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Autore: Roscoe24    30/12/2018    6 recensioni
"Magnus si chiese se il fatto che nel giro di nemmeno un’ora, quella fosse la seconda volta che rimanevano incantati a fissarsi, potesse avere un significato. Forse poteva sperare. Ma in cosa?"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alec aveva venticinque anni, la prima volta che mise piede nel suo primo appartamento in cui avrebbe vissuto da solo. Dopo la laurea, aveva trovato lavoro in ospedale come assistente del primario di chirurgia, che più che altro gli faceva compilare le scartoffie di cui lui non voleva occuparsi, ma ad Alec andava bene lo stesso, fin tanto che imparava qualcosa sul campo e riusciva a trovare il tempo per studiare per la specialistica. Pensava che essersi trovato un lavoro fosse il primo passo verso l’indipendenza, il secondo era appunto essersi trovato un appartamento. E sebbene il luogo dove avrebbe vissuto non fosse esattamente la reggia di Versailles, ad Alec piaceva. Era il suo piccolo nido, abbastanza accogliente e decisamente funzionale, dal momento che si trovava vicino all’ospedale. Alec avrebbe potuto andare a lavorare a piedi, o con la metro. Era soddisfatto, pensò mentre sollevava l’ultimo scatolone dal marciapiede. Una ditta di traslochi aveva portato tutta la sua roba al nuovo indirizzo con un camion e Jace l’aveva aiutato a portare le sue cose impacchettate dalla strada al suo appartamento, al terzo piano. Alec si incamminò verso l’ascensore per raggiungere il fratello. La visuale era decisamente compromessa dall’ampiezza di quello scatolone, quindi quando le porte dell’ascensore si aprirono, Alec urtò uno stipite con la spalla.
“Ahia!” imprecò sottovoce, mentre sollevava un ginocchio per tenere in equilibrio lo scatolone e liberava una mano per pigiare il pulsante del terzo piano.
“Aspetta, aspetta, aspetta!” si affrettò a dire una voce, così Alec – maledicendo quell’individuo che gli avrebbe fatto andare in cancrena il braccio che ancora reggeva lo scatolone – tenne la porta aperta. Si ricredette, comunque, ritirando ogni tipo di maledizione, quando la voce si materializzò in una persona, un uomo, a dire la verità. Un uomo bellissimo, se dobbiamo essere pignoli.
“Grazie.” Gli sorrise lo sconosciuto. Era alto, con gli occhi azzurri più belli che Alec avesse mai visto, un sorriso estremamente luminoso e i capelli di un particolare biondo scuro, tenuti lunghi, ma ordinatamente pettinati. Ad Alec erano sempre piaciuti gli uomini alti, ma rientrando a sua volta in questa categoria, finiva sempre per trovare persone più basse di lui. Questo ragazzo, invece, era alto come lui, se non qualche centimetro in più. Niente di troppo consistente, ma Alec lo trovò piacevole.
“Figurati.” Rispose. “Che piano?” domandò poi, educatamente.
“Terzo.”
Alec premette il pulsante e l’uomo, notando che non ne aveva premuti altri, gli chiese: “Vieni a vivere nel 3C?” accennò allo scatolone.
“Ehm, sì.”
L’uomo sorrise di nuovo. “Saremo vicini di casa, allora. Io vivo al 3B. Sono William, ma puoi chiamarmi Will.” Gli tese la mano, che Alec strinse per quanto lo scatolone gli permettesse.
“Alec.”
Le porte si aprirono, mentre una lucina segnava l’arrivo al terzo piano. Will fece un cenno ad Alec di passare per primo e questi passò, ringraziandolo con il capo.
“Era ora, Alec! Pensavo sarei morto di vecchiaia, Cristo! Perché ci hai messo tanto?” Jace lo raggiunse all’ascensore e si bloccò quando vide il fratello che lo fulminava – se gli sguardi avessero potuto uccidere, Jace sarebbe stecchito sul pavimento, adesso.
Alec si schiarì la gola, voltandosi verso William. “Lui è mio fratello Jace.”
Will sorrise e tese una mano al ragazzo. “William, piacere. Sono il vicino di tuo fratello.”
Jace strinse la mano che gli veniva porta. “Piacere di conoscerti.” Lanciò un’occhiata all’uomo e poi al fratello, stringendo le labbra all’interno della bocca per non sorridere. Conosceva Alec come se stesso e sapeva benissimo cosa significasse lo sguardo che adesso impregnava gli occhi di suo fratello.
“Bene, dovrei andare. È stato un piacere, Jace.” Poi si voltò verso Alec. “Spero di vederti in giro, vicino.” Gli sorrise ed Alec altro non fece che balbettare qualcosa di incoerente e annuire. Poi lo guardò mentre si avviava al suo appartamento. Quando Will chiuse la porta, Jace prese parola.
“Vuoi che raccolga la tua mascella dal pavimento, o ti pulisca la bava?”
Alec si voltò verso il fratello con uno sguardo omicida. “Non fare il cretino.”
“Ho forse torto? Mi vuoi dire che non lo trovi attraente?”
Alec si concentrò sullo scatolone che aveva appoggiato a terra, sollevandolo di nuovo per entrare nel suo appartamento, la cui porta era aperta, e che era pieno di altri scatoloni. Jace gli andò dietro e Alec poteva chiaramente sentire il suo sguardo che gli trafiggeva la schiena.
“Smetti di guardarmi così, Jace.” Non poteva vederlo, perché ancora stava dando le spalle al fratello, ma sapeva benissimo cosa stesse passando per la sua testa. Si mise a spacchettare uno scatolone, quello che recitava
vestiti di Alec.
Jace si posizionò di fronte a lui, mettendo a sua volta le mani nello scatolone per aiutarlo a tirare fuori il contenuto.
“Così come, come uno che ha ragione?”
Alec lo fulminò. “Ti odio.”
“Pff, questo è impossibile perché sono adorabile.”
Alec roteò gli occhi al cielo con veemenza.
“Sai, fratello, se non fossi così represso, forse saresti anche un po’ più rilassato!”
“Non sono represso!” esclamò Alec, strabuzzando gli occhi.
“Quant’è che non vai a letto con qualcuno?”
“Non sono affari tuoi!”
“Che è un modo per dire
un’eternità. Perché non ci provi con il vicino figo?”
Alec appallottolò una delle sue magliette con frustrazione e la rigettò all’interno dello scatolone, prima di guardare Jace. “Perché con ogni probabilità è etero e infastidito dalle possibili attenzioni di un ragazzo gay. E in più, è tipo bellissimo e quindi decisamente fuori dalla mia portata.”
Jace si allungò sopra lo scatolone per dargli uno schiaffo sul braccio. “Non dire così, idiota. Nessuno è fuori dalla tua portata, anzi, chiunque sarebbe fortunato ad averti.” Jace guardò Alec che si massaggiava la parte lesa e non diceva niente. “E poi, non tutti hanno la mentalità medievale di papà. Una volta mi ha approcciato un ragazzo gay, la sola cosa che gli ho detto è che ero etero. Quello ha alzato le spalle e se n’è andato. Fine della questione. Provaci, mal che vada ti dice di no. E se dovesse farlo in modo crudele, mi chiami e gli spacco il naso.”
Alec rise, il cuore più leggero. Jace gli faceva sempre quell’effetto. C’era una sintonia tale tra di loro, che spesso Alec pensava che le loro anime derivassero dallo stesso nucleo e fossero complementari l’una con l’altra. “Ma ha un bel naso, mi dispiacerebbe se glielo rompessi.”
Jace esplose in una risata. “D’accordo, allora se dovesse essere sgarbato, gli romperò qualcosa che pensi non sia bello.”
“Va bene.”
Dopo quella conversazione, passarono la giornata a disfare gli scatoloni.


Quel ricordo venne interrotto dalla suoneria del cellulare di Alec. Il medico si trovava seduto sul suo divano, a trangugiare orsetti gommosi. Che bella domenica che stava passando. Si sentiva giù di corda, con il morale sotto ai piedi, e il suo cervello altro non faceva che ricordargli Will. Non succedeva da un anno e adesso sembrava che la sua mente volesse recuperare quei dodici mesi in cui era stata tranquilla e priva di pensieri. Alec si sentiva così scoraggiato che si era versato un bicchiere di gin, sentendo la tristezza che prendeva il sopravvento. Fissando il suo bicchiere e la scatola di caramelle abbandonata sul tavolino di fronte a lui, Alec si alzò per andare a recuperare il cellulare che aveva lasciato in cucina.
“Pronto?” rispose senza nemmeno guardare chi fosse.
“Alexander.”
“Magnus.” Alec era un po’ sorpreso. E si stupì di come quella voce si fece strada nella sua tristezza, alleviandola.
“Disturbo?”
“No, non disturbi mai.” Disse, con una sincerità che lo stupì – di nuovo. Ma era così, dannazione. La voce di Magnus si era insinuata tra le crepe del suo cuore rotto e aveva alleviato il bruciore delle ferite.
Una pausa. “Stai bene? Mi sembri un po’… mogio.”
Alec evitò di dirgli che stava bevendo alle tre di domenica pomeriggio. “Mi limiterò a dire che la serata di ieri non è stata piacevole.”
“Oh, tesoro, mi dispiace.” Magnus fece un’altra pausa e Alec si diresse nuovamente verso il suo divano. Dal tavolino, il bicchiere di gin lo fissava, ma decise di ignorarlo, mentre ripiegò sulle caramelle. Gli capitò l’orsetto all’ananas, quello che gli piaceva di meno. Chi l’avrebbe mai detto che gli orsetti gommosi sarebbero stati una metafora della vita? Nessuna fortuna, per te. Se peschi dalla ciotola del fato, ti ritroverai sicuramente con qualcosa che ti piace poco. Una pioggia di orsetti gommosi all’ananas che non riuscirai ad evitare.
“Mandami l’indirizzo di casa tua, vengo a prenderti e troviamo un modo per sollevarti il morale.”
“No, Magnus, non disturbarti…”
“Non è un disturbo, bonbon. Mandami l’indirizzo, io e Erin saremo lì il prima possibile!”
Alec accennò un sorriso. “Grazie.” Sussurrò, prima di riattaccare. Inviò a Magnus un messaggio con il proprio indirizzo e rimase a fissare per qualche istante il suo bicchiere di gin. Alec non era un gran bevitore. Cedeva all’alcol solo nei momenti in cui Jace lo trascinava e in quelli in cui la tristezza prendeva il sopravvento. E suo padre gli aveva fatto ricordare Will in un modo così viscerale da smuovergli dentro un dolore che si era assopito da tempo, un dolore che Alec si era illuso invano di poter dire dimenticato, superato. Non era così, a quanto pare. E lo detestava, soprattutto perché si sentiva come se fosse l’unico che non era andato avanti, cristallizzato nella situazione in cui si trovava prima della sua partenza.
Detestava questa sensazione e detestava essere vittima della propria sofferenza. Guardando The Brave con Diana aveva sentito mille volte dire a Merida che siamo artefici del nostro destino e Alec voleva crederci. Stava a lui scegliere se affogare nel gin, o reagire.
Alec, quella domenica pomeriggio, mentre si alzava dal divano e si dirigeva verso il bagno per darsi una lavata, decise che avrebbe reagito.  Chi l’avrebbe mai detto che un cartone animato gli avrebbe fatto tornare la lucidità?



Magnus arrivò a casa di Alec verso le quattro e parcheggiò nel primo posto che trovò libero. Mandò un messaggio ad Alec, informandolo del suo arrivo.
“Papà, Alec starà con noi?” domandò Erin, nel suo seggiolino situato nel sedile posteriore della macchina. Magnus si slacciò la cintura per voltarsi verso la piccola.
“Sì, è un problema?”
Erin fece un segno di negazione con il capo. I suoi capelli erano legati in due codine basse, tenute ferme da dei piccoli fiocchi gialli. “Mi piace Alec. Mi ha portato la cioccolata.”
Magnus le sorrise. “Ti sta simpatico, quindi?” indagò. Ci teneva che anche Erin stesse bene in compagnia di Alexander tanto quanto lui.
Erin annuì. “Sì. E a te?”
“Anche a me.”
“Può diventare un tuo compagno di giochi, come me e Diana.”
Magnus rise. “Gli adulti non hanno compagni di giochi, bintang. Ma in ogni caso, la tua è un’ottima idea.”
“Perché non hanno compagni di giochi?” domandò la piccola, curiosa e anche un po’ preoccupata. Come si poteva non avere un compagno con cui giocare? Era la cosa che Erin preferiva e non riusciva proprio a capire come qualcuno avrebbe potuto rinunciare a quel tipo di divertimento.
“Perché gli adulti smettono di giocare, quando crescono, e fanno altre cose.”
“Quali?”
“Parlare, passeggiare, incontrarsi per un caffè. E altre cose.”
Erin accartocciò la faccia in un’espressione dubbiosa. “Sembra noioso.”
“Quando crescerai, capirai che non è poi così noioso.”
La bambina scosse la testa, i fiocchi dei suoi codini si mossero insieme a lei. “Posso anzi non crescere e continuare a giocare?”
Magnus le sorrise con affetto. “No, bintang, tutti dobbiamo crescere. Ma puoi continuare a giocare finché sei ancora una bambina.”
“Va bene.”
“Perfetto.”
In quel preciso istante, Magnus sentì il suo cellulare vibrargli in tasca. Alexander lo stava chiamando, così realizzò che con ogni probabilità era sceso in strada, ma non sapendo che macchina cercare, non sapeva dove fosse. Magnus rispose e aprì la portiera della macchina per uscire. Guardò verso il marciapiede che costeggiava le abitazioni e lo notò subito: alto, vestito di scuro e bellissimo.
“Voltati un po’ più verso destra, tesoro.” Disse, mentre guardava Alec che faceva ciò che gli veniva detto. Anche da quella distanza, Magnus riuscì chiaramente a vedere il suo sorriso, mentre alzava una mano per salutarlo. Il ballerino rispose a quel gesto e guardò Alexander per tutto il tragitto che impiegò a raggiungere la macchina. Era il compagno di giochi più bello che avesse mai avuto, pensò, mentre Alexander si avvicinava fino a quando non gli fu davanti. Alec si era diretto direttamente verso la portiera del passeggero, così lui e Magnus si trovavano uno davanti all’altro, separati dalla vettura.
“Magnus Bane e prole sono sempre così dediti al salvataggio di povere anime in pena?”
“Solo delle anime che intendiamo salvare.” Magnus ammiccò e Alec rise, aprendo la portiera ed evitando il contatto visivo per non mostrare troppo il rossore sulle sue guance. Non si era ancora abituato ai modi diretti di Magnus. Gli piacevano, ma gli provocavano anche reazioni strane, tipo arrossire e sentire uno strano calore all’altezza dello stomaco, che si attorcigliava su se stesso.
Non appena salì in macchina, Magnus lo imitò.
“Ciao Alec!” esclamò Erin, così l’interessato si voltò verso il sedile posteriore dove trovò la bambina nel suo seggiolino.
“Ciao Erin!”
“Allora,” cominciò Magnus, mentre si metteva la cintura, rivolgendosi ad Alec, “Cosa vuoi fare?”
Alec era ancora voltato verso Erin, così si rivolse direttamente a lei. “Non saprei. Tu cosa vuoi fare?”
La bambina, sentendosi tirata in causa, guardò il padre che aveva cominciato a guardarla a sua volta dallo specchietto non appena Alec le aveva posto quella domanda. “Posso scegliere io?”
Magnus portò il suo sguardo su Alec. “Per te va bene?”
“Ma certo! Sono io quello che si è imbucato-”
“Non ti sei imbucato, Alexander!” lo interruppe Magnus. “Ti abbiamo chiesto di passare la giornata con noi e hai accettato.”
Alec sorrise da orecchio ad orecchio, mentre guardava Magnus negli occhi e pensava che fosse davvero il miglior modo di alleviare i suoi tormenti, il balsamo perfetto per quel suo cuore che oggi si sentiva particolarmente ammaccato. “E di questo ti ringrazio.” Alec si regalò ancora qualche secondo, concentrandosi sul viso di Magnus – l’eyeliner dorato gli donava particolarmente – prima di voltarsi di nuovo verso Erin. “Scegli tu, piccolina.”
Erin sorrise. “Possiamo andare alla sala giochi?”
Magnus annuì. “Possiamo.”
La bambina emise un gridolino euforico che fece sorridere sia Alec che Magnus, mentre questi ingranava la marcia e partiva verso la loro destinazione.


La sala giochi era uno dei posti preferiti di Erin. Magnus ce la portava da quando aveva imparato a camminare. Era un luogo che pullulava di bambini, pieno di colori, che odorava di uno strano misto di sudore infantile e zucchero filato. Non sempre era piacevole avere quell’odore nel naso, ma Magnus vedeva il sorriso di Erin e di conseguenza, sopportava tutto.
“Posso andare nella piscina delle palline?” Domandò la piccola, non appena entrarono in quel luogo, tenendo per mano il suo papà.
“Ma certo, bintang. Io rimango fuori a guardarti, d’accordo?”
Erin annuì e insieme al suo papà ed Alec, si diresse alla piscina delle palline colorate. Era una vasca abbastanza grande, colma di quelle palline di plastica di ogni colore, già piena di bambini e recintata per la sicurezza dei pargoli. Alec rimase in silenzio, limitandosi ad osservare Magnus che toglieva le scarpine ad Erin e la aiutava a salire le scalette per raggiungere l’entrata della piscina. La bambina lo salutò con la manina, prima di saltare tra le palline.
“Quando era più piccola mi permettevano di entrare con lei. Mi dispiace non poterlo più fare.”
“Perché non puoi più tenerla d’occhio o perché ti manca giocare con le palline?”
“Eviterò di farti notare quanti doppi sensi potrebbero scaturire dalla seconda parte della tua domanda, ma solo perché il luogo non è consono.”
Alec si voltò verso di lui, gli occhi ridotti a due fessure. “Dicendo che eviterai di farmelo notare, in realtà me l’hai appena fatto notare. E se non fossimo in un luogo decisamente non consono a certe conversazioni, ti direi che mi dispiace per te, se hai sempre avuto a che fare con delle palline nella tua vita.”
Magnus lo guardò con gli occhi sgranati e un’espressione mista a stupore e ammirazione. Alec si chiese se esistesse qualcosa in grado di far sentire in imbarazzo Magnus Bane e si rispose che no, sicuramente non esisteva niente in grado di fargli provare il minimo disagio. La sua espressione, in ogni caso, fece sorridere il più giovane.
“Dove tenevi nascosto questo tuo lato, Alexander?”
Alec abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, mentre sentiva le guance accaldarsi. “Non lo so, ogni tanto viene fuori.”
“La malizia ti dona, tesoro.”
Alec rise, lo sguardo ancora basso, mentre scuoteva la testa in modo divertito. “Non hai risposto alla domanda, comunque.”
“Vuoi sapere se ho mai avuto a che fare con delle palline, in vita mia?” Lo punzecchiò Magnus, che era una specie di maestro in questi giochetti. Raphael lo definiva squallido in modo imbarazzante, ma Magnus si divertiva a lanciare frecciatine.
“Magnus!” Esclamò Alec, guardando altrove e passandosi una mano sul viso per cercare di celare un poco il rossore. Comparvero due fossette sulle sue guance, mentre cercava di trattenere un sorriso – nonostante tutto -, che fecero sorridere Magnus di rimando. Erano adorabili, per la cronaca. Ma molto adorabili, al livello dei video pieni di gattini che fanno le fusa, o dormono, e cose simili.
“Adesso non fare finta di scandalizzarti. Hai cominciato tu, tesoro.”
“Touché. Me lo merito.”
Magnus gli diede una spallata giocosa e strinse le labbra all’interno della bocca, combattendo contro un sorriso che inevitabilmente si formò sulle sue guance quando si rese conto che Alec stava ridendo. Un suono trattenuto, quasi timido. Era bellissimo e Magnus non si sarebbe mai stancato di notarlo, ne era pienamente consapevole. La cosa lo terrorizzava anche, se doveva essere onesto, perché erano davvero anni che nessuno riusciva a catturare la sua attenzione in quel modo. Di persone belle ne aveva viste a bizzeffe, con alcune di loro ci era persino uscito, ma al di là della superficie, niente aveva attirato la sua attenzione, niente l’aveva spinto a scavare più a fondo, a grattare oltre la patina della bellezza per raggiungere la profondità. Quando Magnus guardava Alec, invece, tendeva inevitabilmente a chiedersi cosa ci fosse all’interno del suo cuore, o come fosse fatta la sua anima. Era tanto bella quanto lo erano i suoi sorrisi?
“Papà! Guarda!”
Erin attirò la sua attenzione e Magnus abbandonò i suoi pensieri per concentrarsi sulla figlia.
“Cosa, bintang?
“Faccio un salto grande!”
“Fai attenzione, però!”
Erin annuì, prima di voltarsi verso la piscina delle palline. Magnus la vide contare fino a tre con la manina, alzando le dita, prima di saltare dal bordo ricoperto di gomma piuma alla pozza di palline colorate sotto di lei. Sparì per circa due secondi, prima di emergere di nuovo, con un sorriso soddisfatto sul visino.
“Bravissima!” Magnus applaudì e lo stesso fece Alec, al suo fianco. Erin alzò le braccia in segno di vittoria e si tuffò di nuovo.
“Lo facevo per tenerla meglio d’occhio. Quando era piccola piccola, pensavo che si sarebbe persa dentro quel mare di palline. Diciamo che l’idea mi terrorizzava, così andavo con lei.”
Alec alzò solo un angolo della bocca. “Lo sospettavo.”
Rimasero in silenzio per qualche istante, guardando Erin che sbucava dalle palline e si rimmergeva di nuovo, come se fosse un piccolo delfino in un oceano colorato. Magnus tirò fuori il cellulare per farle un video. Gli piaceva immortalare quei momenti, in cui Erin era particolarmente felice per qualcosa. In più, non voleva perdersi niente della sua crescita, quindi tendeva a farle video o foto non appena poteva. Ed era sicuro che quel filmato sarebbe sicuramente durato di più, se non fosse stato costretto ad accorciarlo, stoppandolo prima del previsto, per rispondere ad una chiamata di sua madre.
“Hai appena rovinato quello che sarebbe potuto essere un ricordo meraviglioso.”
“Ciao anche a te, sangue del mio sangue.”
Magnus rise. “Scusa.”
“Dove sei? Sento un casino infernale!”
“Alla sala giochi. Esco un attimo, così mi senti meglio.” Magnus allontanò il telefono dall’orecchio e si rivolse ad Alec, che era al suo fianco.
“Ti dispiace guardare la bimba un attimo?” Gli chiese, poi accennò al telefono, “È mia mamma… cerco di fare presto.”
Alec annuì. “Ma certo, fai pure. Rimango io con Erin.”
“Grazie.” Magnus si avvicinò alla piscina delle palline, dove disse alla bambina che doveva uscire un attimo, ma che rimaneva Alexander con lei. Erin annuì e si rituffò nelle palline. Mentre usciva, con il cellulare all’orecchio, realizzò che era la prima volta che Erin accettava di rimanere con qualcuno con cui non aveva confidenza. Era capitato che incontrasse amiche di sua nonna, o amiche di Catarina, ma non voleva stare con nessuna di loro, se non c’era Magnus nelle vicinanze. Con Alec, invece…
“Chi è Alexander?” Madelaine, sua madre, interruppe il suo ragionamento. La sentiva perfettamente, adesso che era uscito dalla sala giochi.
“Ehm, il futuro cognato di Clary.”
“Esci con un ventunenne, Magnus? Stai avendo una crisi di mezza età in anticipo?” domandò la donna, con una certa preoccupazione.
“Primo: non esco con nessuno. Secondo: è Max il ventunenne, Alexander ha trent’anni. È venuto fuori che Jace ha un altro fratello e io sono un pessimo ascoltatore.” Aggiunse Magnus, ripensando alla prima volta che aveva visto Alec e, di conseguenza, chiamato Clary per delle delucidazioni.
“Oh.” Madelaine fece una pausa. “Oooh, capisco!” esclamò con un tono che sottintendeva qualcosa che a Magnus doveva sfuggire. Ma Magnus conosceva fin troppo bene quel tono.
“Mamma. Non è come pensi.”
“E cosa dovrei pensare, secondo il tuo acuto intelletto?”
“Che ci sia del tenero tra me e lui. Non c’è. Siamo amici.”
Amici.” Madelaine fece un’altra pausa. A Magnus cominciavano a non piacere tutte queste pause silenziose cariche di quei significati che sua madre pensava di vedere dietro le sue risposte. “Sai tesoro, è buffo, perché conosco moltissimi dei tuoi amici e con nessuno usi quel tono.”
“Che tono userei, scusa?” domandò Magnus, sulla difensiva.
“Pronunci il suo nome come se fosse fatto di cioccolata. Non ti ho mai sentito chiamare Raphael in quel modo.”
“Questo perché Raphael più che la cioccolata ricorda il cianuro, o la cicuta. Scegli tu.”
Madelaine rise. “Va bene, ho afferrato. Siete amici. Devi fidarti già molto di lui, se gli hai fatto conoscere Erin. Ma chi sono io per tirare conclusioni affrettate? Solo tua madre, la persona che ti conosce come le sue tasche. Bazzecole, giusto?”
“Mamma…”
“Non spazientirti, tesoro. Sto solo scherzando. Ad ogni modo, ti ho chiamato per chiederti se avete voglia di venire a cena, la prossima settimana.”
“Certo. Vuoi che porti qualcosa?”
“Solo la tua presenza e quella della mia adorabile nipotina.”
“Va bene, ci sentiamo in settimana per i dettagli.”
“Certo. Adesso, torna pure al tuo non-appuntamento! Ci sentiamo presto, ti voglio bene!”
Madelaine riattaccò prima ancora che Magnus riuscisse a dirle che non era un appuntamento e che stava prendendo un granchio grosso quanto uno yacht insinuando il contrario. Fissò il cellulare come un idiota, il suo sfondo – una foto di lui e sua figlia, dove Erin gli circondava il collo con le sue braccine sorridendo – ricambiava il suo sguardo, mentre le insinuazioni di sua madre si insediavano nel suo cervello pericolosamente. Da una parte aveva Catarina che urlava alla cautela, dall’altra ci stava sua madre che sembrava vedere dei significati nascosti che a Magnus sfuggivano, tipo il motivo celato dietro al far rimanere Erin con Alexander. Era vero, comunque, a nessuno aveva presentato la sua bambina e adesso aveva persino invitato Alec a passare la giornata con loro. Che stesse impazzendo? O esagerando?
La risposta arrivò chiara – e Magnus non sapeva se era effettivamente la verità o un modo per raccontarsi una convincente scusa da far passare come verità. Fatto sta che realizzò una cosa: aveva lasciato che Erin e Alexander si conoscessero per il semplice fatto che Alec era un suo amico. Non si era fatto remore a far conoscere Simon alla sua bambina, o Jace, o Max. Per quale motivo doveva farsi problemi con Alec?
Perché sei attratto da lui.
Dannazione!
Magnus decise di accantonare quei pensieri – si sentiva Cat e Madelaine su ognuna delle spalle, come gli angeli e i demoni in miniatura dei cartoni animati – e di rientrare nella sala giochi. Era inutile fare congetture, l’unica cosa che doveva fare era godersi il momento, viverlo senza preoccuparsi. E quella domenica pomeriggio, il momento da vivere prevedeva passare una giornata con la sua bambina e un nuovo amico. Niente di più, niente di meno.
Magnus annuì a se stesso, mentre raggiungeva la piscina delle palline. Erin non l’aveva ancora visto, così decise di non attirare la sua attenzione e di lasciarla parlare con Alec, che si era avvicinato alla rete e la guardava fare le acrobazie.
“Una capriola, Alec!”
“Forse è meglio di no, che dici? Fai anzi un salto.” Disse Alec, preoccupato che la bambina potesse farsi male.
“Ma so fare la capriola!”
“Ci credo, Erin. Ma è meglio farla insieme a papà, non credi?”
Erin parve pensarci su. “Va bene. Quando arriva gli chiediamo se posso farla.”
Alec annuì. “Perfetto. Mi fai vedere un super salto, adesso?”
La bambina emise un piccolo gridolino euforico, mentre annuiva. Si preparò al salto, ma solo mentre si metteva in posizione, Magnus notò che stava aspettando Alec, il quale si mise a contare fino a tre, creando una pausa ad effetto per aumentare la suspense tra un numero e l’altro. Quando arrivò al tre, Erin saltò, tenendo le ginocchia al petto, come se volesse mimare un tuffo a bomba.
Alec esultò, applaudendo. La bambina riemerse e guardò Alec, felice.
“Dieci punti!” esclamò il ragazzo, mentre il sorriso di Erin si allargava sempre di più.
Magnus era sicuro che il suo cuore si fosse allargato almeno di due taglie. E in quel preciso momento, realizzò che ciò che aveva detto sua madre era vero: si fidava di Alec. Per un’assurda, folle, ragione, si fidava di un uomo che conosceva da si e no due settimane. Ma d’altronde un vecchio detto diceva il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. E Magnus sentiva che era questo il caso.
“Ehi.” Disse, annunciando la sua presenza. Non seppe dire per quale motivo, forse per la confidenza che gli parve di vedere tra Erin ed Alec, o forse perché sentiva una forte necessità di intimità con l’uomo che era riuscito a far sorridere la sua bambina, ma si trovò ad appoggiare una mano sulla schiena di Alec, tra le scapole, accarezzandolo con il pollice sopra alla stoffa della maglietta.
“Ehi. Stiamo facendo i salti.” Gli comunicò Alec, che non parve per nulla infastidito da quel contatto.
“Lo vedo.”
“Papà!” esclamò Erin, notando il padre. “Posso fare una capriola?” 
“Ma certo, bintang. Mi raccomando, come ti ho insegnato!”
Erin annuì e si ritagliò un piccolo spazio sul bordo di gomma piuma per posizionarsi in modo corretto e darsi la spinta per fare la capriola. Quando tornò in posizione eretta, guardò Alec, che batté le mani.
“Bravissima!” Le disse. “Un altro dieci.”
“Grazie!” esclamò Erin, tuffandosi di nuovo nelle palline.
La mano di Magnus aveva lasciato la schiena di Alec e adesso giaceva lungo il fianco del ballerino. Aveva osservato la scena in silenzio, aveva notato i sorrisi di Erin e la disponibilità di Alec, che era decisamente bravo con i bambini. Chissà se progettava di averne di suoi, un giorno…
“Grazie per averla tenuta d’occhio.”
“Figurati, è stato divertente. Tutto bene con tua mamma?”
“Oh, sì. Voleva solo…” insinuare che siamo ad un appuntamento. “…Invitarmi a cena, la settimana prossima.”
“Una cosa tipica delle mamme, insomma.”
Magnus annuì. “Esatto, tutto nella norma.” E forse fu per il filo di pensieri che aveva avuto, o per il fatto che stavano parlando di inviti a cena, ma le parole che successivamente lasciarono la bocca di Magnus, istintive e fluide come un fiume in piena, furono: “Vuoi cenare con noi, stasera?”
“È compreso nel pacchetto-salva-anime di Magnus Bane?”
Magnus guardò ancora una volta il modo che aveva Alec di alzare un solo angolo della bocca, in un sorrisetto storto che era così particolare – in qualche modo irresistibile –  che non poté fare a meno di  ricambiare, a modo suo. Sorrideva. E Magnus non ricordava l’ultima volta che aveva sorriso così tanto in compagnia di un essere umano che non fosse sua figlia, l’unica che riusciva a farlo sentire davvero sereno.
“Una specie, sì.”
“Come potrei rifiutare, allora?”
Magnus lo guardò, negli occhi uno strano luccichio, qualcosa che era certo non compariva quando guardava Raphael. La voce di sua madre riecheggiò nella sua mente: pronunci il suo nome come fosse fatto di cioccolata. E forse, in quel momento, mentre guardava Alexander come una piacevole scoperta, come quella linea di terra ferma dopo anni passati disperso in mare aperto, realizzò che Madelaine, almeno in parte, aveva ragione: Magnus non sapeva cosa fossero esattamente lui e Alec – in primo luogo, perché si conoscevano da poco e in secondo luogo perché gli faceva sfarfallare il cuore come nessuno dei suoi amici faceva. Erano quella piacevole via di mezzo che può portare a qualsiasi cosa; un abbozzo su un foglio bianco che può essere destinato a diventare un’opera d’arte, oppure no. Magnus non poteva saperlo. Sapeva solo che gli piaceva averlo intorno, sentirlo parlare, guardarlo giocare con Erin, vederlo arrossire.
“È deciso, quindi.”  
Alec annuì. Insieme tornarono a guardare Erin, che ancora saltava tra le palline colorate con l’energia quasi inesauribile tipica dei bambini. Passarono il restante tempo dentro la sala giochi a guardare Erin che cambiava giochi e parlando di qualsiasi cosa venisse loro in mente. Ad ogni discorso, se ne sostituiva un altro. E più parlavano, più la distanza tra loro si riduceva, fino a quando i loro gomiti non arrivarono a sfiorarsi. Ma nessuno dei due fece un passo per allontanarsi dall’altro.



“Ti proibisco assolutamente di cucinare!”
“Perché, pensi che sia così terribile?”
“No, tesoro, non lo penso. Sarei solo un pessimo padrone di casa, non trovi?”
Alec rise. Si arrotolò le maniche della maglietta fino ai gomiti, mentre, in cucina, guardava Magnus, con un grembiule legato in vita, che testardamente gli proibiva anche solo di avvicinarsi alla dispensa.
Alec si avvicinò a lui, quasi schiacciandolo tra se stesso e la dispensa, a cui Magnus faceva da scudo per fare in modo che non fosse alla portata del suo ospite. “Lasciati aiutare.”
“Questo è il tuo modo di essere persuasivo?”
Alec sistemò le proprie mani all’altezza della testa di Magnus, appoggiandole sulla superficie del mobile alle spalle dell’uomo, ingabbiandolo definitivamente. “È il mio modo per essere intimidatorio, più che altro, e vedere se almeno così la tua testardaggine cederà almeno un po’.”
Non fu volontario, ma i loro visi erano pericolosamente vicini, così come lo erano i loro nasi, che arrivarono quasi a sfiorarsi. Magnus riusciva a percepire il profumo naturale della pelle di Alec, un misto di sapone e quel particolare odore che ha la sabbia quando è stata colpita per tanto tempo dal sole, e che irrimediabilmente gli provocò una serie di brividi lungo la colonna vertebrale. Per farla breve: l’ultima cosa che provava Magnus in quel momento era intimidazione. Un piacevole brivido di eccitazione, quello sì. La voglia di zittire quella bellissima bocca irriverente con un bacio, pure. Alec era alto, così vicino da essere a portata di bacio e Magnus sentì le ginocchia che cominciavano a cedergli, mentre il suo cuore gli rimbombava fortissimo nelle orecchie come se gli stesse gridando a squarciagola: amici un corno, bacialo! Bacia la reincarnazione del principe uscito dalle favole, fallo, brutto idiota!
Per una piccolissima frazione di secondo, Magnus fu tentato di alzarsi sulle punte e sfiorare le labbra di Alec con le proprie. Un minuscolo, innocente, contatto. Niente di elaborato, solo un delicato sfioramento.
Ma il suo cervello fece si che i suoi piedi rimanessero ben ancorati a terra, e di conseguenza, che la distanza tra di loro, seppur misera, non venisse colmata. Pensa ad Erin, come influirebbe su di lei questa situazione, se tu lo baciassi e lui scappasse via a gambe levate?
In effetti, avrebbe potuto rischiare di rovinare tutto. La prima volta che l’aveva visto, Alexander aveva evitato di parlare del motivo per cui non voleva uscire con qualcuno, respingendo anche David. Questo significava solo una cosa: non era pronto, non ai baci, non all’intimità. E se Magnus l’avesse forzato verso una direzione che Alec non era pronto a seguire, l’unica cosa che avrebbe ottenuto sarebbe stata il suo allontanamento e magari, anche l’allontanamento della sua famiglia – con la conseguenza che Erin non avrebbe più potuto avere lo stesso rapporto che aveva con Diana.
E Magnus non aveva intenzione di fare qualcosa che avrebbe influito negativamente sulla sua bambina.
Così, come il suo saggio cervello gli suggerì, rimase ancorato a terra e posizionò un dito sul mento di Alec, allontanandogli con delicatezza il viso dal proprio.
“Intimidatorio non è la parola che userei, fagiolino, ma sei riuscito comunque nel tuo intento.”
Alec si aprì in un sorriso, non prestando particolare attenzione a quali significati avrebbe potuto cogliere nella prima parte della frase. “Mi lascerai cucinare?” chiese solamente.
Magnus lo ammonì con lo sguardò. “Mi lascerò aiutare. È diverso, zuccherino.”
“D’accordo, mi sta bene.” Alec alzò le mani in segno di resa, liberando in questo modo anche Magnus dalla sua specie di gabbia improvvisata. “Ma dobbiamo stabilire delle regole.”
“Ah, sì?” Magnus alzò un curatissimo sopracciglio. “Farai tu le regole nella mia cucina?”
Alec fece spallucce. “Una delle tante, sì.”
“Sentiamo.” Magnus fece cenno di proseguire con una mano.
“Basta nomignoli.” La serietà nello sguardo di Alec fece fare crac al piccolo cuore speranzoso di Magnus. Tuttavia, l’uomo era sempre stato testardo, quindi non demorse.
“Non puoi chiedermelo! Non ci riuscirò mai!”
Alec incrociò le braccia al petto, risoluto. “Devi riuscirci.”
Un gesto che non aiutò per niente Magnus, che fu distratto dal rigonfiamento dei suoi bicipiti, avvalorando in questo modo la tesi per cui era necessario appellare quella meraviglia di uomo con dei vezzeggiativi. E figo stratosferico dalle braccia distraenti non era esattamente il soprannome anti-sgamo che Magnus stava cercando.
“Non è colpa mia se tutti i tuoi connotati mi fanno venire voglia di darti dei nomignoli! Ti guardo e mi viene in mente lo zucchero!”
Alec guardò altrove, pur di non guardare Magnus negli occhi. Sentì chiaramente la guance andare a fuoco, mentre si rendeva conto, ancora una volta, quanto Magnus fosse diretto e quanto non si facesse la minima remora ad esprimere ad alta voce ciò che gli passava per la testa. Era sinonimo di una sicurezza in se stessi decisamente invidiabile, qualcosa che Alec non aveva mai avuto in vita sua.
“E i fagioli, a quanto pare.”
Magnus roteò gli occhi al cielo. “Non ti chiamerò più fagiolino, se non ti piace. Promesso!” Si mise una mano sul cuore per dare enfasi alle sue parole. Alec si passò una mano sul viso per nascondere un sorriso. “Ma posso concederti solo questo!” continuò Magnus, approfittando del silenzio di Alec.
“Me lo farò bastare.” Concesse infine il più giovane. Magnus gli regalò un sorriso così luminoso che Alec per un irrazionale secondo pensò che si sarebbe lasciato chiamare anche nel modo più ridicolo esistente, se ciò avesse significato veder comparire quell’espressione sul viso di Magnus.
“Abbiamo un accordo, allora, zuccherino.” Disse Magnus, con più soddisfazione del necessario.
Alec ridusse gli occhi a due fessure. “Almeno evita di gongolare.”
“Mai.”
“Sei perfido. Sappilo.”
Magnus rise, pulendosi dell’inesistente sporcizia dalle mani sul grembiule. Era davvero orrendo, quel coso, ma per nulla al mondo avrebbe rischiato di rovinare i suoi pantaloni grigio perla – erano Tom Ford. Non si rovina niente di Tom Ford, a meno che non si voglia finire nel girone infernale dei peccati mortali. Uscì dalla cucina per dirigersi verso il salotto, dove Erin si trovava sul divano a guardare i Looney Tunes.
“Sono in cucina, bintang, d’accordo? Puoi venire di là quando vuoi.”
Erin annuì. “Finisco di vedere questo, posso?”
“Certo.” Magnus le lasciò un bacio sulla testa e si diresse di nuovo in cucina, lasciando Erin insieme a Taz, il diavolo della Tasmania. Raggiunta nuovamente la cucina, notò Alec appoggiato allo stipite della porta che lo guardava.
“Che c’è?”
“Niente.” Rispose Alec. “Non pensavo facessero ancora i Looney Tunes in televisione.”
“In qualche canale sconosciuto. Noi li abbiamo scoperti per caso. Erin li adora.”
“Li adoravo anche io.”
“Chi non li adora? Non bisogna fidarsi di chi non li ha guardati, da bambino.”
Alec rise. “Non penso Diana li abbia mai visti. Mi stai dicendo che non devo fidarmi di mia nipote?”
Magnus entrò in cucina, superando lo stipite e dirigendosi verso il frigo. Alec lo seguì.
“No, ma potrei farti gentilmente notare che sarebbe anche ora di rimediare. Non trovi? È tuo sacro dovere di zio tramandare la tradizione dei Looney Tunes.” L’uomo aprì il frigo e ne estrasse delle carote, che passò ad Alec.
“Hai ragione. Rimedierò, per non sentirmi un totale fallimento.”
Magnus rise. “Taglieresti le carote?”
“Certo.” Alec afferrò il pela-carote che Magnus gli stava passando e cominciò a pulire le carote, gettando le bucce in un canevaccio che l’uomo gli aveva appositamente sistemato sul tavolo.
“Magnus.” Lo chiamò, quindi l’interessato di voltò. Quando i loro sguardi si incrociarono, Alec si sistemò una carota vicino al viso e disse: “Hai intenzione di invitare anche Bugs Bunny a cena?”
Magnus gli lanciò uno dei canevacci che aveva a portata di mano, facendo ridere Alec. In ogni caso, comunque, sarebbe un bugiardo se negasse di aver riso a sua volta.
Il bello dei cartoni, è che ti fanno tornare bambino quando meno te lo aspetti. E Magnus era felice di poter esserlo in presenza di Alec, senza sentirsi a disagio.



La cena fu piuttosto tranquilla. Magnus aveva passato più di un’ora a cucinare, riducendo il compito di Alec al semplice passargli le cose che gli servivano. Dopo il taglio delle carote, Alec in pratica non aveva fatto altro che guardare le mani di Magnus che si muovevano abili mentre si destreggiava tra una pietanza e l’altra. L’aveva osservato cuocere il riso e friggerlo, aggiungendo del pollo che aveva passato in precedenza su un’altra padella, cuocendolo con dell’olio e facendo la stessa cosa con i gamberetti – unendo poi il tutto alla fine, comprese le carote tagliate da Alec.
C’era un quantità di padelle sporche, in cucina, da ricordare un ristorante e Alec, prima che la cena fosse servita, si era impuntato di lavarle.
«Metti giù quelle padelle, tesoro.» Gli aveva intimato Magnus.
«Devi usarle di nuovo?»
«No, ho finito, ma…»
«Niente ma, allora. Non mi hai fatto fare niente. Lasciami almeno lavare qualcosa.»

Alec aveva presto scoperto che lui e Magnus erano decisamente testardi. Non era facile impuntarsi su di lui come lo era ad esempio con i suoi fratelli. Ogni Lightwood è testardo a modo suo, ma c’era questa particolare tendenza ad affidarsi ad Alec, che faceva sì che, alla fine, i suoi fratelli cedessero e gli dessero retta.
Con Magnus era totalmente diverso. Sembravano due arieti che si prendono a testate, senza l’intento di distruggersi le corna a vicenda, ovviamente. In ogni caso, Alec non era sicuro che la cosa gli dispiacesse. Anzi, era piuttosto sicuro del contrario. Le persone con un carattere forte, in grado di tenere testa a chiunque rimanendo pur sempre nei confini dell’educazione, avevano sempre avuto un certo fascino, per lui. E Magnus era pieno di fascino, in molti campi. Irradiava un carisma magnetico, qualcosa che lo rendeva particolarmente interessante.
“Mi stai fissando, Alexander.”
Alec era seduto sul divano, insieme a Magnus ed Erin. La piccola, finita la cena, aveva chiesto se potevano guardare un cartone animato e quando gli adulti avevano detto sì – Magnus temeva che ad Alec i cartoni potessero non piacere, ma aveva presto scoperto che, nonostante i suoi trent’anni, Alec amava i cartoni della Disney – la bambina aveva scelto Mulan.
Erin aveva finito per addormentarsi poco dopo aver visto Mulan che provocava una valanga lanciando un razzo e sotterrando tutti gli Unni. Magnus e Alec, dimostrando tutta la loro età adulta, anzi che mettere in pausa il cartone erano rimasti a guardarlo fino alla fine. Era iniziata da poco la canzone finale, quando Magnus aveva parlato.
Alec in ogni caso distolse lo sguardo.
“Non ho detto che mi dispiaceva.” Specificò allora Magnus, con un sorriso. Erin era addormentata sul suo fianco, un braccio dell’uomo circondava la piccola, che aveva il viso appoggiato al petto del padre. Alec trovò la scena di una dolcezza infinita.
“L’abitudine dell’attenzione da palco scenico è rimasta?”
“Potrei dire di sì, ma mentirei. Non mi piace essere guardato da tutti.”
“E allora da chi?” domandò genuinamente Alec.
“Da te, ad esempio.” Rispose di getto Magnus, prima di rendersi conto di aver valicato quella linea di discrezione e cautela che si era imposto. Osservò il viso di Alec arrossire, prima di vederlo distogliere lo sguardo. Forse l’aveva messo a disagio. Forse la sua assenza di filtri l’avrebbe fatto fuggire alla velocità della luce. Decise di rimediare, cambiando discorso. “Vado a metterla a letto.” Indicò Erin, che indossava già il pigiamino. Magnus sapeva che la piccola aveva la tendenza ad addormentarsi quando guardavano i cartoni, quindi aveva imparato a prepararla per la notte appena dopo cena. Con la figlia in braccio, l’uomo si alzò dal divano e si diresse verso la camera della bambina. Non disse niente ad Alec, non gli fece promettere di aspettarlo. In cuor suo, sperava che il suo commento non lo facesse sgattaiolare via, soprattutto perché avevano passato una giornata bellissima, insieme, e non voleva che finisse in quel modo brusco. Ma una parte di sé voleva lasciare ad Alexander la libertà di andarsene, se l’avesse voluto.
Tuttavia, quando ricomparve in salotto – dopo aver lasciato Erin nella sua cameretta e averle dato il bacio della buonanotte – e trovò Alec esattamente dove l’aveva lasciato, il suo cuore fu liberato da quel macigno fatto di dubbi che si era formato nel giro di qualche istante.
Magnus, decisamente più leggero, si sedette di nuovo al suo fianco con l’intento di scusarsi, ma Alec parlò prima di lui.
“Non mi hai ancora detto cosa ho mangiato. Quando te l’ho chiesto, hai semplicemente detto che è un piatto tipico del tuo paese d’origine, ma hai smorzato il discorso.”
Non c’era imbarazzo, nella sua voce. Non era una domanda fatta per allentare una qualche tensione, un convenevole per arrivare poi inevitabilmente al saluto – una frase che avrebbe preceduto un be’ si è fatto tardi devo proprio andare. No, era una domanda carica di una sincera curiosità, posta per conoscere davvero qualcosa di Magnus. Il ballerino si rilassò. Andava tutto bene. Alec non sarebbe scappato.
“Si chiama nasi goreng. È indonesiano.”
“Era davvero buono.” Commentò Alec, posandosi istintivamente una mano sulla pancia come se volesse avvalorare le sue parole. “Sei nato là?” domandò poi.
Magnus annuì. “A Giacarta. Io e mia mamma ci siamo rimasti fino a quando non ho compiuto cinque anni. Poi siamo venuti in America.”
“Perché? Se posso saperlo.”
Magnus sorrise. La discrezione di Alec gli piaceva. Era un tipo curioso, ma senza essere invadente. “Diciamo che mia madre aveva smesso di andare d’accordo con mio padre.” Non appena il pensiero di suo padre gli accarezzò la mente, tuttavia, il suo sorriso scomparve. Aveva pochi ricordi legati a quell’uomo, ma erano decisamente spiacevoli. Alec si accorse del cambiamento di espressione e gli si avvicinò.
“Va tutto bene?”
Magnus annuì. “Sono solo ricordi.”
Alec appoggiò una mano sopra a quella dell’altro. “Riescono a fare più male quelli di molte altre cose. Scusa se te li ho fatti rivivere.”
Il cuore di Magnus venne risollevato dalla pesantezza che il ricordo del padre, inevitabilmente, gli provocava. Alec era gentile e premuroso, qualità che Magnus aveva sempre apprezzato, ma che raramente aveva trovato.
“Non scusarti, non dipende da te.” Accarezzò con il proprio pollice il dorso della mano di Alec. Entrambi lasciarono aleggiare il discorso ancora per un po’, fino a quando il silenzio stesso non lo inghiottì, portandolo altrove, lontano da lì. Non c’era un modo corretto per chiudere discorsi simili e a volte, era meglio lasciarli al silenzio. Solo quello sapeva come occuparsi di determinate parole, talvolta. Solo l’assenza di suoni riesce a portare via qualcosa che è in grado di fare male anche dopo anni, condannando la pesantezza di quei ricordi all’inevitabile oblio del silenzio.
Alcuni dicono che sia il tempo a curare certe ferite. Magnus non era d’accordo. La comprensione, una parola detta, o in questo caso non detta, aiuta a tamponare il sangue quando riesce ad uscire da delle ferite che nonostante tutto, non si cicatrizzeranno mai.
“Possiamo assaggiare la tua vodka, adesso?”
Alec annuì. “Possiamo.”
Magnus tenne ancora qualche istante la sua mano sotto a quella di Alec, prima di alzarsi e dirigersi verso il piccolo mobiletto degli alcolici che teneva in un angolo del salotto. Era chiuso a chiave per fare in modo che Erin non si avvicinasse nemmeno per sbaglio all’alcol. Quando lo aprì, estrasse la bottiglia che aveva portato Alec qualche giorno prima. Insieme ad essa afferrò anche due bicchieri e si avvicinò di nuovo al divano, sedendosi. Aprì la bottiglia e versò un po’ del liquido trasparente in entrambi i bicchieri, prima di appoggiarla sul tavolino davanti a loro.
“Brindiamo?” domandò Magnus.
“A cosa?”
“Ai momenti brutti? Servono anche quelli, dopotutto.”
“Ci rendono inevitabilmente ciò che siamo.” Confermò Alec, alzando il suo bicchiere. Magnus fece tintinnare il proprio bicchiere con quello di Alec e bevve la vodka tutta d’un fiato. Il bruciore alcolico gli attraversò la gola e gli sciolse un pochino i nervi.
“È buona.”
Alec annuì, finendo il suo bicchiere. Accennò ad una smorfia, che gli contorse un tantino la faccia, come se non fosse propriamente abituato a bere.
Magnus si allungò verso il tavolo e afferrò di nuovo la bottiglia. Poi si sistemò con le gambe incrociate come un indiano e si girò per essere esattamente di fronte ad Alec. Il più giovane fece lo stesso, tenendo i piedi appoggiati a terra, però.
“Ai momenti belli.” Disse Magnus, versando altra vodka nei loro bicchieri. Li fecero tintinnare di nuovo, prima di bere. Magnus tutto d’un fiato, Alec più lentamente. Fece ancora quella smorfia, notò Magnus, ma meno evidente, questa volta. Era sicuro che non bevendo spesso vodka, la gola di Alec dovesse riabituarsi alla forza bruciante del grado alcolico e al sapore pungente.
“Facciamo un gioco, almeno scacciamo via il nuvolone nero che si è formato sopra alle nostre teste!”
Alec annuì. Un lieve sorriso comparve sulle sue labbra. “Ci sto.” 
“Ci facciamo delle domande, ma anzi che rispondere con le nostre esperienze dobbiamo provare ad indovinare quelle dell’altro. Chi sbaglia, beve.”
Alec si passò una mano sul viso. Aveva la barba di qualche giorno. Gli stava decisamente bene, notò Magnus. “D’accordo.” Acconsentì infine. “Cominci tu?”
Magnus annuì. “Vediamo… la prima cotta.”
Alec alzò le sopracciglia, facendo roteare il bicchiere nella mano. Avrebbe dovuto far agitare la vodka, ma il suo bicchiere era vuoto, perciò fu più che altro un gesto meccanico senza particolari conseguenze. “Quindi devo indovinare chi è stata la tua prima cotta, giusto?”
Magnus annuì.
Alec arricciò le labbra, picchiettandosi il mento con l’indice della mano che non teneva il bicchiere. Studiò Magnus per qualche istante, immaginandoselo decisamente più giovane, in età adolescenziale, se non prima. Chissà se era sempre stato un tipo così particolare, fuori dagli schemi. Decise di supporre di sì e di escludere, quindi, che potesse cadere nel cliché di innamorarsi della capo cheerleader del liceo. O del quarterback della squadra di football. Decise di suppore anche che Magnus, in un’età compresa tra gli undici e i quattordici anni – l’età delle prime cotte – sapesse già di essere attratto da entrambi i sessi. Erano tutte congetture, si ritrovò a realizzare. Sapeva poche cose di Magnus, ma decise di basarsi su una di quelle: Magnus aveva cominciato a fare danza da piccolo, e se era arrivato ai livelli professionali in cui si trovava adesso, sicuramente aveva passato gran parte del suo tempo allenandosi, magari da solo o magari in gruppo.
“Una tua compagna di danza.”
Magnus gli rivolse un sorriso che ne aveva del malandrino, mentre versava vodka nel bicchiere di Alec. “Hai sbagliato, ma ci sei andato vicino.”
Alec alzò il suo bicchiere verso Magnus e bevve il dito e mezzo di vodka che l’altro gli aveva versato. Sentì la gola bruciargli un poco, ma si stava abituando al sapore sempre di più. Un piccolo brivido alcolico attraversò il suo corpo, ma durò giusto un secondo. “Sono curioso di sapere qual è la risposta corretta, però.”
Gli angoli della bocca di Magnus si tirarono in un sorriso trattenuto. “Era il fratello di una mia compagna di danza. Eravamo molto amici, io e lei. Aveva un fratello di due anni più grande, con due occhi meravigliosi. Ho impiegato mesi a capire che il fatto che la vicinanza di quel ragazzo mi faceva sudare le mani voleva dire che ero attratto da lui.”
“E come ti faceva stare? Voglio dire… realizzare che ti piaceva un maschio, com’è stato?”
“Strano, all’inizio. Sapevo che ai maschi, secondo convenzione sociale, dovevano necessariamente piacere le femmine. Pensavo di essere difettoso, di avere qualcosa che non andava. Ho passato un periodo chiuso in me stesso, per elaborare quelle sensazioni. Non parlavo più nemmeno con mia mamma – e a lei ho sempre detto tutto.”
“Com’è finita?”
“Per tutto quel periodo, ho pensato di essere gay. Ipotesi avvalorata dal fatto che sono stato malissimo per due settimane, quando un giorno l’ho visto baciarsi con la sua nuova ragazza, che guarda caso era una delle mie compagne di danza. Ero geloso, quindi pensavo che sicuramente dovevo essere innamorato di lui.” Magnus fece una pausa,  cominciando a giocare con un ciondolo di una delle tante collane che portava. “L’anno dopo, a quindici anni, ho avuto la mia prima vera storia con una ragazza. È stato davvero complicato capire effettivamente che ero attratto da entrambi i sessi, sai? Prima pensavo di essere gay, poi pensavo di essere etero. Ho dovuto compiere diciassette anni per realizzarlo in pieno.”
“E hai ricominciato a parlare con tua mamma?”
“Sì. Lei ha avuto pazienza. Mi ha aspettato, rispettando i miei tempi. Ci ho messo tre anni a capire chi ero e a trovare il coraggio di dirglielo, ma dopo averlo fatto il nostro rapporto è persino migliorato.”
“È un bene avere qualcuno che ci supporta.” Alec abbassò lo sguardo sul suo bicchiere vuoto. “Non so come avrei fatto, all’inizio, se non avessi avuto i miei fratelli.”
Magnus rimase in silenzio, lasciando in questo modo ad Alec il tempo di continuare, se avesse voluto. Quando l’altro rimase in silenzio, tuttavia, domandò con un discreto filo di voce: “I tuoi non l’hanno accettato subito?”
“Mio padre non l’ha ancora accettato. Dopo dieci anni dal mio coming-out pensa ancora che la mia omosessualità sia una fase e che un giorno mi sveglierò realizzando che non mi piacciono gli uomini. La verità è che si vergogna di me.” La voce di Alec tremò. Magnus non seppe distinguere se quella reazione era dovuta da un pianto trattenuto o da una sorta di rabbia nervosa. Non lo conosceva abbastanza per poter distinguere le due cose, ma sapeva che Alec soffriva per questo. E aveva la netta sensazione che l’impegno di famiglia a cui non voleva partecipare, ma a cui aveva partecipato lo stesso la scorsa sera c’entrasse proprio con il padre.
“Ci sarà sempre qualcuno che metterà i pregiudizi prima di tutto. Quando sono i genitori a farci sentire a disagio, la sofferenza raddoppia, ma dobbiamo fare di tutto per non farci schiacciare da essa. Se tuo padre non accetta ciò che sei, è un problema suo. Non appesantirti anche dei suoi problemi. La vita ce ne riserva decisamente troppi per occuparci anche di quelli degli altri.”
Alec alzò lo sguardo su di lui, accennando un sorriso che ne aveva del malinconico, ma che celava una punta di gratitudine. “Grazie.”
Magnus gli fece l’occhiolino. “Quando vuoi, zuccherino.”
Il sorriso di Alec si allargò, tornando decisamente luminoso. Rimasero in silenzio qualche istante, facendo aleggiare nell’aria quel discorso nello stesso modo in cui avevano fatto aleggiare le parole di Magnus, prima. Lasciarono al silenzio il compito di cancellare le tracce, poi Alec si allungò verso la bottiglia e riempì il bicchiere di Magnus. “Tocca a me, adesso.”
“E supponi già che non indovinerò?” Agitò leggermente il bicchiere, facendo muovere la vodka all’interno di esso.
“Esatto.”
“Deve essere una domanda difficile, allora.”
“Ingannevole, più che altro.”   
“Spara.”
Alec sorrise beffardo. “Colore preferito.”
Magnus lo fissò come se fosse un alieno sceso da una navicella spaziale. “Stai scherzando? Questa è la tua grande domanda?”
“Smetti di giudicarmi e rispondi!”
Magnus rise, mentre guardava l’adorabile broncio che si era involontariamente formato sul viso di Alec. “Nero.”
“Bevi.” Affermò Alec, il suo broncio adesso si era trasformato in un’espressione soddisfatta. “Non è il mio colore preferito.”
Magnus bevve il contenuto del bicchiere in un fiato. “E allora qual è?”
“Blu cobalto.”
Magnus alzò un sopracciglio, sorpreso. “Allora perché il tuo guardaroba è interamente nero?”
“Reminiscenza adolescenziale. Mi vestivo di nero per non essere notato. Ancora adesso mi fa sentire a mio agio, poco esposto.”
“Oh, tesoro, ma non notarti è impossibile. Se vogliamo sorvolare sulla tua bellezza, sei alto quanto un grattacielo!”
Alec rise, un suono totalmente diverso da quello che aveva sentito Magnus nel pomeriggio. Era una risata lasciata libera, sincera e non esagerata. Era genuina. Era bella, come lo era Alec nella sua totale discrezione e semplicità. A Magnus piacque da morire quel suono. “Prossima domanda.”
Magnus si sistemò meglio sul posto. “Va bene, vediamo…” arricciò le labbra, in un’espressione pensosa, poi il suo sguardo si illuminò di una luce maliziosa. “Ci sono! Fantasie scontate!”
“Tipo avere un debole per gli uomini in divisa e cose simili?”
“Esatto!”
Alec si passò una mano sul viso, nascondendo un sorriso. Fece vagare lo sguardo per la stanza, mentre cercava di trattenere una risata, scuotendo leggermente la testa. Non poteva credere di star avendo una conversazione simile con qualcuno. Alec era un tipo chiuso, schivo e riservato. Tendenzialmente non si fidava di nessuno ed erano rare le volte che si apriva con qualcuno che non facesse direttamente parte del suo nucleo familiare. Eppure… aveva passato tutta la sera a parlare con Magnus, a dirgli cose che lo riguardavano personalmente, come la situazione con suo padre. Non sapeva per quale motivo, ma gli veniva quasi naturale fidarsi di Magnus. Aveva la strana e piacevole sensazione di poter essere apertamente se stesso con lui che tanto non l’avrebbe giudicato. Tutto ciò gli piaceva.  
“Vediamo… quale potrebbe essere la fantasia scontata di Magnus Bane?”
“Io lo so. Bisogna vedere se tu sei così intuitivo da poterlo indovinare!”
Alec reagì a quella frecciatina con una linguaccia. “Non fare l’antipatico, adesso.”
“E tu non temporeggiare.”
Alec gli diede un leggero schiaffetto sul ginocchio, poi dopo averci pensato su per qualche secondo, disse: “Pompieri? Non lo so, penso sia la più scontata, è tipo una fantasia universale. Chiunque ha fantasticato su un pompiere, almeno una volta.”
Magnus rise e annuì. “Indovinato!”
“Quindi sono molto intuitivo.”
“O sono io quello particolarmente scontato.”
“Fingerò di non cogliere un implicito sospetto riguardo il mio intelletto, Magnus. Mi limiterò semplicemente a dire che non sei per niente scontato.”
“Ah no?” Il tono che usò Magnus fu più lascivo di quanto intendesse.
“No.”
Magnus sorrise, ma lasciò cadere l’argomento per lo stesso motivo che l’aveva spinto a cambiare discorso e portare Erin a letto: non voleva rischiare che Alec si allontanasse. E quella sera, si erano avvicinati così tanto che Magnus non si sarebbe neppure sognato di fare qualcosa che avrebbe potuto compromettere quella vicinanza. “La tua?” chiese, quindi.
“La mia fantasia scontata?”
“Sì.”
“Motociclisti. Sono giusto la seconda fantasia universale, dopo i pompieri.”
Magnus annuì. “È il giubbotto di pelle che li rende irresistibili.”
Alec ridacchiò. “Penso tu abbia ragione.”
“Io ho sempre ragione. Lo capirai, con il tempo.”
Alec gli tirò un pupazzetto che stava sul divano a portata di mano, una piccola foca bianca che rimbalzò sul petto di Magnus. “Sbruffone.”
“Ma ho anche dei difetti.”
Alec lo guardò con gli occhi grandi, prima di non riuscire a trattenere una risata a cui si unì inevitabilmente anche Magnus.
Finì così, con il suono delle loro risa che si mischiavano. Con l’ultimo bicchiere della staffa, prima dei saluti. Con Alec che, passata la mezzanotte, si avviava verso la porta e ringraziava Magnus per la giornata e la cena. Con Magnus che si alzava sulle punte per baciargli una guancia, augurandogli la buonanotte e facendogli promettere di mandargli un messaggio, non appena fosse arrivato a casa.
Fu quello che Alec fece non appena varcò la propria porta, dopo un viaggio in metro passato a pensare a Magnus e al modo che aveva di sorridere.

To: Magnus, 00.49
Sono a casa.
From: Magnus, 00.49
Buonanotte, zuccherino.

Mentre si preparava per andare a dormire, Alec era decisamente troppo concentrato a ripensare a tutta la sua bellissima giornata per rendersi conto che, in compagnia di Magnus, il pensiero di Will non l’aveva neppure sfiorato.   




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Ciao a tutti!!
Pensavo che avrei dovuto rassegnarmi all’idea di pubblicare questo capitolo ad anno nuovo e invece, eccomi qua. Contro ogni probabilità ce l’ho fatta e quindi ne approfitto per augurarvi un buon anno e dire che la pagina Instagram di Shadowhunters ci ha fatto un regalo di Natale bellissimo, pubblicando lo sneak peek esteso dei Malec. Se dicessi di non averlo visto a ripetizione per una cinquantina di volte sarei una sporca bugiarda. E se solo non avessi già scritto qualcosa su quella scena, improntando il tutto in un’ottica tendente al triste, cederei alla tentazione di riscrivere qualcosa, concentrandomi su Magnus che passa la giornata a trovare il nomignolo adatto per Alec, mentre Alec grumpy-cat Lightwood glieli boccia tutti. Alec, rassegnati, Magnus ha ragione: sei un cucciolo.
Ad ogni modo, la parte dove in questo capitolo Alec si impunta per non essere più chiamato con qualche nomignolo strano è decisamente presa dallo sneak peek.
Comunque, bandendo le mie ciance inutili, veniamo al capitolo: inizia con un flashback, che mostra come Alec abbia incontrato Will e penso che durante la storia ci saranno spezzoni simili, per mostrare le vite sia di Alec che di Magnus, prima del loro incontro e della nascita del loro rapporto.
Non succede granché in questo capitolo, me ne rendo conto… in pratica ho scritto solo di loro due che fanno cose, ma pensavo fosse un modo per farli legare, qualcosa che li portasse a realizzare che provano già fiducia l’uno nei confronti dell’altro. I riferimenti ai flashback dell’episodio 2x18 (mi sembra, correggetemi se sbaglio) non sono puramente casuali. Amo il fatto che anche quando non si conoscevano ancora, quei due si fidavano già l’uno dell’altro, soprattutto Alec che non si fida mai di nessuno, quindi ho voluto riportare un po’ quella magia speciale anche in questo capitolo. Spero di esserci riuscita, in caso contrario chiedo scusa ai Malec e a voi.
Ultima cosa e poi chiudo: c’è un accenno alla mamma di Magnus. Ora, io non so se nei libri si parli meglio dell’identità della donna, ma nella serie non penso le abbiano dato un nome, quindi me lo sono inventato. Volevo provare a gestire anche Magnus in versione figlio. Vedremo se ci riuscirò o invece farò un casino. In ogni caso, Madelaine tornerà.
Inoltre, il nasi goreng è davvero un piatto indonesiano, ma a parte gli ingredienti che ho letto su Wikipedia non so esattamente come si prepari, quindi anche quella parte è un po’ inventata.
Penso di aver detto tutto e siccome queste note sono venute lunghissime, vi saluto!
Ringrazio chiunque legga, abbia messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e chiunque trovi il tempo per recensire, lo apprezzo moltissimissimo!
Un abbraccio, alla prossima! E buon anno! <3 
   
 
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