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Autore: MadameZophie    04/01/2019    0 recensioni
Lautrec x Female!Chosen Undead
Fandom: Dark souls
Avvertimento: Spoiler
Genere: Angst
------- Estratto dalla storia -------
Evitò i primi fendenti che una delle due avanguardie, un lanciere per la precisione, le aveva sferrato, nel suo campo visivo entrarono un'armatura color dell'oro ed uno shotel. Strinse gli occhi, non voleva vedere, non voleva riconoscere l'identità dell'avversario, non voleva distruggere l'ultimo frammento di quell'illusione tanto confortante quanto falsa.
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Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lautrec di Carim, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Sin da quando lo aveva incontrato la prima volta, la giovanissima prescelta aveva provato interesse nei confronti di quell'uomo. Forse era stato a causa di quell'armatura a dir poco bizzarra, con le braccia della dea che egli tanto amava che lo abbracciavano, come ad infondergli energia e coraggio durante la sua missione, forse per il suo comportamento, un po' da bello e dannato. Fatto sta che Lautrec poco a poco aveva fatto casa stabile nei pensieri della ragazza, inducendola a sbirciare spesso e volentieri oltre le scale, giú al santuario del legame del fuoco, per scrutare la figura in armatura aurea seduta scompostamente davanti alla prigione della guardiana. Le ultime volte che aveva parlato con Lautrec, questo aveva effettivamente accennato a dei servizi offerti nei suoi confronti dalla donna, ma la prescelta non aveva mai approfondito troppo, non aveva voluto farlo. Non che ne fosse infatuata, non troppo almeno, ma aveva la netta convinzione che venire a conoscenza di una eventuale relazione fra il cavaliere benvoluto e la guardiana avrebbe minato al suo povero cuore da non-morta. Dopotutto i sentimenti li provava ancora, sebbene fosse destinata a quell'infinito ciclo di morte e rinascita continue al fine di portare a termine la profezia che la riguardava.

In quei giorni era terribilmente distratta, neanche contava le volte in cui era morta contro la furia di Quelaag, la strega del caos, quel gigantesco ragno fuso con una splendida donna che risiedeva nei meandri della città infame, in un dominio di ragnatele. Non riusciva a concentrarsi sulla missione, spesso e volentieri un paio d'occhi d'onice le invadevano i pensieri, neanche l'avvento dello spirito della spietata Mildred la aiutò a recuperare, anzi, la sua mannaia la aiutò unicamente a raggiungere piú velocemente il falò piú vicino. Ancora doveva capire come funzionasse quel meccanismo che le permetteva di non raggiungere il creatore ogni volta che un animale, un non-morto o una creatura qualsiasi le dava il colpo di grazia. E solo gli dei sapevano quanto ogni tanto desiderasse un errore nel sistema, un modo che la lasciasse morire, stavolta per sempre.

Una volta arrivata alla somma di undici sconfitte contro la dominatrice della città infame, decise di farsi forza e affrontare il problema una volta per tutte, anche solo per poter raggiungere una zona che risultasse meno dannosa al suo organismo, sebbene nulla potesse esserlo a livello mortale oramai. La prescelta impugnò la fedele Zweihander tra le mani, affidandosi ancora una volta alla potente spada per sconfiggere l'ennesimo ostacolo che le impediva di proseguire, in fin dei conti non fu neanche troppo complesso. Le venne un groppo alla gola quando tuttavia scoprí poi che Quelaag proteggeva nel suo dominio la sorella malata, la Fair Lady, consumata dagli effetti della città infame e controllata dal fedele Eingyi; la prescelta reputò di aver compiuto unicamente un'opera di fede quando con tutto il rispetto che poteva portare a quella grande e fragile creatura del caos la uccise, liberandola dalle sofferenze che la affliggevano da cosí tanto tempo. Beccarsi l'inimicizia del fedele del patto del caos fu qualcosa di poco conto, infondo, aveva sopportato di peggio.

Il duro colpo arrivò in un altro momento, una volta suonata la seconda campana, ovvero quando giunse al santuario del legame del fuoco. Non fu qualcosa di immediato, al suo arrivo altri eventi catturarono la sua attenzione: la scomparsa del guerriero caduto, che non le era mai stato particolarmente simpatico, ma aveva rappresentato una delle poche forme di interazione umana all'inizio della sua sventurata avventura, e l'arrivo di Frampt, il serpente primordiale. Quest'ultimo aveva causato non pochi dubbi all'interno della povera ragazza: il suo identificarsi nelle vesti di amico del leggendario Signore dei Tizzoni e il suo desiderio di vederla prendere il posto del lord stesso, sconfiggendolo alla fornace della prima fiamma, la portarono solo a pensieri troppo pesanti da affrontare in quel momento. Aveva strettamente bisogno di riposo, nulla che il calore rassicurante del falò non potesse risolvere, magari concedendosi anche un sorso dalla fedele fiaschetta estus donatale da Oscar ormai diverso tempo prima. Fu in quell'esatto istante, mentre le mani si ponevano sopra la fiamma scoppiettante, che il dubbio la colse: nonostante avesse compiuto il solito procedimento di sempre, non le arrivava quell'energica zaffata di energia che era in grado di donarle forza, sicurezza, che poteva addirittura farla tornare umana sino alla morte successiva, facendole provare ancora una volta le sensazioni che si confanno ad un vivente.

Corse, corse come mai aveva fatto, il cuore preda di un pensiero che non voleva rivelarsi vero, che doveva essere solo una sua stupida supposizione. L'evidenza tuttavia fu contro di lei: nella cella la guardiana giaceva morta, il corpo riverso al suolo oltre le gelide sbarre della sua prigione, nei dintorni alcuna traccia di Lautrec. La prescelta prese le vesti della defunta con delicatezza, nonostante non avesse mai dedicato troppe attenzioni alla donna, questa era stata la fonte dell'essenza stessa del santuario, divenuto ormai la sua casa; nel maneggiare quelle stoffe, una sfera le rotolò fra le dita, era nera, irregolare, crettata, un occhio compariva disegnato, spalancato sul nulla. Non le risultava familiare, ma la fece scivolare all'interno della propria sacca, come ricordo, come monito.

Ancora una volta, la ragione e l'anima della prescelta non volevano scendere a patti, la seconda si rifiutava di accettare che il cavaliere benvoluto, colui che con Solaire l'aveva aiutata contro la brutalità del drago famelico, avesse tradito la sua fiducia, avesse tradito LEI, uccidendo la guardiana ed andandosene cosí, senza dire nulla, lasciandola sola nel dover comprendere di essere stata ingannata e di aver perso l'unico luogo che potesse definire un rifugio. Non sapeva se essere piú rabbiosa, indistintamente verso il cavaliere di Carim e verso la propria stupidità, o distrutta da quella serie ininterrotta di avvenimenti atti a deteriorare il suo corpo e i suoi sentimenti, tanto instabili quanto illogici, visto che ancora sembrava provare qualcosa per Lautrec.

Si fece forza, diede nuova regolarità al respiro spezzato non dalla fatica ma dal pianto che non sarebbe potuto uscire, estrasse la Zweihander solo per impugnarla con entrambe le mani, in lei il desiderio di rendere evidente a sé stessa la sua vera potenza, la sua vera pericolosità. La zona immediatamente successiva alla città infame fu la fortezza di Sen: era tetra, ricca di trappole mortali che spesso riuscí ad usare contro i suoi stessi nemici, disgustosi ibridi fra uomini e serpenti perlopiú, abili nella spada quanto nella magia. Non negava che per sconfiggerne alcuni era morta piú volte, ma il suo arrivo di fronte alla nebbia che la divideva dal suo Nemico con la N maiuscola, il muro che le impediva di proseguire il suo viaggio, fu tempestivo. Forse più lunga fu l’impresa di trovare il simbolo di evocazione per richiamare un aiuto in quella battaglia. Avrebbe certamente potuto affrontare da sola l’avversario, ma nutriva la scarna speranza di poter trovare, fra quei caratteri luminosi e fluttuanti nell’aire, quello di Lautrec.

Se lo avesse trovato, avrebbe potuto parlare con lui, chiarire ciò che era successo, scoprire il motivo che lo aveva spinto ad andarsene così, d’improvviso; forse avrebbe addirittura potuto confutare l’innocenza del cavaliere, spiegando un malinteso nato da una sfortunata coincidenza, e forse l’uomo l’avrebbe addirittura aiutata a trovare il vero colpevole. Ma non fu così, non era del seguace della dea Fina il nome impresso a mezz’aria, quanto di un certo Tarkus Ferronero, un energumeno che le rivolse appena un cenno di saluto, prima che attraversassero la nebbia.
L’Iron Golem era stato un nemico parecchio ostico, la sua lama in grado di fendere addirittura l’aria e la spiacevole collaborazione di un gigante che continuava a lanciare nel campo di battaglia, già di per sé pericolante, bombe su bombe le avevano fatto rischiare la morte più e più volte, ma l’intervento dell’alleato evocato quasi per caso fu a dir poco provvidenziale, regalandole una vittoria che, come solo poche volte era capitato, non era stata anticipata da alcuna morte. Peccato che ogni volta le evocazioni scomparivano pochi secondi dopo la sconfitta del boss, lasciandola nuovamente sola con i suoi pensieri e con il dubbio di non sapere come proseguire. Dopotutto l’arena era un terribile vicolo cieco sul vuoto e la prescelta si sentiva terribilmente presa in giro, come se non lo fosse già stata abbastanza; Fortunatamente però anche la soluzione a quel quesito arrivò rapidamente, non appena le venne lo scrupolo di sfiorare il luminoso cerchio di luce e dal cielo discesero quei demoni alati. Non erano certo fra i mezzi di trasporto più sicuri, ma la cosa non la spaventava più di tanto, forse era un po’ preoccupata per il dolore che avrebbe potuto provare cadendo da un’altezza del genere, ma per lei oramai la morte definitiva era più un’aspirazione che un timore.

Incredibilmente, al suo arrivo in quella zona sconosciuta, non poté fare a meno di rimanere a bocca aperta e strabuzzare gli occhi a quella vista: la città di Anor Londo si presentava ai suoi occhi con il suo aspetto paradisiaco, le sue forme geometriche e la sua calda luce, nessun non-morto a minacciarla all’orizzonte. Che fosse davvero morta senza accorgersene e avesse raggiunto la pace? Non le restava che scoprirlo. Avanzò sul pavimento scuro, solo il suono dei suoi passi metallici ad interrompere il silenzio di quell’immobile momento di pura estasi che si propagava nel suo animo. L’idilliaco istante durò tuttavia, appunto, un istante, giusto il tempo necessario a percepire in lontananza un verso simile ad uno stridio, un battito di ali possenti, la figura di un gargoyle che si avvicinava, tra le zampe un’ascia ed il corpo percosso da scariche elettriche ben evidenti, sebbene lei ricordasse distintamente che quelle belve sfruttassero il fuoco, nel loro precedente incontro.

Con qualche difficoltà anche la creatura cadde, morta, lanciando un ultimo grido rabbioso e scomparendo ben presto in una nube di polvere. La prescelta sperava quantomeno che fosse tra quei rari nemici che non erano afflitti dalla sua stessa maledizione e che quindi, una volta riposatasi, non lo avrebbe dovuto affrontare di nuovo all'infinito. E per una volta la fortuna volle sorriderle, donandole quel piccolo vantaggio in quello che si rivelò essere un posto tanto bello quanto inospitale. Guerrieri in armature lucenti e possenti continuavano ad incalzarla, le loro armi piombavano su di lei come spade di Damocle, facendole raggiungere fin troppo spesso il falò in cui aveva incontrato la guardiana della città. A differenza di quella del santuario, tuttavia quella non sembrava cosí innocua, anzi, l'armatura d'oro che indossava la identificava piú come una guerriera. Ci aveva scambiato due parole, nulla di piú se non una presentazione approssimativa della guardiana e la spiegazione sul perchè si trovasse lí, piuttosto asettica, a dire il vero. Chiunque avrebbe potuto trovarsi lí e rivolgersi a lei, la risposta non sarebbe cambiata.

Per qualche istante, mentre vagava tra i corridoi e le scale del palazzo reale, la prescelta si ritrovò ancora una volta a fissare i suoi pensieri su Lautrec. Era tra i pochi che le avesse mai concesso piú di qualche frase di rito, l'aveva addirittura ringraziata quando lo aveva liberato dalla prigione, giú alla chiesa dei non morti. Effettivamente, pensandoci bene, non aveva mai saputo il motivo della permanenza dell'uomo nella cella: non era un non-morto, non sembrava vuoto, quando per caso lo aveva trovato non pareva neanche troppo pericoloso. Eppure qualcuno aveva deciso di rinchiuderlo come il peggiore dei criminali, il che la portava a rendere ancora piú infima la speranza del malinteso. Prima o poi anche quell'ultima briciola della sua anima ancora aggrappata a quella sterile possibilità sarebbe crollata nel baratro della consapevolezza, ma per il momento si sarebbe limitata a proseguire.

Se avesse continuato a combattere, uccidere, morire, rinascere e poi tornare nuovamente a dare inizio a quel ciclo, non avrebbe dovuto pensare, avrebbe potuto proseguire con la sua "vita", avrebbe potuto raggiungere il suo scopo e finalmente avrebbe potuto passare il tempo che le sarebbe rimasto lasciando riposare le membra e l'anima. E ci provò, eccome se ci provò, fece tentativi su tentativi mentre avanzava in quella magnifica costruzione dagli alti soffitti, ma bastò un singolo incontro per far crollare quel castello di carte che era la sua freddezza come dopo una tempesta: Solaire, quella figura oramai cosí familiare, cosí di casa, seduto di fronte al falò celato in una delle stanze del castello per qualche motivo le riscaldò il cuore. Dopotutto il cavaliere del sole continuava ad essere il solito bonaccione, le sua voce tanto rassicurante e il suo modo di fare cosí caloroso spinsero la ragazza a chiedersi se, almeno per la gioia, le lacrime sarebbero potute tornare a scendere, un'ultima volta. Rimase a lungo seduta di fronte al fuoco scoppiettante, lasciandosi cullare appena dal parlare, anche se a volte un po' ripetitivo, di Solaire, ma in seguito si costrinse a rimettersi in piedi. Nascondersi in una stanza non sarebbe servito a nessuno, anzi, avrebbe solo permesso ai pensieri meno convenienti di raggiungerla, l'unica sua speranza era fuggire abbastanza lontano da non permettere loro di rintracciarla.

Si sa però che quando si tenta di scappare da qualcosa, guardandosi troppo le spalle, si rischia di batterci il naso contro. A lei successe una cosa analoga. Accadde in una grande sala, proprio davanti alla nebbia che, con ogni probabilità, rappresentava il passaggio verso l'ultimo sforzo che avrebbe dovuto affrontare ad Anor Londo; sin da quando aveva iniziato a sconfiggere i cavalieri che presidiavano la zona aveva percepito un movimento, non metaforico però, c'era proprio qualcosa addosso a lei che vibrava, si agitava come un topo in trappola. Attese di aver lasciato campo libero prima di avvicinare una mano tremante alla sacca in cui portava gli oggetti, le dita scivolarono all'interno, chiudendosi attorno a ciò che aveva attirato la sua attenzione ed estraendolo: il globo dell'occhio nero incrinato pulsava nella sua mano, crettato ma lucido, la pupilla vuota ritratta sopra pareva quasi osservarla. La strinse, quasi per istinto, sentendo quel pulsare andare affievolendosi, terminando nell'esatto istante in cui percepí una strana sensazione, come uno strappo all'altezza dello stomaco. Si rese conto di aver chiuso gli occhi quando dovette riaprirli, ritrovandosi ancora all'interno della sala, ma notando anche la presenza di compagnia.

Erano tre uomini, tuttavia i primi due coprivano il terzo, che rimaneva piú indietro, in disparte, celandosi ai suoi occhi. Le arrivò solo la sua voce, tanto familiare da crearle un groppo in gola che non riuscí a mandar giú: “Beh, ma guardati... Pensavo fossi più saggia, ma mi sbagliavo! Davvero un peccato...". Evitò i primi fendenti che una delle due avanguardie, un lanciere per la precisione, le aveva sferrato, nel suo campo visivo entrarono un'armatura color dell'oro ed uno shotel. Strinse gli occhi, non voleva vedere, non voleva riconoscere l'identità dell'avversario, non voleva distruggere l'ultimo frammento di quell'illusione tanto confortante quanto falsa. La voce di Lautrec le impedí di rinchiudersi in un sogno ideale nato dalle sue fantasie, entrandole nelle orecchie, soave come miele ma pungente come un'ape: " Come una falena verso la fiamma... E voi? No? Non siete d’accordo?”. I due compagni d'armi non risposero, troppo occupati ad impedire alla prescelta di avvicinarsi troppo a lui, come se poi avesse realmente potuto fargli qualcosa. La sua prima morte arrivò senza che neanche se ne stupisse troppo, semplicemente il suo ventre venne raggiunto da una delle stregonerie della seconda avanguardia. Oltre alla fitta allo stomaco, percepí unicamente lo strappo all'altezza del petto, l'orribile sensazione di percepire il proprio corpo disfarsi, la gelida stretta della maledizione si strinse ancora attorno al corpo emaciato e intirizzito della non-morta.

Chiunque, vista la rapidità con cui le due guardie del cavaliere di Carim l'avevano uccisa, al suo posto avrebbe pensato piú e piú volte prima di tornare a stringere quella piccola sfera nera incrinata, avrebbero atteso prima di recarsi dinanzi a quel trio, ma lei aveva dimostrato piú volte di non essere solo "chiunque". Lo aveva fatto quando aveva ucciso i Gargoyle suonando la prima campana, lo aveva fatto nell'affrontare la città infame e la strega del caos, al fine di suonare la seconda, e lo aveva fatto in quell'istante, quando aprendo gli occhi la figura del cavaliere di Fina le apparve perfettamente di fronte agli occhi. Solo gli dei sapevano quanto avrebbe voluto vedere il suo viso, scorto solo una volta di sfuggita, quanto avrebbe voluto ignorare i segnali che la sua mente le mandava, quegli avvertimenti riguardanti un amore malato, nato da poche frasi scambiate e da un insieme di sensazioni maturate in lei durante un viaggio che aveva messo a dura prova la sua stabilità mentale. Per lei, alla fine, Lautrec era diventato, quasi immotivatamente, un porto sicuro ed una stella polare; lei aveva continuato quel viaggio carico di sangue e dolore perchè il cavaliere l'avrebbe lodata, forse, se avesse compiuto la sua missione; aveva superato gli ostacoli piú impensabili motivandosi con la speranza di poterne rivedere anche solo l'elmo o risentirne la voce. Aveva creato un castello di congetture e illusioni per mascherare quella realtà, si era innamorata fondamentalmente dell'ideale che aveva di quell'uomo, ma ora non sapeva liberarsene.

Le parole che le rivolse non appena la riconobbe furono ancora piú dure da buttar giú, ancor piú difficili da accettare, sebbene da qualche parte, nella sua mente, si riconoscesse in quel crudele commento: “Riprendiamo le danze! Quante volte questi agnelli vogliono lanciarsi al macello? Beh, facciamola finita". E la fece finita, Lautrec, piú e piú volte, come piú e piú volte la prescelta udí quelle medesime frasi rimbombarle nella mente sino a causarle la nausea, ma ogni volta che la morte la richiamava a tornare alla sicurezza del falò, lei proprio come una falena ripercorreva quel dannato tragitto, raggiungendo per l'ennesima volta quel campo di battaglia.
Poi, semplicemente, avvenne: la sua spada, fedele compagna, diede per prima la morte alle due avanguardie, entrambi i corpi caddero e si dissolsero, lasciandola da sola con il cavaliere. Questo non diceva alcunchè, tratteneva fra le mani gli shotel, abbracciato dalla dea in una maniera tanto morbosa che avrebbe voluto sostituirsi a quella mera imitazione ferrea per stringersi attorno al petto dell'uomo. I due corpi si mossero in maniera sincronizzata, le lame si scontrarono con un tonfo metallico una, due, tre, innumerevoli volte, talvolta riuscivano a colpirsi e quando accadeva caldi fiotti di sangue prendevano a colare dalle ferite. Entrambi finirono fiaschette ed energie, ogni mossa si faceva piú lenta, i petti scossi da tremiti dovuti alla fatica e dal fiatone, chiunque avesse messo a segno un ulteriore colpo avrebbe concluso l'incontro.

La prescelta avrebbe voluto fermarsi, dire a Lautrec che a lei non importava del santuario, che le sarebbe bastato poter rimanere con lui e qualsiasi situazione avesse dovuto affrontare, qualsiasi fosse stato il prezzo da pagare, sarebbe stata felice, fedele a lui; non lo fece, troppo codarda e timorosa di poter ricevere un rifiuto, di dover raccogliere gli ultimi frammenti del suo cuore ormai fermo e distrutto da un semplice monosillabo, o da un "non mi interessa". Nel profondo era consapevole forse che mai e poi mai il cuore dell'uomo si sarebbe aperto a lei, che se anche avesse accettato lei sarebbe stata solo un fantoccio, una bambola a cui sarebbe, nel migliore dei casi, stato attaccato il viso della dea che il ragazzo venerava, come un sostituto per qualcosa che non poteva essere raggiunto. Quando scagliò quel fendente, la prescelta fu certa di aver colpito, oltre all'armatura deteriorata del cavaliere, anche qualcos'altro, qualcosa che assomigliava fin troppo alla sua anima, ai suoi sentimenti, che si dissolsero, come una nebbia che si dirada con il vento.

Barcollò per qualche istante, Lautrec, prima di scivolare indietro, in una scena che, come nei peggiori clichè, la ragazza vide avvenire al rallentatore; il corpo cadde a pancia in su sul freddo pavimento marmoreo, una chiazza cremisi si espanse, mentre già le membra si dissolvevano in piccole particelle luminose. La non-morta chiuse gli occhi e inspirò profondamente, tentando di placare il cuore in tumulto, l'aria arrivava ai polmoni in maniera frammentaria, il respiro irregolare. Qualcosa le bagnò una guancia, poi l'altra: erano forse lacrime? Una le scese oltre lo zigomo, giú per la gota sino al labbro superiore; la assaggiò, era terribilmente salata. Era di questo che sapevano le lacrime? Quantomeno ora sapeva che qualcuna le era rimasta, aveva ancora il diritto di poter mostrare con esse il suo rancore, la sua gioia, la sua tristezza.
Impiegò ore per riprendersi, tra le mani stringeva delicatamente i lasciti dell'uomo: un anello, e, soprattutto, l'anima della guardiana del santuario. Era bellissima, come le altre che aveva già trovato, candida e morbida al tocco quasi, ma quando la tenne fra le braccia le sembrò quasi un oggetto sacrilego. Era per quella che Lautrec era morto, era per la guardiana che aveva dovuto mettere fine alla vita del suo amato, per quanto non fosse ricambiata. Per un attimo le venne la voglia di stringere quella "sfera" cosí fortemente fra le mani tanto da distruggerla, solo il pensiero di poter vanificare la morte che gliel'aveva procurata la convinse a non farlo, a calmarsi e a respirare. Avrebbe ricreato il suo rifugio, avrebbe portato a termine la sua missione, avrebbe vincolato la fiamma, avrebbe riportato la speranza in quel mondo corrotto dalla maledizione, non si sarebbe guardata indietro, perchè avrebbe significato rivedere lui, riscoprire la sua colpa, rivivere il passato. Avrebbe avuto tempo per crogiolarsi nelle sue colpe.

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Il santuario del legame del fuoco era terribilmente vuoto in quel periodo, tutti, chi per un motivo e chi per un altro, si erano allontanati, lasciando quel nido di pace. Solo Anastacia rimaneva lí, fedele, accogliendola ogni volta che tornava. La guardiana aveva detto il suo nome dopo che la prescelta le aveva consegnato nuovamente la sua anima; la rediviva aveva illustrato alla non-morta l'origine della sua colpa, quegli atti osceni che avevano portato al taglio della sua lingua, ma non aveva mai accennato a Lautrec. Forse lei sapeva, forse la sua anima aveva assistito a quello scambio doloroso tanto fisicamente quanto mentalmente, ma non parlava, rispettava il suo dolore. Il dolore di un'anima sola, che aveva perduto in un sol colpo il suo castello di illusioni ed il suo re.






Zona di Madame_Zophie
Bonjour a tutti, cari lettori. 
Mi sono appena catapultata nel fandom, pur sapendo che in generale non è fra i più vivi su EFP, ma dopo esser stata convinta a scriverla ho reputato quantomeno giusto pubblicarla e non farla morire nelle bozze. 
Perché io e le OneShot fluff/felici non andiamo d'accordo, il mio animo è votato all'angst puro. 
Detto ciò, dedico la storia a seavsalt

Che è la mandante di quest'opera 
E perché sono una persona orribile che non le scrive mai ciò che vuole
See ya-

 
   
 
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