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Autore: Melanto    01/01/2019    4 recensioni
[Soulmate Series - #3 || Sequel di 'Boxing Day hangover']
Il primo Capodanno dopo la folle notte di Natale. I primi intoppi e i primi buoni propositi.
Se poi, nel mezzo, si aggiungono i primi incontri con i rispettivi fratelli...
...c'è solo da sperare negli alieni!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate Series'
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New Year's Eve intentions

Note Iniziali: e finalmente arriva anche la storia di Capodanno! XD

Sì, quella che sarebbe dovuta arrivare a inizio dell’anno scorso. XDDDD Ma il 2018 era stato caratterizzato dal famoso: ‘postiamo storie a cazzo nelle feste sbagliate’ LOL

Questa volta, invece, vediamo di fare le cose per bene! ;)

Torna la “Soulmate Series” iniziata con “Christmas checkmate”! *-*

Per la neonata storia di Yuzo e Mamoru è il momento di affrontare un’altra festa importante, quella di Capodanno! :D

Ambientata sei giorni dopo “Boxing Day hangover”. :3

Ci rileggiamo alla fine! :D

 

Buona lettura.

 

New Year's Eve intentions

Soulmate series - #3

 

 

Nankatsu, quella mattina, era stata benedetta dagli dèi che le avevano fatto dono di un cielo limpido come il cristallo.

Mamoru si godeva il panorama, e il sole che batteva sul belvedere del tempio shintoista, con le braccia poggiate sulla ringhiera ma testa e collo protetti da berretto e sciarpa. Nonostante la limpidezza, gli dèi non avevano risparmiato l’aria pungente tipica di gennaio. E non avevano risparmiato la folla.

In quello spicchio di belvedere che era riuscito a ritagliarsi e in cui aveva dato appuntamento a Yuzo, ci stava talmente risicato da sentirsi come sardina in una scatola.

Il tempio era gremito, come ogni Capodanno, e forse l’unica nota positiva di quella confusione fu che il freddo si stemperasse appena nello stare così stretti gli uni con gli altri. E poi, vista da lì, Nankatsu era bella come la nostalgia, quella che avrebbe provato una volta che si fosse stabilito a Yokohama. Solo in quei momenti si stava rendendo conto che un nuovo capitolo della sua vita si stava aprendo in maniera concreta, davanti ai suoi occhi, e che il mondo che aveva conosciuto fino a quel momento sarebbe divenuto più grande, avrebbe spostato il focus altrove, l’avrebbe costretto a trovare un’altra caffetteria abituale, un altro ristorante di sushi preferito, un’altra via per fare spese. Ma non avrebbe mai potuto dargli la certezza di sapere dove avrebbe potuto sempre trovare i suoi amici. Hajime e Teppei sarebbero andati a Tokyo e a Osaka. Shingo a Hiroshima. Con le dovute difficoltà, abituarsi alla partenza di Genzo era stato più facile, perché gli altri erano rimasti… ma adesso se ne sarebbero andati tutti insieme e a Nankatsu avrebbero lasciato il pezzetto più importante di tutti: la loro infanzia, lasciando al resto del mondo l’onere di prendersi la loro maturità.

A lui si sarebbe preso anche qualcosa in più, realizzò, stringendo appena gli occhi alla brezza tagliente che spirava a tratti.

Yuzo avrebbe raggiunto Shimizu-ku e questa era la punizione che si erano meritati per essere stati così stupidi da aspettare tanto prima di darsi una mossa. Le distanze iniziavano da lì, da quel Capodanno che chissà quando ancora li avrebbe visti insieme su quel belvedere. Ma lui aveva già trovato un modo per renderlo memorabile e questa, almeno per le prossime ore, sarebbe stata l’unica consolazione disponibile.

Con un sospiro, Mamoru si volse, dando le spalle alla città e infilando le mani nelle tasche del giaccone. L’occhio gli cadde sul ragazzino che continuava a smanettare al cellulare, testa bassa, e totale disinteresse verso la confusione che avevano attorno e che avrebbe mandato ai matti chiunque con un po’ di buonsenso o poco abituato a una simile folla.

Inarcò un sopracciglio con disappunto.

«Potresti alzarla la faccia da quell’affare, ogni tanto, Sen.»

«E perché, nii-san

«Magari per guardarti attorno?»

«Il panorama lo conosco a memoria e la gente non mi interessa .»

Mamoru alzò gli occhi al cielo, esasperato dal sempre più irritante disinteresse del suo fratellino. Ma non poteva fare casino come tutti i marmocchi della sua età? Lui a undici anni correva ovunque, pareva una scimmia, non lo fermava neppure l’influenza. Sen, invece, aveva sempre quell’espressione seria seria, ti parlava come se ti stesse facendo un favore e pareva che ogni cosa lo circondasse non fosse mai alla sua altezza. Ecco il frutto degli sculaccioni che i suoi genitori non gli avevano mai dato. Scosse il capo e tornò a scrutare tra la folla, nella speranza di riuscire a vedere qualcosa di molto più interessante.

«Mamoru!»

Provvidenziale, la sua testa saettò per istinto a quel richiamo e il sorriso gli snudò le labbra in maniera del tutto naturale; gioia spontanea e incontrollabile che gli era sfuggita come un palloncino dalle mani. Yuzo lo aveva visto, svariate teste più in là, e stava agitando un braccio per farsi individuare.

Lui afferrò suo fratello per una spalla e lo tirò leggermente, per farlo camminare davanti e non perderlo di vista, in mezzo alla folla.

«Vuoi piantarla di tirarmi? Non sono mica un cane,» borbottò il ragazzino, mentre lui lo teneva per il cappuccio del giacchetto imbottito.

«Devo ricordarti quella volta che andammo in piscina a Fuji City e ti perdesti tra la gente?»

«No…»

«Bene, perché altrimenti dovrei ricordarti anche che ti misi il guinzaglio.»

«E chi la dimentica quella figuraccia…» masticò, Sen, infastidito. I suoi occhi, scurissimi come da genetica Izawa, lo inquadrarono con odio, e a lui sfuggì un sogghigno divertito.

«Pare che non ti abbia insegnato granché, purtroppo.»

Il bambino sbuffò, lasciandosi direzionare dai suoi comandi decisi, a volte un po’ troppo dittatoriali.

«Scusa il ritardo. Aspetti da molto?»

Yuzo glielo chiese appena si trovarono finalmente l’uno di fronte all’altro. Era stretto nel giaccone che gli arrivava alla coscia, mentre metà viso era coperto da uno sciarpone a quadri; Yuzo se lo dovette abbassare sotto al mento per potergli parlare e il vapore del fiato si condensò in nuvolette appena fuori delle labbra.

Le sue si arricciarono di piacere nella virgola di sorriso che non lo abbandonava mai.

«Pochi minuti.»

«Avrei voluto fare prima, ma tra una cosa e l’altra e la gente che c’è, è stata un’impresa riuscire a liberarsi e a trovarti.»

«Sì, il tempio è gremito. Ieri notte doveva essere addirittura peggio.» Poi strinse gli occhi, notando che quelli di Yuzo erano leggermente rossi. «Non ti senti bene? Sembri stanco.»

Il portiere si affrettò a sgrullare il capo. «No, no! Sto benissimo! Cioè, sì, sono un po’ stanco, ma perché ho fatto l’hatsuhinode. Ho dormito solo tre ore.» E, nel dirlo, gli scappò un sonoro sbadiglio. «Sono così sfatto?»

Mamoru sorrise, e il pensiero di poter vedere la prima aurora dell’anno assieme a Yuzo aveva stuzzicato la sua fantasia già nei giorni che avevano preceduto il 31 dicembre. Ma lui aveva scoperto che, per tradizione, la notte dell’ultimo dell’anno il portiere la passava sempre in famiglia, andava al piccolo tempio più vicino a sentire i rintocchi della mezzanotte e poi tornava a casa. All’epoca, quando era stato convinto di stargli sulle balle e ricordava che Yuzo declinasse di continuo le uscite che loro programmavano a San Silvestro, aveva sempre creduto che lo facesse perché troppo perfettino per mischiarsi a loro, più festaioli. Rifiutasse per non trovarsi assieme a lui. E invece, qualche giorno prima, quando l’aveva invitato a unirsi al loro gruppo per i festeggiamenti, Yuzo gli aveva spiegato che non usciva per restare con sua madre e farle compagnia, dato che suo padre era solito, al 99,9% delle volte, essere al lavoro. Gli aveva raccontato che non avevano altri parenti in città o nelle vicinanze, poiché i Morisaki non erano originari di Nankatsu, e quindi passare a casa la sera del trentuno, a fare giochi da tavolo o vedere vecchi film, era diventata la loro piccola tradizione.

Mamoru ne era rimasto affascinato, l’aveva trovata una cosa molto dolce e così diversa dalle ‘tradizioni’ cui, invece, era abituato lui. Non ricordava di aver mai trascorso la sera di San Silvestro a casa, in famiglia, solo loro, ma sempre alla Cena di Capodanno organizzata dall’agenzia di suo padre. Un evento di beneficenza mondanissimo da cui aveva iniziato a fuggire appena raggiunta l’età sufficiente per iniziare a festeggiare con gli amici. A Sen sarebbe toccata ancora per un annetto, ma tanto il suo fratellino era un mago nell’isolarsi e scomparire dai radar di tutti i presenti.

Alla fine, quindi, di vedere l’alba non glielo aveva neppure più chiesto, domandandosi, invece, se un giorno avrebbe avuto l’onore di poter partecipare a quella piccola tradizione della famiglia Morisaki.

«Appena un po’.» Approfondì la virgola delle labbra e gli strizzò l’occhio con complicità.

Yuzo ricambiò il sorriso, con un leggero imbarazzo, e distolse lo sguardo fermandolo su Sen. Nelle sue espressioni balenò entusiasmo.

«Ah, ma sei venuto in compagnia!»

Mamoru guardò con calore ai modi sempre accoglienti che il portiere aveva verso le persone. Ennesima cosa che trovava adorabile in lui; da che Genzo gli aveva piazzato in testa quel dannato termine, lui non faceva che individuare motivi su motivi che confermassero quanto detto dal suo ex-capitano. Ed erano tutti atteggiamenti piccoli, discreti, accorti. Durante la scuola non aveva fatto altro che alimentare il desiderio fisico che aveva di Yuzo, tralasciando un po’ tutto il resto perché non riusciva ad avvicinarsi tanto da poterlo conoscere e capire, eppure c’erano sempre stati dei segnali, come degli input, che avevano riempito di macchie colorate il carattere di Yuzo Morisaki che lui faticava ad afferrare. Ed era stato come avere una tela bianca su cui creare un arcobaleno scoordinato; ora stava rimettendo a posto le singole tracce, le stava collegando e tutto quello che aveva solo intuito come interessante si stava rivelando meraviglioso nella sua semplice complessità.

Yuzo non era una persona difficile da capire, anzi, ma era il suo modo di essere rispettoso a essere complesso, a volte fin troppo rigido e severo, duro come una pietra. Nonostante tutto, o forse proprio per questo, era da quando l’aveva visto che avrebbe voluto travolgerlo con un bacio mozzafiato. Lui, le mani lontane da Yuzo non riusciva a tenerle troppo a lungo, e si stava facendo una violenza inaudita per trattenere il suo spirito irrefrenabile con le unghie e con i denti, solo perché erano in mezzo alla folla – anche se era convinto che, proprio perché c’era tutto quel casino, nessuno si sarebbe accorto se l’avesse baciato all’improvviso. Però si tenne a freno, dicendosi di resistere solo un altro po’.

«Già.» Mamoru afferrò saldamente Sen e se lo tirò addosso, passandogli affettuosamente il braccio attorno alle spalle. «Ti presento il mio apatico fratello, Sen.»

«Apatico ci sarai.»

«Ma se non sai nemmeno che vuol dire, pastrocchio.»

Sen si sgrullò rudemente il suo braccio da dosso, lanciandogli un’occhiata traversa. «Di sicuro è qualcosa di scemo come te! E mollami!»

Mamoru sollevò lo sguardo al cielo, sorridendo con rassegnazione e sufficienza. «E queste sono le meravigliose dinamiche familiari di casa Izawa,» sospirò in una stretta di spalle.

«Sen-kun, se lui ti dice che sei apatico, tu puoi sempre rispondergli che è ‘tardo’

Il ragazzino inarcò un sopracciglio. «E che vuol dire, nii-san

«Che capisce le cose in ritardo.»

«Ah! È vero!» Sen si illuminò e Mamoru non seppe se essere più contento che suo fratello avesse legato subito e in maniera stranamente spontanea con Yuzo, o se doversi imbronciare per essere in minoranza. Nel dubbio, scoccò un’occhiata minacciosa al suo portiere, senza far sparire però il sorriso dalle labbra.

«E quindi prendi le difese di mio fratello, uh?»

«Certo, naturale. Tu sei grande e grosso, non hai mica bisogno di essere difeso.»

Quel fare un po’ arrogante e presuntuoso gli aprì un mare di scenari altamente erotici in cui l’avrebbe punito a dovere. Oh, sì. Ce n’erano due o tre in particolare che non erano niente male…

«Sappi che me lo ricorderò,» disse, ma dopo un attimo scoppiarono tutti e due a ridere sotto lo sguardo di un perplesso Sen che era ancora troppo piccolo per riuscire a capire sottintesi così grandi.

«Ma! Ora che ci penso! Se non sbaglio anche tu hai un fratello, giusto? Un gemello!»

Mamoru si animò nel ricordare quel piccolo particolare che ogni tanto faceva capolino nelle discussioni fin dal primo anno di medie. Lui non l’aveva mai visto. A dire il vero, forse di loro l’avevano visto davvero in pochissimi e per caso; dai soliti discorsi che aveva captato a spezzoni o rubato da conversazioni più o meno riservate, aveva capito che il fratello di Yuzo frequentava nel quartiere di Mizukoshi e che alla Nankatsu non ci andaava mai. Ma ricordava di essere rimasto davvero colpito quando Manabu aveva detto che Yuzo e suo fratello erano due gocce d’acqua, come i Tachibana. Profili imperfetti, nasi alla greca, occhi nocciola, sorrisi incantatori… il solo pensiero di dover moltiplicare questo per due lo elettrizzava e incuriosiva da morire.

Se non ricordava male, il nome del famoso gemello era Shuzo.

«Ah. Sì. Mio… mio fratello, sì.» Yuzo aveva un sorriso di circostanza piazzato sulle labbra, nulla a che vedere con quella smorfia perfetta che gli arricciava la sommità del naso e lo lasciava sempre carico di meraviglia. «Ecco, a questo proposito… c’è una cosina di cui forse è meglio parl-»

«Bro! Eccoti qua, ma dov’eri finito?! Sei sgusciato via come una cazzo d’anguilla!»

Mamoru sgranò gli occhi ed ebbe un sussulto istintivo nel momento in cui una ‘macchia color evidenziatore’ saltò letteralmente sulle spalle di Yuzo. Era spuntata dal nulla, non l’aveva neppure vista arrivare, e si domandò come fosse possibile data la confusione che stava mettendo su nel giro di pochi secondi.

Una sorta di valanga o palla di cannone.

«Shuzo! Per la miseria, ma che modi! Siamo in un tempio!»

«Massì, massì! Quante storie per un po’ d’affetto. Piuttosto! Sei sparito senza dire niente subito dopo la preghiera.»

«Magari perché avevo un appuntamento? Tu non dovresti essere con i tuoi amici?»

«Sì, dovrei beccarli qui in giro, ma come al solito c’è troppo casino. E con chi ti dovevi vedere?»

Mamoru tossicchiò per introdursi. La famosa ‘macchia’ non lo aveva neppure notato, e sì che gli stava davanti. A preoccuparlo però furono gli occhi di Yuzo, che lo trovarono subito e grondavano… panico?  Lui inarcò un sopracciglio, spostando lo sguardo sull’ultimo arrivato e cercando di capire che diavolo stesse succedendo quando si ritrovò a sgranare le proprie iridi in maniera inaspettata.

Profilo irregolare, naso alla greca, occhi nocciola… capelli in technicolor?! Sguardo a cavallo tra il minaccioso e lo scrutatore.

Mamoru si sentì con un riflettore enorme puntato dritto in faccia.

Eppure, nella sorpresa, era innegabile ripensare alle parole udite di sfuggita da Manabu e rendersi conto che… aveva ragione: Yuzo e suo fratello si somigliavano come gocce d’acqua, e lui, almeno per i primi cinque secondi, non fece che spostare lo sguardo dall’uno all’altro.

Il clone emise un verso di disappunto, sollevando il mento. Mamoru si vede squadrare dalla testa ai piedi, prima che il gemello si girasse verso Yuzo ed esclamasse, quasi con delusione: «Con questa fighetta? Sul serio?»

«Anche per me è un piacere conoscerti,» ironizzò di rimando.

«Tra un paio di giorni non lo penserai più.» Shuzo gli rivolse un sogghigno e subito a Mamoru fu chiaro la prima differenza fondamentale: il sorriso.

A Shuzo la bocca si storceva in una piega tutta strana, pareva un filo di metallo che si tirava solo da un lato, non gli si illuminava lo sguardo come accadeva con Yuzo.

La seconda differenza era… ma come cazzo era confezionato?!

Un’accozzaglia di colori faceva a botte a partire dalla testa dove la rasatura del taglio undercut mostrava il castano scuro naturale, ma la lunghezza che aveva sul capo, e arrivava poco più su dello zigomo, era un arcobaleno vero e proprio. Per non parlare degli orecchini che gli costellavano lobi e padiglioni, l’anello al naso, uno sul sopracciglio, quella pesante giacca sportiva lasciata aperta che, nel grigio scuro, alternava tagli color evidenziatore, sciarpa arrotolata a caso.

«Mamoru, lui è mio fratello Shuzo.»

«Sì, l’avevo immaginato…»

Sarebbe dovuta suonare come una battuta, ma gli venne fuori più ironico di quanto avrebbe voluto. Difficile usare un tono diverso se quello continuava a fissarlo con palese fastidio. Senza contare il modo possessivo con cui seguitava a tenere stretto il portiere: il braccio attorno al collo aveva la presa dell’anaconda.

«E così, tu saresti quello che si bomba mio fratello,» disse il ragazzo con invidiabile non chalance, tanto da lasciare lui irrigidito per un momento e Yuzo che scattava come una saetta, mollandogli una botta al fianco e liberandosi in malo modo dalla stretta.

«Ma che cazzo dici?!»

«Perché? È la verità, no? Non è lui Izawa, quello lì? Quello che faceva lo stronzo con te a scuola e a che adesso è diventato tutto ‘baubau-miciomicio’

«Vuoi piantarla?!»

Yuzo pareva dovesse azzannarlo da un momento all’altro, mentre sulle labbra del fantomatico Shuzo che, di colpo e per direttissima, era balzato in cima alla lista delle sue ‘persone più odiate sulla faccia della Terra’, continuava a stazionare quel sorriso storto, quasi quanto lui, e pure sfacciato.

«Fratello…» Sen lo chiamò, con tono più basso e parimenti perplesso: «che vuol dire ‘bombare’

«Niente che ti riguardi. Testa sul cellulare, adesso!» Mamoru gli tappò le orecchie con le mani, in maniera brusca, costringendolo ad abbassare il capo, tra mille proteste. E intanto un improvviso istinto omicida gli fece alzare uno sguardo di fuoco su Shuzo. Che ancora sghignazzava!

«Ma perché non conti fino a tre prima di dare fiato alla bocca?!» Yuzo era esasperato. «Davanti a un bambino, poi! Ma ci arrivi, genio?!»

«Ah, maddai! È grande abbastanza per sapere come gira il mondo.» Con un sorriso smagliante, Shuzo si rivolse proprio a suo fratello, sporgendosi in avanti. «Benvenuto nella vita reale, tappo, il mondo è una merda e Babbo Natale non esiste!»

«…io non credo a Babbo Natale,» tentennò Sen.

«Punto per te, gioia!» Shuzo gli strizzò l’occhio e poi guardò di nuovo Yuzo. «Visto? È già avanti!»

Il portiere si portò una mano al viso, massaggiandosi la fronte e prendendo ampi respiri. Lui, invece, quasi per istinto, afferrò il suo fratellino per le spalle e lo tirò indietro, nemmeno dovesse allontanarlo dal demonio in persona.

«Te ne stai andando, vero? Ti prego… Ma perché non sono figlio unico? Ogni anno lo chiedo, gli dèi non mi ascoltano.» Yuzo era sull’orlo della disperazione.

«Nah, non lo pensi davvero. Poi non ti sentiresti solo?»

«Ma magari!»

Shuzo rise, tornando a stritolare il portiere come un cobra fuggito dalla cesta dell’incantatore, e Mamoru, a quel punto, non riuscì a trattenere una mezza risata anche lui per tutta una serie di cose: la situazione assurda, le espressioni di Yuzo e, sì, anche per quel soggetto così tamarro. Ma da dove diavolo l’avevano tirato fuori?

Spostò lo sguardo proprio su di lui nel momento in cui Shuzo faceva altrettanto, per guardarlo fisso e, di nuovo, minaccioso. Quindi, si rassegnò Mamoru, le cose stavano così: gli stava dichiarando guerra e si erano appena conosciuti. Perfetto, cosa chiedere di più al primo giorno del nuovo anno?

«D’accordo, Bottondoro. La faccenda è questa, te la riassumo così la recepisci meglio: tieni giù le mani da mio fratello e andremo d’accordisssssssimo!»

Shuzo gli mostrò un sorriso a trentadue denti, mentre si sporgeva verso di lui e, nello stesso tempo, rafforzava la presa su Yuzo.

Non lo toccare o ti uccido.

Mamoru non ebbe neppure bisogno di leggere tra le righe, tanto si capiva benissimo.

Perfetto. Anche lui sarebbe stato cristallino.

Rispose con lo stesso, smagliante sorriso da cartellone pubblicitario e disse: «Ma non è scritto da nessuna parte che devo andare per forza d’accordo con te. Posso farne benissimo a meno.»

Io toccherò tuo fratello quando, quanto e come vorrò. Stacci.

Il sorriso di Shuzo si affievolì, per lasciare posto a un’espressione più tagliente fatta di labbra chiuse e sguardo affilato. Da sotto l’arcobaleno che aveva in testa, il nocciola delle iridi era incandescente.

«Sta bene. Ma te ne pentirai.»

Non era proprio così che si era aspettato di conoscere il primo pezzo della famiglia di Yuzo, ma Shuzo non gli aveva lasciato margine di manovra e lui non era una persona che si faceva mettere al muro dal primo gradasso che gli capitava sulla strada. Per gli dèi, era stato un gradasso anche lui! Avrebbe dovuto puntare sulla lunga distanza, magari, e sperare di farsi accettare poco alla volta.

Perché Mamoru ci teneva, a quella cosa, a essere accettato dagli affetti di Yuzo.

«Ehi, Malerba!»

Tra la folla, quel richiamo un po’ troppo sguaiato li raggiunse forte e chiaro, facendo girare anche qualche altra testa più vicina a loro.

Shuzo allungò il collo alle spalle del fratello. «Eccovi! Arrivo!» rispose in maniera altrettanto sguaiata, con Yuzo che gli mollava un nuovo colpo al fianco, facendogli cenno di abbassare la voce. L’altro ne rise, ancora una volta, e alla fine la sola risposta fu una spettinata di capelli. «Allora vado. Ci vediamo a casa, bro!»

«Confido ancora negli alieni…» borbottò Yuzo, mentre suo fratello correva via per raggiungere i suoi amici. «Magari ti rapiscono!»

Mamoru avrebbe voluto cingergli il collo e le spalle come aveva fatto Shuzo fino a quel momento, ma senza la presa da anaconda, in modo da poterci affondare il viso, poi, in quel collo, lasciargli baci lungo la gola, farlo infervorare ma non per rabbia o frustrazione, quanto per desiderio. Ad accenderlo, ci voleva davvero un attimo.

«Nii-san…» Sen si rivolse a Yuzo con aria dubbiosa. «…voi due non vi somigliate per niente.»

«Davvero?! È la cosa più carina che mi abbiano detto da stamattina!»

Stavolta, Mamoru non riuscì a trattenersi e sbottò a ridere, attirandosi un’occhiata rassegnata dal suo portiere. Anche lui aveva un sacco di cose carine da dirgli, ma avrebbe aspettato che fossero rimasti soli e, pensando proprio a questo, abbassò lo sguardo su suo fratello. Stava quasi per chiedergli che fine avessero fatto gli amichetti con cui doveva incontrarsi, quando proprio quest’ultimi comparvero per magia, provvidenziale quanto quella che si era portato via… Malerba? Soprannome azzeccatissimo, considerando che fosse paloinculo allo stesso modo di un’erbaccia.

«Scusa! Abbiamo fatto tardi!» esordì Nobu, il più alto dei tre. Kaede, più basso, scambiò subito un gesto di saluto più confidenziale ed espansivo con Sen. E poi c’era Shota.

«Ohi, ma chi era il tipo con i capelli fighissimi e colorati che è andato via?» tutto gasato, Shota indicò per dove Shuzo si era allontanato. «Che stile!»

Mamoru alzò gli occhi al cielo con un sospiro; stessa reazione la vide sul volto di Yuzo prima che lo affondasse in una mano.

«Nessuno che vi riguardi,» sospirò lui con condiscendenza e anche per toglierseli dai piedi il prima possibile.

«Ciao, Mamoru nii-san

«Buon anno, nii-san,» si inchinò Nobu.

«Allora io vado, fratello.»

«Mi raccomando, tieni sempre il telefono a portata di mano e non rimpinzarti di dolci: Pooja-aunty passerà la mattinata a cucinare, rendile onore.»

Sen sbuffò, di sicuro seccato dalle sue raccomandazioni troppo da ‘fratello maggiore’. Lui ci provava un gusto sottile, dopotutto: a che sarebbe servito essere il figlio più grande se non per dare il tormento al più piccolo?

«Sìììì, lo soooo. Me lo avete ripetuto cento volte, non sono mica scemo.» E, prima di andare via, si premurò di salutare anche Yuzo. Un gesto, quello, che lo lasciò nuovamente sorpreso: Sen a stento salutava Hajime e Teppei che conosceva da che era in fasce, invece al portiere rivolse addirittura un sorriso.

Poi, in un attimo, il bambino e i suoi amici sparirono nella folla.

 

Yuzo attese che Sen non fosse più visibile prima di rilasciare un respiro pesante e afflosciare le spalle.

Non aveva neppure il coraggio di guardare Mamoru in faccia, avrebbe preferito sprofondare sotto tre metri di terra. Come al solito, suo fratello lo aveva fatto vergognare da morire.

«Mi dispiace! Davvero, mi dispiace da morire, lui… Io non so come devo fare.»

«Era questo che stavi per dirmi?»

«Già… Non ho fatto in tempo.» Yuzo si torturò un sopracciglio, grattandolo distrattamente lungo la tempia. Ancora lo sguardo distolto da quello di Mamoru. «Avrei dovuto farlo prima e ci ho provato, però… Cioè, l’hai visto anche tu, no? Non sapevo da che parte cominciare! ‘Oh, sai, ho un fratello gemello iperprotettivo e cazzaro all’ennesima potenza, che ogni volta che apre bocca mi fa fare una figura di merda’

Sull’ennesima risata di Mamoru si decise a sollevare lo sguardo su di lui, fissandolo con espressione a cavallo tra il frustrato e il mortificato allo stesso tempo.

«Non è divertente, credimi.»

«Non è successo nulla, Yuzo. Rilassati. Non sono mica il tipo che si fa azzittire da un po’ di voce grossa, andiamo. Dovresti saperlo.»

Quella sensuale strizzata d’occhio riuscì a sciogliere in fretta un po’ della tensione che ancora sentiva accumulata sotto la pelle, proprio tra collo e spalle.

«Per poco non si faceva sgamare anche con Sen…»

«A lui avrei pensato io. Non sarebbe stato un problema, ma ammetto che mi ha spiazzato, ecco… Non immaginavo fosse così.»

«Ah, nemmeno io. Lo conosco da diciotto anni e ancora non mi sono abituato.»

Un’altra risata, che stavolta condivise, e finalmente la mano di Mamoru lo raggiunse al volto: tocco leggero di un pugno amicale dato al lato del mento. Aveva le dita fredde, non portava guanti, e lui avrebbe voluto stringerle nelle proprie per un po’, il tempo necessario a scaldarle e scaldarsi. Ma il tempio era gremito e spazio per qualcosa di simile non era concesso.

«Dai, facciamo due passi. Troviamo un posto un po’ più tranquillo, ti va?»

«Non chiedo di meglio.»

Presero a camminare fianco a fianco, cercando di farsi largo tra le persone e uscire dalla ressa che riempiva lo spiazzo principale. Lungo i piccoli sentieri in pietra, e passando sotto torii protettivi, cercarono di allontanarsi dalla folla, anche se sembrava quasi impossibile: non c’era un anfratto del tempio che non fosse animato da famiglie in kimono, bambini che correvano e coppie che passeggiavano senza fretta, inspirando l’aria fredda del primo giorno dell’anno.

«Io cerco di contenerlo, ma a volte è impossibile. È come avere un’atomica tra le mani! È una catastrofe, come lo trattieni?!»

«È per questo che non l’hanno visto in molti della nostra scuola?»

«Gli ho proibito di venire a prendermi a scuola, anche se avrebbe sempre voluto. Sapevo che mi avrebbe piantato delle scenate con chiunque! Con te, soprattutto… Non ti avrebbe dato tregua.»

Mamoru gli lanciò un’occhiata traversa. «Perché scommetto che gli hai parlato malissimo del sottoscritto. L’ho sentito quello che ha detto, prima. Baubau-miciomicio

«E che pretendi? Mi trattavi uno schifo!» arrossì, affondando nel giaccone e nella sciarpa. «Che ne sapevo che noi… Lui mi vedeva giù di morale o arrabbiato e voleva sapere cosa non andasse. E ti posso assicurare che quando si mette nelle orecchie non te lo scrolli di dosso fino a che non ha saputo anche i punti e le virgole! Io, poi, avevo bisogno di sfogarmi un po’ e potrei avere un tantino esagerato nelle mie… folkloristiche… descrizioni…»

Lui si allontanò leggermente dal fianco di Mamoru dopo le ultime parole mentre gli vedeva inarcare sempre di più il sopracciglio, su di un sorriso che tutto era tranne che rassicurante. Gli pareva di essere sotto lo sguardo assassino dei tempi della scuola.

«E non guardarmi così, okay? Che avrei dovuto fare?! È mio fratello, mi vuole bene e vuole solo proteggermi da-… ehi

D’improvviso si sentì strattonare per un braccio e tirare in mezzo alla boscaglia nel quale il tempio si perdeva. Oltre la barriera dei torii e dietro una struttura di pietra alta abbastanza da ripararli, Yuzo si ritrovò stretto contro la roccia del piccolo altare con le labbra di Mamoru improvvisamente sulle proprie: fredde il primo istante, bollenti quello successivo.

Si prese un bacio che arrivò a sciogliergli anche il sangue nelle vene.

«Non potevo più aspettare…» sussurrò. «È da prima che arrivassi che volevo baciarti.»

«Ma siamo al tempio… la gente…»

«Non me ne frega niente, in questo momento. Volevo il primo bacio dell’anno.»

«Non dovremmo essere così irresponsabili adesso…»

«E se non adesso, quando? Non ci vede nessuno, si tratta solo di un minuto. Un altro minuto ancora...»

Yuzo non riuscì ad opporsi – non volle – al nuovo bacio lento e profondo che Mamoru gli rubò e donò al tempo stesso. Anche lui aveva atteso quel momento da prima di andare a dormire, e il cuore gli era quasi balzato fuori dal petto quando aveva visto che Mamoru lo stava aspettando. Aspettava lui. Non riusciva ancora a crederci neppure quando se lo ripeteva a voce alta, e gli era capitato di farlo spesso, attirandosi l’occhiata stranita di Shuzo in un paio di occasioni.

Mamoru si prendeva ogni cosa di lui con estrema facilità: l’attenzione, i pensieri, i desideri. E lui rimaneva quasi disarmato davanti a tutto quello, arrivando a farsi baciare – e più di una volta – nel mezzo del via vai del tempio. Impensabile, per uno come lui, eppure stava accadendo, e se fossero stati da soli, non sarebbe finita con tutti i vestiti addosso.

«E se ce ne andassimo all’Hikarigaoka? Non è molto lontano dal tempio.» Un sussurro scivolato lungo la guancia assieme a un bacio innocente. «Volevo stare un po’ da solo con te, scambiare due chiacchiere in pace, poterti baciare ancora…»

«Okay…»

«Buon anno, Yuzo Morisaki.» Mamoru lo sorrise con quella sua virgola speciale e assassina che l’aveva ucciso fin da ragazzino.

«Buon anno a te, Mamoru Izawa.»

«E voglio sapere che diavolo hai raccontato di me a tuo fratello.»

«Piccolo spoiler: non ci sono unicorni.»

Si guardarono, risero e tornarono di nuovo a mescolarsi alla gente del tempio.

 

«E, allora, racconta! Com’è andata la serata, ieri?»

Yuzo glielo chiese dopo aver varcato la soglia del parco ed essersi guardati attorno per capire in che direzioni muoversi. L’Hikarigaoka era abbastanza grande da poter offrire una vasta scelta di soluzioni. Loro decisero di puntare direttamente agli angoli un po’ più distanti, come quelli accanto al laghetto, con le siepi alte e curate dietro cui rubare in pace quei pochi momenti al mondo.

Mamoru sghignazzò al solo pensiero. «Benissimo! Siamo andati al karaoke.»

Gli aveva anche mandato una foto di uno di momenti topici, quello in cui Ryo e Hanji si sostenevano a vicenda, entrambi con le cravatte della cena in famiglia legate attorno alla fronte, bocche spalancate nemmeno dovessero farsi controllare le tonsille e microfono condiviso. Stavano massacrando ‘Kaidoku funo’, una delle musiche dell’anime Code Geass. Sullo sfondo si vedevano Bear che si tappava le orecchie, Nitta che filmava come non ci fosse stato un domani per avere delle prove concrete con cui ricattarli in futuro, Teppei con l’espressione del disgusto più profondo e Hajime che sceglieva la prossima canzone. Yukari aveva la vergogna stampata in faccia, mentre Kumi batteva le mani. Mamoru ricordava fosse stata l’unica ad aver apprezzato davvero quella terribile performance. Lui, infine, era stato in primo piano, con l’espressione da ‘gabbia di matti mode-on’.

‘Condividi la nostra sofferenza! Sveglierebbero anche i morti’

Era stato il messaggio che aveva corredato la fotografia, ma in realtà Mamoru avrebbe voluto scrivergli: ‘vorrei che fossi qui a condividere la nostra sofferenza’. Si era frenato all’ultimo momento, pensando di essere troppo sdolcinato troppo presto, ma dentro la sensazione di mancanza c’era stata tutta, in maniera forse addirittura imprevista per una storia nata da così poco. Il conoscersi da anni stava facendo la differenza con tutte le relazioni che aveva avuto prima, così come la forza di ciò che provava. I suoi sentimenti non erano mai stati tanto travolgenti come con Yuzo. A volte faticava egli stesso a dominarli, sentendosene in balia in prima persona. Soprattutto quando finivano a letto, lì il controllo non esisteva più, e anche se erano stati insieme solo una volta, Mamoru sapeva che sarebbe stato ancora così, lo sarebbe stato sempre. E non sapeva da dove, di preciso, gli nascesse quella certezza, ma se la sentiva camminargli addosso, sotto i vestiti e la pelle, dentro le ossa. Anche quella era una sensazione che non aveva mai provato prima di Yuzo. Ed era fantastica, era una droga.

«Quanto vi hanno fatto vergognare?!» rideva il portiere.

«Anche troppo. Poi abbiamo fatto due passi per la città, ma ci siamo ritirati intorno alle quattro. Hajime e Teppei si sono fermati da me per una birra, prima di tornare a casa. Di solito concludiamo sempre insieme le serate, è diventata una tradizione. Anche se quando eravamo più piccoli la chiudevamo con il tè chai di Pooja-aunty.»

«L’hai nominata anche prima. Chi è?»

«La nostra governante indiana. È con noi più o meno da che sono nato, e cucina un pollo korma da leccarsi il piatto!»

«Adesso mi fai venire fame!» rise Yuzo. «Spero di poterlo assaggiare, un giorno.»

A quella richiesta, Mamoru non trattenne un sorriso ampio e caloroso. «Quando vuoi! Aunty è sempre felice quando si tratta di cucinare!»

«Andrebbe d’accordo con mia madre, allora. Lei è uguale! Ieri, come ogni fine d’anno, ci ha tenuto in cucina a preparare la cena per un reggimento, anche se siamo sempre e solo noi tre. E poi il giorno dopo inizia a elargire avanzi a tutto il vicinato.»

«È con loro che hai visto l’aurora?» chiese, mentre sceglievano di occupare una panchina senza schienale. Era posizionata in un angolo dove le siepi creavano un grazioso e discreto semicerchio. Dal lato opposto, le acque del lago erano placide.

Yuzo si sedette a cavalcioni della pietra bianca, mentre lui prendeva posto a gambe incrociate a mo’ di indiano. L’uno di fronte all’altro, finalmente, per potersi parlare guardandosi sempre negli occhi e magari potersi sfiorare il viso, le mani. Le labbra. Averlo accanto e non poterlo toccare si stava rivelando una tortura davvero difficile da sostenere, assumeva i contorni della sfida e solo per quello cercava di resistere ogni volta, perché odiava perdere.

«No, solo con mio fratello. Mamma è andata a letto molto prima, era stanca. L’hatsuhinode è una tradizione solo mia e di Shuzo. Ci sediamo sul terrazza della nostra camera, beviamo qualcosa di caldo e parliamo un po’ dei nostri progetti per l’anno nuovo. I buoni propositi.»

«E i tuoi, per quest’anno, quali sono?»

Yuzo rispose con un sorriso deciso a quella domanda che aveva posto col tono più insinuante e malizioso tra quelli che sapeva usare.

«Vincere il campionato, mi sembra ovvio.»

«Cosa?! E quello di fare sesso con me ogni volta che è possibile non lo consideri neppure?!»

Il portiere esplose in una risata piena che gli fece arricciare il naso. La sua espressione preferita servita così all’improvviso gli fece saltare un battito tra i mille altri che seguirono più veloci. Una manata vigorosa alla spalla lo spinse via, mentre Yuzo non sembrava volersi fermare.

«Sei un porco!»

«Non sono porco! Sono solo attento alle mie esigenze! E le mie esigenze sono molto semplici, in verità.» Mamoru scivolò sulla superficie della panchina per avvicinarsi, entrare nello spazio tra le gambe del portiere, aperte in maniera invitante e ingenuamente sensuale. Era come se Yuzo l’avesse provocato senza accorgersene, e lui certe occasioni non se le faceva mica scappare dalle mani.

«Ora, per esempio, la mia esigenza è baciarti subito.»

Yuzo si tirò indietro. «Non è sicuro, qui. Siamo nel parco. Già sei stato folle abbastanza da farlo mentre eravamo al tempio!»

«Appunto! Qui c’è ancora meno gente, guardati intorno. Vedi qualcuno nei paraggi? Rilassati.»

«E se arrivassero all’improvviso?»

«Fingerò di essere una ragazza. I capelli lunghi confondono sempre.»

«Una ragazza. Con le spalle che hai. E la gente è tutta miope e senza occhiali, certo.»

«E tu sei un cazzo di polemico, quando ti ci metti.»

Ma prima che il portiere potesse ribattere lo afferrò per la nuca e se lo tirò addosso per chiudere anche l’ultima distanza. Baciarlo con un po’ di prepotenza, rubargli tutte le parole che aveva a disposizione per sussurrargli le sue, silenziose, che non chiedevano altro che di toccarlo di più. La partenza per le rispettive città di adozione calcistica si avvicinava, era solo questione di un paio di giorni e poi non aveva idea di quando si sarebbero rivisti con certezza, anche se avevano iniziato ad abbozzare una specie di ‘piano di battaglia’. Niente dettagli, solo idee, per non cercare di togliersi l’aria a vicenda, per non stringersi troppo in quei lacci che li avevano legati senza preavviso e dentro ai quali ancora guizzavano come pesci nella rete.

I legami troppo stretti l’avevano sempre fatto sentire a disagio, forse perché era abituato a viverli con grande libertà, in famiglia come nelle amicizie e nelle relazioni sentimentali.

Per Yuzo non sapeva come fosse, di preciso, ma una cosa di lui l’aveva iniziata a capire: nei rapporti, Yuzo era tanto squadrato e rigido, quanto lui era astratto e libero. Se ne accorse anche in quel momento, nel sentirlo teso mentre lo baciava, in contrasto con la carezza con cui gli sfiorò il petto: mano sotto il giaccone aperto, palmo completamente su di sé. Percepiva desiderio di lasciarsi andare, essere più di così, concedersi completamente, ma la preoccupazione per il luogo in cui si trovavano lo teneva come un cavallo con le briglie tirate.

Mamoru fece durare quel bacio meno di quanto avrebbe voluto. Scivolò di nuovo indietro sulla panchina.

«D’accordo…» sospirò, fingendosi offeso. «Simulerò di accontentarmi, ma stasera scordati ogni pudore da scolaretta. So che sai farne benissimo a meno,» insinuò con un sorriso obliquo.

«Stasera?»

«Sì. Stasera. Lega il tuo fratello da guardia alla catena e digli che non dormirai a casa. Ho preparato una piccola sorpresa.»

Yuzo sgranò gli occhi. «Addirittura? Che ti sei inventato?»

«Ah, no! Niente da fare. Lo scoprirai quando ti passerò a prendere. Dimmi solo a che ora e sarò lì.»

«Be’… non saprei… per le otto, va bene?» Il portiere sorrideva con un certo imbarazzo, non si era aspettato una simile proposta ed era proprio quello che Mamoru aveva sperato: sorprenderlo.

«Perfetto.»

«Ma… devo indossare qualcosa di particolare?»

«No, nudo andrai benissimo.»

«Oh, vedo che anche tu hai messo su dei propositi proprio buoni per quest’anno.»

«I migliori di sempre.»

Yuzo rise, scuotendo il capo e piantandosi a braccia conserte. Il viso rivolto al lago. Lui ne seguì il profilo con gli occhi, soffermandosi su tutte quelle irregolarità che l’avevano sempre affascinato e reso una bellezza particolare, che poteva facilmente spiccare tra le altre, ma a Yuzo di spiccare non era mai importato granché. A lui importava fare bene, qualsiasi cosa fosse stata. Farla al meglio delle sue possibilità, senza sfoggi puramente egocentrici. Anche quell’umiltà aveva fatto centro con lui, che invece aveva sempre avuto un’attitudine alla leadership, al mostrarsi apertamente in tutte le sue abilità, al dominare. Che fosse l’avversario, che fosse il partner. La propria sicurezza l’aveva sempre messo in una posizione in cui primeggiare gli veniva naturale, e il fatto che Yuzo, per imporsi alla sua attenzione, non avesse dovuto fare praticamente nulla era stato un colpo non facile da digerire, quando si era fermato a rifletterci.

Trattenendo un sospiro seguì il suo sguardo verso il lago. L’azzurro del cielo si rifletteva sulle acque, assieme alle chiome dei cedri. Tremolavano appena quando la superficie veniva increspata dal guizzare delle carpe sotto il pelo.

«La tua valigia è pronta?» Yuzo lo domandò d’un tratto e Mamoru si accorse che non c’era più il sorriso rilassato di qualche istante prima, quanto un’espressione pensierosa; gli aggrottava appena le sopracciglia. «La mia lo è già da due giorni.»

«Ti starai mica portando dietro tutta casa?»

«No, sono in dormitorio, ho solo una stanza!» Yuzo inarcò un sopracciglio, scoccandogli un’occhiata ironica. «Non sono certo io quello che si è preso un appartamento nel quartiere chic di Yokohama.»

«Ho bisogno dei miei spazi.»

«Quanto sei snob. Avresti potuto stare per un po’ con i tuoi compagni, almeno per iniziare a legare.»

«Legheremo lo stesso.»

Mamoru non era disposto a dargliela vinta, né a sbottonarsi in spiegazioni troppo precise. Yuzo ancora non conosceva bene quanto preponderante fosse il suo spirito d’indipendenza, la necessità di slegarsi da ogni controllo non necessario. I suoi genitori non l’avevano mai chiuso in gabbia, fin da quando era bambino, ma l’avevano dato in pasto al mondo affinché si abituasse alle sue dimensioni pantagrueliche senza sentirsi perduto. Se da un lato questo atteggiamento aveva sviluppato la sua sicurezza e confidenza, dall’altro aveva fatto germogliare un’insofferenza drastica per ogni forma di controllo: vivere nel dormitorio gli dava l’idea che degli estranei volessero sorvegliare la sua vita al di fuori dello sport, i comportamenti che sceglieva di adottare. Era una cosa che non era disposto a cedere a nessuno e per nessun motivo: la sua libertà era sacra, lo spirito che lo rendeva ‘Mamoru Izawa’, il suo ‘io’ non avrebbero avuto padroni all’infuori di sé stesso, non si sarebbero piegati fino a soffrire in una vita da reclusi.

«Però, sì… anche la mia valigia è pronta,» ammise infine, lasciando che un po’ di malinconia velasse anche lui.

«I tuoi come la stanno prendendo?»

«Mah, non se ne fanno un problema, sono abituati ai rapporti a distanza, al viaggiare, al separarsi in fretta dagli affetti.» Subito sollevò le mani per non essere frainteso. «Non sto dicendo che non gliene frega niente, è solo che per loro è normale che io me ne vada per dedicarmi al mio futuro. A prescindere, se non avessi preso la via calcistica del professionismo, mi avrebbero sbattuto fuori a pedate già alla fine del liceo.»

Mamoru era consapevole di quanto i suoi genitori fossero tipi molto poco ‘giapponesi’ per colpa o per fortuna – a seconda dei punti di vista e delle situazioni – del lavoro che facevano. E le voci degli altri genitori che definivano gli Izawa come troppo libertini e ‘promiscui’, inadatti al ruolo genitoriale, irresponsabili, fin dai dei tempi delle elementari non le aveva mai potute dimenticare. Crescendo, aveva semplicemente imparato a comprendere che di quello che pensavano gli altri non gliene fregava niente e che lo spirito indomabile della sua famiglia l’aveva ereditato tutto, anche con gli interessi. E ne era orgoglioso.

Quando vide Yuzo ridere sulla sua ultima frase rilassò un po’ la tensione nelle spalle. Le loro famiglie erano davvero molto diverse, legate a principi che sembravano distanti anni luce, e quindi aveva temuto che anche Yuzo potesse mal interpretare o guardare con sospetto a certe sue affermazioni. Invece, ancora una volta, il suo portiere si stava dimostrando sempre diverso da ogni aspettativa.

«E i tuoi?» chiese poi, rilassandosi ancora di più.

Yuzo sospirò.

«Mamma sta sempre a rassicurarmi sul fatto che ‘impegnati, studia, lavora sodo, ma ricorda anche di divertirti, ti farai un sacco di amici, casa non ti mancherà’, ma in verità credo che stia solo rassicurando sé stessa.»

La stessa aura malinconica di poco prima era tornata alla carica. La separazione, per lui, era più difficile. Non ne faceva un dramma, ma ci pensava. Pensava a ogni conseguenza e disagio che avrebbe portato. Diverso fu invece lo sguardo quando parlò di suo padre: Yuzo si era fatto più serio, se non proprio dispiaciuto.

«Con papà ci vediamo poco già adesso, è sempre impegnato con il lavoro. Lui è molto entusiasta, non fa che darmi incoraggiamenti e pacche sulle spalle. Credo pensi sia ciò di cui abbia bisogno da lui: entusiasmo.»

«E non è così? Non ti piace che lui sia galvanizzato all’idea anche per te?»

«Non è quello, solo che…»

«Cos’è che vorresti da tuo padre?»

«Che mi abbracciasse.»

«Solo?»

«Sì. Mi basterebbe per capire anche tutto quello che non mi dice.» Lo affermò con una serietà che lo colpì, inaspettata per quanto era decisa; gli ricordò certi atteggiamenti avuti durante la notte di Natale, quando la sbronza gli aveva dato tutta la sicurezza di cui aveva avuto bisogno per parlare a ruota libera. La fermezza che aveva usato era stata molto simile, ma non ebbe modo di aggiungere altro perché Yuzo domandò: «E il tuo fratellino?»

Mamoru pensò che non fosse un argomento di cui Yuzo parlava volentieri, e visto che anche lui aveva evitato certi discorsi troppo personali, preferì stare al cambio di tono.

«Sen?! A stento si accorgerà che non sono in casa, ci scommetto quello che vuoi. Sta sempre chiuso in camera sua, l’unica verso cui dimostra una chiara apertura è Pooja. Io e i miei genitori siamo un ‘contorno rumoroso’ alla sua vita.»

«Che esagerato!» esclamò Yuzo dandogli un’altra manata alla spalla. Mamoru l’accettò con gioia; qualsiasi cosa potesse metterli in contatto era benedetta per lui. «Scommetto che non sarà affatto così; magari vuole fartelo credere, ma quando si ritroverà da solo, si sentirà molto triste. Che è anche ciò che temo per Shuzo,» sospirò il portiere. Il viso sollevato al cielo limpido sopra di loro. «Lui rimarrà a Nankatsu a terminare l’ultimo anno, visto che ne ha perso uno. Se da un lato sono contento, così mamma non si troverà privata di tutti e due in un colpo solo, dall’altro… penso che questa sarà la prima volta che vivremo separati per più di una settimana. Dopo che abbiamo sempre fatto tutto più o meno insieme, condiviso la stanza per diciotto anni… non saprà che farsene di tutto quello spazio,» concluse con un sorriso.

Lui sogghignò, per nulla sorpreso nello scoprire che quel buzzurro fosse anche una capra a scuola. Per tutti gli dèi, ma come potevano due gemelli essere così uguali nell’aspetto ed essere allo stesso tempo così diversi?!

«E non si farà venire le crisi mistiche per non poterti controllare a vista?»

«Oh, sì. Ne sono sicuro. Mi tartasserà di telefonate, ma alla fine so che quello che ne risentirà di più, tra noi, sarà lui.»

Mamoru osservò come Yuzo scuotesse il capo, ma lo sguardo si velasse anche di una reale preoccupazione.

«Gli vuoi molto bene, vero?»

Yuzo non trattenne un sorriso. Uno bello e sincero, pieno di calore, che a volte gli aveva visto rivolgere ai compagni di squadra come Taro o Genzo. Quelli, insomma, con cui aveva legato di più. Era un sorriso d’affetto.

«Lo adoro,» disse, disarmandolo con la sua genuinità. «Anche a dispetto del carattere a volte terribile e del fatto che gli auguro d’essere rapito dagli alieni. La verità è che se non lo avessi attorno mi sentirei perduto. La mia famiglia è importante per me…»

E niente, gli erano bastate, per l’ennesima volta, poche e semplici parole per stringere un’altra corda tra di loro. Mamoru la sentì scivolare attorno al cuore. Yuzo era una continua scoperta che non avrebbe voluto mai terminare, una continua sorpresa da scartare poco alla volta, giorno dopo giorno. Se solo non fossero dovuti partire per città diverse, avrebbe cercato di fare di tutto per recuperare quegli anni perduti, ma il tempo dell’adolescenza era ormai quasi scaduto e a lui non sarebbe rimasto che dilazionare questo recupero in ogni istante a loro disposizione. A partire già da quello, momento perfetto per sfiorargli il viso e dirgli quanto lo trovasse dolce e apprezzasse il rispetto e l’amore che nutriva verso la propria famiglia. Ma nel momento in cui fece per appoggiargli la mano sulla guancia, delle risate improvvise interruppero la solitudine che si erano ricavati, facendo spuntare due ragazzini, suppergiù delle elementari, da dietro la siepe; correvano sul bordo del lago.

Yuzo si ritirò per istinto, allontanando bruscamente la sua mano con un gesto spaventato. Mamoru rimase ferito e sorpreso da una simile forza di reazione.

I bambini, invece, si bloccarono di colpo quando li videro, e si ammutolirono. Forse imbarazzati dalla confusione che stavano facendo. Si profusero in un inchino di scuse e ripresero a camminare e ridere. L’attimo dopo, spuntarono anche i genitori, che ripresero bonariamente i bambini ormai già sgusciati via, e poi salutarono nella loro direzione.

Yuzo rispose con un cenno del capo, lui sorrise. Ma sulle labbra la smorfia aveva una curva amara.

«C’è mancato poco…» sospirò il portiere, non appena genitori e figli furono spariti alla loro vista.

«Ma che ti è preso?»

Yuzo gli rivolse un’occhiata perplessa. «Che vuoi dire?»

«La tua reazione.»

«Per poco non ci vedevano!»

«Volevo solo toccarti il viso, non farti una sega. Che male c’è?»

Il portiere distolse lo sguardo, passandosi una mano tra i capelli corti con un certo nervosismo.

«Niente, ma avrebbero potuto intuire qualcosa e-»

«Nessuno avrebbe intuito nulla. Avresti anche potuto avere un moscerino in faccia e io te lo stavo togliendo.»

«Mi hanno colto di sorpresa.»

Lui osservò come tenesse lo sguardo distante, pareva fossero tornati a quando erano a scuola e tra loro c’era quel dannato clima da ‘Guerra Fredda’. Yuzo non lo guardava mai negli occhi, in quel periodo, e lui non voleva si tornasse così indietro dopo l’enorme balzo che avevano fatto. Sospirò, stemperando l’iniziale durezza. Gli toccò il ginocchio quasi senza pensare; imprescindibile per lui, ormai, non mettergli le mani addosso in qualche modo. Vedere che non si ritrasse fu un buon segno, ma lo sguardo non l’alzò comunque.

«Credo che dovremmo parlare di questa cosa.»

«E che c’è da dire?»

«Be’, non so, mi hai allontanato come fossi uno che ti stava rompendo le palle, fai un po’ tu.»

«Mi… mi dispiace, è stata una reazione istintiva, non volevo offenderti.» Yuzo infossò la testa tra le spalle. «Non sono così sicuro di me stesso come lo sei tu, non riesco a reagire con la stessa prontezza. E non sono neppure così bravo a fingere disinvoltura quando mi sento ‘scoperto’, ecco. Cazzo, lo hai visto anche tu…» Il portiere gli lanciò una mezza occhiata veloce e Mamoru capì subito che si stava riferendo alla famosa notte di Natale. L’immagine di Yuzo che si svegliava di colpo e cominciava a balbettare e poi precipitava giù dal letto gli strappò una risata involontaria.

«Capisco quello che vuoi dire, ma dovresti rilassarti di più, non hanno ancora aperto la caccia ai gay, qui in Giappone, per fortuna.»

Yuzo scrollò il capo. «È un discorso più complesso di così… Quello che ho con te mi fa impazzire, l’ho desiderato per anni, ma se non stiamo attenti…»

«Forse dovremmo fare anche noi dei buoni propositi per quest’anno appena arrivato.»

Yuzo inarcò un sopracciglio. «Del tipo?»

«Del tipo che dovresti preoccuparti di meno degli altri e più di te stesso. La gente parla, parla sempre e continuerà a farlo in qualsiasi occasione; se ne frega di come ti comporterai e non è giusto che tu debba farti condizionare la vita da quello che pensano quattro idioti che neppure ti conoscono.» Mamoru allargò le braccia, tracciò ampi cerchi nell’aria. «Prendi l’iniziativa, sii te stesso, vivi quello che abbiamo. Se davvero ti fa impazzire come dici… vivilo di più. Più che puoi. Fai esplodere la supernova.»

«La… supernova?»

«Sì.» Gli poggiò una mano sul petto, lo guardò dritto negli occhi. «La supernova.»

Perché Mamoru glielo aveva letto nel fondo delle iridi nocciola la notte di Natale, quando l’alcool aveva sciolto ogni sua inibizione e timore: c’era qualcosa di meraviglioso dentro al portiere che giaceva ingabbiato nel rigore sociale in cui vivevano, e che a modo suo e lentamente stava soffocando una parte di lui, una parte bellissima. C’era una stella sul punto di esplodere e che avrebbe sparso le sue polveri nell’universo, in ventagli di colore che l’occhio umano non aveva mai immaginato.

La supernova era lì, aspettava.

Anche lui ne aveva una che stava aspettando solo di poter entrare nel professionismo per fare il suo bang finale, mostrare tutto quello che aveva, tutto quello che era. Quella di Yuzo stava fremendo più della sua e lui non vedeva l’ora di assistere allo spettacolo più bello dell’universo.

Il portiere parve pensarci, abbassare con insicurezza lo sguardo su quella mano che gli teneva poggiata ancora sul petto e prendere un respiro in profondità che Mamoru sentì, nel sollevarsi del petto, venire strozzato da quei maledetti limiti di cui non sapeva liberarsi.

 

Prendere l’iniziativa.

Yuzo sapeva di essere ancora piuttosto incerto nel suo rapporto con Mamoru, perché era qualcosa di enorme che manteneva i contorni di un sogno creduto talmente irrealizzabile, che ora che ce l’aveva tra le mani non sapeva bene cosa fare. Non importava averci fantasticato per anni, nella fantasia tutto sembrava sempre più facile. Inoltre, avvertiva che Mamoru gli fosse avanti anni luce. Anche da come parlava, dalla sicurezza di sé che aveva. In autostima lui non aveva mai brillato, ogni volta che voleva mostrarsi e agire in maniera decisiva faceva danno. Il fatto che Mamoru avesse scelto lui gli risultava ancora incredibile quanto assurdo e l’idea di fare il primo passo in qualcosa gli faceva temere di essere inopportuno, di aver scelto il momento sbagliato. E poi non era mai stato bravo a nascondere le proprie intenzioni quando veniva sgamato. Non aveva la faccia di bronzo di suo fratello: lui, quando voleva nascondere qualcosa, glielo si leggeva in faccia. Con tanto di sottotitoli in trentadue lingue. Ma era anche consapevole di non poter restare troppo a lungo bloccato nelle proprie incertezze: un tipo come Mamoru, così abituato a guardare sempre avanti, avrebbe potuto stancarsi dei suoi timori, mal interpretarli e prenderli per disinteresse.

Il sogno irrealizzabile avrebbe potuto infrangersi.

E lui non voleva. In nessun modo.

Ma dall’altra parte c’era anche la paura di venire scoperti, di mettere in pericolo la reputazione della propria famiglia a farlo essere prudente. A volte fin troppo.

L’aveva detto che il discorso era molto più complesso di come appariva.

«Ehi.»

Yuzo vide Mamoru ritrarre la mano che gli aveva tenuto sul petto e sollevò lo sguardo.

Il centrocampista aveva quella virgola di sorriso che gli tirava l’angolino della bocca. Lo rendeva così desiderabile che anche lui avrebbe voluto toccarlo apertamente, senza alcun timore, baciarlo con trasporto proprio lì, su quella panchina, accarezzargli i capelli, il viso.

«Non devi mica pensare a tutto adesso. Non volevo trascorrere questo poco tempo a rimuginare sui problemi esistenziali. Tanto ne possiamo parlare anche stasera, se vorrai. Magari tra un pompino e l’altro.»

«Ecco! Lo vedi che sei un porco?»

«Fieramente libertino. Grazie, prego,» rise Mamoru, mentre si chinava a ripescare qualcosa dalla borsa che aveva abbandonato ai piedi della panchina. Ne cavò un pacchetto squadrato.

«So che Natale è passato e che, insomma, il mio regalo l’ho già avuto, scartato e divorato proprio il 25 dicembre, ma… be’, volevo che avessi qualcosa di mio una volta partito per Shimizu-ku.»

Yuzo sgranò gli occhi con sorpresa davanti a quel pacchetto che ora Mamoru gli stava porgendo, con il capo leggermente inclinato di lato. Alzò gli occhi sul viso del centrocampista e non aveva la minima idea dell’espressione che stava facendo.

«Grazie…» disse solo, prendendo il presente. Lo scartò in fretta, roso dalla curiosità per l’ennesima cosa inaspettata da quando lui e Mamoru stavano insieme. E quando il quaderno nero comparve con la scritta ‘be the best’ color arancio evidenziatore stampata sulla copertina, la sua sorpresa si trasformò in un entusiasmante sorriso che arrivò a snudargli i denti. Una penna a sfera era infilata tra gli anellini che rilegavano le pagine.

Incredulo, alzò lo sguardo su Mamoru che, ora, aveva il viso affondato nella mano ed ebbe la certezza che non doveva avergli tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo.

«È fin dai tempi della scuola che ti vedo sempre intento ad appuntare chissà cosa. In classe, negli spogliatoi. Anche durante il ritiro per il World Youth.» Mamoru accentuò il sorriso. «Mi sono sempre domandato che cosa scrivessi con tanto interesse e impegno, e allora ho pensato… che magari avresti avuto bisogno di un nuovo quaderno per Shimizu-ku. Così, quando ti appunterai le tattiche della S-Pulse, mi penserai e le condividerai con me.»

«Scordatelo!»

Mamoru sghignazzò, alzando entrambe le mani. «Ci ho provato!»

Sfogliando le pagine bianche e pronte per essere riempite di annotazioni e pensieri, Yuzo arrivò alla prima, dove una scritta a penna portava, sul fondo, la firma di Mamoru: ‘In bocca al lupo, portiere’.

«È bellissimo, grazie.»

«E’ solo un pensiero e fa un po’ retrò…»

«Io adoro le cose retrò!»

«L’avevo immaginato.» Poi soggiunse: «Mi farai mai leggere cosa ci scriverai?»

Lui sollevò il mento, richiudendo il quaderno con altezzosità. «Chissà. Magari sono dei segreti.»

«Se ci scrivi qualcosa di porno, pretendo di leggerlo… e magari di applicarlo pure!»

«Quello non ho bisogno di scriverlo, è già fin troppo chiaro così!»

Risero ancora e alla fine fu lui a infilare la mano nella tasca del giaccone per cavarne un pacchetto. Più piccolo di quello ricevuto, ma ugualmente squadrato. Lo porse a Mamoru, osservando come un sorriso entusiasta gli illuminasse gli occhi.

«…credo che abbiamo avuto la stessa idea.» Si strinse nelle spalle. «Tu hai anche compiuto gli anni da poco. Ci tenevo a farti un regalo.»

«Adoro i regali, sappilo!» rise Mamoru, scartandolo con avidità e aprendosi in un’espressione di pura sorpresa.

«So che esiste una App per ogni occasione: Google Maps, Trip Advisor… ma, dopotutto, io sono retrò, no?»

«Be’, una guida di Yokohama City mi servirà di sicuro, almeno per i primi tempi.»

«Non è una guida qualunque…» Yuzo si passò una mano nei capelli corti, mentre Mamoru apriva il piccolo tascabile e sgranava gli occhi di fronte a tutta una serie di note e appunti scritti a mano. «Era mia. Sono stato spesso a Yokohama, ho degli zii lì. Ho comprato quella guida la prima volta che ci sono andato e a ogni ritorno ho appuntato qualcosa di bello che valeva la pena di essere visto, o posti in cui valeva la pena di andare a mangiare.»

«Ma è fantastica, Yuzo. Ci sono una quantità assurda di notizie…»

«Almeno questa, se il cell dovesse scaricarsi, non ti lascerebbe a piedi.»

Mamoru alzò lo sguardo dalla guida per incatenarlo con un’occhiata penetrante che gli provocò un brivido lungo la schiena.

«Come se tu fossi con me e mi accompagnassi per la città.»

Lui arrossì. «Spero ti piaccia.»

«Da morire. La porterò sempre con me nel borsone.»

E non seppe cosa lo spinse, di preciso, tra il sapere di avergli fatto un regalo gradito, il regalo che aveva ricevuto che dimostrava enorme attenzione da parte di Mamoru o le parole che si erano detti prima e la voglia di dimostrargli di voler essere davvero più di così, di volergli dare tutto, ma Yuzo non pensò né al luogo in cui si trovavano né alla gente che sarebbe potuta comparire. Si sporse e lo baciò senza neppure guardarsi attorno.

Forse era stato solo questo, dopotutto: la voglia atroce che aveva avuto di baciarlo. Una voglia a volte così forte da fare male.

«Era proprio questo che intendevo, portiere…» sussurrò Mamoru sulle sue labbra.

«Imparo piuttosto in fretta…»

«Ottimo, ma che ne dici di ripetere la lezione? Così vedo se l’hai capita bene…»

Gli sfuggì un sorriso di sfida prima di baciarlo ancora, più a fondo, toccargli il viso freddo con le sue mani sempre calde, e, per una volta, dimenticarsi del mondo che aveva attorno per vivere fino in fondo quel meraviglioso sogno irrealizzabile.

 

«Dici che smetterà?»

«Mah, la vedo dura.»

«Tra un po’ gli si rizza anche il pelo.»

«Mi pareva che i capelli si stessero sollevando. E io che l’avevo preso per un Super Saiyan.»

«Considerando l’aura negativa che sta emanando…»

Un paio di sghignazzate e lui si spazientì, pur senza distogliere lo sguardo di un solo millimetro da ciò che stava fissando con la morbosità del maniaco. Omicida, in questo caso.

«Se non la piantate, vi stacco le palle a mani nude.»

«Oh, be’. Almeno hai smesso di ringhiare, Shuzo.»

«Pensavamo di doverti raccogliere la bava, tra un po’.»

Appostati come falchi in posizione strategica e in alto il giusto per poter osservare senza essere visti, perché filtrati dagli alberi che facevano barriera naturale e discreta a piccoli momenti di intimità, Masa e Ryuchi facevano da ali al predatore. Cioè lui. Predatore che aveva la preda puntata da più di un’ora e non l’aveva mollata mezzo secondo. E come poteva? Bastava distrarsi un attimo e quella feccia capelluta allungava le mani.

«Fate silenzio, non potete capire, cazzo!» Si spazientì degli stupidi commenti dei suoi amici. Allungò il braccio verso il disgustoso panorama in cui il dannato essere immondo faceva un’ispezione orale al suo fratellino. «Guardate… guardate quella fottuta piovra come sta allungando le mani su Yuzo! Bastardo d’un Izawa tentacolare! Fottuto… Ottomano depravato! Cazzo, la voglia che ho spezzargli le dita con uno schiaccianoci! Cazzo, la voglia!»

Masa sospirò. «Guarda, non vorrei fare il guastafeste del tuo odio, ma è stato tuo fratello a baciarlo per primo, eh.»

«E con questo?!» Si volse di scatto, gli occhi che lanciavano Raggi Gamma. «Quell’idiota d’un porco avrebbe dovuto rifiutare!»

«Seee, e gli asini fanno ‘beee’

«Poi, come non capirlo tuo fratello,» intervenne Ryuchi, dall’altro lato. «Voglio dire, io una ripassata da quello lì me la farei dare a occhi bendati e all’incontrario.»

«Ben detto.»

«Sempre saputo che mi sarei dovuto dedicare a qualche sport.»

Lui sgranò gli occhi così tanto che per poco non gli partirono fuori dalle orbite. «Farsi ripassare da quello lì?! Ma che gusti di merda avete?!»

«Sei tu che sei solo accecato dalla tua gelosia assurda. Per tutti gli dèi, vuoi far vivere in pace quel povero martire di Yuzo?! Piantala di far scappare tutti i ragazzi che ti presenta! Io ti avrei già fatto fuori, dannazione!»

«Io la smetterei se non mi portasse a casa degli imbecilli. Ma come cavolo fa a sceglierli, cazzo?! Tutti lui, oh! Tutti che vogliono una sola, fottuta cosa!»

Ryuchi assottigliò lo sguardo, guardandosi distrattamente la mano. «Che in teoria ha anche già avuto, non è vero?»

«Non ricordarmelo.» Lui sprofondò il viso in una mano.

Quando era tornato a casa dal ritiro con la Nazionale, suo fratello gli era sembrato completamente perso: non gli aveva mai visto un’espressione più ebete e felice stampata in faccia, tanto da preoccuparsi. Rideva per la più piccola stronzata, sembrava sempre con la testa fra le nuvole. Aveva capito subito che doveva essere successo qualcosa di importante. Oh, era suo fratello e non era cieco. Ci aveva messo poco a farlo confessare.

Gli era salita la bile fino alla punta dei capelli.

Cazzo, si distraeva un attimo e PAM! Gli impalavano il fratello!

E proprio quello lì! Quel Mamoru Izawa!

L’odiato, l’infame. Ma che credeva? Che non sapesse le cose, forse? Tra medie e liceo aveva dato il tormento a Yuzo e adesso, di punto in bianco, veniva fuori che invece gli stava facendo il filo? E che cazzo di modi di rimorchiare erano quelli? Era solo uno cui piaceva parlare perché innamorato della propria voce, e presto gli avrebbe fatto trovare la strada per Affanculo, secondo svincolo dopo Ticimandoacalci e preceduto da Sullegengive.

Non si sarebbe fatto mettere da parte dall’ennesimo belloccio che voleva fare lo splendido con suo fratello. Come tutti gli altri lo avrebbe fatto scappare a gambe levate, mostrando a Yuzo di essere solo una fighetta dalle belle chiacchiere, ma non valere niente nella sostanza. E suo fratello si meritava più di così, molto di più.

«Shuzo, e quando uno di loro non sarà considerato imbecille? Andiamo, il tuo solo è solo puntiglio. Non te ne andrà bene mai nessuno.»

Sbuffò Masa, affondando il viso in una mano e guardandolo di traverso.

«Eccerto! Voglio solo il meglio per mio fratello, non il primo troglodita dalle mani lunghe che passa per caso. E poi non mi fido di quello, fino a poco tempo fa lo odiava e ora? D’improvviso è tutto love-love? Naaah, non la bevo, c’è qualcosa sotto e io lo scoprirò e dopo potrà pure scavarsi la fossa. Una bella profonda.»

«Sarà, ma in questo momento stiamo ancora qui a stalkerare Yuzo.»

«Io mi sento un po’ un voyeur,» ridacchiò Ryuchi. «Non che mi dispiaccia, eh. I soggetti meritano.»

«Cazzo hai detto?!»

Si girò come una belva, afferrando Ryuchi per il bavero del giaccone. Lo strattonò così forte da fargli scivolare dalla testa il cappuccio.

«Dai! Dai! Stavo scherzando!» Cercò di difendersi il giovane, alzando le mani in segno di resa. «Per gli dèi, che modi…»

«Rilassati, Shuzo, tanto tra poco tuo fratello partirà, no?»

«Sì…» borbottò, lasciando andare il povero Ryuchi che tornò a tirarsi su il cappuccio. Lui aveva sempre il broncio spiacevole marcato sul viso e il pessimo umore. Erano giorni che non riusciva a scrollarselo di dosso, quel fastidio; se n’era accorta anche sua madre. Gli aveva dato due vigorosi e allegri schiaffoni al viso con entrambe le mani e gli aveva detto che il broncio non si addiceva mica al Natale. Ma sua madre non poteva certo sapere perché avesse quell’espressione da Grinch tatuata in faccia, povera donna.

Spostò di nuovo lo sguardo su Yuzo e l’odiato Izawa. Parlavano fitto fitto, ridevano, sempre troppo vicini, per i suoi gusti. E l’ottomano che approfittava di ogni occasione per toccare suo fratello?! I nervi. I nervi a fior di pelle. Gliele avrebbe fatte cadere quelle mani, gliele avrebbe tranciate via. A morsi. Cazzo.

«Non è detto che debbano essere rose…»

A quell’insinuazione di Masa, Shuzo si volse, inarcando un sopracciglio, ora interessato alle chiacchiere futili dei suoi compagni di scuola. Anche loro avevano perso un anno e stavano recuperando: scemo uno, scemi tutti era un po’ il motto mai deciso, ma applicato alla lettera. Non che per lui avesse mai fatto tanta differenza andare bene a scuola, visto che non gli interessava, non si sentiva stimolato: era solo un automatico eseguire una serie di passi sempre uguali per arrivare a un obiettivo scontato e prefisso, cui sarebbe seguito un altro obiettivo prefisso preceduto da altro passi regolari e prestabiliti. Anche no, grazie.

«Che vorresti dire?»

«Be’, non giocheranno nella stessa squadra, saranno distanti… può succedere di tutto in una relazione a distanza, mica è facile. Se ci sono difetti, puoi star sicuro che verranno tutti a galla, uno dietro l’altro.» Masa sollevò le spalle. «Problema risolto. Anche senza dover mutilare gente random.»

Lui ci pensò un po’, nella mente si aprirono diversi scenari più o meno conflittuali, più o meno apocalittici. La fighetta avrebbe dimostrato d’esser troppo fighetta per potersi imbarcare in qualcosa di serio e suo fratello l’avrebbe sfanculato; per la sua gioia. Tutto sarebbe tornato a posto. Solo per un istante il pensiero di Yuzo che ne rimaneva ferito fece capolino, ma subito lo scacciò con una mano, balzando in piedi. Se quel cane avesse spezzato il cuore a suo fratello, ci avrebbe pensato lui a prendersene cura, come sempre – e a spezzare qualcosa a quel cane, giusto per gradire.

«E hai ragione!» esclamò, girando attorno alla panchina. Non aveva bisogno di preoccuparsi troppo: il tempo e la separazione sarebbero stati degli ottimi alleati naturali; lui, magari, ci avrebbe messo anche del suo, giusto per ribadire. Dopotutto, gli sarebbe bastato davvero poco, visti i progetti che aveva in mente. Sogghignò, passandosi entrambe le mani nei capelli arcobaleno che brillavano di mille riflessi sotto al primo sole dell’anno. «Come dicono gli italiani: ‘ra ronutananuza sai è come iru venuto, che fa dimenuticare chi nonu si ama!’”

Canticchiò, agitando gli indici nell’aria, come stesse dirigendo un’orchestra immaginaria.

«Eccolo che riattacca,» borbottò Masa alla sue spalle. «Ma le conosce tutte lui ‘ste canzoni astruse?»

«Ma che ne so!»

«Volete darvi una mossa, voi due? Mi è tornato il buon umore! Andiamo a bere qualcosa, offro io!»

Lo stalking era finito. Per adesso.

 

Sen aveva salutato i suoi amici da una decina di minuti, ma stava ancora messaggiando con loro, mentre camminava per le strade di Nankatsu, diretto verso casa. La testa china sullo schermo del cellulare e l’abilità quasi magica di riuscire a scansare ogni ostacolo gli si piazzasse sulla strada, nemmeno avesse dei sensori che lo avvisavano in anticipo.

Della gente non gli importava nulla, il tempo a sua disposizione preferiva dedicarlo solo alle persone che decideva lui: perché sprecarlo con chi non ne valeva la pena? Mica ne aveva così tanto da poterlo buttare via in chiacchiere inutili con gente altrettanto inutile. Lui aveva ampiamente definito i confini del suo mondo in pochi e ben visibili; la visione ampia di suo fratello gli metteva ansia: era troppo estesa, piena di cose… e lui non sapeva gestire tutta quella confusione, quell’insieme di impegni, obiettivi, opportunità, persone. Relazioni.

Sen i suoi amici se li sceglieva con attenzione: pochi, ma buoni.

Sen gli obiettivi li metteva in riga come soldatini: uno alla volta, senza accavallarli o si sarebbe perso.

Sen non sopportava il vizio di suo fratello di prenderlo in giro continuamente, criticarlo per ciò che non faceva e mettere in mostra sé stesso praticamente sempre. Gridare tutto ciò che era, ciò che faceva, ciò che poteva. Lui era un sussurratore.

Chiuso nei confini del suo mondo riassumibili nelle mura della sua stanza, Sen sussurrava ogni cosa senza fare rumore. Lasciava che rimbalzassero sulle pareti della camera e rimanessero fluttuanti nel volume di quel cubo, al sicuro. Tanto nessuno entrava mai e, se capitava, erano troppo abituati a gridare tutti piuttosto che ascoltare.

‘Ah! Una cosa!’ stava scrivendo nella chat comune di WhatsApp. ‘Ma che vuol dire secondo voi ‘bombare’?’

I messaggi di risposta si susseguirono a raffica.

‘Bombare?!’

‘Cioè che fai una bomba?!’

‘Vai a cagare, Shota!’

‘Vai a cagare tu!’

Sen ridacchiò, digitando in fretta sulla tastiera touch. ‘Dai, serio. Voi l’avete mai sentito?’

‘Chi te lo ha detto?’

‘Il tizio con i capelli assurdi. Parlava con mio fratello. Ha detto una cosa tipo: ‘sei quello che si bomba mio fratello’. Cioè l’altro ragazzo, quello simpatico.’

‘Oh! Quello con i capelli colorati è fighissimo! Ma chi è?!’

‘Il fratello dell’amico di mio fratello. Sono pure gemelli!’

‘Sen, ma lo diceva scherzando? Tipo, battuta o presa in giro?’

Sen inarcò un sopracciglio alla domanda di Kaede. Ci pensò un po’. ‘No. Mi pareva pure troppo serio. Pensavo volesse picchiare Mamoru.’

‘Addirittura! Che figata!’

‘Shota, cazzo! Vuoi stare zitto?!’

‘Ma tu sai che vuol dire, Kaede?’

Sen osservò la scritta ‘Kaede sta scrivendo…’ con interesse, mentre nella chat si sviluppava uno stupido battibecco tra Nobu e Shota su chi fosse più scemo. A lui la frase di quello con i capelli colorati era rimasta impressa, soprattutto per la reazione di Mamoru. Diciamo che tutto quel tipo gli era rimasto impresso: era proprio ‘strano’, impossibile che non balzasse agli occhi. Così lontano dalle persone che frequentava Mamoru, e se pensava che era fratello di quello che si chiamava Yuzo gli pareva incredibile. A lui, Yuzo-nii era sembrato proprio gentile. Cosa rara, visto che pochi amici di Mamoru gli avevano fatto una buona impressione. In tanti anni, aveva salvato solo Bear e Taro. Ryo era un idiota, Hajime gridava la propria autostima esattamente come suo fratello, Teppei era troppo snob.

Quello Yuzo, invece, non ricordava di averlo mai visto prima, ma era diverso dagli standard di Mamoru. Aveva un bel sorriso, ispirava fiducia.

‘L’ho sentito usare da alcuni ragazzi più grandi. Se non ho capito male, significa fare sesso.’

Sen lesse il messaggio di Kaede almeno due volte e avvertì una vampa di rosso arrivargli fino alle orecchie.

‘Sesso?! SESSO?!?!?!!??’

‘Wow… Sen, tuo fratello fa le cose con un altro ragazzo?’

‘Ma si possono fare le cose tra maschi?! DAVVERO?!’

Lui non seppe che rispondere alla sorpresa di Nobu e Shota. Sapeva cosa voleva dire ‘fare sesso’, anche se non l’aveva mai fatto. Era una cosa che riguardava gli adulti, o comunque i maschi e le femmine. Ma non i maschi e i maschi. Giusto?

Secondo i suoi genitori, suo fratello era adulto già da un po’, l’avevano detto spesso, quindi non era troppo sorpreso che Mamoru facesse certe cose. Considerando poi tutte le volte che si era portato delle ragazze a casa, solo dopo aveva capito perché le facesse venire quando non c’erano i suoi genitori, e le facesse salire in camera di nascosto da Pooja-aunty.

Ma con un ragazzo?

Con quel ragazzo?

Ora capiva perché quello con i capelli colorati aveva avuto un atteggiamento aggressivo. Doveva essere di certo una cosa brutta, altrimenti mica si sarebbe dovuto arrabbiare…

‘Boh. Non ci sto capendo niente, raga.’

‘Informati! Sono curioso!’

‘Ma non ci penso proprio, scemo! Informati tu!’

‘Dai! Non essere noioso! Tu non vuoi saperlo se si può fare tra maschi?!’

‘Non me ne importa niente! Non sono affari miei! Volevo solo sapere che significava!’

‘Ti vergoooogniiii!’ Shota allungò la ‘i’ per due righe di testo e le corredò di una serie stupida di bacini e cuori che gli fece alzare gli occhi al cielo e sbuffare. ‘Sen si vergogna! Sen si vergogna!’

«Idiota,» borbottò, e l’intero discorso l’aveva talmente distratto da sfasare anche il suo sensore ‘scansa-oggetti-e-passanti’. Passò in mezzo a qualcosa di troppo stretto e si sentì urtare da un lato e dall’altro con violenza sufficiente a fargli perdere la presa sul cellulare. Il rumore che fece quando toccò terra non gli piacque.

«No!» gnaulò, raccogliendolo in fretta. Era caduto con lo schermo e quando lo girò la rottura era ramificata come una ragnatela, il display sfarfallava, era impossibile riuscire a leggere cosa ci fosse scritto. Andò in panico. I suoi gliene avrebbero dette di ogni! Quello era almeno il terzo che rompeva in meno di un anno – sempre per colpa degli altri e non sua, ma tanto anche quando provava a spiegare, nessuno lo stava a sentire; il distratto era sempre lui, l’irresponsabile era sempre lui.

Si girò arrabbiato nel sentire una sghignazzata provenire alle sue spalle.

«Ma volete guardare dove andate, accidenti?!»

L’attimo dopo desiderò d’essersi morso la lingua: i due teppisti gli rivolsero un’occhiata così truce che Sen si trovò ad arretrare. Gli occhi fissi sulle facce scure, i capelli tirati in alto con chili di gelatina e orecchini che deformavano i lobi. Avevano delle tute bianche, piene di scritte minacciose, dai pantaloni larghissimi. Non se ne vedevano tanti per Nankatsu, ma quelli dovevano essere dei bosozoku.

«Che hai detto, frocetto?»

Sen fece un altro passo indietro, spostando lo sguardo da quello che aveva parlato all’altro sul quale si aprì un sogghigno rapace.

«Magari vuole fare due chiacchiere.»

«O magari ci vuole chiedere scusa, visto che ci ha urtato.»

«Già. Sarebbe anche il caso. I bravi bambini lo fanno.»

Aiuto.

Sen stava per girarsi e correre via, ma venne agguantato per un braccio prima che potesse anche solo muovere un muscolo. Gli sfuggì un verso spaventato e strozzato al tempo stesso nel venire trascinato lontano dalla strada principale, verso un vicoletto più defilato e poco trafficato; c’era un piccolo parcheggio.

«Pensi già di andare via, ragazzino? Non tanta fretta,» disse quello che lo teneva per il braccio e aveva capelli neri, resi lucidi dall’eccessiva brillantina. Naso schiacciato, puzzava di fumo.

L’altro gli avvolse le spalle in maniera rude; aveva i capelli dello stesso colore del tuorlo d’uovo e l’alito pesante. Doveva aver mangiato cipolle.

«Ci si deve sempre scusare, non te l’hanno insegnata l’educazione?»

«I-io… io non ho…»

«Blablabla. Piantala di balbettare, ma ce la fai?»

Venne strattonato malamente, chiuso contro il muro dell’edificio che delimitava il parcheggio e preso per il bavero della giacca, sollevato in alto.

Sen si aggrappò al polso di quello con i capelli neri, si alzò sulle punte, e tutto quello cui riuscì a pensare fu che se avesse fatto come gli aveva detto suo fratello Mamoru, se avesse alzato la testa dal cellulare, forse avrebbe visto quei due che stavano arrivando e li avrebbe evitati con maggiore veemenza, dando loro tutto lo spazio possibile.

Pensò che se ci fosse stato Mamoru, avrebbe saputo cosa fare.

Se ci fosse stato Mamoru…

«Forza, cos’hai da offrire, ragazzino?» chiese il biondo. «Devi farti perdonare per essere stato tanto maleducato. Fai vedere questo cellulare!»

Glielo strappò dalle mani senza dargli modo di dire o fare nulla. Nella testa, Sen lo sapeva che reazione avrebbe dovuto avere. Una tosta, una di quelle che con facilità illustrava ai suoi amici. A parlare era bravissimo e nella testa c’era proprio tutto: parole, azioni. Il problema era che nulla voleva uscire fuori.

«E svuota anche le tasche, già che ci sei. Non ci offri nulla per sdebitarti? È il minimo,» si accodò l’altro, già pronto a mettergli le mani addosso.

Il biondo fece scrocchiare le dita, mostrandogli un sorriso dai denti storti e gialli.

«Se non vorrai essere collaborativo…»

«…cosa?»

Una terza voce, spuntata dal nulla, si unì alla conversazione.

Sen vide una figura inattesa prendere posto, come una folgore caduta da chissà dove, tra i due teppisti, cingerli con le braccia attorno al collo e fare capolino, guardando da una parte e dall’altra.

«Non hai finito la frase, gioia. Dilla, dilla. Fammi ridere un po’.»

Gli occhi vennero sgranati nel riconoscere il fratello di Yuzo, i suoi capelli multicolore che oscillavano da una parte e dall’altra assieme alla testa. La sorpresa nel vedere i due teppisti irrigidirsi di colpo fu inaspettata.

«M-Malerba!»

«Che coincidenza!»

«Buon anno, eh!»

«Hello, guyssss,» sibilò il giovane osservando prima l’uno e poi l’altro. Aveva un sorriso storto che faceva balenare i denti in una mezzaluna bianca e minacciosa. Poi si fermò a guardare lui, dritto negli occhi.

D’improvviso, Sen ebbe la orribile sensazione d’esser passato dalla padella nella brace.

«E cosa succede qui? Che fate di bello? Date fastidio ai ragazzini, adesso?»

«No! No, no! Ma che dici! No!»

«Noi lo stavamo aiutando! Sì! Aiutando! Vero, ragazzo?»

«Certo! Facevamo due chiacchiere!»

«Innocenti!»

Sen rimase stordito nel vedere come i teppisti, che fino a un momento prima avevano fatto tanto i gradassi nei suoi confronti, adesso sembravano avere una fifa blu.

«Ma davvero? Non gli stavate cercando di spillare dei soldi, giusto?»

«Nooo! Ma come ti viene?! No, no! A un ragazzino! Vorrai scherzare?!»

Quello con i capelli neri rise sguaiatamente, come se l’altro avesse detto la battuta più incredibile del secolo. Sen avrebbe voluto intervenire, ma gli bastò guardare il fratello dell’amico di Mamoru per capire che tacere fosse l’unica scelta possibile. Ci stava pensando lui.

«E quel cellulare?» chiese poi, guardando il suo telefono nelle mani del teppista biondo. «È tuo, ragazzino?»

Sen riuscì solo ad annuire, dopo aver spostato in fretta lo sguardo dall’uno all’altro bosozoku.

«E aveva già lo schermo rotto?» fu la domanda successiva, dopo che lo ebbe tolto di mano al tizio per guardarlo con attenzione.

Sen scosse il capo, questa volta, con un pochino più di sicurezza.

«Lo stavamo aiutando!»

«Già!»

«L’hanno urtato e gli è caduto!»

«Esatto!»

I teppisti si affannarono a rispondere, uno dietro l’altro, sempre più stretti dall’abbraccio del giovane. Sembrava un pitone, si avvinghiava ai loro colli, li costringeva a piegarsi un poco alla volta. Lui non riusciva a distogliere lo sguardo.

«Ah, ma che bravi. Be’, per come è ridotto, bisognerebbe cambiare lo schermo.»

«Eh, sì! Glielo stavamo dicendo anche noi!»

«Sì, sì! Ecco!... Malerba, se potessi allentare… sto soffocando…»

«Sta’ zitto,» rispose l’interpellato con non chalance.

«Sì, Malerba…»

«Una vera sfiga rompere il telefono il primo dell’anno. E poi, insomma, è un ragazzino, mica avrà i soldi per ripararlo, no? Sarebbe un peccato se dovesse mettere mano alla paghetta, vi pare?» Lo strano ragazzo gli allungò il telefono, con di nuovo il sorriso storto. «Forza. Mano ai portafogli. Contribuite alla causa.»

«C-cosa?!»

«Ma, Sh-…»

«Fatelo. Adesso.»

Un ordine perentorio. Detto con il sorriso, certo, e forse proprio per questo così terrorizzante che i due non se lo fecero ripetere una seconda volta. Estrassero i portafogli e li aprirono davanti agli occhi del fratello dell’amico di Mamoru.

Malerba.

Di sicuro non era il suo nome.

…era Shuzo, se non ricordava male. Yuzo lo aveva presentato così. Shuzo.

«Vediamo un po’. Questi dovrebbero bastare. Non vorrete passare per tirchi, vero? Bisogna essere generosi con i ragazzini.»

E senza dare modo agli altri di protestare, glieli svuotò delle banconote. Solo allora, dopo un’ultima stretta in cui disse che dovevano essere proprio orgogliosi di loro stessi li lasciò andare e subito i due si tirarono indietro, nemmeno avessero abbandonato le braccia del demonio.

Infine, Shuzo gli volse le spalle.

Sen lo sentì mormorare qualcosa che non capì e i due diventare dello stesso colore pallido delle loro tute. Una coppia di cadaveri.

«S-sì, Malerba! Scusaci! Staremo più attenti!»

«Lo giuriamo! Attentissimi!»

«Grazie, eh! A presto!»

«Ci vediamo in giro!»

Sulla coda di un ‘cazzo, filiamo’ i teppisti sparirono in un attimo, correndo veloci come il vento.

Sen era inchiodato sul posto, con la sensazione di non aver del tutto capito a cosa avesse assistito, ma con la certezza che, se ci fosse stato Shota, la sua unica esclamazione sarebbe stata ‘Che figata clamorosa!’.

 Shuzo si portò le mani ai fianchi, emise un respiro che lui avrebbe definito seccato.

«Ma che ti dice il cervello, bamboccio?»

Sen non rispose, ma arrossì di collera per il tono e l’appellativo.

Il ragazzo si girò come una furia, tanto che lui avrebbe voluto tirarsi indietro ancora di un passo, senza riuscirci.

«Farti mettere al muro in quel modo?! Stare zitto come un idiota?! Cristo, ma la bocca ce l’hai?! E usala, cazzo! Ribellati, porca troia! Che diavolo mi significa che ti fai strattonare come un fesso senza neppure tentare di divincolarti, o almeno provarci?! Meglio un pugno in faccia che la coda tra le gambe, moccioso! Tuo fratello non te l’ha insegnato?!»

«L-lascia stare mio fratello!»

«Oh! Allora la lingua ti funziona! Quale onore, cazzo!»

Lui abbassò lo sguardo, stringendo le labbra e i pugni.

«Non vorrei ricordarti che quel cazzone di tuo fratello non è qui, ma pensa un po’. Quindi, comincia col ringraziarmi.»

Sen si strinse nelle spalle, mortificato. Ecco un altro che non faceva che dargli addosso, come tutti. Sempre a dirgli dove sbagliava e mai a congratularsi per la cosa giusta. Tutti uguali, accidenti. Tutti uguali.

Strinse gli occhi, nel momento in cui li sentì pungere agli angoli. Serrò le labbra. E poi si sentì afferrare per il mento con forza, venire costretto a sollevare il viso e a trovarsi quegli occhi, più arrabbiati di prima, che lo guardavano fisso. Vicinissimi.

«No. Cazzo, non ti azzardare nemmeno a pensarlo. Non ci provare. Smettila immediatamente. Non sognarti di piangere come un fottuto marmocchio. Non sognartelo!»

Sen rimase spiazzato, non rispose.

«Quanti cazzo di anni hai?! I piscialetto frignano! Tu sei grande abbastanza per alzare la cazzo di testa. Alza la testa!»

Malerba lo lasciò andare con un gesto altrettanto brusco come quello con cui l’aveva afferrato. Sen sbatté le palpebre e, anche se non voleva, una lacrima gli sfuggì dagli occhi.

«Che cosa si risolve se piagnucoli?! Il tuo telefono si riparerà? Riuscirai a svicolarti da un paio di balordi senza palle? No, cazzo! Gli inetti piangono! Sei un inetto?! Eh?! Lo sei?!»

«No!»

«E allora asciugati la fottuta faccia e smettila!»

 Sen si passò d’istinto la manica del giaccone sulla guancia. Poi si fermò, con sorpresa di sé stesso. Aveva appena alzato la voce con quel ‘no’, e lui la voce non l’alzava praticamente mai: gridare gli era sempre sembrata una perdita di tempo e di energie, tanto a che serviva? Non veniva ascoltato lo stesso, non nella maniera giusta. E poi lui faceva sempre ciò che volevano i suoi genitori, difficile attirarsi qualche sgridata; per lo più si prendeva quelle di suo fratello e lui al massimo rispondeva a tono, ma senza alzare la voce.

Quel ‘no’, invece, glie era uscito forte, quasi disperato. E quello strano ragazzo dai capelli arcobaleno gli aveva detto un sacco di cose che non si era mai sentito dire da nessuno.

Ma chi diavolo era?

 

A braccia conserte, Shuzo restava con il peso poggiato su di un piede e sopracciglio inarcato.

Accidenti ai ragazzini. Lui non sapeva davvero come trattarli, soprattutto quando si mettevano a piangere.

Dannazione!

E tra tutti, ma proprio il fratello della fighetta dove incrociare?!

Dannazione!

Se poi ci si metteva che vedere certi atteggiamenti lo urtava in maniera profonda – come due coglioni grandi e grossi che vessavano un ragazzino – allora si poteva dire ‘bingo!’, con le mani in mano non ci sarebbe rimasto.

Dan-na-zio-ne.

E fanculo.

Sospirò, osservando come quel ragazzino si asciugava la faccia e con abbastanza piglio autoritario da farlo pure sorridere.

«Com’è che ti chiami?»

Il ragazzino lo guardò di sottecchi e diffidente. «Sen…»

«Tieni, riparati lo schermo.» Gli allungò i soldi presi a Mizuno e Dongashi. «Con questi, te lo potrai addirittura ricomprare.»

Con altra diffidenza, il bambino sollevò il mento e la stessa, fottuta altezzosità di suo fratello maggiore.

Il buon sangue non mentiva, fanculo.

«Non mi servono,» s’impuntò. Lui inarcò un sopracciglio e glieli infilò nella tasca senza tanti complimenti.

«Non seccare, e prego.»

«Ma ho dett-!»

«Prego.»

Sen ammutolì alla sua occhiataccia. Poi abbassò lo sguardo sul cellulare e provò a premere qualche tasto, ma lo schermo era talmente andato che anche tentare di far partire una chiamata si rivelò impossibile. Sospirò, con espressione afflitta.

«Ti faranno storie?» gli domandò. Sen sollevò le spalle, senza alzare la testa.

«È il terzo che rompo in poco tempo…»

«Mi sembra di averla già sentita,» sorrise, ricordando tutte le volte che distruggeva i suoi. Quello che aveva era un miracolo se aveva visto l’inizio dell’anno ancora integro.

«Ma non è colpa mia!»

«Anche questa l’ho già sentita.»

Sen tornò ad abbassare il capo. L’aria un po’ smarrita e incerta.

Stavolta toccò a lui sospirare, ma con rassegnazione. Estrasse il cellulare dalla tasca e richiamò il numero di Yuzo.

«Ehi, bro!»

– Che succede? Se hai chiamato per controllarmi, ti uccido appena ti vedo!

«Viva l’entusiasmo, fratellino. L’ho sempre saputo che sono io quello che ti vuole più bene.»

All’altro capo, Yuzo rise. – Che c’è, scemo?

«Senti, ho trovato il fratello della fighetta. Gli si è rotto il telefono e non può mettersi in contatto con lui. Immagino sia ancora con te.»

– Sì, siamo insieme.

«Effigurati…»

– Shuzo.

«Sì, sì. Dimmi dove incontrarci che ve lo porto.» Diede un’occhiata veloce all’orologio da polso. «Così ce ne torniamo a casa, è quasi ora di pranzo. Oggi riusciamo a essere tutti, papà attacca il pomeriggio.»

– Okay, allora vediamoci davanti al konbini del signor Miura. Noi stiamo arrivando.

«D’accordo.»

– Ehi, ma Sen sta bene, sì?

«Certo. Ha incrociato me. Chi incrocia me sta sempre benissimo.» Sogghignò, guardando proprio il chibi-Izawa che faceva una smorfia di disapprovazione.

– Ed è quello che mi preoccupa! A tra poco, bro!

Shuzo chiuse la telefonata ed eclissò il cellulare. Mani nelle tasche del giaccone, prese a camminare verso la via principale.

«Che aspetti?» domandò dopo qualche passo; Sen era rimasto fermo dove l’aveva trovato. «Datti una mossa, andiamo da quel deficiente di tuo fratello.»

«Ti ho detto di lasciare stare mio fratello!»

«E chi lo tocca? Per carità. Le mani addosso gliele metterò solo quando farà il passo sbagliato col mio, di fratello. Ed è già sulla buona strada.» Il disappunto gli storse le labbra. «E comunque, non deve essere una grande cima per averti mollato da solo in giro per la città.»

«Ho undici anni!» protestò Sen, che arrancava nel tentativo di tenere il suo passo.

Shuzo gli lanciò un’occhiata sguincia. «E sei ancora una mezzasega.»

«Non è colpa mia! Quelli lì-»

«Quelli lì sono due coglioni che se ne approfittano se non ti ribelli.»

«Mio fratello dice-»

«Tuo fratello è un’altra mezzasega.»

Sen lo superò per piazzarsi davanti a lui, con piglio minaccioso. Tsk, adesso si ricordava di provare ad alzare la voce? Dannati mocciosi.

«Ti ho detto di non parlare male di lui! Sta per diventare un campione!»

«E raccontalo al cazzo.» Gli fece presente prima di superarlo. Di nuovo passo lungo e svelto, di nuovo il ragazzino gli tenne dietro. «Non ti ha insegnato un accidente di come tirarti fuori dai guai, né come evitarli.»

Si accorse che Sen rallentò.

«…era colpa mia, non stavo guardando. Mamoru lo dice sempre di non stare con la testa nel cellulare.»

«E perché non lo hai ascoltato?»

«Non c’è niente da vedere…»

«Ma se non guardi, come fai a saperlo?»

 

Sen si trovò senza una risposta oggettiva.

Già, se non guardava come faceva a sapere che attorno a lui continuava a non esserci nulla di interessante da vedere?

Era una domanda interessante cui iniziò a rimuginare fin da subito, guardando proprio quel Malerba. A parte il giaccone troppo appariscente, erano i capelli la prima cosa su cui gli occhi finivano per cadere, c’era poco da fare. Attiravano l’attenzione, erano fuori dagli schemi, fuori dall’ordinarietà cui era abituato, ma assurdamente vicina a quella dell’agenzia di suo padre, quindi neppure troppo estranea. Poi spostò lo sguardo più in basso, sugli orecchini. Quel ragazzo ne aveva tanti a costellare il padiglione esterno, tra cerchi e non, ciondoli che pendevano e catenelle. L’anello sul sopracciglio, quello al naso.

«Che hai da fissarmi, bamboccio?»

Sentendosi colto di sorpresa, Sen arrossì e si irrigidì. «Proprio niente!»

«Puttanate.»

«Ma tu parli sempre così male?»

«Sì,» fu la replica ferma accompagnata da un’occhiata severa. «E se per te è un problema, tappati le orecchie.»

Sen gonfiò le guance. «Ti stavo solo guardando i capelli, nii-san

«Punto primo: non chiamarmi nii-san, non sono tuo fratello. Punto secondo: cos’ha che non vanno i miei capelli?»

«…sono tuoi?»

Shuzo si fermò d’improvviso guardandolo con occhi sgranati. «Certo che sono i miei, che domanda è?! Pensi siano un parrucchino o posticci?!»

Senza dargli modo di replicare, Malerba si piegò e chinò la testa abbastanza da farglieli vedere da vicino. Sen osservò quella piccola cascata arcobaleno dondolare davanti alla sua faccia. Pareva nascesse dal nulla, perché la rasatura sottostante era castana.

«Sono veri! Toccali, se vuoi! Verissimi!»

«T-toccarli?!»

«Certo, toccali! Non ti sto prendendo per il culo!»

Sen titubò, ma alla fine tolse una mano dalla tasca del giubbetto e l’allungò. Che i capelli fossero veri si capiva a prescindere, ma li toccò comunque, spinto dalla curiosità. Erano lisci, folti ma morbidi. Gli scivolarono in fretta tra le dita quando ve li fece passare attraverso.

Poi Shuzo tornò dritto e li disciplinò con una semplice manata.

«Che ti avevano detto? Tutta roba mia.»

L’attimo dopo aveva ripreso a camminare e lui a tenergli dietro con un pochino di ritardo.

«…sono carini.» Si lasciò sfuggire dopo averlo affiancato.

Shuzo lo guardò sgranando gli occhi e fermandolo ancora una volta.

«Prego?»

«I-il colore…» ripeté. «Mi piace. È bello.»

Shuzo sbatté le palpebre un paio di volte con manifesta incredulità. Per la terza volta riprese a camminare e lui a inseguirlo.

«Questa poi. Sei il primo che me lo dice. Stai a vedere che almeno tu hai un po’ di buon senso, chibi-Izawa.»

«Chibi?!» fece eco con orrore. «Io mi chiamo Sen!»

Shuzo sogghignò, quel sorriso storto che pareva avere una strana, doppia valenza: sapeva terrorizzare e mandare in bestia contemporaneamente.

A lui, in quel momento, lo stava mandando in bestia.

«Me lo hai già detto, chibi-Izawa.»

La conversazione terminò lì, con buona pace di entrambi: lui perché offeso, l’altro perché di sicuro disinteressato a fare chiacchiere. Ma non durò molto, perché Sen era troppo curioso riguardo un particolare argomento, e quel ragazzo aveva di sicuro le risposte che stava cercando.

«Senti…»

«Che c’è?»

«…ma quindi mio fratello e il tuo… fanno cose?»

«Cose cosa? Giocano a carte? A calcio? Parlano? Cosa intendi con cose?»

Lui affrettò il proprio passo per non restare indietro. «Cose… insieme!»

«Si fanno un sacco di cose insieme, chibi-Izawa.» Shuzo gli rivolse un sorriso obliquo e provocatore che lo fece arrossire fino alla punta delle orecchie. «Sii più specifico.»

«Quelle cose. Quelle che fanno gli adulti e che di solito si fanno con le femmine.»

L’occhiata obliqua venne assottigliata in maniera pericolosa e il sorriso approfondito. Sen abbassò lo sguardo ai propri piedi, affondando il collo tra le spalle quasi avesse voluto scomparire.

«Oh, ma quindi lo sai cosa significa ‘bombare’, nano.»

«Me lo hanno detto! Non lo sapevo mica!»

«Ma certo, certo.»

«È vero!»

Shuzo sghignazzava e a lui faceva di nuovo venire i nervi. Accidenti se era tanto strano quanto irritante quello lì!

«Comunque, sì. Scopano. Fanculo agli dèi.»

«Non si dicono queste parole!»

«Non rompere, tappo.»

«Non sono tappo! Sono già più alto della media! Ho ancora tanto da crescere!»

«Come ti pare, ma al momento, per me, sei solo un tappo petulante. Chiaro il concetto?»

Lui gonfiò le guance, lanciando un’occhiata svelta per fare un confronto veloce tra le proprie altezze; gli arrivava quasi alla spalla, tsk! Altro che tappo! Per un attimo, gli venne da gonfiare anche il petto per darsi un tono, ma poi preferì concentrarsi sul discorso.

«Ed è per questo che sei arrabbiato con mio fratello? Non vuoi che Yuzo-nii faccia le cose con un maschio?»

«Affatto. Mio fratello è libero di portarsi a letto chi gli pare: uomo o donna. Non me ne frega niente.»

Lui tirò indietro il mento. Non ci stava capendo più un tubo a quel punto. «Ma… queste cose non si fanno solo con le femmine?»

Per l’ennesima volta, Shuzo si fermò, girandosi completamente verso di lui.

«Ascolta, chibi-Izawa, immagino che tuo fratello il discorso ancora non te l’abbia fatto, e francamente non capisco che cazzo stia aspettando, ma la faccenda si riassume così: le cose che non si fanno sono solo quelle che ti portano in galera o che fanno del male agli altri. Per il resto, puoi fare tutto quello che ti pare. Se vuoi stare con una ragazza, stai con una ragazza. Se ti piace un ragazzo, stai con un ragazzo. Dipende solo da te e non dagli altri. A mio fratello piacciono i maschi. Lui è felice? Io pure.»

«…e allora perché non sei felice se sta con mio fratello?»

«Perché tuo fratello non è affidabile!»

«E tu che ne sai?»

«Penso di avere un tantinello di esperienza in più, piattola, per saper riconoscere le persone, e lui non va bene per Yuzo. Vedrai se non ho ragione. E, quando sarà, preparati a diventare figlio unico!» Shuzo chiuse il discorso, puntellandogli il petto con l’indice accusatore e minaccioso che gli fece tirare indietro il mento. Poi riprese a camminare senza curarsi di lui, almeno fino a che egli stesso non lo raggiunse di corsa.

«E a te cosa piace?»

«E tu quanto cazzo parli?»

«Mamoru dice che non parlo mai.»

«Allora deve essere sordo.»

Il broncio offeso tornò a fare capolino sulle sue labbra, mentre affrettava leggermente il passo e a rimanere un po’ più indietro fu proprio Malerba o Shuzo o come diavolo si chiamava.

«A me piace ciò che mi piace.»

Sen gli lanciò un’occhiata che avrebbe voluto mostrarsi meno interessata, ma con scarso successo. Così rallentò, si fece raggiungere e tornarono a camminare insieme.

«Quindi tutti e due?»

«Sì. Pensi sia strano?»

«Non lo so… anche a mio fratello piacciono tutte e due… quindi non penso sia così strano.»

«E a te cosa piace?»

«A me?!» Sen sgranò gli occhi e per la terza volta sentì di essere arrossito. «E che ne so!»

«Oh, andiamo, ce l’avrai una ragazzina carina a scuola.»

«Sì, ci sono, ma le fidanzate sono una perdita di tempo! Che noia! Chi c’ha voglia?! Io ho altro da fare, devo studiare e stare con i miei amici!»

«E magari anche guardare dove vai quando cammini.»

«Sì, e magari anc-… ehi!»

Raggiunsero il konbini che Mamoru e Yuzo li stavano già aspettando e a Sen tornò la strizza da rimprovero, tanto da rallentare appena un po’, assumere un passo più incerto. Furono suo fratello e Yuzo a colmare in fretta la distanza. Mamoru precedeva addirittura l’amico.

«Ehi, si può sapere che è successo? Hai rotto l’ennesimo telefono?»

Come immaginato, suo fratello partì subito alla carica, riversandogli addosso un sacco di domande con le mani puntellate ai fianchi e l’aria accusatoria.

«Lo sai che ha detto la mamma, in proposito: se ne avessi rotto un altro, ti saresti dovuto arrangiare senza fino al tuo compleanno. O al massimo con quel suo vecchissimo pieghevole rosa perlato.» Gli vide incrociare le braccia e guardarlo con sfida. «Sei pronto ad andarci anche a scuola?»

Lui distolse lo sguardo, mortificato e lo sollevò solo perché Yuzo gli colpì leggermente la spalla con un pugno complice. «Tu stai bene?»

Annuì, almeno a quella domanda.

«Forza, fammi vedere che hai combinato e se posso sistemartelo.» Si offrì Mamoru, allungando la mano. Lui glielo mostrò e suo fratello inarcò un sopracciglio di disappunto, storcendo le labbra nel rigirarlo tra le mani e farne illuminare il display.

«Accidenti, ma come hai fatto?»

Lui non rispose, più che altro non sapeva come avrebbe dovuto spiegare l’intera faccenda. Si vergognava di quanto accaduto e aveva paura che suo fratello potesse arrabbiarsi ancora di più.

‘Ma che ti è saltato in testa di infastidire dei teppisti?! Quante volte ti avrò detto di guardare dove cazzo vai, pastrocchio?!’

Così distolse lo sguardo per l’ennesima volta.

«Troppa folla.» La voce di Shuzo gli fece alzare la testa di scatto. «E la folla non guarda un cazzo quando cammina. Lo hanno urtato e gli hanno fatto cadere il telefono.»

«Davvero?»

Sen guardò suo fratello, gli occhi sgranati, poi guardò Shuzo dall’espressione impassibile: aveva detto solo una parte di verità, quella necessaria. Del resto, dopotutto, non ce n’era alcun bisogno.

«S-sì.»

«Dovresti stare attento anche tu, però. Non tutti ti scansano solo perché sei un ragazzino. Okay? Guarda sempre dove vai.»

«Sì, fratello…»

Mamoru sospirò, dandogli una manata sulla testa con cui gli spettinò i capelli neri indisciplinati, ma non lunghi come i suoi.

«Forza, andiamo a casa,» disse infine, avvolgendogli le spalle con il braccio e lui, anche se detestava ammetterlo, ogni volta che suo fratello lo faceva, si sentiva sempre al sicuro e protetto. Nessuno avrebbe potuto dargli fastidio fintanto che ci sarebbe stato Mamoru. Eppure, lanciò un’ultima occhiata veloce anche a al fratello di Yuzo.

Shuzo aveva il mento sollevato con quel piglio di presunzione che aveva associato a lui fin dall’inizio, ma gli accennò un sorriso di approvazione talmente piccolo che era sicuro di essere stato l’unico ad accorgersene. Rispose con un cenno altrettanto piccolo della testa, in segno di gratitudine. Difficile comprenderlo, ma la stessa sensazione di sicurezza che percepiva sempre da suo fratello l’aveva avvertita anche con Malerba.

«Grazie per averlo riportato,» disse Mamoru, con evidente sforzo, e Shuzo non si sprecò più di tanto con un atono: «A-ah…»

Sen pensò che per il povero Yuzo-nii si prospettavano un sacco di fastidi. Oh, che fossero maschi o femmine non cambiava: i fidanzati erano sempre noiosi!

«Allora ti passo a prendere stasera, okay?»

L’espressione di suo fratello cambiò totalmente nel rivolgersi a Yuzo. Sen iniziò a rendersene conto in prima persona. E anche Yuzo-nii.

«Alle otto sarò pronto.»

«E quindi uscite?»

Ecco, anche Shuzo-nii cambiava espressione… in peggio.

«Già.» Mamoru sorrise smagliante. Lo stava facendo apposta.

«Ma che meraviglia.»

«Davvero.»

«E se terrai le mani a posto sarà perfetto.»

«Shuzo, non ricominciare.» Yuzo sospirò, tirandolo via e lanciando un’ultima occhiata a Mamoru. «A stasera, ci sentiamo dopo. Ciao, Sen!»

«Sì, a dopo.» Un ultimo sorriso, stavolta divertito, e poi un’ultima occhiata traversa.

Sen sospirò, rassegnato quanto il povero Yuzo. «A presto, nii-san

Poi le loro strade si separarono, conducendoli in direzioni diametralmente opposte.

Mamoru gli teneva ancora il braccio attorno alle spalle.

«Vediamo cosa si può fare per il telefono, okay? Tranquillo, non te ne andrai in giro con quel pieghevole orribile della mamma. Ci penso io.»

«Grazie, fratello…»

«E senti… come hai incrociato il fratello di Yuzo?»

Lui deglutì con sforzo, tenendo lo sguardo fisso a terra nella speranza di non venire scoperto.

«Per caso.»

«Mh. E com’è andata?»

«Bene.»

«Mh.» Mamoru sospirò. «Ti ha detto cose imbarazzanti o pessime?»

«N-no…» più o meno.

«Se lo ha fatto dimmelo, okay? Parlerò con Yuzo.»

«No, no! Non ha detto niente!»

«Non mi ha insultato a raffica?!»

Lui si strinse nelle spalle. «…be’, quello un pochino.»

«Ecco, e lo sapevo,» masticò suo fratello, lui assottigliò lo sguardo.

«Perché non ti sopporta?»

«Ah, che dirti? La gente è strana, fratellino. Lo imparerai anche tu.»

Ma a Sen venne da sorridere perché i retroscena un po’ li aveva capiti, e suo fratello era un gran bugiardo. Però andava bene anche così, dopotutto. Ed era divertente.

«E comunque… se lo vedi in giro per Nankatsu, giragli a largo. Okay?»

«Eh? E perché?»

«Non mi piace un granché… Non so che gente frequenta, potrebbe avere una pessima influenza. Cose così. Ascolta il tuo fratellone.»

«D’accordo, nii-san

Ma il sorriso furbo, Sen non lo fece sparire.

Ora ne aveva la certezza, sarebbe stato sul divertente serio.

 

«Sei stato carino con Sen.»

«Già. Sono in lizza per il premio Buon Samaritano dell’Anno

Yuzo gli mollò una gomitata e poi gli circondò affettuosamente il collo con il braccio. «Eddai, non rispondere sempre come un cazzone!»

«Sì, sì,» sbuffò. Poi guardò Yuzo di sottecchi. Aveva quell’aria allegra di cui, da fratello, era felicissimo, ma che, sempre da fratello, detestava da morire perché opera di quel dannato Izawa-fighetta. «E quindi uscite, uh?»

«Sì. Non aspettarmi, non torno a dormire.»

«Ah.» E ti pareva. Fottuto ottomano! Cthulhu dei tempi peggiori!

«E vedi di finirla o mi incazzo.»

«Yuzo, senti, quello lì non va bene.»

«Per te non va mai bene un cazzo!»

«E ho sempre avuto ragione, fino adesso.»

«Appunto, fino adesso. Ma Mamoru è diverso. E tu…» Yuzo si fermò, strinse la presa attorno al suo collo e poi gli puntellò il petto con l’indice così forte che pareva avesse voluto infilzarlo. Per non parlare dell’occhiata di fuoco che gli rivolse. «…se provi a fare un casino e a mettermi i bastoni tra le ruote, te la faccio pagare in maniere che nemmeno ti sogni.»

«Oh, adoro quando mi minacci, sei così puccioso

«Fottiti, Shuzo. Sto parlando sul serio. Mamoru è importante per me-»

«State insieme da una cazzo di settimana!»

«Può essere anche un fottuto giorno, ma se mi creerai problemi, ti cancellerò dalla mia esistenza. Hai capito?»

Lui sogghignò, camuffando il disagio per l’espressione che suo fratello gli stava rivolgendo: gli occhi di Yuzo erano fermi, decisi, le labbra tese e minacciose. Non stava giocando.

«Certo, come no.»

«Non mettermi alla prova.»

L’abbraccio venne sciolto e Yuzo prese a camminare, lasciandolo indietro.

«Non stai dicendo davvero, ti conosco!»

Ma non ottenne risposta, solo quella bruttissima immagine di spalle girate. Lui odiava quando suo fratello gli voltava le spalle, e Yuzo lo sapeva e lo faceva apposta. Gli metteva addosso un’angoscia tutta strana, quella di ritrovarsi da solo.

Non gli piaceva. Non gli piaceva per niente.

«È uno scherzo?! Andiamo, bro!» allargò le braccia, ma Yuzo non si volse né si fermò e lui rimase a sbattere le palpebre. «…occazzo, dice sul serio!» borbottò, allarmato. «Aspetta! Sono tuo fratello, dannazione, ho la cazzo di precedenza! Io vengo per primo! Maledetto ottomano!»

Alla fine gli corse dietro, saltandogli praticamente sulla schiena, e anche se suo fratello stava protestando, tra un’imprecazione e una mezza risata, lui non lo mollò neppure per un istante.

 

 

Fine

 

 


Curiosità: la canzone che canticchia Shuzo - in pronuncia giapponese XD - è 'La lontananza' del grandissimo Domenico Modugno. Ormai dovreste averlo capito già da 'Neruppu da' che Shuzo è una specie di fogna musicale straniera XD sente di tutto! Anche quella italiana! :D


 

 

Note Finali: …e Buon Anno a tutti! *_____*

Ormai una storia (che sia a Natale o Capodanno, o anche tutti e due XD) durante le feste ve la devo piazzare, e quale migliore momento di presentarvi i Morizawa al completo?! *W* Abbiamo fatto poker!!! *___*

L’universo della “Soulmate Series”, come avrete notato e come scoprirete anche in futuro, è strettamente legato a quello di “Malerba”. Vengono riproposti moltissimi dei suoi personaggi, cui ormai sono un sacco affezionata e che, a loro modo, sono legati al personaggio di Shuzo. (in questa storia hanno fatto già capolino: Kaede, Nobu e Shota, tre del ‘Manipolo di Mezzeseghe’ di ‘Malerba’; e Masa e Ryuchi i cubisti del Falabel *-*)

Qui, come avete visto, la situazione è completamente differente, ma non cambia di certo la tamarrità di un certo soggetto XD

Per la gioia (ironica) di Mamoru, Shuzo ha tutta l’intenzione di mettere i bastoni tra le ruote a questa relazione che ha con il suo fratellino adorato. Ma vedremo se ci riuscirà e come. XD

Inoltre, abbiamo fatto anche la conoscenza del piccolo di casa Izawa: Sen! *-* (chi ha letto la saga di “Lazarus” lo conoscerà benissimo, ormai, anche se qui – per ovvie ragioni – avrà un carattere decisamente diverso! ;) )

Mamoru e Sen si passano la bellezza di 8 anni (7 con Yuzo e Shuzo) e al momento è solo un bambino un po’ (tanto) chiuso e disinteressato a ciò che lo circonda… o forse solo spaventato dal mondo, ma pare che qualcuno l’abbia un po’ spinto fuori dalla sua comfort zone. Scopriremo anche questo! ;) E si ringraziano tantissimo Guiky80 e Kara per ‘chibi-Izawa’, nomignolo perfetto da loro introdotto nella bellissima storia ‘Black Card’ *-*

E quindi, per ricapitolare: i due protagonisti della “Soulmate Series” li conosciamo già, i due co-protagonisti li avete appena conosciuti.

Cosa manca?

Ah, sì, un bel mezzo numero per raccontarvi la ricca serata di Yuzo e Mamoru! :3333

Quello l’avrete il 6 Gennaio, giusto per restare in tema festivo! :DDDDD (e perché visto che l’Epifania tutte le feste si porta via, si porterà via anche le one-shot, per adesso, per potermi rituffare pienamente in “Malerba”! XD)

 

*____* auguro a tutti voi un meraviglioso, stratosferico Anno Nuovo!

Che il Dio dei Fanwriter vi accompagni, ora e sempre, nei secoli dei secoli del p0rn! AMEN! X3

(PS: io ci metterò del mio, promesso – sì, come sempre è una minaccia! XD)

   
 
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