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Autore: Imperfectworld01    03/01/2019    0 recensioni
Dicono che la vita di una persona possa cambiare in un attimo. In meglio, in peggio, non ha importanza. Perché nessuno ci crede veramente, finché non succede.
Ed è allora che gli amici diventano nemici, le brave persone diventano cattive, quelle di cui ci fidiamo ci tradiscono, e altre muoiono.
Megan Sinclair è la brava ragazza del quartiere, quella persona affidabile su cui si può sempre contare, con ottimi voti a scuola e con un brillante futuro che la attende.
E poi, all'improvviso, una sera cambia tutto. Una notte, un omicidio e un segreto. Un segreto che Megan, con l'aiuto di un improbabile alleato, cercherà di mantenere sepolto a tutti i costi.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'hai uccisa tu

Guardavo il mio riflesso allo specchio e quasi non mi riconoscevo, come se stessi guardando qualcun altro di fronte a me, come se fossi esterna al mio corpo. Quella sensazione che provavo si intensificava man mano che continuavo a fissare la mia immagine. Così mi voltai dalla parte opposta. 
In fondo, non avevo necessariamente bisogno di uno specchio per prepararmi. A maggior ragione, perché non avevo nessuna intenzione di truccarmi. È vero, avevo un aspetto orribile, ma se avessi cercato di nasconderlo con l'utilizzo del make-up, a cosa avrebbero pensato i miei compagni di scuola?

"Megan Sinclair ha appena subìto una grave perdita, e l'unica cosa a cui pensa è a farsi una linea perfetta di eyeliner. Si vede che non le importava poi tanto della sua cosiddetta migliore amica."

Ma forse, anche mostrando apertamente il mio dolore (passavo in media cinque ore a piangere), le mie occhiaie (dormivo due ore a notte), le labbra screpolate (quando ero nervosa, tendevo a strapparmi la pelle secca dalle labbra), il viso scarno (in tre giorni avevo perso già quasi due chili e mezzo), qualcuno avrebbe avuto da ridire.

"Hai visto che aspetto? Sembra che non si sia nemmeno fatta una doccia. Ma secondo me fa tutto parte di una recita pianificata da lei: vuole farci pensare di star soffrendo per la morte della povera Emily, ma secondo me non è così. Anzi, sono quasi sicura che l'abbia uccisa lei. Non mi sorprenderei, dopo la litigata che hanno avuto venerdì sera."

Perciò feci ciò che mi sentivo di fare, infischiandomene di quello che avrebbero pensato gli altri, e non misi neanche del semplice correttore per coprire le occhiaie e gli occhi gonfi. 
Era strano: prima di quel fatidico venerdì sera, mi era sempre importato di avere un bell'aspetto, di apparire come una ragazza curata, carina, mentre ora mi sembrava non contasse nulla, che fossero tutte sciocchezze. Avevo problemi più importanti a cui pensare. Come, per esempio, quello di capire come evitare una condanna per omicidio.

Ormai non si trattava più di ritrovare Emily, bensì scoprire chi era stato ad ucciderla. E io sarei potuta essere l'indiziata principale. Ne ero certa: la polizia aspettava soltanto il momento giusto, e poi si sarebbe presentata a casa mia e avrebbe pronunciato il famoso "Miranda Warning". Non sapevo nemmeno avesse un nome, finché la cosa non iniziò a interessarmi direttamente. Prima pensavo fosse solo una frase usata nei film, giusto per fare scena. Invece, lunedì, subito dopo essere tornata a casa in seguito alla mia deposizione, cominciai a fare delle ricerche. Lessi che, a partire dal 1966, in seguito al caso "Miranda contro Arizona" (da cui prese il nome il Miranda Warning), questo avviso divenne essenziale, poiché stabiliva che ogni tipo di dichiarazione resa dall'accusato non sarebbe potuta essere utilizzata durante un processo, se prima l'indiziato non era stato messo a conoscenza dei suoi diritti.

Mi bastò leggerlo una volta, affinché riuscissi ad immaginarmi lo sceriffo Kowalski che mi ripeteva quelle parole: «Megan Sinclair, lei è in arresto per l'omicidio di Emily Walsh. Ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio».

Dopo essermi preparata (nonostante non mi fossi truccata, impiegai lo stesso tempo di ogni mattina, poiché lo utilizzai per aggiungere un buco alla cintura dei jeans), misi lo zaino sulle spalle e, prima di uscire, andai a salutare i miei genitori con un bacio sulla guancia.
Non sapevo quali fossero i loro pensieri a riguardo e, onestamente, avrei preferito non scoprirlo. Mi avrebbe fatto troppo male venire a sapere di averli delusi, che non mi credevano, che mi reputavano un'assassina. Se avessi perso il loro sostegno, allora sarei definitivamente sprofondata nell'abisso.

«Ah, Megan, dopo scuola potresti passare a portare l'acconto all'avvocato Finnston?» domandò mio padre, indicando una busta appoggiata sul tavolo del salotto. «Tanto ci passi nella strada al ritorno, giusto?»

Annuii soltanto, prendendo la busta e infilandola nello zaino. Poi uscii. Una volta a scuola, avrei messo i soldi nell'armadietto, così da evitare che qualcuno potesse rubarmeli.

•••

Tracey non passò a prendermi per portarmi a scuola. Da quando era successo tutto, i suoi non si fidavano a mandarla da sola in nessun posto e la accompagnavano ovunque e, inoltre, decisero che sarebbe stato meglio per lei rimanere a casa per ancora qualche giorno.
Così andai a piedi, cercando di prepararmi psicologicamente a ciò che avrei dovuto affrontare. Da sola, oltretutto.
Mantenni lo sguardo basso per quasi tutto il tragitto e poi, una volta entrata a scuola, mi diressi verso il mio armadietto. Mi sembrò di sentire dei mormorii alle mie spalle, ma in fondo c'erano anche prima che Emily venisse uccisa. Non era detto che quei bisbigli riguardassero me. Così, presi la busta e la misi sotto l'enorme pila di libri all'interno dell'armadietto, dopo aver preso quelli che mi sarebbero serviti per la prima ora.

Una volta in classe, vidi un nutrito gruppo di studenti riunito in cerchio. «Sì, penso che sarebbe una cosa carina» disse una ragazza, Lucy.

«Se siamo tutti d'accordo, andrò dalla preside appena finirà quest'ora» intervenne un altro.

«È arrivata... chi glielo dice?»

Improvvisamente si voltarono tutti verso di me. A parte due o tre persone, le altre non avevano nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia. Per quale motivo?, mi chiesi. Erano dispiaciuti per la perdita che avevo subito? Oppure avevano paura di guardare negli occhi l'assassina della loro compagna di classe Emily Walsh?

Lucy si avvicinò a me. «Ciao, Megan» disse, rivolgendomi un sorriso imbarazzato.

«Ciao, Lucy.»

«Come stai?»

Quelle poche persone con cui mi ero relazionata in questi giorni, avevano sempre evitato di porre questa domanda. Mossa intelligente, a mio parere. Perché poi non si sarebbero sentiti in imbarazzo nel sentire la mia risposta.
Non sapevo nemmeno cosa rispondere, a dire il vero. Non sapevo se avrei dovuto fingere di stare bene ("Megan Sinclair sta bene dopo la morte della sua migliore amica? Forse non aspettava altro che quel momento. Sempre se non è stata lei stessa a farla fuori"), oppure manifestare il mio dolore ("Poverina, mi fa davvero pena. Fossi stata in lei non sarei venuta a scuola nemmeno oggi, mi sarei presa almeno tre giorni di pausa. Speriamo non sia sull'orlo del suicidio. Ho letto che un trauma come questo, può portare alla depressione, perciò non mi stupirei se fra poco finisse rinchiusa in una bara come la sua amica").

«Preferirei non parlarne» risposi secca. Mi accorsi del mio tono troppo rude, perciò aggiunsi: «Scusa».

«No, no, figurati. Lo capisco. Volevo soltanto chiederti se volessi... ecco, avremo la prima partita del campionato venerdì prossimo, e quindi pensavamo, prima dell'inizio, di organizzare uno spettacolo, con noi cheerleader e la banda, in onore di Emily, come una sorta di commemorazione.»

Prima che morisse, tutte queste persone neanche sapevano il suo nome. Probabilmente nemmeno il mio, se non forse per sentito dire, ma comunque non ci eravamo mai parlate. In più, Emily odiava le manifestazioni sportive. Non era mai venuta a vedere una sola partita.

«Dovrei chiedere a Tracey cosa ne pensa» dissi solamente, così da poterla liquidare.

Tracey era sempre stata più diretta rispetto a me. Io invece avevo sempre avuto paura di dire quello che pensavo realmente, sebbene spesso le mie espressioni facciali mi tradivano e parlavano al posto mio. In quei giorni però stavo imparando a nascondere meglio le mie emozioni, nella speranza che più nessuno mi avrebbe detto: «Te lo si legge in faccia, Megan».

«Sì, certo, va benissimo. Poi fateci sapere, così ne parleremo con la preside Fitzpatrick e le chiederemo l'autorizzazione per organizzare il tutto.»

Accennai un sorriso finto, che si spense nel momento in cui vidi Olivia entrare in classe.

Era raro che non andassi d'accordo con qualcuno, ero sempre stata una persona pacifica, a cui piaceva essere in buoni rapporti con tutti, ma chiaramente questo non era possibile. Olivia era un po' l'eccezione che andava a confermare la regola. Non ricordavo da cosa aveva avuto inizio la nostra reciproca intolleranza, so solo che andava avanti dal primo anno. Forse era partito tutto dai fastidiosi e reiterati commenti sottovoce che faceva durante ogni lezione che frequentavamo insieme, ogni qualvolta io oppure le mie amiche aprivamo bocca per rispondere alle domande dei professori. Aveva da ridire su qualsiasi cosa dicessimo e dava l'idea di una che pensava di essere superiore a tutti. Peccato che ogni volta che interveniva lei durante le lezioni, faceva cilecca, e durante i test arrivava al pelo alla sufficienza. Una volta avevo pure provato a fermarla dopo le lezioni, per dirle che il suo atteggiamento mi aveva stancato e per chiederle di spiegarmi che cosa le avessi fatto affinché ce l'avesse così tanto con me. Che cos'era, invidia? O magari era semplicemente stronza. Il risultato fu che alzò la voce e prese ad insultarmi come una pazza isterica, maleducata e arrogante, senza neanche rispondere in modo sensato alle spiegazioni che le avevo chiesto. Dal momento che non era possibile nemmeno avere una conversazione civile con lei, decisi di rinunciare a intrattenerci qualsiasi tipo di rapporto. Non ci parlavamo nemmeno più, se non in situazioni straordinarie, tuttavia i suoi commenti sottovoce e le sue derisioni continuarono.

Non appena mi vide, si voltò verso una delle sue amiche e disse qualcosa. Subito dopo partirono le risate. Alzai gli occhi al cielo, ma cercai di mantenere la calma. Le avrei volentieri tirato uno schiaffo, ma a cosa sarebbe servito? Inoltre, espormi avrebbe soltanto giocato a mio svantaggio, specialmente in questo periodo in cui la polizia stava svolgendo le sue indagini. Dovevo cercare di farmi notare il meno possibile. Qualsiasi cosa sarebbe potuta essere usata contro di me, per alimentare i sospetti nei miei confronti, per far credere a tutti che sarei stata capace di uccidere Emily.

"Megan Sinclair ha tirato uno schiaffo ad una ragazza della sua scuola, senza un apparente motivo. Non mi riesce difficile pensare che, presa da uno scatto d'ira, possa aver ucciso persino la sua migliore amica."

Così strinsi i pugni, cercando di sopportare il tutto. Ad un certo punto, tuttavia, i commenti assunsero un tono di voce più alto, divenendo udibili alle mie orecchie.

«Mio padre sta lavorando al caso. Chiaramente non può dirmi nulla, ma ho guardato fra le sue carte stamattina e sembra che la pista più attendibile sia quella che riconduce a lei» disse Olivia alle altre.

«Ha senso,» le diede corda una di quelle «in fondo è dopo quella litigata che hanno avuto, che Emily è scomparsa».

«Scomparsa, e successivamente morta» precisò Olivia. «E, sbaglio, o subito dopo anche Megan non si è più vista?»

Brutta stronzetta irrispettosa.

«Olivia, lo sai che la calunnia, o diffamazione, è sanzionabile con una multa fino a cinquecento dollari, oppure con la reclusione fino a sei mesi? O anche entrambi» dissi a voce alta, attirando tutte le attenzioni su di me.

«Ma che brava! Ti sei messa persino a studiare il codice penale insieme al tuo avvocato, nella speranza di trovare un espediente che possa farti assolvere? Tanto lo sappiamo tutti che l'hai uccisa tu.»

Il mio cuore si fermò, così come il mondo intorno a me. Non pensavo che una persona potesse arrivare a tanto. Mentre le lacrime cominciavano ad accumularsi nei miei occhi, sentivo gli occhi di tutti puntati su di me. Nessuno di loro aveva il coraggio di intervenire. O forse la pensavano tutti come lei, ed era per questo motivo che nessuno prese le mie difese.

«Che fai, ora piangi?» domandò Olivia, fingendo dispiacere. «Oh, povera, povera Megan...»

Deglutii, e cercai di reagire, senza far prendere il sopravvento alle mie emozioni e scoppiare a piangere come facevo ogni giorno a casa. «Già, hai proprio ragione. Perciò ti conviene starmi alla larga, altrimenti potrei uccidere anche te.»

Sperai che bastasse a far sì che mi lasciasse in pace, ma in realtà mi accorsi troppo tardi che le avevo appena dato ciò che voleva. Avanzò verso di me e si fermò a pochi centimetri dal mio viso. «Era forse una minaccia? Potrei correre all'istante da mio padre e farti arrestare prima che tu possa battere ciglio. Quindi è a te che conviene stare attenta, Megan.»

«Perché non chiudi quel becco da oca giuliva che ti ritrovi?» sentii la voce di Dylan e, dopo averlo cercato con lo sguardo, lo individuai in piedi davanti alla porta della classe.

Olivia si voltò nella sua direzione. «Che c'è, difendi la tua ragazza? Ah, ma certo, ora mi è tutto più chiaro: probabilmente l'avete uccisa insieme.»

«Vai a farti fottere. Anzi, fottiti da sola, perché sei così viscida e schifosa che nessun altro essere umano sano di mente lo farebbe.»

Dopo aver detto quella frase, Dylan entrò in classe e mi prese per mano, trascinandomi fuori dall'aula e allontanandomi da quel gruppo di persone, mentre Olivia se ne stava pietrificata e scioccata, dopo essere stata zittita da Dylan. Quest'ultimo, mi portò dietro le scale per nascondermi da occhi indiscreti e mi fece appoggiare con la schiena al muro. «Megan, ehi, respira. Calmati» mi disse, prendendo il mio viso fra le sue mani e facendo sì che lo guardassi. Anche i suoi occhi azzurri e cristallini erano contornati da delle enormi occhiaie, seppur non profonde come le mie.

«Non... n-non ci riesco.»

«Lo so. È per questo che ci sono qui io. Lo sai che di me puoi fidarti, Meg. Non ti lascerò sola» disse carezzandomi una guancia con l'indice.

Dopodiché avvicinò il suo viso al mio fino a far toccare le punte dei nostri nasi. Sentivo il suo respiro caldo sulla mia pelle. «Che cos'hai detto alla polizia?» chiesi, mettendogli una mano sul petto per allontanarlo da me. Anche Dylan aveva ricevuto un mandato di comparizione, ed era stato chiamato dentro a testimoniare dopo di me.

«Stai tranquilla. Il nostro piccolo segreto è al sicuro.»

«Giuralo. Dylan, nessuno deve scoprirlo.»

«Meg, non devi preoccuparti di niente: sono stato io a fare tutto, non tu.»

Mi cinse i fianchi con le mani per rendermi più vicina a sé. Io avanzai per quel poco che mancava per colmare la distanza fra le nostre labbra e lo baciai.

•••

Tan tan taaan!

Ecco il terzo capitolo. Megan torna a scuola, nonostante la sua salute fisica e mentale non siano delle migliori e nonostante sia consapevole del fatto che dovrà affrontare da sola i suoi compagni di scuola, i quali sono divisi in due schieramenti: c'è chi cerca di mostrarle il suo sostegno, e chi invece le sbatte in faccia ciò che pensano tutti in merito alla misteriosa morte di Emily. Alla fine, nessuno interviene a difenderla quando viene accusata, dimostrando quanto in realtà ognuno, in cuor suo, la ritenga colpevole di quel delitto. Tutti ad eccezione di Dylan Walker, che la difende a spada tratta.

Poco dopo si scopre che i due nascondono un segreto, sul quale hanno mentito alla polizia. Quale pensate che sia?

 
   
 
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