Il
campanello suonò mentre spegnevo i fornelli; posai il grembiule sul tavolo e
andai ad aprire. Mio fratello mi aveva promesso di venire a casa mia per una
cena, ed era una delle rare volte in cui lasciava la sua adorata abitazione per
farmi visita. Non aveva dimenticato la famiglia – non poteva farlo dopo tutto
quello che avevamo condiviso durante quei lunghi anni – ma ultimamente non si
faceva più sentire tanto spesso come prima… la fama stava per allontanarlo da
noi. Sarà stato uno dei motivi per cui corsi alla porta col cuore in gola come
se fossi una quattordicenne che stava per incontrare il suo idolo.
Guardai
dallo spioncino per accertarmi che fosse lui. Vidi il suo profilo
inconfondibile e mi affrettai ad aprire.
Me
lo ritrovai appoggiato alla porta con la visiera del cappello che gli copriva
gli occhi e i riccioli legati a coda di cavallo. Non può essere lui, è un sosia, dei tanti che ci sono sparsi per il
mondo, pensai. E non sapevo cosa fare.
Vedendo
che restavo imbambolata a guardarlo, alzò lo sguardo per fissarmi ironicamente.
Quanto
erano simili a quelli di papà i suoi occhi!
-Allora?-,
chiese con quella sua voce sottile come quella di un bambino. -Non saluti tuo
fratello?-.
Sorrisi.
È lui, mi dissi. Il mio Peter Pan.
-Michael…-,
sospirai, mentre mi abbandonavo tra le sue braccia.
-Squisiti
questi spaghetti, sorellina-, disse Michael mentre posava la forchetta nel
piatto ormai vuoto davanti a lui e si puliva la bocca dai resti della cena
divorata.
-Grazie…-,
risposi.
Si
bloccò di scatto e mi guardò intensamente.
-Che
c’è?-, chiesi, imbarazzata dalla potenza del suo sguardo.
-Come
mai fai così?-.
Lo
guardai, confusa.
-Così
come?-.
-Perché
arrossisci quando ti parlo?-.
-Io
non arrossisco quando mi parli!-, esclamai.
Il
suo sguardo divenne nuovamente ironico, senza però perdere il loro
effetto-ipnosi che tanto m’imbambolava.
-Ah,
no? E ora che stai facendo?-, mi stuzzicò.
-Io
non sono arrossita!-, dissi, ma le mie guance mi tradirono.
Rise.
Stranamente,
quella risata mi fece incavolare.
-Sei
tu che mi metti in imbarazzo, non ci vediamo da mesi!-, esclamai.
Smise
subito, ma non perse il suo sorriso infantile.
-Non
è colpa mia…-.
-Già,
ma Neverland non dista poi così tanto da qui-, risposi.
Il
sorriso si spense per far posto alla tristezza.
-Hai
ragione…-, mormorò.
Fu
a quel punto che esplosi. Mi alzai in piedi sbattendo i pugni sul tavolo e
facendolo trasalire.
-La
smetti di parlare così?-, gli urlai.
Sgranò
gli occhi, sorpreso e confuso.
-Co…-.
-No,
sta’ zitto!-, lo interruppi, alzando la mano.
Lui
s’immobilizzò.
-Non
sai dire altro? Solo “hai ragione”, “scusa”, “mi dispiace”… ma chi credi di
prendere in giro?-.
-Io
non sto prendendo in giro nessuno!-, esclamò lui, stupito.
-Sì,
invece, ce n’è uno: me. Lo fai tutte le volte che mi parli e neanche te ne
rendi conto!-.
-Ma
cosa vuoi che ti dica? Non ti capisco, Jen, sul serio!-.
Il
soprannome che mi aveva dato mi fece infuriare ancora di più.
-Non
voglio che tu dica niente! Voglio solo i fatti!-. A quel punto le lacrime
vennero fuori da sole, e non fui capace di fermarle. Lasciai che la rabbia
scorresse via e continuai: -Non vedi cosa ti sta succedendo? E non mi riferisco
alla tua pelle, né al tuo naso, ma al tuo comportamento! Da quanto tempo non vedi
mamma e papà, eh? Da quando? Lo sai quanto gli manchi? Oh, ma certo, mica lo fai
apposta, tu… oh, no, per carità! Il grande Michael Jackson non può mica
prendersi il disturbo di andare a far visita alla sua famiglia! No, lui ha
altro da fare nella sua bella tenuta da milioni di dollari! Deve portare avanti
la carriera, non può lasciarsi andare… che cosa ne penserà la stampa? E i fan?
E la pubblicità?-.
-Ti
ho già detto che non è colpa mia!-, inveì, ora che anche lui si era arrabbiato.
-Sì,
invece! Tu puoi fare qualcosa per cambiare, ora che puoi! Lo hai sempre detto:
tutti possono cambiare tutto. Perché non lo fai anche tu?-.
Abbassò
la testa. Mi fece pena, ma sentivo il bisogno impellente di dirgliene quattro,
anche a costo di fargli del male. Le lacrime, intanto, continuavano a scorrere,
imperterrite.
-Ti
ho guardato da lontano, mentre da piccola star diventavi un artista di fama
internazionale; ti ho visto piangere, sorridere e gridare; ti ho ascoltato
cantare, osservato ballare. Per me eri un idolo Michael. E in fondo speravo che
anche tu un giorno mi vedessi così, non come la sorellina viziata che rubava i
tuoi CD e che amava interromperti mentre scrivevi una canzone per poter giocare
con te. E adesso? Guardati: non hai neanche più tempo per annodarti bene la cravatta,
deve sempre esserci qualcun altro che lo faccia al posto tuo-.
La
sua immagine era sfocata per colpa delle lacrime, ma vedevo con chiarezza che
aveva le mani davanti la faccia. La rabbia sbollì all’istante. Che diamine
avevo fatto? Non avevo alcun diritto di parlargli così!
-Eppure
tu rimarrai sempre il mio caro fratellino, il mio Mikey-.
Alzò
lo sguardo di scatto e mi accorsi che anche i suoi occhi erano umidi. Non ce la
facevo a guardarli e mi girai dall’altra parte mordendomi le labbra.
Lo
sentii avvicinarsi piano e poggiare delicatamente le sue mani sulle mie
braccia.
Iniziai
a tremare.
Lui
si avvicinò ancora di più e sfiorò i miei capelli con le labbra.
-Janet…
mi dispiace… perdonami…-, sussurrò.
Tirai
su col naso e mi voltai. Gli sorrisi e annuii.
Mi
abbracciò impetuoso come se volesse in tal modo suggellare quella specie di
promessa, e mi diede un bacio sulla fronte come faceva sempre quando ero
piccola e non riuscivo a dormire.
I
ricordi iniziarono a volteggiare tra noi e nella mia mente, quando qualcosa
all’improvviso mi ridestò.
-Jen!-.
Michael si era improvvisamente scosso e aveva sciolto l’abbraccio; una luce
strana gli illuminava gli occhi e la bocca semiaperta era curvata in un sorriso
che non prometteva nulla di buono.
-Janet!-,
esclamò mettendomi le mani sulle spalle. -Vuoi fare un duetto con me?-.
Lo
fissai, allibita. Sentivo gli ingranaggi del mio cervello che pian piano
ricominciavano a funzionare e a registrare bene il suo messaggio.
-Eh?
Un duetto?!-.
-Sì!-.
Gli occhi stavano per bruciargli dalla luce che irradiavano.
Gli
misi una mano sulla fronte.
-Sicuro
di stare bene, Michael? Mi sembri un po’ accaldato…-.
Sbuffò
e scostò il mio braccio.
-Smettila
di prendermi in giro! Io sono un cantante… e tu anche!-.
-Che
scoperta…-, ironizzai.
Lui
continuò come se non avessi detto niente. -Immagina: Michael e Janet Jackson
che cantano insieme per la prima volta in assoluto… cosa ci può essere di più
sensazionale?-.
Ero
scioccata, ma la sua espressione mi divertiva.
Sospirai.
-
E va bene…- .
Improvvisamente
non sentii più la terra sotto i piedi, e la cucina iniziò a girare come una
trottola. Dopo qualche secondo riuscii a capire che Michael mi aveva preso in
braccio e aveva iniziato a volteggiare gridando: -E vaaaai!-.
-Fermo,
fermo! Accetterò ad una condizione!-, gridai, gli spaghetti che facevano
acrobazie nel mio stomaco. -Mi gira la testa!-, mi lamentai.
Si
fermò e mi posò sul divano.
-Jen?
Jen, stai bene?-.
Aprii
di scatto gli occhi e mi avvicinai a lui, sussurrandogli:-Così impari,
stupido-. E gli lanciai un cuscino in piena faccia.
-Se
è la guerra che vuoi…-, sibilò prendendo a sua volta un cuscino. -…la guerra
avrai-.
Nel
giro di poco tempo fummo avvolti dalle piume. Ci accasciammo sul divano e
ridemmo entrambi, felici e spensierati come non lo eravamo mai stati.
-Wow…
ci voleva proprio… da quand’era che non facevamo una battaglia coi cuscini come
si deve?-, domandai.
Michael
finse di pensarci sostenendo il mento fra le mani. -Ehm… da quando tu avevi
nove anni, credo-.
-Già…-.
-A
proposito!-, esclamò d’un tratto. -Qual era la condizione?-.
Mi
portai le braccia dietro la testa.
-Che
nel video potrò indossare un costume-.
Attimo
di pausa.
-Con
una vestaglia sopra-, aggiunse.
Sbuffai,
e lui rise.
-Sempre
il solito…-, gli diedi un piccolo pugno sul petto.
-Io
avrei qualcosa da proporre-, disse dopo qualche secondo.
Lo
fissai.
-Il
titolo-.
-Cioè?-.
Il
suo sguardo si fece malizioso, e seppi che non avrei mai potuto reclinare
l’offerta.
-Scream-.
Eppure sembravi
Peter Pan… il mio Peter Pan… ma quando ho visto quella bara dorata… solo allora
mi sono accorta che non avrei più rubato i tuoi CD… né ti avrei impedito di
scrivere un’altra delle tue canzoni… né che ti avrei visto salire ancora una volta
su un albero… fratello mio…