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Autore: Soul_light04    29/12/2018    0 recensioni
[Felicest (Nord Italia/2p!Nord Italia) Tokyo Ghoul!AU -- Ghoul!Nord Italia, CCGinvestigatore!2p!Nord Italia -- il cognome di Luciano è stato cambiato per fini di trama]
A Luciano Grivaldi, noto Investigatore di Classe Speciale della CCG, è stato affidato il compito di sterminare i Ghoul della circoscrizione HETALIA. Ma cosa succederà quando incontrerà un certo Ghoul dagli occhi ambrati e la maschera veneziana? Riuscirà ad ucciderlo, o i sentimenti che gli provoca avranno la meglio?
___________________________
Non è necessario aver visto Tokyo Ghoul per leggere la storia, nelle note all'inizio del testo ho scritto una specie di vocabolario ;)
Non odiatemi per la coppia, per favore ^_^'
Buona lettura!
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: 2p!Hetalia, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Funeste note della funesta autrice:
 
Buonasera cari lettori,
finalmente ho fatto ritorno in questo meraviglioso fandom. Come avrete letto dall’introduzione, questa storia è ambientata nell’universo di Tokyo Ghoul, ma non ha nessun collegamento con la trama dell’anime. Vi lascio un breve vocabolario per chi non sapesse di cosa sto parlando:
 
  • Ghoul: creatura costretta a nutrirsi di esseri umani, in quanto non riesce ad assimilare il cibo umano. Alcuni Ghoul (come Feliciano in questa storia) preferiscono nutrirsi il meno possibile. Quando hanno fame o vogliono attaccare, i loro occhi diventano rossi e gli spunta la Kagune.
  • CCG: agenzia d’investigazione contro i Ghoul.
  • Kagune: “arma” dei Ghoul. È praticamente parte del loro corpo.
  • Quinque: arma usata dagli investigatori della CCG ricavata dalla Kagune dei Ghoul.
  • Investigatore di classe speciale: altissimo rango della CCG.
 
Vi ringrazio per aver letto questa fanfiction, che ho dovuto riscrivere per l’evento che ho già spiegato nella bio sul mio profilo.
 
Grazie ancora e buon anno nuovo <3
 
 
L’adrenalina gli scorreva nelle vene, si mischiava con il sangue e l’ossigeno. Correva a perdifiato verso l’ennesima preda, la Quinque tenuta saldamente nella mano destra. Un sorriso affilato gli adornò il viso quando gli fu a pochi passi di distanza, agitò il braccio e gli sfracellò il busto, dal quale fuoriuscirono fiotti di sangue vermiglio.
 
Strappandogli dal volto la maschera veneziana, osservò gli occhi verde oliva che pian piano perdevano ogni scintilla di vita, i capelli ricadevano disordinati sulla fronte e sul collo appiccicaticcio dal sudore. Il ragazzo lo guardò con rabbia, lui passò oltre. Evidentemente aveva fiutato l’odore del vecchio che aveva ucciso prima, o del ragazzino.
 
Luciano Grivaldi, investigatore di Classe Speciale della CCG, camminò oltre il corpo del Ghoul ormai deceduto. Si sistemò i capelli color mogano che si erano scompigliati nella corsa. I suoi occhi magenta si restrinsero alla ricerca della prossima vittima, o di qualche Ghoul sfuggito ai suoi colleghi che gli tendeva un agguato. La strada era deserta.
 
Raccattò la sua agendina corvina dalla tasca del cappotto marrone che fasciava il suo corpo tonico e slanciato e cancellò il nome “Italia Romano” dalla lista dei Ghoul della circoscrizione HETALIA. Codesta zona della città spiccava tra gli imponenti grattacieli e i negozi del centro, trovandovisi appena fuori, per la sua multietnicità: era un quartiere dove si erano trasferiti, parecchio tempo prima, moltissimi Ghoul dalla Francia, Russia, Spagna, Italia, Giappone e da tanti altri Paesi. Da quel che aveva letto dai pochi fascicoli riguardanti questa zona, la vita si svolgeva in modo uniforme e abitudinario; essendo gli abitanti molto legati tra loro, non potevano contare che su un attacco a sorpresa. Erano in maggioranza pacifici, che uccidevano poco, ma il capo gli aveva ordinato di spazzarli via lo stesso, e Luciano non aveva di certo rifiutato. La sua carriera lavorativa era iniziata pochi anni prima, ma in pochissimo tempo aveva scavalcato la gerarchia e si era posizionato come Investigatore di Classe Speciale. Il suo capo, Oliver Kirkland, in quel periodo di pace gli affidava solo “pulizie di quartiere”, molto meglio rispetto a ciò che dovevano fare altri suoi colleghi come Lutz o Allen, che dovevano restare in ufficio a sbrigare il doppio delle mansioni burocratiche.
 
Si guardò ancora intorno, osservano come la luce della luna non filtrava da un certo punto, lasciando quella stradicciola parzialmente al buio, ostacolata dalla grondaia. L’unico rumore udibile, a parte i suoi passi, era l’inquietante gocciolare d’acqua da un tubo in ferro vecchio e arrugginito. Gli edifici circostanti non erano nelle migliori condizioni, alcuni erano addirittura fatiscenti e abbandonati.
 
Gli era rimasto solo un Ghoul, probabilmente il fratello di quello che aveva appena ucciso, “Italia Veneziano”. Luciano, non sapeva perché, aveva scrutato la foto sul suo fascicolo per ore e ore dalla prima volta che l’aveva letto: era appartenente ad una famiglia di Ghoul particolarmente pacifica composta da lui, il fratello, il cuginetto più piccolo e il nonno, che si prendeva cura di loro da quando avevano perso i genitori. Si nutrivano solo di cadaveri suicidi che raccoglievano dalla valle, una volta al mese, ciò li rendeva estremamente deboli. A Luciano quasi dispiaceva ammazzarlo, e non ne capiva nemmeno il motivo; dopotutto, nemmeno conosceva il suo nome, o il suono della sua voce.
 
Lo scalpitare di passi lievi e frettolosi lo riscosse immediatamente dai suoi pensieri. Luciano distese le labbra in un sorriso, inumidendosele e seguendo la fonte del rumore. Udì un piccolo sospiro. Il ragazzo stava davanti ad un incrocio, indeciso da che parte andare. Gli dava le spalle, ma Luciano lo riconobbe subito, il ricciolo sulla parte sinistra della testa – tra l’altro uguale al suo – era inconfondibile. Tirò velocemente la Quinque, Italia Veneziano doveva essersene accorto, perché gli lanciò uno sguardo di panico e riprese la sua corsa senza riflettere dove stesse effettivamente andando, dato che, Luciano lo ricordava dai suoi studi delle mappe della città, portava ad un vicolo cieco. Il suo sorrisetto si intensificò.
 
Ben presto Italia Veneziano arrestò la sua corsa, essendosi reso conto dell’errore commesso. Non poteva nemmeno scappare: dietro di lui si ergeva quel maledetto investigatore della CCG, davanti era faccia a faccia con un muro. Chiuse strettamente gli occhi, aspettandosi un dolore lancinante alla schiena, oltre alla ferita già ottenuta al petto – merito di un altro agente che aveva confuso per un suo amico giapponese, ma era riuscito a svignarsela in tempo. In teoria avrebbe dovuto cercare suo fratello o suo cugino, trovare rifugio per la notte e tornare a casa quando il giorno avrebbe rischiarato le tenebre notturne, che non gli offrivano alcuna sicurezza. Aspettò, ma niente lo colpì.
 
Luciano proprio non capiva. Quel Ghoul ansimante era in trappola, un bersaglio debole, una preda allettante per la sua Quinque, che stringeva forsennatamente nella mano destra, tant’è che gli erano sbiancate le nocche, e tutto ciò gli provocava un acciecante fastidio. Il suo cuore batté leggermente più forte quando Italia Veneziano si voltò verso di lui, con uno sguardo interrogativo e cauto a un tempo.
 
Metà del suo volto era coperto da una bella maschera veneziana a sfondo blu e sinuosi decori dorati; Luciano gliela rimosse con una delicatezza che non rammentava di avere, sorprendendolo e spaventandolo di più. Ebbe un fremito quando la sua mano indugiò vicino al suo viso, prima che la ritirasse e abbandonasse la maschera a terra.
 
Il Ghoul era di una bellezza semplice e dolce: i capelli erano del color del cioccolato, sul lato sinistro spuntava uno strano ricciolo in comune con il suo, la pelle candida e gli occhi ambrati dalle sfumature a tratti più scure erano capaci di esprimere qualunque emozione ma non di mentire. Il naso piccolo e delicato si incurvava leggermente all’insù, la bocca rosea e piena, come petali di rose, era leggermente dischiusa per permettergli di riprendere fiato. Il corpo minuto e debole era fasciato da abiti a tratti strappati, sporchi di fango e sangue, spiegazzati e logori. Luciano memorizzò la sua immagine spaesata e timorosa, gli occhi spalancati rendevano la sua persona solo più adorabile.
 
Luciano stava per agitare la Quinque, ma il Ghoul afferrò repentinamente dal nulla una piccola bandiera bianca, la sventolò forsennatamente e la sua voce gentile e confusa finalmente uscì: “Ti prego non uccidermi, per favore, non uccidermi! Voglio mio fratello, ve!”.
 
Il senso di colpa gli attanagliò il petto in una morsa improvvisa e dolorosa quando lo vide accasciarsi a terra, tremare e singhiozzare implorandolo di non fargli del male. Avvertì l’impulso di proteggerlo da ogni male, di rassicurarlo e di coccolarlo, di calmarlo, e non capì questi sentimenti nei confronti di un Ghoul. Ringhiò, gettò l’arma a terra e avvolse le sue forti braccia attorno al ragazzo piangente.
 
“V-Ve?!” Tentò debolmente di allontanarlo, combatté contro le sue braccia, ma Luciano non volle lasciarlo, stringendo la presa con irritazione.
“Come… come ti chiami?” Gli chiese accarezzandogli goffamente la schiena.
 
“…Feliciano” Rispose in un soffio che gli solleticò il collo. Finalmente iniziava a rilassarsi nel suo abbraccio; accostò il naso alla spalla, inspirando profondamente l’odore di… pomodori e arance? Feliciano tremò di colpo, allontanandosi con tutta la forza in corpo da lui, gli occhi sgranati e il viso pallido. Storse il naso e odorò meglio: quello era il profumo inconfondibile di suo fratello Lovino, di agrumi, pomodori e un pizzico di menta e peperoncino, sapori che lo distinguevano dagli altri odori che aveva avvertito, che erano quelli dei suoi migliori amici: l’odore di muschio e birra fresca dei fratelli Beilschdmit, il riso bollito e il ramen di Kiku Honda, il fritto e sudore di Alfred F. Jones, oppure le rose di Francis Bonnefoy, suo amabile vicino di casa, e l’odore di bruciato che distingueva gli abiti del suo ragazzo, Arthur, poiché bruciava sempre qualunque cosa cucinasse, per questo Francis gli aveva impedito di avvicinarsi alla cucina; c’era persino il caldo sentore di sole e mare che caratterizzava il ragazzo di suo fratello, Antonio. Un agghiacciante urlo squarciò il silenzio a cui si erano abituati.
 
Gli occhi divennero rossi, la Kagune simile ad una farfalla spuntò dalle scapole, rossastra ma bellissima. Luciano sapeva che il suo attacco non gli avrebbe fatto poi così male, era troppo debole, perciò non si allontanò. Notò una macchia di sangue sulla costola, gli chiese se fosse stato ferito.
 
Sgranò gli occhi vermigli, senso di colpa e profondo dispiacere sostituirono l’acciecante rabbia che Luciano comprendeva. Feliciano ritirò la Kagune, tornò alla normalità e si rannicchiò contro il freddo muro in cemento, piangendo sommessamente, le spalle scosse da piccoli singhiozzi che soffocava nella manica della camicia lacerata.
 
“Sei ferito?” Disse piano inginocchiandosi vicino a lui, prendendogli un polso e allontanando il braccio dal suo corpo.
 
“…”
 
Luciano sospirò, fece scivolare la valigetta sul polso, si alzò in piedi e raccolse Feliciano da terra in stile sposa, un braccio avvolto alla vita e l’altro a tenere saldamente le gambe da sotto le ginocchia, suscitando un breve grido, il suo braccio si fece strada dietro il collo. Tentò di ritrarsi, di sfuggire alla sua presa ferrea.
 
“Se non ci sbrighiamo il mio collega ci rintraccerà. È stato lui a ferirti?” Gli chiese Luciano avviandosi fuori dal vicolo, restando sulla stradicciola deserta in attesa di una risposta che non arrivò. Feliciano si ostinava a mantenere un rigido silenzio.
 
Luciano sospirò e affrettò il passo. Abitava in un bell’appartamento in centro, non troppo distante dalla sede della CCG. Osservò da vicino il volto del Ghoul: le sopracciglia curate erano aggrottate, creando due solchi sulla fronte. La pelle era morbida e senza imperfezioni, molto chiara; le iridi, se viste da vicino, avevano una particolare sfumatura dorata insieme al marrone chiaro naturale. Guardava avanti a sé, staccandosi dal suo corpo per quanto possibile e tremando dal freddo. Luciano lo notò e lo posò a terra per il tempo di togliersi la giaccia e avvolgerla attorno a Feliciano, riprendendolo velocemente tra le braccia sotto il suo sguardo interrogativo.
 
“Così non avrai freddo?” Domandò squadrandolo. Luciano scosse la spalla che teneva le gambe e gli sorrise leggermente: “No, sono abituato ad ogni tipo di temperatura. Era parte dell’addestramento. Una volta ci hanno addirittura portato in Africa!”.
 
Non aveva idea del perché – per l’ennesima volta in quella serata, tra l’altro – ma voleva iniziare a tutti i costi una conversazione con Feliciano, conoscere di più su di lui.
 
“Comunque il mio nome è Luciano Grivaldi” Si presentò.
 
“Lo so” Mormorò Feliciano, “ti conoscono tutti qui”.
 
Luciano inarcò le sopracciglia.
 
“Sei un Investigatore di Classe Speciale della CCG, improbabile non conoscerti” Disse sprezzantemente Feliciano, “uno dei peggiori in circolazione, si dice”.
 
Ridacchiò, dandogli ragione.
 
“Ma c’è una cosa che non capisco: cosa farete di me?” Luciano raccolse il fiato e cercò una risposta. Non lo sapeva nemmeno lui.
 
“Mi ucciderete, voi mostri della CCG? Oppure mi manderete a Cochlea, a farmi analizzare. Mi torturerete?” Luciano storse l’occhio alla parola “mostri”, dopotutto quel ruolo era già coperto dai Ghoul; loro si occupavano solo di proteggere gli esseri umani… ma ciò che Luciano si chiedeva da quando aveva iniziato a lavorare per la CCG era quale fosse il senso della guerra tra i Ghoul e la CCG: i Ghoul erano in grande maggioranza pacifici e deboli, rifiutavano di attaccare gli umani da anni ormai, inoltre alcuni scienziati-Ghoul cercavano un’alternativa alla carne umana per cessare completamente la loro uccisione. I Ghoul avevano sentimenti, da quel che aveva appreso dai suoi precedenti omicidi. Un esempio pratico era Feliciano stesso, che piangeva disperato per la perdita dell’intera famiglia, o di Italia Romano e la sua rabbia. Oppure il russo di un paio d’ore prima, che aveva tentato fino all’ultimo di difendere il suo amante cinese, il polacco e il migliore amico lituano…
 
“Non ho intenzione di ucciderti o altro, tranquillo” Borbottò Luciano. Feliciano gli rise in faccia.
 
“Perché non dovresti? È il tuo dovere”
 
“Il mio dovere è quello di proteggere gli esseri umani dai Ghoul, e tu sei inoffensivo” Spiegò.
 
“Anche gli altri lo erano” Sussurrò Feliciano. Luciano lo sapeva, lo sapeva benissimo, eppure non aveva fermato la strage.
 
Liberò Feliciano e gli intimò di restare immobile, estrasse le chiavi dalla giacca e aprì il portone di casa sua; il Ghoul lo seguì dentro il capiente ascensore e attese.
Attraversarono un corridoio col pavimento di morbida moquette fino ad arrivare all’appartamento di Luciano.
 
L’atrio era un breve corridoio con un appendiabiti in legno d’ebano e un piccolo comò per le scarpe, sopra la quale vi era un piattino per le chiavi e, attaccato alla parete candida, uno specchio. Nel soggiorno, il divano era in pelle nera, davanti aveva un tavolino in vetro con oggetti e scartoffie disordinatamente sparsi sulla superficie e pure sul tappeto bianco. Più lontano vi era una grande televisione; sulla parete sinistra vi era una porta-finestra che portava ad un piccolo balconcino. Il lampadario era bianco sporco, emetteva una luce a led. L’unico accenno di colore in quella casa pareva essere il parquet e il contorno delle porte, entrambi in scuro legno d’ebano. L’appartamento di Luciano pareva rivelare come vedeva il mondo: o bianco e perfetto, o nero e un mare di tenebre, senza la possibilità di vivere nelle sfumature. L’assenza di soprammobili, quadri o fotografie non faceva che accentuare quella sensazione.
 
Era tutto il contrario rispetto all’appartamento caldo e accogliente di Feliciano e la sua famiglia, forse un po’ troppo pieno di oggetti anche inutili ma con un forte valore sentimentale. I colori pastello erano vari e lo rallegravano.
 
“Siediti sul divano” Gli ordinò e sparì pochi secondi in cucina, tornando con un kit di pronto soccorso.
 
Feliciano aveva la schiena accollata allo schienale e le ginocchia al petto. Luciano gli si avvicinò lentamente e gli si sedette accanto; allungò le mani per allontanare le ginocchia e gli slacciò la camicia, rimuovendola completamente. Un rossore si estese sulle guance di entrambi.
 
“Potrebbe farti un po’ male” Mormorò Luciano, tamponando la ferita con del disinfettante. Per fortuna era solo un taglio e non era nemmeno troppo profondo. Feliciano gemette di dolore, due grosse lacrime gli scivolarono sulle guance.
 
“Per distrarti dal dolore potresti raccontarmi qualcosa” Suggerì Luciano. Il petto di Feliciano era immacolato, la pancia piatta e le prime ossa iniziavano a sporgere. Ridacchiò quando sentì il suo stomaco brontolare.
 
“Mi spiace, non ho cadaveri nel freezer” Scherzò, “magari potrei darti il mio vicino”.
 
Feliciano rise fluidamente.
 
“Sinceramente non so cosa raccontarti” Disse, “ho avuto una vita piuttosto semplice: sono nato a Venezia, ma dopo la morte dei nostri genitori io e mio fratello Lovino siamo stati presi in cura dal nonno, che aveva già adottato nostro cugino, Romeo. Tutti insieme ci siamo trasferiti qui”.
 
“Come sono morti i tuoi genitori?”
 
“Li ha uccisi la CCG” Rispose Feliciano distogliendo lo sguardo da Luciano che avvolgeva delle bende attorno al taglio. Egli sussultò.
 
“Mi dispiace”
 
“Non è colpa tua”
 
“Mi dispiace. Per la tua famiglia, intendo”
 
“D’ora in poi sarebbe dovuto succedere” Sussurrò Feliciano, “solo non mi aspettavo di… di non morire. Posso chiederti perché?”.
 
Luciano aggrottò le sopracciglia: “Non lo so”.
 
“Cosa?”
 
“Non lo so” Ripeté, “è la prima volta anche per me. Sono cresciuto all’interno della CCG insieme a mio fratello, lui se n’è andato e io ho seguito il volere del mio patrigno, diventando un Investigatore di Classe Speciale in poco tempo. Ho sempre eseguito gli ordini. Il mio patrigno era molto deluso quando mio fratello ha rifiutato di diventare parte della CCG per inseguire il sogno di diventare stilista. Io, non volendo arrecargli maggiori pene in punto di morte, ho deciso di aderirci, non che mi dispiaccia. Non sono una persona molto empatica, e l’adrenalina che provo ogni giorno è impagabile”.
 
“Perché non diventi un poliziotto?”
 
Luciano gli sorrise: “Sarebbe bello, ma ho ucciso troppe persone”.
 
Non sapeva quando il suo cervello aveva iniziato a traslare la parola “Ghoul” alla parola “persone”, quando aveva iniziato a considerarli esseri alla pari degli umani, che popolavano la Terra insieme a loro, che avevano dei sentimenti e non erano dei mostri.
 
“Mi faresti del caffè?” Domandò Feliciano rimettendosi la camicia.
 
“Caffè? Mica voi Ghoul non potete mangiare cibi o bevande umani?” Chiese Luciano inarcando il sopracciglio.
 
“In realtà siamo capaci di ingerire il caffè. Specialmente se è ben fatto!”
 
“Allora non rimarrai deluso” Gli fece l’occhiolino e si riavviò in cucina a rimettere a posto il kit di pronto soccorso e a preparare il caffè a Feliciano.
 
Luciano, in un momento di silenzio da parte di Feliciano, prese a riflettere riguardo i Ghoul: se prima pensava fossero dei mostri destinati ad una vita misera, ora credeva fermamente che non fossero tutti uguali, esattamente come gli esseri umani, e che la CCG sbagliava a perseguitarli. Era ancora all’oscuro del mondo dei Ghoul, ma, grazie alla presenza di Feliciano, era sicuro che riuscirà a saperne di più.
 
Volgendo di nuovo gli occhi magenta su Feliciano, lo vide con la testa appoggiata alla sua spalla – nemmeno se n’era accorto – le mani in grembo, un piccolo sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi, il petto gli si alzava e abbassava regolarmente. Notò che aveva delle ciglia davvero lunghe, morbide.  Feliciano si era addormentato.
 
Lo fece stendere sul divano stando attento a non svegliarlo, corse in camera e lo coprì con una pesante coperta in modo che non avesse freddo. Lo guardò sospirare e bearsi di quel nuovo calore. Luciano sorrise dolcemente, intenerito dall’adorabilità di quel Ghoul.
 
Non l’avrebbe più lasciato andare, ne era certo. Non era solo un modo per scusarsi, per farsi perdonare di tutte le uccisioni che d’improvviso gravavano sulla sua schiena, era un modo per potergli stare vicino. Per sempre, avrebbe voluto. Forse aveva trovato una risposta alle sue domande: il battito cardiaco anormalmente accelerato e lo sfarfallio alla bocca dello stomaco erano più che sufficienti.
 
“Forse i Ghoul non sono così male” Sorrise tra sé. Al pensiero, mandò tutto al diavolo e posò un breve bacio sulle labbra del castano.
Non erano niente male, lo facevano sentire caldo e al sicuro, anche un po’ nervoso e imbarazzato. Gli piaceva la sensazione.
 
Forse più tardi glielo avrebbe chiesto.
 Funeste note della funesta autrice:

 
Buonasera cari lettori,
finalmente ho fatto ritorno in questo meraviglioso fandom. Come avrete letto dall’introduzione, questa storia è ambientata nell’universo di Tokyo Ghoul, ma non ha nessun collegamento con la trama dell’anime. Vi lascio un breve vocabolario per chi non sapesse di cosa sto parlando:
 
  • Ghoul: creatura costretta a nutrirsi di esseri umani, in quanto non riesce ad assimilare il cibo umano. Alcuni Ghoul (come Feliciano in questa storia) preferiscono nutrirsi il meno possibile. Quando hanno fame o vogliono attaccare, i loro occhi diventano rossi e gli spunta la Kagune.
  • CCG: agenzia d’investigazione contro i Ghoul.
  • Kagune: “arma” dei Ghoul. È praticamente parte del loro corpo.
  • Quinque: arma usata dagli investigatori della CCG ricavata dalla Kagune dei Ghoul.
  • Investigatore di classe speciale: altissimo rango della CCG.
 
Vi ringrazio per aver letto questa fanfiction, che ho dovuto riscrivere per l’evento che ho già spiegato nella bio sul mio profilo.
 
Grazie ancora e buon anno nuovo <3
 
 
L’adrenalina gli scorreva nelle vene, si mischiava con il sangue e l’ossigeno. Correva a perdifiato verso l’ennesima presa, la Quinque tenuta saldamente nella mano destra. Un sorriso affilato gli adornò il viso quando gli fu a pochi passi di distanza, agitò il braccio e gli sfracellò il busto, dal quale fuoriuscirono fiotti di sangue vermiglio.
 
Strappandogli dal volto la maschera veneziana, osservò gli occhi verde oliva che pian piano perdevano ogni scintilla di vita, i capelli ricadevano disordinati sulla fronte e sul collo appiccicaticcio dal sudore. Il ragazzo lo guardò con rabbia, lui passò oltre. Evidentemente aveva fiutato l’odore del vecchio che aveva ucciso prima, o del ragazzino.
 
Luciano Grivaldi, investigatore di Classe Speciale della CCG, camminò oltre il corpo del Ghoul ormai deceduto. Si sistemò i capelli color mogano che si erano scompigliati nella corsa. I suoi occhi magenta si restrinsero alla ricerca della prossima vittima, o di qualche Ghoul sfuggito ai suoi colleghi che gli tendeva un agguato. La strada era deserta.
 
Raccattò la sua agendina corvina dalla tasca del cappotto marrone che fasciava il suo corpo tonico e slanciato e cancellò il nome “Italia Romano” dalla lista dei Ghoul della circoscrizione HETALIA. Codesta zona della città spiccava tra gli imponenti grattacieli e i negozi del centro, trovandovisi appena fuori, per la sua multietnicità: era un quartiere dove si erano trasferiti, parecchio tempo prima, moltissimi Ghoul dalla Francia, Russia, Spagna, Italia, Giappone e tanti altri. Da quel che aveva letto dai pochi fascicoli riguardanti questa zona, la vita si svolgeva in modo uniforme e abitudinario; essendo gli abitanti molto legati tra loro, non potevano contare che su un attacco a sorpresa. Erano in maggioranza pacifici, che uccidevano poco, ma il capo gli aveva ordinato di spazzarli via lo stesso, e Luciano non aveva di certo rifiutato. La sua carriera lavorativa era iniziata pochi anni prima, ma in pochissimo tempo aveva scavalcato la gerarchia e si era posizionato come Investigatore di Classe Speciale. Il suo capo, Oliver Kirkland, in quel periodo di pace gli affidava solo “pulizie di quartiere”, molto meglio rispetto a ciò che dovevano fare altri suoi colleghi come Lutz o Allen, che dovevano restare in ufficio a sbrigare il doppio delle mansioni burocratiche.
 
Si guardò ancora intorno, osservano come la luce della luna non filtrava da un certo punto, lasciando quella stradicciola parzialmente al buio, ostacolata dalla grondaia. L’unico rumore udibile, a parte i suoi passi, era l’inquietante gocciolare d’acqua da un tubo in ferro vecchio e arrugginito. Gli edifici circostanti non erano nelle migliori condizioni, alcuni erano addirittura fatiscenti e abbandonati.
 
Gli era rimasto solo un Ghoul, probabilmente il fratello di quello che aveva appena ucciso, “Italia Veneziano”. Luciano, non sapeva perché, aveva scrutato la foto sul suo fascicolo per ore e ore dalla prima volta che l’aveva letto: era appartenente ad una famiglia di Ghoul particolarmente pacifica composta da lui, il fratello, il cuginetto più piccolo e il nonno, che si prendeva cura di loro da quando avevano perso i genitori. Si nutrivano solo di cadaveri suicidi che raccoglievano dalla valle, una volta al mese, ciò li rendeva estremamente deboli. A Luciano quasi dispiaceva ammazzarlo, e non ne capiva nemmeno il motivo; dopotutto, nemmeno conosceva il suo nome, o il suono della sua voce.
 
Lo scalpitare di passi lievi e frettolosi lo riscosse immediatamente dai suoi pensieri. Luciano distese le labbra in un sorriso, inumidendosele e seguendo la fonte del rumore. Udì un piccolo sospiro. Il ragazzo stava davanti ad un incrocio, indeciso da che parte andare. Gli dava le spalle, ma Luciano lo riconobbe subito, il ricciolo sulla parte sinistra della testa – tra l’altro uguale al suo – era inconfondibile. Tirò velocemente la Quinque, Italia Veneziano doveva essersene accorto, perché gli lanciò uno sguardo di panico e riprese la sua corsa senza riflettere dove stesse effettivamente andando, dato che, Luciano lo ricordava dai suoi studi delle mappe della città, portava ad un vicolo cieco. Il suo sorrisetto si intensificò.
 
Ben presto Italia Veneziano arrestò la sua corsa, essendosi reso conto dell’errore commesso. Non poteva nemmeno scappare: dietro di lui si ergeva quel maledetto investigatore della CCG, davanti era faccia a faccia con un muro. Chiuse strettamente gli occhi, aspettandosi un dolore lancinante alla schiena, oltre alla ferita già ottenuta al petto – merito di un altro agente che aveva confuso per un suo amico giapponese, ma era riuscito a svignarsela in tempo. In teoria avrebbe dovuto cercare suo fratello o suo cugino, trovare rifugio per la notte e tornare a casa quando il giorno avrebbe rischiarato le tenebre notturne, che non gli offrivano alcuna sicurezza. Aspettò, ma niente lo colpì.
 
Luciano proprio non capiva. Quel Ghoul ansimante era in trappola, un bersaglio debole, una preda allettante per la sua Quinque, che stringeva forsennatamente nella mano destra, tant’è che gli erano sbiancate le nocche, e tutto ciò gli provocava un accecante fastidio. Il suo cuore batté leggermente più forte quando Italia Veneziano si voltò verso di lui, con uno sguardo interrogativo e cauto a un tempo.
 
Metà del suo volto era coperto da una bella maschera veneziana a sfondo blu e sinuosi decori dorati; Luciano gliela rimosse con una delicatezza che non rammentava di avere, sorprendendolo e spaventandolo di più. Ebbe un fremito quando la sua mano indugiò vicino al suo viso, prima che la ritirasse e abbandonasse la maschera a terra.
 
Il Ghoul era di una bellezza semplice e dolce: i capelli erano del color del cioccolato, sul lato sinistro spuntava uno strano ricciolo in comune con il suo, la pelle candida e gli occhi ambrati dalle sfumature a tratti più scure erano capaci di esprimere qualunque emozione ma non di mentire. Il naso piccolo e delicato si incurvava leggermente all’insù, la bocca rosea e piena, come petali di rose, era leggermente dischiusa per permettergli di riprendere fiato. Il corpo minuto e debole era fasciato da abiti a tratti strappati, sporchi di fango e sangue, spiegazzati e logori. Luciano memorizzò la sua immagine spaesata e timorosa, gli occhi spalancati rendevano la sua persona solo più adorabile.
 
Luciano stava per agitare la Quinque, ma il Ghoul afferrò repentinamente dal nulla una piccola bandiera bianca, la sventolò forsennatamente e la sua voce gentile e confusa finalmente uscì: “Ti prego non uccidermi, per favore, non uccidermi! Voglio mio fratello, ve!”.
 
Il senso di colpa gli attanagliò il petto in una morsa improvvisa e dolorosa quando lo vide accasciarsi a terra, tremare e singhiozzare implorandolo di non fargli del male. Avvertì l’impulso di proteggerlo da ogni male, di rassicurarlo e di coccolarlo, di calmarlo, e non capì questi sentimenti nei confronti di un Ghoul. Ringhiò, gettò l’arma a terra e avvolse le sue forti braccia attorno al ragazzo piangente.
 
“V-Ve?!” Tentò debolmente di allontanarlo, combatté contro le sue braccia, ma Luciano non volle lasciarlo, stringendo la presa con irritazione.
“Come… come ti chiami?” Gli chiese accarezzandogli goffamente la schiena.
 
“…Feliciano” Rispose in un soffio che gli solleticò il collo. Finalmente iniziava a rilassarsi nel suo abbraccio; accostò il naso alla spalla, inspirando profondamente l’odore di… pomodori e arance? Feliciano tremò di colpo, allontanandosi con tutta la forza in corpo da lui, gli occhi sgranati e il viso pallido. Storse il naso e odorò meglio: quello era il profumo inconfondibile di suo fratello Lovino, di agrumi, pomodori e un pizzico di menta e peperoncino, sapori che lo distinguevano dagli altri odori che aveva avvertito, che erano quelli dei suoi migliori amici: l’odore di muschio e birra fresca dei fratelli Beilschdmit, il riso bollito e il ramen di Kiku Honda, il fritto e sudore di Alfred F. Jones, oppure le rose di Francis Bonnefoy, suo amabile vicino di casa, e l’odore di bruciato che distingueva gli abiti del suo ragazzo, Arthur, poiché bruciava sempre qualunque cosa cucinasse, per questo Francis gli aveva impedito di avvicinarsi alla cucina; c’era persino il caldo sentore di sole e mare che caratterizzava il ragazzo di suo fratello, Antonio. Un agghiacciante urlo squarciò il silenzio a cui si erano abituati.
 
Gli occhi divennero rossi, la Kagune simile ad una farfalla spuntò dalle scapole, rossastra ma bellissima. Luciano sapeva che il suo attacco non gli avrebbe fatto poi così male, era troppo debole, perciò non si allontanò. Notò una macchia di sangue sulla costola, gli chiese se fosse stato ferito.
 
Sgranò gli occhi vermigli, senso di colpa e profondo dispiacere sostituirono l’accecante rabbia che Luciano comprendeva. Feliciano ritirò la Kagune, tornò alla normalità e si rannicchiò contro il freddo muro in cemento, piangendo sommessamente, le spalle scosse da piccoli singhiozzi che soffocava nella manica della camicia lacerata.
 
“Sei ferito?” Disse piano inginocchiandosi vicino a lui, prendendogli un polso e allontanando il braccio dal suo corpo.
 
“…”
 
Luciano sospirò, fece scivolare la valigetta sul polso, si alzò in piedi e raccolse Feliciano da terra in stile sposa, un braccio avvolto alla vita e l’altro a tenere saldamente le gambe da sotto le ginocchia, suscitando un breve grido, il suo braccio si fece strada dietro il collo. Tentò di ritrarsi, di sfuggire alla sua presa ferrea.
 
“Se non ci sbrighiamo il mio collega ci rintraccerà. È stato lui a ferirti?” Gli chiese Luciano avviandosi fuori dal vicolo, restando sulla stradicciola deserta in attesa di una risposta che non arrivò. Feliciano si ostinava a mantenere un rigido silenzio.
 
Luciano sospirò e affrettò il passo. Abitava in un bell’appartamento in centro, non troppo distante dalla sede della CCG. Osservò da vicino il volto del Ghoul: le sopracciglia curate erano aggrottate, creando due solchi sulla fronte. La pelle era morbida e senza imperfezioni, molto chiara; le iridi, se viste da vicino, avevano una particolare sfumatura dorata insieme al marrone chiaro naturale. Guardava avanti a sé, staccandosi dal suo corpo per quanto possibile e tremando dal freddo. Luciano lo notò e lo posò a terra per il tempo di togliersi la giaccia e avvolgerla attorno a Feliciano, riprendendolo velocemente tra le braccia sotto il suo sguardo interrogativo.
 
“Così non avrai freddo?” Domandò squadrandolo. Luciano scosse la spalla che teneva le gambe e gli sorrise leggermente: “No, sono abituato ad ogni tipo di temperatura. Era parte dell’addestramento. Una volta ci hanno addirittura portato in Africa!”.
 
Non aveva idea del perché – per l’ennesima volta in quella serata, tra l’altro – ma voleva iniziare a tutti i costi una conversazione con Feliciano, conoscere di più su di lui.
 
“Comunque il mio nome è Luciano Grivaldi” Si presentò.
 
“Lo so” Mormorò Feliciano, “ti conoscono tutti qui”.
 
Luciano inarcò le sopracciglia.
 
“Sei un Investigatore di Classe Speciale della CCG, improbabile non conoscerti” Disse sprezzantemente Feliciano, “uno dei peggiori in circolazione, si dice”.
 
Ridacchiò, dandogli ragione.
 
“Ma c’è una cosa che non capisco: cosa farete di me?” Luciano raccolse il fiato e cercò una risposta. Non lo sapeva nemmeno lui.
 
“Mi ucciderete, voi mostri della CCG? Oppure mi manderete a Cochlea, a farmi analizzare. Mi torturerete?” Luciano storse l’occhio alla parola “mostri”, dopotutto quel ruolo era già coperto dai Ghoul; loro si occupavano solo di proteggere gli esseri umani… ma ciò che Luciano si chiedeva da quando aveva iniziato a lavorare per la CCG era quale fosse il senso della guerra tra i Ghoul e la CCG: i Ghoul erano in grande maggioranza pacifici e deboli, rifiutavano di attaccare gli umani da anni ormai, inoltre alcuni scienziati-Ghoul cercavano un’alternativa alla carne umana per cessare completamente la loro uccisione. I Ghoul avevano sentimenti, da quel che aveva appreso dai suoi precedenti omicidi. Un esempio pratico era Feliciano stesso, che piangeva disperato per la perdita dell’intera famiglia, o di Italia Romano e la sua rabbia. Oppure il russo di un paio d’ore prima, che aveva tentato fino all’ultimo di difendere il suo amante cinese, il polacco e il migliore amico lituano…
 
“Non ho intenzione di ucciderti o altro, tranquillo” Borbottò Luciano. Feliciano gli rise in faccia.
 
“Perché non dovresti? È il tuo dovere”
 
“Il mio dovere è quello di proteggere gli esseri umani dai Ghoul, e tu sei inoffensivo” Spiegò.
 
“Neanche gli altri lo erano” Sussurrò Feliciano. Luciano lo sapeva, lo sapeva benissimo, eppure non aveva fermato la strage.
 
Liberò Feliciano e gli intimò di restare immobile, estrasse le chiavi dalla giacca e aprì il portone di casa sua; il Ghoul lo seguì dentro il capiente ascensore e attese.
Attraversarono un corridoio col pavimento di morbida moquette fino ad arrivare all’appartamento di Luciano.
 
L’atrio era un breve corridoio con un appendiabiti in legno d’ebano e un piccolo comò per le scarpe, sopra la quale vi era un piattino per le chiavi e, attaccato alla parete candida, uno specchio. Nel soggiorno, il divano era in pelle nera, davanti aveva un tavolino in vetro con oggetti e scartoffie disordinatamente sparsi sulla superficie e pure sul tappeto bianco. Più lontano vi era una grande televisione; sulla parete sinistra vi era una porta-finestra che portava ad un piccolo balconcino. Il lampadario era bianco sporco, emetteva una luce a led. L’unico accenno di colore in quella casa pareva essere il parquet e il contorno delle porte, entrambi in scuro legno d’ebano. L’appartamento di Luciano pareva rivelare come vedeva il mondo: o bianco e perfetto, o nero e un mare di tenebre, senza la possibilità di vivere nelle sfumature. L’assenza di soprammobili, quadri o fotografie non faceva che accentuare quella sensazione.
 
Era tutto il contrario rispetto all’appartamento caldo e accogliente di Feliciano e la sua famiglia, forse un po’ troppo pieno di oggetti anche inutili ma con un forte valore sentimentale. I colori pastello erano vari e lo rallegravano.
 
“Siediti sul divano” Gli ordinò e sparì pochi secondi in cucina, tornando con un kit di pronto soccorso.
 
Feliciano aveva la schiena accollata allo schienale e le ginocchia al petto. Luciano gli si avvicinò lentamente e gli si sedette accanto; allungò le mani per allontanare le ginocchia e gli slacciò la camicia, rimuovendola completamente. Un rossore si estese sulle guance di entrambi.
 
“Potrebbe farti un po’ male” Mormorò Luciano, tamponando la ferita con del disinfettante. Per fortuna era solo un taglio e non era nemmeno troppo profondo. Feliciano gemette di dolore, due grosse lacrime gli scivolarono sulle guance.
 
“Per distrarti dal dolore potresti raccontarmi qualcosa” Suggerì Luciano. Il petto di Feliciano era immacolato, la pancia piatta e le prime ossa iniziavano a sporgere. Ridacchiò quando sentì il suo stomaco brontolare.
 
“Mi spiace, non ho cadaveri nel freezer” Scherzò, “magari potrei darti il mio vicino”.
 
Feliciano rise fluidamente.
 
“Sinceramente non so cosa raccontarti” Disse, “ho avuto una vita piuttosto semplice: sono nato a Venezia, ma dopo la morte dei nostri genitori io e mio fratello Lovino siamo stati presi in cura dal nonno, che aveva già adottato nostro cugino, Romeo. Tutti insieme ci siamo trasferiti qui”.
 
“Come sono morti i tuoi genitori?”
 
“Li ha uccisi la CCG” Rispose Feliciano distogliendo lo sguardo da Luciano che avvolgeva delle bende attorno al taglio. Egli sussultò.
 
“Mi dispiace”
 
“Non è colpa tua”
 
“Mi dispiace. Per la tua famiglia, intendo”
 
“D’ora in poi sarebbe dovuto succedere” Sussurrò Feliciano, “solo non mi aspettavo di… di non morire. Posso chiederti perché?”.
 
Luciano aggrottò le sopracciglia: “Non lo so”.
 
“Cosa?”
 
“Non lo so” Ripeté, “è la prima volta anche per me. Sono cresciuto all’interno della CCG insieme a mio fratello, lui se n’è andato e io ho seguito il volere del mio patrigno, diventando un Investigatore di Classe Speciale in poco tempo. Ho sempre eseguito gli ordini. Il mio patrigno era molto deluso quando mio fratello ha rifiutato di diventare parte della CCG per inseguire il sogno di diventare stilista. Io, non volendo arrecargli maggiori pene in punto di morte, ho deciso di aderirci, non che mi dispiaccia. Non sono una persona molto empatica, e l’adrenalina che provo ogni giorno è impagabile”.
 
“Perché non diventi un poliziotto?”
 
Luciano gli sorrise: “Sarebbe bello, ma ho ucciso troppe persone”.
 
Non sapeva quando il suo cervello aveva iniziato a traslare la parola “Ghoul” alla parola “persone”, quando aveva iniziato a considerarli esseri alla pari degli umani, che popolavano la terra insieme a loro, che avevano dei sentimenti e non erano dei mostri.
 
“Mi faresti del caffè?” Domandò Feliciano rimettendosi la camicia.
 
“Caffè? Mica voi Ghoul non potete mangiare cibi o bevande umani?” Chiese Luciano inarcando il sopracciglio.
 
“In realtà siamo capaci di ingerire il caffè. Specialmente se è ben fatto!”
 
“Allora non rimarrai deluso” Gli fece l’occhiolino e si riavviò in cucina a rimettere a posto il kit di pronto soccorso e a preparare il caffè a Feliciano.
 
Luciano, in un momento di silenzio da parte di Feliciano, prese a riflettere riguardo i Ghoul: se prima pensava fossero dei mostri destinati ad una vita misera, ora credeva fermamente che non fossero tutti uguali, esattamente come gli esseri umani, e che la CCG sbagliava a perseguitarli. Era ancora all’oscuro del mondo dei Ghoul, ma, grazie alla presenza di Feliciano, è sicuro che riuscirà a saperne di più.
 
Volgendo di nuovo gli occhi magenta su Feliciano, lo vide con la testa appoggiata alla sua spalla – nemmeno se n’era accorto – le mani in grembo, un piccolo sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi, il petto gli si alzava e abbassava regolarmente. Notò che aveva delle ciglia davvero lunghe, morbide.  Feliciano si era addormentato.
 
Lo fece stendere sul divano stando attento a non svegliarlo, corse in camera e lo coprì con una pesante coperta in modo che non avesse freddo. Lo guardò sospirare e bearsi di quel nuovo calore. Luciano sorrise dolcemente, intenerito dall’adorabilità di quel Ghoul.
 
Non l’avrebbe più lasciato andare, ne era certo. Non era solo un modo per scusarsi, per farsi perdonare di tutte le uccisioni che d’improvviso gravavano sulla sua schiena, era un modo per potergli stare vicino. Per sempre, avrebbe voluto. Forse aveva trovato una risposta alle sue domande: il battito cardiaco anormalmente accelerato e lo sfarfallio alla bocca dello stomaco erano più che sufficienti.
 
“Forse i Ghoul non sono così male” Sorrise tra sé. Al pensiero, mandò tutto al diavolo e posò un breve bacio sulle labbra del castano.
Non erano niente male, lo facevano sentire caldo e al sicuro, anche un po’ nervoso e imbarazzato. Gli piaceva la sensazione.
 
Ne voleva ancora. Forse più tardi glielo avrebbe chiesto. 
 
 
 
 
 
 
   
 
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