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Autore: Carmaux_95    06/01/2019    10 recensioni
[Dealor]
-Sai che abbiamo cambiato tre bassisti prima di trovare te?-
Sul momento non seppe come interpretare quella frase. Letta con un certo pessimismo poteva assumere i toni di una minaccia: come avevano cambiato i primi tre potevano tranquillamente disfarsi di lui dall'oggi al domani.
-Tre in poco più di un mese: se qualcosa non ci piace, la cambiamo. Tu invece sei con noi da più di tre mesi.- il batterista alzò le sopracciglia. -Noi siamo dei perfezionisti.- proseguì. -Tu sei qui perché sei fottutamente perfetto.-
John, ancora intimidito dai membri del nuovo gruppo di cui è entrato a far parte, non avrebbe mai pensato che a tranquillizzarlo e farlo sentire il benvenuto sarebbe stato proprio lo scalmanato batterista dal linguaggio colorito.
[TERZA CLASSIFICATA al contest "The first time we slashed" indetto da Soul_Dolmayan sul forum di efp]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Deacon, Roger Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guidatore designato
 

La porta della sala si aprì con una tale violenza che sbatté contro il muro e per poco non tornò a richiudersi.

John, seduto al pianoforte e intento a leggere uno spartito, sussultò, colto di sorpresa da quel rumore improvviso. Dopo quel primo momento di sbalordimento non si stupì di riconoscere la figura di Roger, ancora appoggiata allo stipite della porta.

-Ehi, John!-, esclamò quest'ultimo, il tono di voce troppo alto, ancora aggiustato alla musica e alla confusione del pub dove lui, Freddie e Brian erano andati qualche ora prima, una volta terminate le prove.

Lo avevano invitato, ma John aveva preferito declinare.

Controllò l'orologio, rendendosi conto che era quasi mezzanotte: doveva aver perso la concezione del tempo, ma, se doveva essere sincero, non gli dispiaceva l'atmosfera buia e silenziosa che lo aveva avvolto fino a quel momento, estraniandolo dal resto del mondo.

Rispose al saluto con un semplice cenno del capo e tornò a concentrarsi sugli spartiti. -Come mai di nuovo qui?-, domandò.

La risposta si fece attendere tanto a lungo che John fu costretto al alzare di nuovo gli occhi per assicurarsi di essere stato udito.

Roger, entrambe le mani a frugare nelle tasche della giacchetta che indossava, aggrottò la fronte: -Volevo tornare a casa, ma credo di aver dimenticato qui le chiavi.-

-Vuoi una mano a cercarle?-

-No, no!- si sollevò dallo stipite e, barcollante, si avvicinò alla sua postazione. -Posso fare da solo.

John annuì, ma non fece in tempo nemmeno a recuperare il segno su quei fogli di carta stropicciati che il religioso silenzio che tanto apprezzava venne nuovamente rotto da Roger, intento a spostare sedie, sgabelli e tutto il suo set di batterie nell'assennata ricerca delle sue chiavi.

-Ah, stronzette! Vi ho trovate!-

L'esclamazione lo colpì come uno schiaffo sulla nuca, portandolo a serrare gli occhi in un estremo tentativo di racimolare la poca concentrazione rimastagli. Li riaprì di scatto quando sentì un fruscio alla sua destra: volse subito la testa per incontrare lo sguardo di Roger che, sorridente, si era seduto al suo fianco, a cavalcioni dello sgabello da pianista.

-Ho trovato le chiavi.-

-Ho sentito-, rispose John con un mezzo sorriso.

Il batterista attese qualche istante prima di parlare di nuovo, sotto lo sguardo incerto dell'altro: -Come mai sei qui?-

Una zaffata altamente alcolica investì il bassista che, istintivamente, indietreggiò nella direzione opposta, coprendosi il naso: -Oh mio Dio, Roger! Quanto hai bevuto?-
Non aveva ancora finito di pronunciare quella domanda che un'altra, ben più preoccupante, gli fece corrugare la fronte: -Come sei arrivato qui?-

Il biondo non rispose, ma infilò una mano in tasca e ne tirò fuori le chiavi della macchina, facendole tintinnare.

-Ti sei messo alla guida ubriaco fradicio?!-

-Non sono “ubriaco fradicio”! Sono... solo leggermente alticcio-, dichiarò Roger mimando delle gigantesche virgolette. -E il pub era a due isolati da qui: non rompere! Non mi diventare come Brian.-

Al sentir nominare il chitarrista, altre domande cominciarono ad accendersi come lampadine nella mente di John: -E gli altri?-

-“Gli altri” chi?-

Leggermente alticcio. -Brian e Freddie.-

Roger scrollò le spalle: -Brian è andato via quasi subito: ha detto che domani ha lezione presto; Freddie se n'è andato con Mary.-

-Non c'era un guidatore designato?-

Il maggiore socchiuse gli occhi, confuso: -Che cos'è un guidatore disegnato?-

-Designato-, ripeté John, senza trattenere un sorriso.

-Ah, no... forse avremmo dovuto-, rifletté il biondo grattandosi la testa e scompigliandosi la frangia già disordinata.

Nonostante la penombra, al bassista non sfuggì che la mano di Roger fosse rossa e livida: -Cosa ti sei fatto?-

-Quando?-

-Dove. Alla mano. All'altra mano-, specificò quando il biondo si guardò la mano sbagliata.

-Oh, niente: c'era un tipo al pub.-

-Ti sei azzuffato?-

-No: questo tipo mi si è avvicinato, mi ha pizzicato il culo e mi ha chiamato “zuccherino”, così gli ho dato un pugno in faccia!-, raccontò, il tono che cominciava già a surriscaldarsi.

Nonostante lo sforzo, John non riuscì a rimanere impassibile e dovette voltare il viso da un'altra parte per impedire a Roger di vederlo sopprimere una risata.
Riusciva ad immaginare perfettamente la scena: dopotutto non era così insolito che Roger, con quei fianchi stretti e i lunghi capelli biondi che ricadevano ribelli lungo la schiena, venisse confuso con una ragazza.

Per un momento si soffermò a pensare se fossero morbidi come sembravano.

Se doveva essere del tutto onesto, tornò a riflettere, era facile commettere lo stesso errore anche solo guardandolo in faccia: già solo i suoi occhioni azzurri sapevano catalizzare e rapire.

Una volta Roger, stizzito, aveva persino decretato che si sarebbe fatto crescere la barba per scoraggiare gli intrepidi che gli si avvicinavano per abbordarlo. Quel proposito era naufragato in breve tempo, quando, dopo più di due settimane che non si radeva, Roger si era reso conto di non riuscire a farsi crescere niente più di un leggero velo di basette e un accenno di pizzo troppo corto perché servisse allo scopo e troppo fastidioso perché valesse la pena tenerlo.
John se ne era silenziosamente rallegrato: i suoi lineamenti erano troppo delicati per venire rovinati dalla ruvidezza di una barba.

-John?-, Roger lo richiamò all'attenzione con tono lamentoso. -Come mai sei ancora qui?-

-Non ho ancora imparato bene la nuova canzone.-

-Nemmeno noi: per questo proviamo.- Nonostante la sbronza, la logica era inattaccabile.

-Sì...-, biascicò John, titubante. -ma sai, con il fatto di essere l'ultimo arrivato e anche il più piccolo sento una certa pressione.-

-Non ho capito.-

Un sospiro: -Riesci ad immaginare come ci si senta?-

-Prima che arrivassi tu ero io il più piccolo, quindi sì... però no.-

Se lo sarebbe dovuto aspettare: Roger era totalmente diverso da lui; ad essere onesti era il suo completo opposto.
Se lui era timido, riservato e aveva bisogno di tempo prima di sentirsi a suo agio con le persone, Roger era la persona più estroversa che avesse mai conosciuto; se lui affrontava ogni situazione con tranquillità e accortezza, Roger aveva un carattere sanguigno e decisamente impulsivo; se lui tendeva ad essere controllato, Roger a mala pena riusciva a darsi un contegno quando suonava.
Quando lo aveva conosciuto, circa tre mesi prima, non si era stupito di sentirgli dire che era il batterista del gruppo: con quell'energia straripante e sempre mal contenuta, nonostante potesse solo stare seduto, non poteva essere altrimenti.

John distolse lo sguardo e cercò di farsi coraggio: -Il fatto è che mi sento molto intimidito da voi-

-Perché?-

-No, non fraintendere: mi avete accolto benissimo e mi trattate altrettanto bene, ma...- si incartò nelle parole, temendo che lo sguardo di Roger potesse rapidamente mutare da corrucciato ad incollerito: più di una volta lo aveva sentito alzare la voce e John aveva sempre ringraziato la sua buona stella di non essere il destinatario di quegli improperi irripetibili.
Raccolse le idee e tentò di dare una voce impacciata ai suoi sentimenti: -Brian rasenta la perfezione sotto quasi ogni aspetto e Freddie ha una voce meravigliosa e un talento innato-, ammise appoggiando delicatamente una mano sulla tastiera del pianoforte: anche avesse avuto delle idee per una melodia, si sarebbe vergognato di suonarla davanti al cantante.
-E poi ci sei tu-, proseguì. -che pur essendo nascosto dietro il tuo set, spicchi come se fossi in prima linea. Al confronto io...-

-Punto primo!- esclamò Roger interrompendolo, la voce ancora troppo alta nonostante gli fosse seduto di fianco. John si portò un indice alle labbra, facendogli capire di abbassare il tono di voce e il biondo lo imitò immediatamente, per poi continuare a parlare in un sussurro appena accennato, quasi difficile da udire persino per il bassista, a meno di mezzo metro da lui. -Punto primo: Bri è la perfezione, sotto qualunque aspetto. È come Mary Poppins... May Poppins...-

John gli sorrise di nuovo, teneramente colpito dalla tempestività con cui si era lanciato a “difendere” il suo migliore amico.

-In secondo luogo- Roger si interruppe, abbassando la testa sulla propria mano, osservandola confuso, aprendola e chiudendola a pugno. Alzò di nuovo lo sguardo, puntandolo in quello del più giovane, in una muta domanda: -Mi fa male la mano.-

-Succede, quando tiri un pugno.-

-Ti ho tirato un pugno?! Cazzo, scusa!-

John scoppiò a ridere e stava ancora cercando, invano, di convincere l'amico del fatto che non lo aveva mai colpito e che, quindi, non fosse necessario che si scusasse, che questi, massaggiandosi la mano incriminata, riuscì a ritrovare il filo del discorso: -Sai che abbiamo cambiato tre bassisti prima di trovare te?-

Sul momento, John non seppe come interpretare quella frase. Letta con un certo pessimismo poteva assumere i toni di una minaccia: come avevano cambiato i primi tre, potevano tranquillamente disfarsi di lui dall'oggi al domani.

-Tre in poco più di un mese; tu invece sei con noi da più di tre.- il batterista inarcò le sopracciglia, come a voler rimarcare l'importanza di quell'affermazione. -Noi, credimi, siamo dei perfezionisti: tu sei qui perché sei quello fottutamente perfetto.-

John, imbarazzato, dovette voltare la testa per guardare dritto davanti a sé: non si sarebbe mai aspettato una dichiarazione di quel genere, meno che mai da uno come Roger che, con tre parole, aveva fugato i dubbi, le ansie e le incertezze che lo attanagliavano durante le lunghe ore di prove, portandolo a chiudersi nel silenzio piuttosto che ad intervenire attivamente.

Si umettò le labbra, agitato: non sapeva cosa rispondergli.
Da un lato avrebbe voluto ringraziarlo per le belle parole; dall'altro si domandava se questi complimenti non fossero dovuti al tasso alcolemico, ipotesi, quest'ultima, decisamente più probabile: certo, Roger sapeva essere diretto e non si nascondeva mai dietro a mezze verità, ma, in fondo, John non credeva di meritarseli davvero.

In fondo, era consapevole di essere l'ultima ruota del carro, condizione che sebbene gli procurasse qualche insicurezza, preferiva di gran lunga all'ansia della prima linea.

Stava ancora riflettendo se non fosse proprio questa la cosa giusta da dirgli – non voleva certo elemosinare complimenti – che le labbra di Roger si appoggiarono sulle sue in un bacio delicato, incredibilmente delicato: un semplice sfiorarsi di labbra che si ripeté una seconda volta regalandogli un bacio inaspettatamente casto e in totale antitesi con quel sapore di gin e tonic che lasciava vagare l'immaginazione verso sogni fatti di sospiri umidi e piacevoli brividi.

Quando lo sentì tirarsi indietro, John si spinse automaticamente in avanti, cercando ancora quel contatto: le sue mani imbrigliarono i lunghi capelli biondi, impedendogli di allontanarsi.
Le labbra del più basso si schiusero immediatamente e in quel momento John riconobbe il Roger che conosceva, il Roger sicuro di sé, un po' spaccone, esperto e famelico, senza però essere indelicato mentre gli afferrava il colletto della maglietta per tirarlo verso di sé.

Il respiro del bassista si fece affannoso mentre stringeva la presa: le disordinate ciocche bionde si attorcigliarono attorno alle sue lunghe dita, gesto che strappò a Roger un gemito gutturale che si infranse sulle sue labbra, riportandolo alla realtà e alla consapevolezza di trovarsi nella sala prove in piena notte e di star baciando un suo collega.

Si tirò indietro di colpo – ritraendo le mani e lasciando la chioma del batterista perfettamente scompigliata – sconvolto da se stesso non tanto per il bacio, quanto per essersi lasciato trasportare in quel modo.

Non riscontrò la medesima agitazione sul viso dell'altro, che, gli occhi ancora leggermente socchiusi, gli regalava un sorriso ebbro: -Mi piaci, Deacy-, dichiarò, infatti. -Benvenuto in famiglia.-

Di nuovo, John distolse lo sguardo, raddrizzandosi sullo sgabello. Nessuno lo aveva mai chiamato così prima, ma, ad essere onesti, non gli dispiaceva.

-Forse dovremmo...- per la seconda volta in pochi minuti non riuscì a concludere la frase. Mentre si voltava verso il suo interlocutore, questi gli crollò addosso: con un piccolo tonfo la testa si immerse fra le pieghe della sua maglietta, i capelli sciolti a nascondergli definitivamente il viso.
Sbalordito, provò a picchiettargli sulla spalla, chiamandolo per nome diverse volte prima di decretare che fosse inesorabilmente svenuto contro il suo petto.

Si morse il labbro inferiore e, annuendo fra sé e sé, infilò la mano nella giacca di Roger alla ricerca delle chiavi della macchina, assumendosi il compito di guidatore designato senza neanche troppo dispiacere.

Sorrise intenerito e accarezzò quella nuca folta di capelli dorati: erano davvero morbidi come sembravano.

  
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