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Autore: Alba_Mountrel    04/01/2019    1 recensioni
Una ragazza è persa dentro se stessa... ma qualcosa, o qualcuno la salverà
Genere: Generale, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Undo, Stranezze, Nuova casa"
 
POV Matt

“E adesso come le dico che la sua famiglia è ancora viva? Anzi, perché… sto per dirglielo? Mi lascerà all’istante, lo so. D’altronde perché dovrebbe restare con noi. Devo inventarmi all’istante qualcosa. Potrei dire che, per la loro sicurezza, è meglio che almeno uno di loro resti come garanzia con noi e a quel punto, farò finta di ricollegarmi senza averci troppo pensato al fatto che Des ci conosce già e si fida di noi. Inizialmente farà sicuro storie ma poi si convincerà che questo è l’unico modo per mantenere in salvo la sua famiglia. E se ci tiene come penso… allora farà quello che le dirò”.
«Mello»
«Sì Matt, dimmi… però fa in fretta, devo uscire». Mi spiega in tono serio.
“Non che di solito sia goliardico. Ma quel tono serio non preannuncia nulla di buono. D’altronde se deve incontrarsi con Macca… non mi stupisce che sia incazzato nero…”.
«Ok. Dirò a Des che deve restare con noi per un po’, per non destare sospetti».
“Scusa a cui non crederebbe neanche un bambino”.
Infatti, Mello mi fa subito notare che devo pensare a qualcosa di più plausibile.
«Pensa piuttosto a dirle subito la verità e smettila di fare il coglione, finto cane da compagnia. Amico lo sai che con le donne non funziona, non otterrai nulla continuando a mentire prima di tutto a te stesso».
«Ah… saggio Mello. Grazie di avermi illuminato con una delle tue perle…! Ti sfugge che la vorrei ancora accanto, per quanto ancora non si fidi del tutto di me. Anzi…». Mi interrompe.
«Appunto».
«Ma appunto cosa? Arriverà a fidarsi di me se il tempo mi permetterà di starle accanto». Ribadisco sempre più intestardito a mantenere la mia posizione.
«Forse il tempo sì… Matt… ma io no e sai che, tra i due, sono io a comandare…». Mi sorride scanzonato ma lascia la frase in sospeso apposta per rimarcarne il significato.
“Brutto…”
«Senti Mello, non ti chiedo mai niente. Non discuto mai con le tue assurde e pericolose idee, ma ricordati quanti anni abbiamo… ho… e ricordati anche siamo amici. Non amanti, non sposati, non questo e non quello, e soprattutto… non sei davvero il mio capo». Una lampadina scatta fulminea nella mia testa.
“No. No, aspetta. Undo. Cancella. Back Space. Indietro. Rewind. Riavvolgi. Qualcosa… non posso aver detto questo. Non a lui. È la prima regola della nostra amicizia e collaborazione, cazzo”
«Ah sì? So bene che ti sei appena pentito, lo vedo dal tuo sguardo. Però, se è così che mi devo sentir rispondere… fa un po’ come ti pare!».
“Oh no, l’ultima volta che Mello ha ‘ceduto’ a una mia idea o decisione non è andata affatto bene”.
«Mello…».
“Ti prego girati. Così so che non te la sei davvero presa. Altrimenti poi, chissà quando avremo altro tempo per parlarci”.
Si allontana, centimetro dopo centimetro, portando via anche la mia speranza di avere tregua.
“E certo, perché non solo non ha abbandonato l’idea di mandare via Des, ma visto come gli ho risposto indietro mi metterà anche i bastoni fra le ruote, cazzo. Ma perché non ragiono mai prima di parlare? Porco…”.
Mi scappa una colorita bestemmia muta che mi permette momentaneamente di concentrarmi su altro.
“Anzi, è chiaro che ogni tanto si deve dare una regolata e deve rispettarmi. Abbiamo concordato fin dall’inizio che avrei tenuto Des con me. Stronzo… e adesso vorrebbe che la mandassi via? Può anche mangiarmi… No, troppo volgare. Des non apprezzerebbe affatto e la capisco benissimo”.
«Mello!». Lo chiamo con più decisione.
“Sembra deciso in ogni maniera a farmela pagare. Proprio non lo capisco… D’altronde non ci sono mai riuscito e ma ci riuscirò. Sono pur sempre un uomo e forse forse, anche diventassi una divinità, ancora non potrei capirlo. Bah, le ‘donne’”.
Dopo questa divertente ma sconcertante riflessione mi ricordo il motivo della discussione, e ritorno nel palazzo per parlare con Des. Chiudo la porta e ci appoggio la schiena, come stremato da una forza superiore che incombe su di me. Una forza bruta che scava un solco nell’anima e apre la mente a mondi inesplorati, perfidi, giocosi, pericolosi.
“Che mal di testa. Maledetto Mello e i suoi giochetti di potere. Anche a me i sensi di colpa divorano dall’interno ma…”.
Mi duole talmente la testa che sono costretto a piegarmi al male e, con una mano sulla tempia destra, scivolo con la schiena lungo la porta e il gesto mi porta a pensare alla mia vita.
“Una metafora perfetta: un amico che non riesco a trattenere con me, e la mia schiena che non riesce a sorreggere nemmeno il peso di una mente, figurati quella di quel malato psicotico e quella povera debole mente della graziosa, immacolata Des. Des…”.
All’improvviso sento un forte fischio alle orecchie che mi fa gemere di dolore e di paura, e tutto diventa buio.
“Meno male, stavolta sono a terr…”.
 
POV Des

“Uff! Chissà che fine hanno fatto. Cosa ci faccio qui? Chi o cosa sto aspettando? Mi sembra di essere caduta io stessa nella loro tela. Mi sento in trappola, anzi… sono in trappola”.
Ringhio indispettita a questo pensiero.
“Mi faccio sempre trasportare dagli eventi perché non sono mai in grado di pensare a tutte le conseguenze e alle azioni. Sono una cazzo di perdente che si piange addosso e non risolve mai nulla se non con l’aiuto di tutti e tutto. E anche in quel caso non risolvo mai nulla. Perché? Perché dio mi hai fatto questo? A cosa mi serve questa capacità di pensiero così fantasiosa? Anzi no… dio non centra nulla. Sono io che penso sempre alle cose che non mi servono veramente nella vita. È che… penso sempre a sviluppare abilità trasversali ma poi mi dimentico ogni volta di quelle attinenti al mio obiettivo. Ma poi… io… ce l’ho mai davvero avuto un vero obiettivo?”.
«Ma dove è andato a cacciarsi Matt? Quel dannato… spero non mi abbia lasciata qui come una cretina, altrimenti gli urlo dietro appena torna a prendermi… ma di che mi lamento? Infondo sono due criminali in poche parole. Cosa mai dovrei aspettarmi…? Niente, in teoria. Però Matt… è strano, è come se mi nascondesse qualcosa ma allo stesso tempo fosse la persona di cui più mi possa fidare. Non emana gli stessi intenti del suo amico che, invece, sembra volermi sparare da un momento all’altro. A proposito… sto parlando da sola. Non è molto consigliabile farlo soprattutto quando c’è qualcuno che potrebbe stare fissandoti dietro una telecamera… quindi…».
“Accidenti a me. Mi scordo sempre che devo essere cauta. Almeno ogni tanto eh… non dico sempre. Solo ogni tanto. Va beh. Dannazione quando arrivano? Sto chiaramente impazzendo in questa situazione assurda”.
«Dannazione!». Esclamo in preda all’ansia di non sapere cosa mi aspetta e di non sapere, soprattutto, cosa fare.
“In realtà lo so benissimo cosa devo fare, provare a scappare. Fuori di qui farò la mendicante… porca puttana. Questa non è vita”.
Penso, mentre mi salgono le lacrime, lacrime scottanti e amare di dolore e incompiutezza, perché alla fin fine in tutta una vita non sono riuscita a compiere il passo, quel passo che ti fa raggiungere una volta di più un obiettivo.
“Non riesco mai a decidermi e a concertarmi. Sono così labile che rinuncerei a piangere la mia stessa famiglia se non ne trovassi il tempo,o avessi sotto gli occhi un’altra qualsiasi scusa. Mi faccio schifo da sola, Dio”.
All’improvviso, sento uno strano rumore che mi riporta immediatamente alla realtà da quanto ero e sono tuttora tesa, ma lo catalogo come non pericoloso o rilevante.
“L’importante ora è trovare un modo per scappare. Una bella parola. È praticamente una stanza d’isolamento questa. E non è che porti forcine o cose del genere nella tasca dei pantaloni o in testa... Mi dicevano che niente è impossibile, ma qua non c’è nemmeno una finestra. Wow, che furbizia e che provvedimenti… come se io fossi un’addestrata spia di chissà quale organizzazione. Meno male che il mio sorriso piaceva così tanto a Matt… Parole…”.
«Solo parole». Esclamo ampiamente frustrata e demoralizzata.
Passano minuti interminabili e tutto quello che riesco a fare è deprimermi, deprimermi fino alla nausea come ho sempre fatto e penso che non sto affatto facendo progressi, al contrario di quello che ha previsto Matt.
“Anche se in effetti non so cosa ha previsto Matt o se ha effettivamente previsto qualcosa… Forse aveva un affare da sbrigare e semplicemente mi ha lasciata qui ad attendere. Infondo è questo il mio destino e in un certo senso me la sono cercata. Non ero io che continuavo a pensare di lasciarmi trasportare perché è questa la realtà dei fatti? Non sono io stessa che mi ripeto che è questo l’unico reale modo di vivere? Sì, e allora di cosa vado lamentandomi. Ho deciso: adesso non penso più a niente e faccio la prima cosa che mi passa per la mente”.
«Cantare». Detto fatto: comincio a cantare la mia canzone preferita dello storico gruppo Gothic Metal ‘Nightwish’.

«Baptized with a perfect name
The doubting one by heart
Alone without himself
War between him and the day
Need someone to blame
In the end, little he can do alone
You believe but what you see
You receive but what you give
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak
Apart from the wandering pack
In this brief flight of time we reach
For the ones, whoever dare
You believe but what you see
You receive but what you give
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak
Reaching, searching for something untouched
Hearing voices of the Never-Fading calling
Calling
Calling
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak».
(Amaranth dei “Nightwish” - Album 'Dark Passion Play' del 2007)
 
“Evvai. Me la sono ricordata. E dire che non era mai capitato prima d’ora. Evidentemente non avendo mai avuto il giusto tempo e la giusta spinta per ricordare, andavo avanti per inerzia. Oddio…”.
Constatando questa nefasta verità mi porto le mani ai capelli e sbarro gli occhi, sentendo poi tutto a un tratto le tempie pulsare e un forte magone attanagliarmi la gola. Mi viene da piangere per questa constatazione che mi ritorna alla mente a tradimento e come conseguenza mi torna anche un ricordo doloroso, almeno per l’orgoglio.
 
“Ero ventiquattrenne e single con tanta voglia d scappare alla noia e alla tristezza, gettandomi nel lavoro nel campo del disegno artistico, quello che più mi contraddistingue e che meglio mi riesce, d’altronde. Appunto per questo, un giorno per caso mi arrivò un’email di posta elettronica con scritto che su uno dei miei tanti account in giro per il web, su un sito di vendita, ero stata contattata da una ragazza di Napoli perché voleva dei disegni su personaggi di un’opera teatrale poco conosciuta e sicuramente un po' controversa, per un lavoro che non sarebbe riuscita a fare per l’università. Come richiesta mi è subito parsa ignobile perché i miei affari me li ero sempre gestiti da sola e, in ogni caso, non avevo mai chiesto una mano così sostanziosa a nessuno. Così mi hanno cresciuta e quindi, in teoria, non ho intenzione di cambiare. Dico in teoria, perché sono sempre stata molto malleabile e mi ritrovo a dover affrontare occasioni che con un po' più di carattere e amor proprio, non sfiorerei nemmeno con la fantasia: come appunto quel viaggio che un bel giorno, proprio a causa o grazie a quella ragazza di Napoli, dovetti intraprendere per portarle altri disegni che altrimenti, con la spedizione, non sarebbero arrivati in tempo per il suo esame. Arrivata lì, quella volta sono rimasta a casa sua una settimana, giusto il tempo di farmi fare un giro per la città e farmi conoscere… tipo a tutti quelli del suo quartiere. La volta dopo invece, sono saltati fuori i guai e tutti i miei peggiori drammi (sono sempre stata un po' drammatica di mio) così se poi anche gli altri mi sbattono in faccia i propri, per me è davvero la fine perché perdo me stessa e cerco in ogni modo di andare incontro all’altro, dimenticando che ci deve essere un confine nelle relazioni che non va superato… per nessun motivo. Evidentemente, quel confine a Napoli non sanno cosa sia. Caddi nella sua trappola di rugiada e poesia, amore e catene allo stesso tempo. Mi fece conoscere, per qualche strano motivo, un ragazzo che mi convinsi di dover ‘abbordare’, poi me ne presentò un altro ma più che altro questo si presentò da solo, cosa un po' da ‘libertino’ a dir poco e insisteva con una certa urgenza a voler uscire con me e ad entrare in intimità, cosa che io assolutamente non volevo, però alla fine mi sono lo stesso lasciata strappare un bacio: cosa per me molto importante, sempre in teoria. Dopo quell’episodio non so sia ancora vero. Poi, diventò tutto sempre più strano, il comportamento di uno, quello di un altro. Il lavoro che avrei dovuto assicurarmi al pub dove lavorava la ragazza stessa e il primo ragazzo che mi presentò ma che non durò nemmeno una settimana. La pazzia che scorgevo in tutta quella gente così ben agghindata ma con poco sale in zucca, a parte pochi esempi che mi rimarranno nel cuore nel modo che preferisco. Quelli che rimangono indifferenti agli altri perché non si vantano delle loro qualità, false o vere che fossero, le tenevan per sé per scatenarle al momento e nel luogo più adatti. Quelli rimarranno per sempre nel mio cuore come i migliori al mondo, vista la pazienza che portano per tutti gli altri che li circondando. In tutto questo, una cosa fece da colonna portante della mia avventura: la disattenzione che portò alla mia totale inerzia e alla paura. Fui costretta psicologicamente a restare in qualche modo legata a quei posti e a quelle persone. Per questo, ancora adesso mi rammarico per non aver agito seguendo completamente il mio istinto. Per non aver pensato anche a me stessa, pensato che stavo piano piano collassando e toccando il fondo e perdendo la dignità”.
 
“Ma tanto ora cosa e, soprattutto, a chi dovrebbe importare? E comunque, devo andare avanti con la vita… accidenti. Non posso credere che la mia essenza si riduca miseramente ai soli ricordi del passato che molto fastidiosamente si ripresenta per rovinare tutto. Io rovino tutto”.
«A cosa serve rimuginare su quella ragazza, adesso? Adesso che ho trent’anni e non so più nemmeno che faccia abbia… quella lì, o se sia viva e che cosa stia facendo».
“Tipico di noi adulti… ridurre l’intera esistenza propria e degli altri a un solo concetto: lavoro, famiglia, passione. Tre semplici concetti che, invece non potrebbero, mai e poi mai, racchiudere interamente la vita di una persona. Che arroganti che siamo. Sperare di capire gli altri, dovremmo smetterla di provare a capire gli altri e, invece far luce in noi stessi perché è proprio da dentro di noi che parte la vera forza. È da dentro noi stessi che parte la conoscenza e, quindi se dovessimo capirci a vicenda dovremmo prima di tutto… Accettare noi stessi, a contatto con il nostro io interiore ma soprattutto a contatto col mondo esterno? Può essere, ma non solo. Non basta accettarsi e passare la vita a sguazzare nei propri errori e nelle proprie incertezze… Vorrei, io in primis, cambiare in meglio la mia situazione ma pare proprio che da sola non abbia nessuna speranza. Che desolazione”.
«Matt».
“Forse se cominciassi a chiamarlo a bassa voce e dentro di me, potrebbe avvenire che lui mi senta…”.
«Come no. Mi piace proprio sognare alle volte. Dio… che devo fare? Che devo fa…». La frase resta in sospeso nella mia bocca, perché all’improvviso sento la porta cigolare sinistra e dopo qualche secondo in cui sudo freddo, vedo il caschetto regolare di Matt accompagnato dal quel tipico abbigliamento eccentrico, fare il suo ingresso nella stanza blindata. Mi sento leggermente sollevata al pensiero che non dovrò più attendere ma sento che c’è qualcosa che non va.
“Me lo dice il mio intuito e stavolta non sbaglio. Basta guardare lo sguardo che Matt mi sta rivolgendo. È… come dire… sinistro. Sì, non è quello di prima. Che sta succedendo? Mi hanno incastrata alla grande e adesso vogliono farmi fuori perché li conosco? Ma non ho deciso io di conoscerli. È stato lui a venire da me, e allora perché? Perché ogni volta che incontro il suo sguardo o ci parlo assieme, tutto fa presupporre che io sia in serio pericolo? Mah…”.
«Matt… posso uscire adesso, vero?!». Il suo sguardo è sempre sinistro ed ha assunto una parvenza quasi malvagia, il che mi fa provare brividi in tutto il corpo e un pensiero mi trafigge senza pietà.
“Poco fa non era affatto così. Quanto è passato? Un’ora? Due? Cosa può essere accaduto in così poco tempo? Mah… che diavolo”.
Matt mi sorprende di nuovo uscendo, così com’era entrato, dalla stanza. Senza dire una parola ma non passa nemmeno un minuto che lo vedo rientrare e questo mi mette addosso soltanto agitazione.
“Aiuto. Sono fottuta… ma… adesso che lo vedo meglio… ha la stessa espressione di sempre… che diavolo?”.
Fa appena in tempo a chiudere la porta di cui si sente lo scatto della serratura, segno che sono di nuovo di gattabuia, che balzo all’indietro spaventata oltre ogni limite. Non voglio assolutamente che mi si avvicini di più. Ritengo sia saggio per me, al primo viaggio di ritorno, trovare una soluzione per scappare.
“Sì, è essenziale. Devo pensare solo a quello e non mi devo per nulla distrarre. Se non trovo un modo al più presto sarò spacciata. Più che spacciata. Fritta andata, persa, ecc. ecc. ecce”.
«Bellezza, ti senti bene? Guarda che me lo devi dire se c’è qualcosa che non va perché non ho la sfera di cristallo, ma comunque non meriti di essere trattata come una comune testimone o altro, quindi sentiti libera di rompermi le palle per qualsiasi cosa». Mi spiega con un sorriso raggiante e l’espressione distesa.
“Ma… ma… fino a un attimo fa sembrava volermi incenerire con il solo sguardo… e ora… e ora? Non riesco più nemmeno a formulare dei pensieri nella mia testa… e ora se ne viene fuori così? Come fosse un bambino simpatico e carino? Ma no. Non è possibile. È uno scherzo, deve esserlo per forza. Io… Io ho visto quella sua espressione, non me la sono inventata, ne sono più che sicura. Oddio e se stessi definitivamente impazzendo? Forse è anche colpa loro… magari nel condotto d’aerazione hanno immesso dei fumi tossici o direttamente un veleno leggero. Leggero così non mi permette di accorgermi di qualcosa di anomalo… ma allora, seguendo questo ragionamento e il fatto che loro sono professionisti… non avrei dovuto accorgermi di nulla. Non penso di aver acquisito improvvisamente poteri eccezionali che mi possano far capire le cose del nulla”.
«Ahm, senti Matt…».
«Dimmi bellezza, che c’è?».
«Senti, non è che… c’è qualcosa che mi devi dire, vero? So che se non me lo potessi dire non me lo riveleresti, almeno puoi accennarmi se c’è qualcosa che devo sapere? Solo questo».
«Bellezza, come sei criptica tutto a un tratto. Se ti mancavo così tanto dovevi dirmelo, no?!». Termina la frase con una lieve risatina divertita e lievemente sarcastica.
“Alla fine non mi ha risposto alla domanda. Quindi avevo visto giusto. Non mi sono inventata niente e per fortuna non mi stanno drogando. Sai che fortuna… quindi mi nasconde più di una cosa. Perfetto, direi che sono a cavallo. Complimenti Des, sei molto intelligente e autonoma… e soprattutto coraggiosa e determinata. Uff. Per adesso farò buon viso a cattivo gioco.”.
«No… è che sai… sento che c’è qualche particolare, in tutta questa faccenda, che mi sfugge completamente e questo mi destabilizza non poco…». Anche se non ce n’è bisogno, lascio in sospesa la frase come e voler intendere che è lui a doverla continuare. Purtroppo, come sospettavo lui non ci casca e volta lo sguardo sorridendo consapevole, per poi sedersi con la schiena appoggiata al muro rivolta dalla parte opposta rispetto alla mia.
«Purtroppo, adesso dobbiamo pazientemente aspettare che Mello, sua signoria, ritorni con la cena per tutti. Intanto il mio compito è scortarti fino alla nostra casa che abbiamo in questa città».
«In questa città? Perché? Avete una casa anche qui? Però, alla faccia degli squattrinati barboni pezzenti e…».
«Vaa bene, ho capito che non tieni a me» ride di gusto «Comunque, adesso seguimi e non parlare perché ci possono essere cimici. Anche telecamere in realtà ma quelle verrebbero tutte bruciate dalla mia preziosissima App. Della quale non ti posso ancora dire nulla ma prima o poi lascerò apposta in giro per casa il cellulare e allora ti accorgerai da sola di cosa sto parlando. Ne vado matto e ogni giorno non vedo l’ora di usarla per far cadere qualche piano malefico di un nostro obiettivo». Ride sornione sotto i baffi. Apre la porta, non riesco bene a capire come, e allora mi decido a muovere le gambe che sembravano in trance fino a un attimo prima, per raggiungerlo. Dopo di che si richiude la porta alle spalle e mi fa segno di seguirlo. Dopo un minuto, passato ad evitare di toccare le pareti umidicce e viscide della struttura, arriviamo a un ascensore.
«Che mi venisse un colpo». Esclamo stupefatta.
«Che cosa hai visto?». Mi chiede l’altro senza voltare l’attenzione su di me, come non fosse realmente interessato alla mia spiegazione, o come fosse già al corrente dei miei pensieri.
“Strano. No, no invece che non è strano. Parlo ad alta voce e poi mi sembra normale che uno finga di non ritenermi pazza fingendo disinteresse”.
Arrivato l’ascensore, mi fiondo all’interno e subito scopro che è come pensavo. L’apparecchio ‘infernale’ è di ultima generazione e non vecchio e pericolante come ci si aspetterebbe da un ascensore in un edificio tenuto così male e, anzi lasciato andare a se stesso.
«Ma… perché c’è un ascensore di fattura americana e di ultima generazione in un edificio così? Saranno stati spesi migliaia di euro per costruirlo, quando l’intero edificio tutt’intorno cade letteralmente a pezzi…». Non riesco a capacitarmene e sento che ogni minuto che passa potrei dare di matto con la voce a pieni polmoni.
«Non giudicare mai un libro dalla copertina. Nel nostro lavoro… fare ciò ti porterebbe inesorabilmente alla morte».
«Ma che scoperta. La mia non era un’affermazione, era più che altro una domanda… genio. Vorrei sapere che ci fa un affare di ottima fattura in un posto così stretto e angusto». E niente da fare, l’unica modo in cui mi risponde è rivolgermi nuovamente un sorriso consapevole e divertito: cosa che mi fa totalmente desiderare di essere un energumeno esperto di arti marziali, così da poterlo scaraventare a terra con un dito.
“Ma purtroppo non sono ancora né forte né astuta e forse non lo sarò nemmeno mai, quindi è meglio che cominci a scrivermi da sola l’elogio funebre e… ma io non dovevo pensare a un piano di fuga? Già. Se chiedessi loro di cominciare subito a collaborare con loro potrei avere una valida scusa per uscire dall’edificio e così da lì sarebbe abbastanza semplice squagliarmela. No, no. Devo essere più astuta, così mi potrebbero recuperare anche a mani nude e senza il ‘GPS’. No. Devo trovare una maniera più elaborata, solo che non sono mai stata un asso a elaborare perché mi sono sempre affidata… alla pazienza degli altri? O al fatto che non si sarebbero accorti di nulla…. Già. È così. Ma qua non è impossibile che loro si… ‘dimentichino’ di venirmi a cercare se non torno entro il tempo da loro calcolato”.
Appena siamo entrati tutti e due, le porte si chiudono e Matt, stranamente, non preme nessun pulsante ma l’ascensore parte lo stesso all’istante.
“Tutto sta procedendo verso l’estremo dell’assurdità. Gli ascensori adesso partono da soli. Ah. No, adesso ho capito. È per non lasciare impronte. Geniale ma le tracce comunque restano. Residui di suola delle scarpe, pelle, odore soprattutto per uno come Matt, direi. Per non parlare dei capelli… bah. Contenti loro, però niente mi vieta di porgli delle semplici domande”.
«Matt… come fate a eliminare tutte le tracce del vostro passaggio…? Soprattutto tu con l’odore di fumo…?».
«Eh eh, sapessi bellezza» lo fulmino scocciata «No, questo ascensore ha un sistema di ‘decontaminazione’ autonomo. Dopo Chernobyl, e dopo aver capito che avevano il via libera perché erano passati abbastanza anni e la notizia si era dispersa, alcuni ‘scienziati’ hanno deciso di applicare alle nuove tecnologie il meccanismo di reazione che aveva innescato l’esplosione. E dopo questo non posso dirti altro. Comunque questo edificio è di millenni fa, invece l’ascensore è più recente ma non quanto pensi tu. La tecnologia qui non si sviluppa, viene esportata da altri paesi già molto più avanti».
“Grazie tante”. Penso stizzita. Poi, però mi ricordo che le suddette tecnologie di cui lui sta parlando sono state applicare ad armi sempre più pericolose e letali.
“Per questo e molti altri motivi preferisco di gran lunga il mio paese in fatto di avanguardia, ad altri. Questo però non intendo dirglielo perché certe cose è meglio tenersele per sé in alcuni casi, come il mio per esempio”.
Dopo solo un minuto alzo lo sguardo sui numeri dei piani e mi accorgo che siamo al quindicesimo piano.
“Che diavolo…. Ma dove sarebbero i quindici piani?”.
«Matt… ma da che piano parte il piano terra? Il decimo?».
«Felice che te ne sia accorta. Non siamo poi del tutto così barboni. In ogni caso, questo edificio lo abbiamo, come dire, ‘preso in prestito’ al vecchio proprietario».
“Certo, come no”.
Mi scappa una risatina sarcastica trattenuta.
«Eccoci arrivati pagliaccio. Fai ridere anche me, no?!». Mi sorride complice e mi sembra che mi voglia indurre a sorridergli a comando. Probabilmente mi sbaglio ma in caso fosse vero, non mi piace per niente quello che cerca di ottenere da me. A questi pensieri il buon umore dato dallo stupore della novità, mi passa definitivamente e mi incupisco. Il sorriso svanisce anche dalle labbra di Matt, il quale forse ha capito che certi trucchetti dovrebbero essere banditi da qualsiasi relazione ma evidentemente è abituato a strumentalizzare.
In un attimo, siamo arrivati all’ultimo piano sotto terra e già all’idea di essere sotto terrà mi fa sentire claustrofobica, in più poi, quando apre la porta che ci fronteggiava capisco che la grandezza della loro ‘casa’ raggiunge a malapena quella di una stanza e lì mi viene quasi male e mi manca un po' anche il respiro. Mi porto una mano al petto perché all’idea di dover restare lì, in quel posto da panico, potrei tranquillamente svenire.
“Non ne posso più, sempre e solo spazi chiusi. Non sono un animale da mandare al macello”.
«Matt, questa non è la vostra casa, vero?!».
«Ma no bellezza. La casa è dopo questa enorme stanza». Ride di nuovo, divertito dalla mia reazione che per lui, chiaramente è esagerata e insensata.
“Ci sarei schiattata se era questa la casa”.
Dopo di che, apre sempre elettronicamente la porta della vera casa ed entriamo.
«Beh, fa come se fossi a casa tua. Tanto per un po' lo sarà davvero». Queste parole mi riportano alla mente che non ne ho più una e la mia famiglia non c’è più.
“Andata, svanita, morta. Tutto per un gioco troppo pericoloso di potere che l’uomo non può evitare in nessun modo. Tutto per orgoglio”.
Divento triste e penso che questo ragazzo è veramente incapace a far restare stabile una persona.
“A meno che non lo faccia apposta e in questo caso non ci potrei fare niente perché io le regole della psicologia non le conosco”.
Gemo di sconforto. Vorrei un abbraccio dalla mia cara sorella, o dal mio fratellino, o da quella roccia del mio fratellone.
“Però qua… c’è solo uno sconosciuto che fa pure il sarcastico a suo piacimento con i miei sentimenti”.
Gemo di nuovo, di disperazione. Alzo lo sguardo per cercare una via di salvezza e intanto lui si è accorto di esser stato indelicato e cerca di rimediare ma è troppo tardi perché, scorta una porta che possibilmente porta ad una stanza da letto, la apro e me la richiudo alle spalle. Poi, facendomi forza cerco di alzare la voce senza lasciar trapelare che sto piangendo.
«È insonorizzata questa stanza, Matt?».
“La mia voce non era affatto decisa, magari posso avvalermi della porta chiusa”.
«No Des, altrimenti non ti avrei sentita nemmeno avessi urlato più forte che potevi».
“Già. Che stupida”.
Il pianto preme per uscire dirompente dai miei occhi e dalle mie corde vocali ma voglio assolutamente una stanza insonorizzata, anche se lui avrà di certo capito qualcosa di simile alla verità.
“Per lo meno non voglio assolutamente che mi senta, tanto meno il suo amico”.
Esco da quella stanza che non era affatto una camera da letto ma il bagno a destra. Appena sono fuori alzo la testa e lo fisso con gli occhi lucidi e gonfi, segno evidente a chiunque, e lui senza dire una parola mi indica la camera da letto che stavolta è davanti all’entrata e gli sento vagamente dire che devo prima salire una scala a chiocciola. Dopo l’informazione mi sento come se mi potessi rilassare perché lui non può vedermi e attraverso la porta per poi richiudermi alle spalle anche quella. Aspetto di aver salito completamente la scala e là lascio andare liberamente le lacrime e che assieme ai singulti esprimono tutto il mio dolore.
“Per la mia famiglia. Finalmente avrò un po' di pace. Sola e al sicuro. Almeno voi sarete felici. Felici di sapermi al sicuro, forse. Forse sono al sicuro, per ora”.
   
 
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