua prima protesta.
Ma un morso non era un bacio, no? Soprattutto se dato per rabbia e orgoglio.
Era Kuroba che lo aveva baciato.
 
 
Guerra
Nessuno dei due aveva avuto il coraggio di guardare in faccia l’altro per tutta la settimana.
Se non era quella un ammissione di colpa, allora Hakuba non sapeva più cosa lo fosse; peccato che non potesse usarla per incriminare il diciannovenne.
«Sì signor giudice! Ho baciato Kaitou Kid e da allora, Kuroba Kaito non mi rivolge la parola. Non ha nemmeno le palle di guardarmi!».
Che cosa ridicola.
Si erano evitati come la peste fino alle vacanze estive e, quando erano tornati per l’ultimo anno di scuola, ancora il ladro non sembrava intenzionato a mostrare un segno di cedimento.
Testardi e orgogliosi avevano continuato a farsi una silenziosa guerra fredda.
 
 
Famiglia
«Sono mesi che Kid non si mostra – Nakamori camminava nervoso, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni – che abbia deciso di sparire di nuovo? Di fare altri nove anni di silenzio? Non avrò le forze, per allora, per continuare ad inseguirlo».
Aveva rotealo lo sguardo al cielo, cercando di non farsi vedere; nessuno era all’altezza del ladro, nessuno tranne lui.
«Tornerà» la voce del padre lo riscosse dai suoi vaneggiamenti di onnipotenza e si rese conto di quanti mesi erano passati dall’ultima volta che aveva sentito la madre.
«Torno a casa» si era alzato, pronto a togliere il disturbo, quando il padre lo aveva bloccato con una mano sulla spalla. Il tocco non era deciso o brusco; non c’era pressione in quelle dita che si erano poggiate, con delicatezza, sulla stoffa della sua giacca.
«Dovresti tornare a Londra. Tua madre è preoccupata per te».
«Lo è per entrambi» aveva risposto laconico, prima di liberarsi da quella presa.
«Saguru…» il genitore l’aveva richiamato ma non lo aveva ascoltato, preferendo il chiudersi la porta alle spalle.
La mano era corsa all’orologio da taschino e aveva iniziato a contare assieme al movimento delle lancette, fino a che il respiro non era tornato regolare.
Dopo di ché, con calma, era uscito dalla stazione di polizia.
 
 
Collo
La brezza estiva gli carezzava il viso e l’odore della salsedine gli faceva prudere il naso.
Il mare era calmo; piccole onde lambivano il bagnasciuga producendo un rumore rilassante; ipnotico.
«Hakuba?» un sussurro contro il suo orecchio.
Allungò la mano afferrando l’altro prima che potesse allontanarsi e, quando aprì gli occhi, venne colpito dalla luce del sole.
 
Kuroba era chino su di lui, il colletto della camicia gli solleticava le labbra e aveva il viso quasi del tutto affondato contro la sua pelle.
Strinse la presa attorno al suo polso al minimo cenno di fuga e sentì le sue ginocchia cedere, fino a intrecciare le gambe con le sue per non cadere.
Era sul tetto della scuola, si era addormentato lì mentre pranzava. Probabilmente Kaito aveva cercato di svegliarlo.
«Hakuba?» ancora una volta provò a chiamarlo, forse per accertarsi che dormisse ancora.
Dopotutto era una situazione scomoda e imbarazzante e Kaito non poteva vederlo in viso.
Non rispose; poggiò la fronte contro il suo collo, le labbra a contatto con la pelle e gli occhi chiusi. Represse il desiderio di morderlo ma non quello di abbracciarlo. Le mani corsero attorno alla sua vita, impedendogli di scappare.
La respirazione di Kuroba si fece più veloce, poi tornò regolare.
Aprì la bocca, la lingua guizzò contro la pelle accaldata dal suo respiro.
Al primo gemito soffocato rese la presa più salda, impedendogli di scappare.
«Ha-».
«Non parlare» non aveva nemmeno bisogno di alzare la voce, l’orecchio dell’altro si trovava a pochi centimetri dalle sue labbra.
Le mani di Kaito corsero alle sue spalle per allontanarlo, l’epidermide arrossata dall’imbarazzo.
Questa volta spalancò la bocca e affondò i denti nella pelle morbida. Kuroba si tese come una corda e le sue dita corsero ad artigliare la camicia.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimasero in quella posizione, ma quando lo lasciò restò ad osservare il segno lasciato dai denti.
«Saguru… - questa volta la voce di Kaito sembrava più decisa; autoritaria – mi hanno mandato a chiamarti per tornare in classe».
Sorrise, si passò la lingua sul labbro inferiore poi alzò il viso lasciandogli un secondo morso, meno forte, sulla mandibola.
«Allora torniamo in classe –   gli concesse lasciandolo libero di andare – ti catturerò un'altra volta, Kid».
Certamente. Dopotutto sono qui in Giappone per questo.



Artista
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