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Autore: PhoenixOfLight    17/07/2009    10 recensioni
Un attimo di quotidianità che avrebbe dato vita al più grande duetto di tutti i tempi... dedicato a chi, ascoltando quella canzone, ha avuto voglia di ballare come lui... ancora una volta.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il campanello suonò mentre spegnevo i fornelli; posai il grembiule sul tavolo e andai ad aprire

Fratello e sorella

 

 

Il campanello suonò mentre spegnevo i fornelli; posai il grembiule sul tavolo e andai ad aprire. Mio fratello mi aveva promesso di venire a casa mia per una cena, ed era una delle rare volte in cui lasciava la sua adorata abitazione per farmi visita. Non aveva dimenticato la famiglia – non poteva farlo dopo tutto quello che avevamo condiviso durante quei lunghi anni – ma ultimamente non si faceva più sentire tanto spesso come prima… la fama stava per allontanarlo da noi. Sarà stato uno dei motivi per cui corsi alla porta col cuore in gola come se fossi una quattordicenne che stava per incontrare il suo idolo.

Guardai dallo spioncino per accertarmi che fosse lui. Vidi il suo profilo inconfondibile e mi affrettai ad aprire.

Me lo ritrovai appoggiato alla porta con la visiera del cappello che gli copriva gli occhi e i riccioli legati a coda di cavallo. Non può essere lui, è un sosia, dei tanti che ci sono sparsi per il mondo, pensai. E non sapevo cosa fare.

Vedendo che restavo imbambolata a guardarlo, alzò lo sguardo per fissarmi ironicamente.

Quanto erano simili a quelli di papà i suoi occhi!

-Allora?-, chiese con quella sua voce sottile come quella di un bambino. -Non saluti tuo fratello?-.

Sorrisi. È lui, mi dissi. Il mio Peter Pan.

-Michael…-, sospirai, mentre mi abbandonavo tra le sue braccia.

 

-Squisiti questi spaghetti, sorellina-, disse Michael mentre posava la forchetta nel piatto ormai vuoto davanti a lui e si puliva la bocca dai resti della cena divorata.

-Grazie…-, risposi.

Si bloccò di scatto e mi guardò intensamente.

-Che c’è?-, chiesi, imbarazzata dalla potenza del suo sguardo.

-Come mai fai così?-.

Lo guardai, confusa.

-Così come?-.

-Perché arrossisci quando ti parlo?-.

-Io non arrossisco quando mi parli!-, esclamai.

Il suo sguardo divenne nuovamente ironico, senza però perdere il loro effetto-ipnosi che tanto m’imbambolava.

-Ah, no? E ora che stai facendo?-, mi stuzzicò.

-Io non sono arrossita!-, dissi, ma le mie guance mi tradirono.

Rise.

Stranamente, quella risata mi fece incavolare.

-Sei tu che mi metti in imbarazzo, non ci vediamo da mesi!-, esclamai.

Smise subito, ma non perse il suo sorriso infantile.

-Non è colpa mia…-.

-Già, ma Neverland non dista poi così tanto da qui-, risposi.

Il sorriso si spense per far posto alla tristezza.

-Hai ragione…-, mormorò.

Fu a quel punto che esplosi. Mi alzai in piedi sbattendo i pugni sul tavolo e facendolo trasalire.

-La smetti di parlare così?-, gli urlai.

Sgranò gli occhi, sorpreso e confuso.

-Co…-.

-No, sta’ zitto!-, lo interruppi, alzando la mano.

Lui s’immobilizzò.

-Non sai dire altro? Solo “hai ragione”, “scusa”, “mi dispiace”… ma chi credi di prendere in giro?-.

-Io non sto prendendo in giro nessuno!-, esclamò lui, stupito.

-Sì, invece, ce n’è uno: me. Lo fai tutte le volte che mi parli e neanche te ne rendi conto!-.

-Ma cosa vuoi che ti dica? Non ti capisco, Jen, sul serio!-.

Il soprannome che mi aveva dato mi fece infuriare ancora di più.

-Non voglio che tu dica niente! Voglio solo i fatti!-. A quel punto le lacrime vennero fuori da sole, e non fui capace di fermarle. Lasciai che la rabbia scorresse via e continuai: -Non vedi cosa ti sta succedendo? E non mi riferisco alla tua pelle, né al tuo naso, ma al tuo comportamento! Da quanto tempo non vedi mamma e papà, eh? Da quando? Lo sai quanto gli manchi? Oh, ma certo, mica lo fai apposta, tu… oh, no, per carità! Il grande Michael Jackson non può mica prendersi il disturbo di andare a far visita alla sua famiglia! No, lui ha altro da fare nella sua bella tenuta da milioni di dollari! Deve portare avanti la carriera, non può lasciarsi andare… che cosa ne penserà la stampa? E i fan? E la pubblicità?-.

-Ti ho già detto che non è colpa mia!-, inveì, ora che anche lui si era arrabbiato.

-Sì, invece! Tu puoi fare qualcosa per cambiare, ora che puoi! Lo hai sempre detto: tutti possono cambiare tutto. Perché non lo fai anche tu?-.

Abbassò la testa. Mi fece pena, ma sentivo il bisogno impellente di dirgliene quattro, anche a costo di fargli del male. Le lacrime, intanto, continuavano a scorrere, imperterrite.

-Ti ho guardato da lontano, mentre da piccola star diventavi un artista di fama internazionale; ti ho visto piangere, sorridere e gridare; ti ho ascoltato cantare, osservato ballare. Per me eri un idolo Michael. E in fondo speravo che anche tu un giorno mi vedessi così, non come la sorellina viziata che rubava i tuoi CD e che amava interromperti mentre scrivevi una canzone per poter giocare con te. E adesso? Guardati: non hai neanche più tempo per annodarti bene la cravatta, deve sempre esserci qualcun altro che lo faccia al posto tuo-.

La sua immagine era sfocata per colpa delle lacrime, ma vedevo con chiarezza che aveva le mani davanti la faccia. La rabbia sbollì all’istante. Che diamine avevo fatto? Non avevo alcun diritto di parlargli così!

-Eppure tu rimarrai sempre il mio caro fratellino, il mio Mikey-.

Alzò lo sguardo di scatto e mi accorsi che anche i suoi occhi erano umidi. Non ce la facevo a guardarli e mi girai dall’altra parte mordendomi le labbra.

Lo sentii avvicinarsi piano e poggiare delicatamente le sue mani sulle mie braccia.

Iniziai a tremare.

Lui si avvicinò ancora di più e sfiorò i miei capelli con le labbra.

-Janet… mi dispiace… perdonami…-, sussurrò.                                                                                                    

Tirai su col naso e mi voltai. Gli sorrisi e annuii.

Mi abbracciò impetuoso come se volesse in tal modo suggellare quella specie di promessa, e mi diede un bacio sulla fronte come faceva sempre quando ero piccola e non riuscivo a dormire.

I ricordi iniziarono a volteggiare tra noi e nella mia mente, quando qualcosa all’improvviso mi ridestò.

-Jen!-. Michael si era improvvisamente scosso e aveva sciolto l’abbraccio; una luce strana gli illuminava gli occhi e la bocca semiaperta era curvata in un sorriso che non prometteva nulla di buono.

-Janet!-, esclamò mettendomi le mani sulle spalle. -Vuoi fare un duetto con me?-.

Lo fissai, allibita. Sentivo gli ingranaggi del mio cervello che pian piano ricominciavano a funzionare e a registrare bene il suo messaggio.

-Eh? Un duetto?!-.

-Sì!-. Gli occhi stavano per bruciargli dalla luce che irradiavano.

Gli misi una mano sulla fronte.

-Sicuro di stare bene, Michael? Mi sembri un po’ accaldato…-.

Sbuffò e scostò il mio braccio.

-Smettila di prendermi in giro! Io sono un cantante… e tu anche!-.

-Che scoperta…-, ironizzai.

Lui continuò come se non avessi detto niente. -Immagina: Michael e Janet Jackson che cantano insieme per la prima volta in assoluto… cosa ci può essere di più sensazionale?-.

Ero scioccata, ma la sua espressione mi divertiva.

Sospirai.

- E va bene…- .

Improvvisamente non sentii più la terra sotto i piedi, e la cucina iniziò a girare come una trottola. Dopo qualche secondo riuscii a capire che Michael mi aveva preso in braccio e aveva iniziato a volteggiare gridando: -E vaaaai!-.

-Fermo, fermo! Accetterò ad una condizione!-, gridai, gli spaghetti che facevano acrobazie nel mio stomaco. -Mi gira la testa!-, mi lamentai.

Si fermò e mi posò sul divano.

-Jen? Jen, stai bene?-.

Aprii di scatto gli occhi e mi avvicinai a lui, sussurrandogli:-Così impari, stupido-. E gli lanciai un cuscino in piena faccia.

-Se è la guerra che vuoi…-, sibilò prendendo a sua volta un cuscino. -…la guerra avrai-.

Nel giro di poco tempo fummo avvolti dalle piume. Ci accasciammo sul divano e ridemmo entrambi, felici e spensierati come non lo eravamo mai stati.

-Wow… ci voleva proprio… da quand’era che non facevamo una battaglia coi cuscini come si deve?-, domandai.

Michael finse di pensarci sostenendo il mento fra le mani. -Ehm… da quando tu avevi nove anni, credo-.

-Già…-.

-A proposito!-, esclamò d’un tratto. -Qual era la condizione?-.

Mi portai le braccia dietro la testa.

-Che nel video potrò indossare un costume-.

Attimo di pausa.

-Con una vestaglia sopra-, aggiunse.

Sbuffai, e lui rise.

-Sempre il solito…-, gli diedi un piccolo pugno sul petto.

-Io avrei qualcosa da proporre-, disse dopo qualche secondo.

Lo fissai.

-Il titolo-.

-Cioè?-.

Il suo sguardo si fece malizioso, e seppi che non avrei mai potuto reclinare l’offerta.

-Scream-.

 

Eppure sembravi Peter Pan… il mio Peter Pan… ma quando ho visto quella bara dorata… solo allora mi sono accorta che non avrei più rubato i tuoi CD… né ti avrei impedito di scrivere un’altra delle tue canzoni… né che ti avrei visto salire ancora una volta su un albero… fratello mio…

 

   
 
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