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Autore: Tenar80    04/01/2019    1 recensioni
Devono metterlo in conto questi ragazzetti che giocano con i pattini. Il ghiaccio è duro e freddo. Ed è spietato, come tutte le cose dure e fredde.
Di chi prova a diventare un campione.
Di chi diventerà Victor Nikiforov e di chi non ci riuscirà.
Della fatica di crescere dei campioni, o almeno di farli diventare adulti.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Victor Nikiforov, Yakov Feltsman
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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   – Certo che è snervate vederti sempre con un atleta sul gradino più alto del podio… Deve essere facile la vita, quando hai tutta la Russa per andare a caccia di talenti.

    – Taci, tu. Hai uno stato che è grosso come un francobollo, ma sei sempre tra i piedi.

    Karpisek, l’allenatore svizzero, rise, sistemandosi a fianco del russo al bancone bar dell’hotel. Yakov notò con piacere che ormai era più grasso e stempiato di lui. Questo, però, gli ricordava anche quanto fosse passato dai tempi in cui l’avversario poteva permettersi di fare il cretino con Lilia, le rare volte in cui lei veniva a vedere una gara.

    – Si chiama “solida tradizione sportiva”… E comunque dove l’hai scovato uno che ti piazza due combinazioni così in sequenza? Non mi sembra di averlo mai sentito, prima.

    – Beh, adesso diventerà una spina nel fianco per tutti, te lo assicuro.

    Anche per Yakov stesso.

    L’allenatore lanciò uno sguardo al proprio atleta, che stava valutando il buffet della colazione, per essere sicuro di non andarsene senza aver assaggiato tutto. Bisognava in qualche modo che imparasse a gestirlo, o quella sua propensione a esagerare in gara lo avrebbe rovinato…

    – Ma tanto adesso ti sei dato alle coppie, niente scontri diretti tra noi, non più – disse, per cambiare discorso.

    – Non cantare vittoria troppo presto. Ho per le mani un novice che promette benissimo, ha solo undici anni, certo…

    – E sappiamo benissimo quante cose possono succedere

    Il collega però scosse il capo. Aveva un’aria svagata e il suo viso tondo e sorridente era facile da sottovalutare, ma tutte le volte che Yakov l’aveva fatto se n’era pentito amaramente.

    – Devi crescerli tu – disse lo svizzero. – Prenderli il prima possibile, evitare che finiscano in cattive mani… Le cose possono andare storte anche così, certo. Mi è spiaciuto per quell’altro tuo ragazzo. Contro certi infortuni siamo disarmati, per altre cose, invece, possiamo attrezzarci.

    Yakov grugnì qualcosa, poco convinto, anche se sapeva che l’altro aveva ragione. 

    Vitya e Kirill usavano schermi diversi, il sorriso il primo, l’ostilità il secondo, per nascondere il loro vero io e le ferite ricevute dalla vita, non solo, ma anche, sospettava Yakov, nell’ambiente del pattinaggio. 

    – E invece all’altro che cos’è successo? – chiese ancora Karpisek. – Sembrava che dovesse spaccare il mondo e poi si è afflosciato come un soufflé cotto male.

    – Giornata storta. Capita a tutti – tagliò corto Yakov.

    Crollo emotivo bello e buono. Di quello si trattava. Vitya, probabilmente senza rendersene conto fino in fondo, ne aveva triturato l’ego con i pattini, scippandogli il privilegio di essere l’unico atleta in tutto il Grand Prix Juniores a portare una combinazione con un triplo dopo il triplo Axel. Adesso Kirill sedeva a una tavolino, il capo chinato su un libro di scuola. Rispondeva a monosillabi, privo persino delle sue battutine acide e più di ogni altra cosa evitava di incrociare lo sguardo di Vitya. 

    Quando l’allenatore svizzero si fu allontanato per recuperare i suoi due atleti, Yakov fece lo sforzo di andare a sedersi di fianco al ragazzo.

    – Vengono a prenderci tra mezz’ora, hai già portato giù la valigia? – chiese, per rompere il ghiaccio.

    Ghiaccio che rimase intatto, dato che Kirill si limitò a stringersi nelle spalle e ad annuire.

    – Ragazzo, dopo una sconfitta non ci si rintana come un orso in letargo – borbottò Yakov, che già sentiva di stare per perdere la pazienza. – Che poi, sconfitta… Un quarto posto alla gara d’esordio al Grand Prix… Georgi neppure se lo può sognare.

    – Io non sono Georgi.

    – No. E neppure Vitya. Sei Kirill e puoi cavartela benissimo in quanto te stesso.

    Il ragazzo gli lanciò uno sguardo tutt’altro che convinto.

    – Non ti senti bello o spigliato? Chisseneffotte. Percorri la tua strada, pattina i tuoi programmi. Non vincerai tutto? Chissenefotte. Vinci abbastanza. Sarai rispettato. Il rispetto, alla lunga, conta, in questo ambiente più di qualsiasi altra cosa.

    Kirill si limitò a sbuffare.

    – Sei arrabbiato con Vitya e invidioso di lui? Bene. Mi sembra appropriato. Rendigli il favore. Rubagli tutti i salti.

    – Tu lo sapevi che avrebbe fatto anche la mia combinazione? – chiese il ragazzo, aspro.

    Ah, c’era anche questo. Beh, come dargli torto?

    – No. Non l’ho allenato in segreto per sfavoriti, se è quello che hai pensato – disse, cercando di mantenere un tono neutro. –  Non l’ha provata neppure una volta. L’ha imparata solo vedendotela fare.

    Yakov sospirò. Non ci avrebbe creduto neppure lui se non glielo avesse già visto fare la primissima volta, con il Loop.

    Kirill annuì.

    – Se lo odiassi davvero sarebbe più facile, perché potrei trasformale l’odio in determinazione – disse, dopo un certo tempo. – Ma c’è qualcosa che si è inceppato in me e non funziono nel modo giusto.

    Quello che non funziona, pensò Yakov, è che sei stato pestato e costretto a fuggire per qualcosa di cui non hai nessunissima colpa. È che hai l’autostima di un gatto investito in autostrada e tutto quello a cui ti aggrappavi era il fatto di essere il più bravo sul ghiaccio. Solo che hai trovato sulla tua strada qualcuno che è più bravo di te.

    – Non c’è nulla che non vada, in te. Sei quello che sei. Potenzialmente un atleta da podio olimpico. Ed è l’unica cosa che a me interessa.

 

 

 

    San Pietroburgo – Settembre 2002    

 

    Erano rientrati dalla Francia da una settimana, quando il telefono suonò alle due di notte.

    – Arrivo subito – mormorò Yakov, mettendo fine alla chiamata.

    Alzò gli occhi e si trovò gli sguardi assonnati in attesa di Lilia e di Vitya, più indietro, sulla soglia del salotto, come se non sapesse se aveva diritto oppure no di partecipare a quell’emergenza.

    – Kirill sta male – disse. – Lo hanno portato in ospedale. Raggiungo Dimitri.

    Lilia annuì e Vitya fece lo stesso. Nessuno dei due chiese che cosa avesse.

    Trovò Dimitri davanti al pronto soccorso, senza giacca, nonostante le notti fossero già fredde, con i capelli che fuggivano alla coda in cui li legava e il maglione al contrario.

    – Non era il caso che venissi, tanto non ci lasciano salire da lui – disse l’uomo più giovane. – Non è brutta come sembrava. Mi hanno detto che domani già lo possono fare uscire, per l’aspetto medico… Mi hanno fatto un sacco di domande, però, sul perché stava con me… Domani devo vedere anche dei poliziotti…

    Yakov annuì.

    – Kirill starà bene – disse. – Il nostro medico ha chiamato il primario. Adesso tu vieni a bere qualcosa e mi racconti tutto.

    Aveva visto solo una volta Dimitri in quello stato, completamente annientato, quando aveva provato a tornare a gareggiare, dopo l’operazione e aveva capito davvero che la propria carriera era finita, a un passo dalle olimpiadi. Solo che questa volta la colpa era sua, che gli aveva scaricato il ragazzo in casa, senza capire quanto seria fosse la situazione, solo perché… Beh, perché Kirill aveva ragione e lui tra i due preferiva Vitya.

 

    – Dio, non faccio che chiedermi se non sia colpa mia, se non abbia fatto una battuta di troppo. Sicuramente ne ho fatte…

    Dopo una vodka e un caffè lungo, nel primo bar aperto che Yakov aveva visto, Dimitri faticava ancora a ritrovare un minimo di coerenza.

    – Non è colpa tua, quello che è successo – disse l’allenatore più anziano. – Ma è grazie a te che è arrivato in ospedale in tempo utile.

    Dimitri scosse il capo.

    – No… Gli deve essere tremata la mano… Cazzo, però… Per fortuna lei non ha voluto salire da me… Non avrei mai pensato di poter dire una cosa simile… La vasca era tutta rossa. Lui era ancora semi cosciente e io, cretino, per prima cosa ho chiamato l’ambulanza. Così mentre ero al telefono è svenuto e la testa gli è finita sott’acqua…

    Yakov gli poggiò una mano sulla spalla.

    – Lo hai salvato. È questo che hai fatto. 

    Dimitri bevve quello che rimaneva del caffè.

    – Tu lo sapevi che era messo così male? – chiese poi.

    – Avrei dovuto – replicò Yakov. – Pensavo che toglierlo dal pensionato avrebbe migliorato le cose, ma…

    Kirill si sentiva marcio dentro e la gara in Francia gli aveva tolto l’ultimo orgoglio che avesse. Avrebbe dovuto capirlo, quel giorno all’hotel, quanto vicino fosse al limite. Avrebbe dovuto capire quanto soffocata si sentisse Ekaterina. Avrebbe dovuto…

    – Dici che è colpa mia, per tutte quelle frasi sui froci…

    – Dimitri, te l’ho già detto, tu sei quello che gli ha salvato la pelle.

    Anche se supponeva che quelle frasi d’aiuto non fossero state. Ma se c’era qualcuno che poteva essere identificato, se così si poteva dire, come la causa scatenante, era Vitya. I due ragazzi erano stati piuttosto cauti uno verso l’altro, negli ultimi giorni. Kirill sembrava aver optato per un atteggiamento meno ostile, ma il siberiano non si era scostato da sua gentile indifferenza che solo Ekaterina era riuscita davvero a scalfire. 

    – Ha scritto delle lettere – disse Dimitri, a bassa voce. – Le ho messe in tasca all’ultimo momento e ho dato una scorsa mentre ti aspettavo… Ce n’era una per me e una per te, oltre che per la famiglia. A leggerlo non è proprio il ragazzo che abbiamo in mente, che prenderemmo a ceffoni un giorno sì e l’altro anche. Ha solo parole gentili per noi. A quanto pare il padre, un ex militare, ha preso il fatto che abbia chiesto di andarsene dal pensionato come una prova di debolezza. Avrebbe dovuto farsi valere, come se… Beh, se c’è una rissa di qualche tipo, noi pattinatori siamo sempre quelli che le le prendiamo. Ovviamente si fa schifo per… Beh, per quello che gli piace. Si scusa con entrambi noi, per non essere stato all’altezza delle nostre aspettative. Dice che non è colpa mia o tua, che lo abbiamo aiutato e non gli abbiamo fatto pesare le sue debolezze, solo non sopportava di essere mediocre… Ne ha iniziata anche una per Vitya, ma non è andato oltre l’intestazione.

    – Perché non sapeva se scrivere un’invettiva o una dichiarazione – commentò Yakov, con voce stanca.

    – Già… Che vita d’inferno che faceva, sotto i nostri occhi.

    Yakov sospirò.

    – Sì, ma non gli sarebbe andata meglio altrove. Deve far pace con se stesso, Kirill, prima di poter vivere una qualsiasi vita.

    – E adesso che si fa con lui?

    Yakov si strinse nelle spalle.

    – Quello che ci dicono i medici. Poi lo mandiamo a casa per una bella vacanza, dopo esserci assicurati che il padre militare non finisca il lavoro, con buona pace della stagione agonistica. E speriamo che torni. Ma se fossi un padre ci penserei due volte prima di rimandare mio figlio dove ha cercato di tagliarsi le vene.

    – … Ekaterina tornerà?

    – Io non credo. E così ne abbiamo persi due. Quelli che sembravano gli acquisti più sicuri…

    Adesso era Yakov che sentiva il bisogno di una vodka.

    – Ti ricordi cosa ci ha detto quell’assistente sociale, la prima volta che ci siamo interessati a Vitya? – disse Dimitri. – Che ne salvavano la metà e si sentivano bravi per quello.

    Yakov emise un sospiro stanco.

    – Noi non siamo assistenti sociali.

    – No, siamo allenatori di uno sport in cui si arriva ai vertici mondiali quando si è ancora poco più che ragazzini e nessuno, a quell’età, se un minimo sano di mente, si butta in questa vita. Forse dovremmo sentirci bravi anche noi, se riusciamo a portarne avanti la metà.

    – Forse… – mormorò Yakov, poco convinto.

NOTE A MARGINE
Siamo quasi arrivati in fondo. Vorrei, vorrei con tutta me stessa, che ci fosse un finale più lieto per tutti. Spero che un po' la storia di Kirill vi abbia toccato, come ha toccato me quando l'ho immaginata. Mi chiedo quanti Kirill ci siano nel mondo, distrutti dal fatto di essere quasi i migliori, quasi perfetti e incapaci di accettare quella che considerano un''imperfezione e invece li rende umani.
La prossima volta scopriremo che ne è stato di Ekaterina e gli effetti su Vitya di questi eventi.
Per il momento grazie a tutti coloro che hanno letto fin qui.

 
   
 
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