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Autore: AThousandSuns    03/01/2019    4 recensioni
[Questa one shot partecipa al contest “Sometimes, all we need is an alternative universe.” indetto da Giandra sul forum di Winter's Wing.]
Sandor è un mandriano che lavora per la famiglia Stark. Odia il gelo dell'Alaska ma per qualche motivo non riesce ad andarsene.
(SanSan modern!AU)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non credeva che l’avrebbe mai pensato, ma il Sud gli manca. Detesta vestirsi a strati ma detesta ancor di più gelarsi il culo mentre guida il pascolo. Invidia la costituzione degli Stark, ma loro ci sono cresciuti in quella valle, il gelo dell’Alaska li ha temprati.

Sandor viene dal Texas, maledizione. Non si abituerà mai a quelle temperature, ma si morde la lingua e se ne sta zitto. Non è una mammoletta lamentosa, e poi non può andarsene. Non vuole.

Ned gli si affianca tirando le redini del suo stallone. «Non abbiamo perso alcun capo, questa notte.»

Sandor risponde con un muto cenno d'approvazione e si mette a scrutare le bestie che si spintonano tra loro per accaparrarsi qualche filo d'erba in più. Presto il gelo avrebbe reso la terra sterile e non ci sarebbe stato più nulla da brucare, ma a quel punto gli animali sarebbero finiti al macello e non nella pancia dei lupi.

«Penso ancora che potremmo dar loro la caccia.» Sandor sa che Stark non avrebbe cambiato idea ma dice lo stesso ciò che pensa, perché gli piace farlo e Ned lo permette. Quel silenzioso uomo del Nord considera sempre l'opinione dei suoi braccianti, anche se di rado cambia idea, e a Sandor al Sud non è mai capitato. Se ripensa a tutti i rospi che ha dovuto ingoiare quand'era con i Lannister...

Ned beve un goccio di liquore dalla latta che porta nella tasca del giaccone e poi gliela porge con un sorriso bonario. «I lupi erano qui prima di noi, desidero che ci siano ancora dopo che saremo morti.»

Stark quasi venera quelle belve, forse perché le invidia, forse perché le comprende. Sono proprio come lui e la sua famiglia, liberi ma affamati.

«Dico solo, una mucca per loro è una in meno per noi.»

«Una mucca in più non risolleverà gli affari.»

Lo stallone sotto Ned si muove, stanco di starsene lì impalato, al gelo.

Sandor sprona il suo cavallo mentre Ned richiama la figlia Arya, che ha insistito per accompagnarli, e tutti si mettono a radunare i capi prima di avviarsi verso casa.

«Dovresti considerare l'idea di tua moglie» suggerisce Sandor quando  Ned è di nuovo a portata d'orecchio. Non che voglia intromettersi nei loro affari, ma se gli Stark continuano a bruciare profitti lui perderà il lavoro. «Allevare pesce porterebbe più ricavi e meno fatica, sai meglio di me quanta richiesta c'è. E poi non dovremmo starcene qui a gelarci le ossa e correre dietro a delle stupide mucche.»

«So che Cate ha ragione.»

Sandor si volta verso di lui. «Ma?» domanda secco.

«È dura ammettere la sconfitta.» Il sussurro viene quasi soffocato dal trottare ritmico dei cavalli.

«Questa terra è dura, Ned.» E anche la tua testa, pensa.

In risposta riceve solo silenzio, ma a Sandor va bene così, le chiacchiere non fanno per lui. Forse per questo si trova così bene con gli Stark, nessuno di loro parla a vanvera.

Si avvicinano presto alla tenuta e per abitudine Sandor getta uno sguardo al recinto dei cavalli. Avrebbe dovuto essere vuoto, perciò quando vede una figura alta in piedi accanto a una giumenta si ritrova a trattenere il respiro.

«Sansa!» Ned pare ringiovanito mentre lancia il proprio stallone al galoppo con Arya alle calcagna e Sandor decide di non seguirlo e condurre le poche mucche nelle stalle.

Lì vicino trova Jon e Robb, intenti a tagliare la legna e impilarla con attenzione. Non deve nemmeno chiedere aiuto, quei ragazzi sono svegli e veloci e insieme ci mettono poco a far rientrare gli animali al riparo.

Gli offrono una birra, vogliono sapere come sia andata oggi. Sandor fa del suo meglio per non comportarsi da stronzo ma si dilegua il prima possibile. Vuole tornare a casa, chiudere la porta e non uscire fino all'indomani. Vuole stare solo.

Vuole stare solo?

«Ciao, Sandor.»

L'uomo si volta e si tocca il cappello a mo' di saluto ma non lo toglie, lo fa il meno possibile quando Sansa è così vicina e quasi sente le profonde cicatrici che marchiano il suo volto bruciare di nuovo. La osserva di sottecchi, la falda che getta un'ombra sui propri occhi. Incredibile quanto sia cambiata in pochi mesi. Il profilo è più affilato e c'è un accenno di occhiaie sul volto candido. Ma gli occhi… Gli occhi di Sansa non sono cambiati affatto.

«Non credevano che saresti tornata così presto.» Gli Stark non l'aspettavano a casa per un'altra settimana almeno, che avesse lasciato il college? Anche fosse così, la cosa non lo riguarda.

«Ho deciso di farvi una sorpresa.»

Le labbra carnose si tendono in un sorriso e Sandor distoglie lo sguardo. Farvi? «Ci sei riuscita.»

«Ci saranno molti cambiamenti nelle prossime settimane, volevo esserci.»  La voce piatta lo sorprende, ma la malinconia che scorge nei suoi occhi lo scuote. Non l'ha mai vista così… spenta.

Sandor non si considera un uomo ottimista e gli è difficile mostrare empatia, più che altro perché degli altri non gli interessa granché. Ma Sansa… Non vuole che sia triste, dannazione. Eppure gli Stark hanno nel sangue una sottile malinconia, l'ha vista subito in Ned. Il viso lungo, scavato dalla fatica nell'eterna lotta contro quella terra arida e dura, la schiena un po' curva carica di responsabilità, le mani callose e spaccate dal freddo. Ned è un uomo amareggiato e incline alla tristezza, provato dalla vita di cui si è ritrovato prigioniero. È troppo tardi per lui.

Ma Sansa. Sansa ha l'opportunità di lasciare quel luogo, andare al college e poi in una grande città, costruirsi una vita migliore dove non è costretta a lottare per poche briciole. Invece resta. Sandor non sa perché, ma resta. E lui... non vuole vederla infelice. «Tuo padre è un uomo intelligente, troverà il modo di sistemare le cose.»

Gli sorride mesta, un sorriso molto diverso da quelli a cui è abituato. «Intelligente, ma testardo. Mia madre ha già una soluzione e lui si rifiuta di starla a sentire.»

«Cederà» insiste. «Alla fine ascolta sempre sua moglie, specie quando ha ragione.» Le strappa una piccola risata e Sandor si schiarisce la voce. «Ora se vuoi scusarmi, stavo andando a casa.»

«Oh, rimani per cena. C'è l'arrosto.»

Suona più come un ordine che un invito e le rivolge un sorriso sbieco. «Avrei delle cose da sistemare.»

«Potrai farlo domani» osserva. «È già deciso.»

Sandor aggrotta la fronte. «Da chi?»

«Da me.» Gli dà le spalle e si incammina verso casa. «Avanti, siamo già in ritardo.»

Non può vederlo scuotere la testa e trattenere un sorriso.

 

«Sandor!»

L'urgenza nella voce di Sansa lo fa scattare e lascia cadere a terra il secchio del fieno prima di precipitarsi nell'altro capanno. Gli basta un'occhiata per capire che la ragazza sta bene, ma hanno un problema.

«È troppo presto» le fa notare.

Sansa non sposta gli occhi dalla giumenta stesa a terra e fa schioccare la lingua infastidita. «I parti non si possono programmare, Sandor.»

Fa bene a strigliarlo, il suo è un commento idiota. Peggio, inutile in quella situazione.

«Chiamo qualcuno?»

Sansa accarezza il manto della giumenta con un tocco che ha qualcosa di materno. «Siamo soli. So cosa fare, sto studiando questo, ricordi? Però un assistente mi farebbe comodo.»

Peccato che Sandor non abbia voglia di mettere le mani vicino a… Deve darci un taglio, non è una femminuccia.

«Dimmi cosa fare.»  

«Chiama il veterinario e poi, se riesci a raggiungerlo, mio padre. Dopodiché torna subito qui.» La voce è ferma, chiara, e Sandor obbedisce senza fiatare.

Quando torna, la trova intenta a esaminare la giumenta che ogni tanto nitrisce stanca.

«Il veterinario sarà qui tra un'ora. Non sono riuscito ad avvisare Ned ma siamo al tramonto, dovrebbe rientrare tra poco con i tuoi fratelli. Tua madre?»

«A cento miglia da qui, sta visitando un allevamento di salmoni con Robb e Rickon» replica ancora distratta dalla sua ispezione.

Quasi vorrebbe chiederle perché Ned non è insieme alla moglie, ma non sono affaracci suoi. E poi conosce già la risposta: è troppo testardo per arrendersi a quella possibilità che tanto detesta.   

Sandor prende una boccata d'aria gelida mentre si accorcia le maniche e s'inginocchia accanto a lei. «Cosa possiamo fare?»

Sansa aggrotta la fronte.  «La buona notizia è che non c'è distacco placentare prematuro e la cervice è dilatata al punto giusto.»

Sandor annuisce anche se non afferra bene il senso di quelle parole. «Quella brutta?»     

«Il puledro è posizionato male, ma le acque si sono rotte cinque minuti fa. Il veterinario arriverà a cose fatte.»

«Che significa?»

«Che abbiamo meno di mezz'ora per farlo nascere ma dobbiamo aiutarlo a posizionarsi bene.» Sandor deve aver stampata in faccia la confusione perché Sansa si volta a guardarlo negli occhi. «Manualmente» chiarisce.

Proprio ciò che voleva evitare.

Sandor grugnisce riluttante. «D'accordo.»

«Non dovrai far molto» promette Sansa. «Solo… non volevo essere sola.»  

Quella confessione lo spiazza e si rende conto che dev'essere difficile per lei. «Non intendo infierire, ma hai mai fatto qualcosa del genere?»

«Ho assistito» mormora. «Posso farcela» dice poi, più a sé stessa che a lui.

«Non ne dubito.» Le posa una mano sulla spalla con una delicatezza che non gli appartiene nel tentativo di rassicurarla, ma il tocco la fa sussultare comunque, anche se si sforza di nasconderlo. Però gli sorride, i denti bianchi e le labbra rosee, e Sandor deglutisce a vuoto, sente la gola secca.     

I minuti successivi gli paiono secondi tanto sono tumultuosi, ma fa del suo meglio per ignorare i lamenti della giumenta e i vari liquidi intorno a loro di cui non vuole sapere il nome.

«Eccolo!»

Sansa indossa guanti che le proteggono le braccia e un camice ormai logoro. Si sporge verso la giumenta e le sue mani scompaiono. Sandor non può far a meno di fissare quella scena anche se minaccia di rivoltargli lo stomaco. «Serve una mano?» chiede più per gentilezza che per scrupolo.

«No, ci sono quasi» sussurra affannata. «Lo vedi?»

Del puledro Sandor distingue prima gli zoccoli, poi le zampe anteriori. Sansa lo tiene, ma tira solo ad ogni spinta della madre per aiutarla. La incoraggia con parole dolci come se potesse capirla e sorride quando il puledro scivola sulla paglia.

«Bravo piccolo!» Sansa lo controlla con cura. «Credo stia bene.»

Sandor torna a respirare. «La madre?»

La ragazza le accarezza il manto per tranquillizzarla e si assicura che non ci siano problemi. «Tutto a posto anche qui, pare.»

Insieme, osservano il cucciolo acciambellarsi accanto alla giumenta che si muove appena, ancora provata dal parto.

Sansa si sbarazza dei guanti e sospira stanca. E poi ride. Si stropiccia il viso, e ride, e Sandor giura di non aver mai ascoltato un suono più dolce. La guarda accarezzare il puledro cauta e rassicurante, per qualche attimo vede una ragazza dal cuore tenero, troppo tenero per una terra come quella. Sansa è cresciuta, realizza Sandor, ma quel luogo sterile non è riuscito a cambiarla. E non ci riuscirà. Non si lascerà piegare da quella terra com'è accaduto a suo padre, ma vi appartiene e non l'abbandonerà.

Sansa è il Sole tiepido che scalda la pelle, la sorgente che lenta e inesorabile scava la roccia, il bocciolo che sfida il ghiaccio e fiorisce in primavera. È nata per rimanere in quel luogo ostile e combattere, forse con più ferocia del padre, ma con una bontà tutta sua.

«Vuoi accarezzarlo?»

Sandor si riscuote e annuisce, muto. Il puledro gli pare più piccolo della norma e fragile, troppo per le sue mani grandi e callose.

Sansa sorride della sua indecisione e posa una mano sulla sua. «Non aver paura di fargli del male, è più forte di quel che sembra.»

Proprio come lei.       

 
   
 
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