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Autore: Parmandil    07/01/2019    0 recensioni
“L’utopia come obiettivo è il fuoco nel motore nucleare. L’utopia come pratica è stagnazione, putrefazione; alla fine è la morte. Che è precisamente dove troviamo la Federazione Unita dei Pianeti, un secolo dopo il termine dell’Età dell’Esplorazione”.
Siamo nel XXVI secolo, anno 2550. La Federazione sembra passarsela bene, ma i più accorti, come il Capitano Chase, sanno che non è così. La Federazione, infatti, sta ristagnando: i confini sono statici e l’esplorazione langue. Gli Umani si sono impigriti: nessuno vuole più rischiare la vita lontano da casa. Le poche esplorazioni sono condotte con sonde automatiche, mentre le astronavi – ormai antiquate – si limitano a pattugliare lo spazio federale. Gli equipaggi sono sotto organico, male addestrati e poco motivati.
In quest’epoca decadente, le crisi aumentano: sia esterne (guerriglie oltreconfine), sia interne (mondi insoddisfatti dalla soffocante burocrazia federale). Oggetto di contesa è anche la Prima Direttiva, che molti ritengono superata. Per reagire alla pericolosa stagnazione, la Flotta Stellare vara un progetto rivoluzionario: la USS Enterprise-J, di classe Universe, una “città nello spazio” che ripropone i valori della Federazione. Ma nemmeno l’Enterprise potrà arginare l’oscura minaccia che riemerge dal passato, per frantumare la Federazione e tutto ciò che rappresenta.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jonathan Archer, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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-Capitolo 5: Nel ventre della Balena
 
   Con molti scossoni, l’Auriga sbucò in una regione di spazio avvolta da un’uniforme luminosità azzurrognola. Sembrava di essere sottacqua, ma la realtà era molto più esotica. Oltre quel bagliore non c’era nulla... nemmeno il vuoto. Non si poteva attraversare. Era come trovarsi dentro un buco nero, una singolarità avulsa dal resto dello spazio-tempo.
   In quel luogo galleggiava una struttura artificiale. A vederla non si capiva quale fosse l’alto e quale il basso. Era un conglomerato di forme geometriche: cubi, parallelepipedi, piramidi. Le superfici erano nere e levigate, gli angoli lievemente smussati. Le linee divisorie tra una sezione e l’altra erano evidenziate da sottili linee rosse.
   Chase tirò un sospiro. «Siamo vivi, per ora. Qualcuno ha idea su dove andare?».
   «Lì si sta aprendo un portello» notò Lantora, indicando un settore della struttura. Era una piramide bassa e larga, la più grande dell’agglomerato. L’hangar si spalancava presso la base.
   «Allora andiamo» disse Chase. Guidò l’Auriga in quella direzione, a velocità minima. Ma ben presto lo shuttle vibrò e i comandi iniziarono a non rispondere bene. «Ci tirano dentro con un raggio traente» comprese. «Spengo i motori; sembra che non ce ne sia più bisogno».
   L’Auriga era sempre più vicino alla piramide, al cui confronto sembrava un insetto. «Notevole... questa piramide alla base ha lati di cinquecento metri» disse Neelah, facendo una scansione da una postazione secondaria. «Nel complesso la stazione ha circa cinque km di diametro, anche se la forma è molto irregolare. Mi sa che non ci sono solo laboratori, là dentro».
   «Non vedo armi, ma potrebbero essere nascoste» disse Lantora.
   «Lo stile è diverso da quello dei Tuteriani» commentò T’Vala. «Potrebbe essere la tecnologia dei Solanae, se l’hanno conservata».
   Lo shuttle varcò l’ingresso, passando attraverso un campo di forza che tratteneva l’aria. Immediatamente il portello si richiuse, oscurando la luce esterna. Ancora un attimo e l’Auriga si posò sul pavimento. Una completa oscurità lo avvolgeva.
   «Adesso sì che siamo nel ventre della balena» mormorò Chase.
   «Capitano, mancano settanta minuti all’ora Omega» disse T’Vala, senza leggere alcun timer.
   «Sessantanove minuti e quarantacinque secondi» corresse Neelah. «Sia più precisa, Tenente».
   «Riuscite a tenere il conto a mente?» si stupì Lantora.
   «Certo. Perché, lei no?» lo punzecchiò Neelah.
   «Sono solo un Primate» rispose Lantora, ironico.
   «Usciamo» disse Chase, alzandosi. «Qualunque cosa accada, mantenete il sangue freddo». Il quartetto lasciò la cabina, si recò al portello e lo aprì. Subito i federali furono investiti da una corrente d’aria fredda. Scesa la breve rampa dell’Auriga, si trovarono in un ambiente buio ed echeggiante.
 
   Per qualche secondo brancolarono nell’oscurità. Poi, attorno a loro, si accesero alcuni sottili pannelli luminosi bianchi. Erano posti negli angoli tra pavimento e pareti, tra pareti e soffitto, persino tra le diverse pareti. Altre sottili linee rosse delimitavano una porta, che si aprì con un sibilo. Ne uscì il comitato di benvenuto.
   In testa c’erano una dozzina di guardie, appartenenti a svariate specie della Federazione. Erano armate in vario modo: phaser federali, disgregatori klingon e romulani. I quattro ufficiali dell’Enterprise compresero che erano vittime dei Parassiti Neurali. Dietro di loro c’erano alcuni Tuteriani di sesso maschile, vestiti di grigio ma apparentemente disarmati. E in mezzo a loro eccola, la Messaggera. Vista di persona, era piccola e non molto impressionante; ma era la terza carica del suo popolo, colei che mandava avanti un secolare piano d’invasione.
   «Benvenuti nel Collettore Subspaziale» li salutò, nel suo tono un po’ ironico. «Vogliate scusarmi, ma devo far perquisire voi e la nave».
   «Certo» rispose Chase, pregando che non trovassero la Bomba Omega. Alzò le mani, imitato a malincuore dagli altri. Le guardie, ovvero le vittime dei Parassiti, li frugarono rapidamente ma con efficienza. Alcune li sondarono con piccoli sensori palmari, simili a tricorder federali. T’Vala sopportò con stoicismo vulcaniano, ma Neelah si guardò intorno con aria omicida, le antenne frementi.
   «Sono puliti» disse il comandante, un Cardassiano. «Passiamo a controllare lo shuttle».
   «Bene. Ma venite, miei ospiti» invitò la Messaggera. «Abbiamo molto di cui parlare... e non voglio che il suo equipaggio s’impensierisca, Capitano».
   «Il mio equipaggio sa badare a se stesso» rispose Chase.
   «E in questo momento sta cercando il modo per liberare l’Enterprise e distruggere la nostra Sfera» sorrise la Messaggera. «Ma è fatica sprecata. Abbiamo calcolato che, finché permangono le attuali condizioni, la vostra nave non può vincere».
   «Vedo che non potete fare a meno di mandarci contro la nostra gente» commentò Chase, accennando alle guardie. Metà di loro erano rimaste con l’Auriga, ma le altre sei li stavano scortando lungo il corridoio.
   «Sì, è molto pratico» riconobbe la Messaggera. «Avrà notato che siamo una specie pragmatica, Capitano: facciamo il necessario per garantirci un futuro. Ma non creda che mandiamo avanti gli altri perché temiamo di sacrificarci. Noi Tuteriani siamo disposti a correre pericoli e persino ad affrontare la morte, quando occorre».
   «Me lo dimostri» disse Chase.
   «Perché no? Mi segua» convenne la Messaggera, inaspettatamente disponibile. Guidò i federali lungo i corridoi, mentre le guardie li tenevano sotto tiro, chiudendo il gruppo. Percorsero vari ambienti, tutti dello stesso metallo nero e lucido, con gli angoli evidenziati da linee luminose. Infine giunsero a una sala lunga e stretta. Su uno dei lati maggiori c’era una serie di portelli rotondi, chiusi da aperture a diaframma. Sembrava una camera di lancio per sonde o siluri.
   «Che luogo è questo?» chiese il Capitano.
   «Un luogo di sacrificio, come le dicevo. Guardi!». La Messaggera azionò alcuni comandi sulla parete, aprendo uno dei diaframmi. Dentro c’era qualcosa di simile a un guscio di salvataggio. Era cilindrico, con le estremità bombate. Lo scafo color bronzo sembrava molto spesso ed era percorso da un reticolo di linee, simili a quelle che coprivano le Sfere.
   La Messaggera premette altri comandi. Il guscio venne indietro, percorrendo una rotaia che gli permise di scorrere del tutto fuori dal tubo di lancio. Senza dire una parola, i Tuteriani aprirono l’estremità anteriore.
   Chase e i suoi ufficiali si avvicinarono, meravigliati. Davanti a loro c’era quello che finora avevano visto solo in vecchie fotografie del XXII secolo. Dal guscio uscì un cilindro più piccolo e trasparente, dentro cui vi era un intrico di fili, simili a fibre ottiche. I fili collegavano un pannello giallastro al corpo di un Tuteriano morto. Era nudo e il suo corpo sembrava tutto fratturato, con la pelle spaccata in più punti. Pareva un antico dipinto a olio, con la superficie screpolata.
   «Lo vede, Capitano? Questo è ciò che accade al nostro organismo, se resta esposto al vostro spazio» disse la Messaggera. «I tessuti si disintegrano e dopo atroci dolori sopraggiunge la morte. Per questo dobbiamo riplasmare lo spazio. Ma dobbiamo anche capire se è pronto, prima d’inviare la nostra gente a colonizzarlo. Così dei coraggiosi si offrono volontari per questo tipo di missione, conoscendo i rischi. Come ha fatto costui».
   «L’avete mandato nello spazio, tutto solo dentro questo guscio, per vedere se sopravviveva» disse Chase. «So che facevate lo stesso anche nella Distesa Delfica. Usate la vostra gente come i minatori usavano i canarini».
   «Noi onoriamo i nostri caduti, Capitano» corresse la Messaggera. «Come le ho detto, i soggetti degli esperimenti sono volontari. E se percepiamo che i loro segni vitali precipitano, andiamo a salvarli. Di solito li recuperiamo in tempo. Ma a volte capitano degli incidenti, come questo. Ora capisce quanto sia pressante il nostro bisogno?» chiese.
   «Avete provato a cercare altre dimensioni? Luoghi in cui il vostro organismo non si disintegri, e dove non dobbiate distruggere gli abitanti?» domandò Chase.
   «Se ci abbiamo provato? Abbiamo sprecato secoli cercando una dimensione più accogliente!» replicò la Messaggera, con una risata amara. «Le pare che avremmo fatto tutti questi sforzi per occupare la vostra, se avessimo trovato un’alternativa migliore? Venga, le mostro un’altra cosa».
   La Messaggera guidò il gruppo per altri corridoi e stanze, salendo anche di livello con un ascensore. Durante la camminata, Chase si avvicinò a Neelah, ricordando che il suo livello ESP superava persino quello di T’Vala. «Dice la verità?» chiese, accennando alla Messaggera.
   «Mi spiace, ma tutti i Tuteriani hanno una mente impermeabile alla telepatia» bisbigliò Neelah, che da un pezzo cercava di sondare i loro pensieri. «Sono opachi, non riesco a leggere nulla».
   Chase non rispose, per non attirare l’attenzione dei Tuteriani; ma era stato un brutto colpo. Di lì a poco giunsero a un vasto salone sferico, come una bolla che tagliava molti piani. Una sottile passerella metallica portava a una pedana circolare, sospesa nel vuoto. Non c’erano ringhiere protettive. Tutt’attorno le pareti scure somigliavano a quelle di un ponte ologrammi. I Tuteriani e i federali percorsero la passerella, in fila indiana, e si raggrupparono nella piattaforma, sospesa al centro del salone.
   «Guardate!» disse la Messaggera, armeggiando con dei comandi olografici proiettati da terra. «Questa è la nostra dimensione d’origine».
   Lo spazio attorno a loro sbiancò di colpo e sembrò allargarsi. Ora si trovavano avvolti da un biancore lattiginoso, come nebbia. Alcuni Tuteriani, che facevano parte della simulazione, si muovano attorno a loro. Camminavano su più livelli, ma non era chiaro su cosa poggiassero i piedi. A volte sparivano, per riapparire a breve distanza, senza che si capisse come avevano fatto.
   «È tutta così?» si meravigliò Lantora. «Come avete fatto a evolvervi? E come avete costruito i vostri marchingegni?».
   «Queste sono informazioni riservate» rispose la Messaggera. «Posso solo dirvi che la nostra dimensione è prevalentemente così».
   «Anche la nostra dimensione è quasi tutta spazio vuoto» osservò Neelah. «La densità media dell’Universo è di un atomo per metro cubo».
   «Quella è la Vate, il secondo elemento della nostra triade governativa» disse la Messaggera, indicando una Tuteriana olografica che le passava accanto. Aveva un vestito identico al suo, ma di colore giallo dorato, con ricami anch’essi color oro. «La sua funzione è analizzare le linee temporali, prevedendo quelle più probabili, e riferire».
   «E la Primaria?» chiese il Capitano.
   «È lì» disse la Messaggera, indicando una Tuteriana più alta e magra delle altre. Il vestito e i ricami erano azzurri, punteggiati da macchioline blu scuro. «La sua funzione è ascoltare i nostri consigli, prendere le decisioni e impartire gli ordini».
   «Uhm, sì» ricordò Chase. «Prima che l’Enterprise-I fosse distrutta, il suo capitano – una vittima dei Parassiti – disse che la Primaria aveva ordinato d’intensificare la trasformazione dello spazio. Allora non capii, ma adesso è chiaro».
   «Prima avete accennato ad altre dimensioni...» intervenne Lantora.
   «Sì. Ne abbiamo esplorate molte, prima di rassegnarci a occupare la vostra» confermò la Messaggera. «Purtroppo la maggior parte non è abitabile da noi e dalle poche vivibili siamo sempre stati respinti. Per esempio, gli Undine ci hanno scacciati dallo Spazio Fluido dopo una lunga guerra».
   Con queste parole, la Messaggera azionò un comando che attivò un’altra simulazione. Ora i presenti galleggiavano in quello che sembrava un liquido organico, diviso in zone verdi e giallastre. Un Universo dominato dalla biologia, invece che dalla fisica. Da un lato comparvero le Dreadnought dei Tuteriani, dall’altro le bionavi degli Undine. Le due flotte si diedero battaglia. Le bionavi erano molto più piccole delle Dreadnought, ma più numerose e maneggevoli. Sciamavano attorno alle grosse navi degli invasori come insetti letali. Le loro armi anteriori scagliavano raggi disgreganti simili a fulmini, che passavano gli scudi delle Dreadnought e squarciavano i loro scafi.
   Chase pensò a quando, nel 2373, gli Undine avevano mosso guerra ai Borg. In quell’occasione avevano quasi messo in ginocchio la Collettività, distruggendo decine di pianeti e migliaia tra Cubi e Sfere. Sì, gli Undine erano decisamente bravi a difendersi dagli invasori. Il Capitano vide che alcune bionavi si mettevano in cerchio, con un vascello più grande al centro. Le otto navi ai lati concentrarono l’energia su quella centrale, che l’accrebbe e la indirizzò in avanti. Una Dreadnought fu vaporizzata all’istante. Poi un’altra e un’altra ancora. Gli Undine erano molto efficienti.
   «Un Distruttore Planetario» riconobbe Lantora, esperto di navi da guerra. «Quelle bionavi in formazione possono distruggere un intero pianeta. Non mi sorprende che vi abbiano respinti».
   «L’esperienza ci ha permesso d’affinare armi e tattiche, quindi in definitiva ci ha resi più forti» ribatté la Messaggera. «E ora guardate!».
   La scena cambiò ancora. Un drappello di soldati Tuteriani esplorava un ambiente alieno, simile a un acquitrino. D’un tratto dalle paludi si levarono strane creature verdi-azzurre. Avevano un aspetto vagamente insettoide, con un esoscheletro duro, ma due soli arti. Pur non avendo ali, in qualche modo riuscivano a volare, ed erano velocissimi. Comunicavano tramite fischi striduli, assai sgradevoli. Attaccarono gli esploratori Tuteriani mettendoli in fuga, inseguendoli persino. Non appena erano sfiorati da quei mostriciattoli, i Tuteriani crollavano a terra morti, con i corpi mummificati, prosciugati da tutti i liquidi.
   «Ho studiati i resti biologici di quegli esseri» disse Neelah. «L’Equinox e la Voyager li incontrarono nel Quadrante Delta. Possono lasciare la loro dimensione solo per pochi secondi. Se non riescono a tornarci, sfruttando piccole brecce, muoiono come pesci fuor d’acqua».
   «La loro dimensione sarebbe adatta a noi, ma sfortunatamente ne è infestata» sospirò la Messaggera. «Nel corso dei secoli abbiamo visto gli Universi più folli. Guardate questo!».
   Un nuovo cambio di scena portò a un’altra dimensione, composta da un’infinità di prismi iridescenti in perenne movimento. Era una visione psichedelica, allucinatoria. «Questa non sarebbe male... se solo vi fossero mezzi di sostentamento» commentò la Messaggera. «Purtroppo non c’è modo di colonizzarla. Tutte le risorse devono essere importate e non possono essere replicate in loco, quindi sono destinate a esaurirsi. Ora capite l’enormità del nostro problema?» chiese sconsolata. «Esistono innumerevoli dimensioni, ma noi possiamo accedere solo ad alcune, e anche quelle hanno sempre qualcosa che non va. Una pecca fatale che c’impedisce di occuparle stabilmente. Il Continuum Q, per esempio, è popolato da entità quasi onnipotenti, che ci hanno respinti con uno schiocco di dita. Ci siamo affannati per secoli, cercando un’alternativa. Abbiamo scoperto dimensioni splendide, che tuttavia ci restano precluse. E altre colme d’oscurità, terrore e miseria. Luoghi cupi, consumati da orrori più antichi del tempo!».
   Così dicendo la Messaggera mostrò un’ultima realtà, che pareva uscita dall’incubo di un pittore astratto. Era formata da globi grandi e piccoli, uniti da cordoni, come i neuroni all’interno di un cervello umano. Avevano tinte forti, spiacevolmente contrastanti. Le superfici erano in continua trasformazione: ribollivano, fremevano, formavano villi. Avevano un aspetto infido, da sabbie mobili. Tutto, in quella dimensione, era corrugato e malvagio. E là in fondo si agitava una sagoma prismatica, forse l’oscuro padrone di casa. Con quell’ultima immagine disturbante, l’osservatorio si spense.
   «Tutte insieme, queste dimensioni formano un Multiverso così sterminato, nel tempo e nello spazio, da essere inconcepibile» concluse la Messaggera. «Forse anche la vostra Federazione lo esplorerà, in futuro. Sempre che sopravviva!» avvertì.
   Chase squadrò la Messaggera, non sapendo se credere al suo racconto. Tutto quel che aveva mostrato loro erano ologrammi. Qualunque programmatore di computer, qualunque hacker poteva fare altrettanto. E il suo discorso commovente non poteva fargli dimenticare che erano responsabili dell’attacco Xindi alla Terra, oltre che delle infiltrazioni dei Parassiti Neurali. No, si disse Chase: i Tuteriani si erano dimostrati troppo subdoli, troppo spietati per credergli sulla parola. Se solo non fossero stati così opachi alla telepatia, avrebbe potuto chiedere conferma a T’Vala e Neelah. Ma stando così le cose, poteva affidarsi solo al suo giudizio.
   «Quali sono le condizioni per un armistizio tra la vostra gente e la Federazione?» domandò alla Messaggera.
   «Che voi ci concediate una porzione significativa del vostro spazio» rispose immediatamente lei. «Siccome lo trasformeremo con le Sfere, dovrete evacuare i vostri civili».
   «Che intende con porzione significativa?» chiese Chase, rabbuiato.
   «Ci occorrono almeno un terzo dello spazio e dei pianeti» rispose la Messaggera.
   «Un terzo!» protestò Chase, mentre i suoi colleghi si lanciavano occhiate preoccupate. «È una richiesta esorbitante. Dovremmo sfollare centinaia di mondi. Non è mai stata tentata, ma che dico, neanche pensata una cosa del genere. Ma voi Tuteriani quanti siete? Avete detto che la vostra dimensione – quello spazio bianco – è più piccola della nostra!».
   «Più piccola del vostro Universo, ma più grande della vostra Galassia» precisò la Messaggera. «E noi l’abbiamo riempita quasi tutta».
   «Sarete milioni di miliardi...» mormorò Chase, sopraffatto dall’informazione.
   «Potremmo concedergli la Sfera di Dyson abbandonata, nel settore Norpin» suggerì Lantora. «Ha un’area interna di 250 milioni di mondi; più di quanti ve ne siano nell’intera Via Lattea!». Non aggiunse altro, ma Chase colse subito un secondo vantaggio: in questo modo i Tuteriani si sarebbero concentrati tutti in un unico luogo. Questo avrebbe permesso alla Federazione di controllarli più facilmente.
   «Purtroppo non è possibile» spiegò la Messaggera. «Il calore e le radiazioni della stella centrale sono saliti costantemente negli ultimi secoli, rendendo invivibile l’interno della Sfera. Ecco perché gli abitanti originali dovettero abbandonarla. Noi, inoltre, dobbiamo riplasmare lo spazio con le anomalie. Le nostre simulazioni indicano che la megastruttura non reggerebbe alla trasformazione. Quindi dobbiamo chiedervi dei pianeti tradizionali» concluse.
   «La vostra richiesta è esosa» obiettò Chase. «Se vi concedessimo un terzo della Federazione, diventereste abbastanza forti da sopraffarci e conquistare anche il resto».
   «E se fosse? Noi siamo i nuovi abitanti della Via Lattea, è un fenomeno storico che non potete contrastare» rispose quieta la Messaggera. «La domanda è: volete sopravvivere, nel nuovo ordine delle cose?».
   «Messaggera, io sono un Capitano della Flotta Stellare» rispose Chase. «Posso rappresentarla in molte circostanze, ma non ho l’autorità per trattare a questi livelli». Respirò a fondo. «Questa richiesta va posta direttamente al Consiglio della Federazione. Ma vi suggerisco di abbassare le vostre pretese. Nessun governo e nessun Presidente federale accoglierà mai una pretesa così esorbitante».
   «Allora questo incontro è stato solo una perdita di tempo» si spazientì la Messaggera. «La vostra presenza qui, però, non lo è. Ci sarete utili in altri modi. Prendeteli!».
   All’ordine della Messaggera, le guardie aprirono il fuoco sui federali. Chase, Lantora e T’Vala caddero al primo colpo. Neelah, invece, barcollò semi-stordita. I suoi potenziamenti la rendevano resistente... ma non tanto da sfuggire. Guardò Chase e gli altri, a terra: non sembravano morti. Lei stessa doveva essere stata colpita con un raggio stordente, o non sarebbe stata ancora in piedi.
   «Notevole» riconobbe la Messaggera. «Tu ci sarai molto utile. Ma prima conoscerai i nostri scienziati e i loro animaletti... come li chiamate? Ah sì, Parassiti Neurali» sogghignò.
   Neelah la guardò con orrore. Da tempo sognava d’incontrare un Parassita vivo, ma non in quelle circostanze. Voleva studiarli, sottoporli a esperimenti e infine dissezionarli. Era lei che doveva vederli da dentro, non il contrario! «Non avrete neanche un atomo del nostro spazio» boccheggiò, piegata in due.
   «Abbiamo già interi settori, e presto lo avremo tutto» rispose la Messaggera. «Ma prima dobbiamo ripulirlo dalle forme di vita inferiori». Al suo cenno, le guardie aprirono ancora il fuoco. Neelah cadde in ginocchio. Percepì vagamente che qualcuno l’ammanettava e la trascinava via.
 
   Oscurità.
   Freddo.
   Un ticchettio insistente, quasi metallico. Tic-tic-tic-tic...
   Alexander Chase, ufficiale della Flotta Stellare, conosceva quelle sensazioni. Le aveva vissute già una volta dal vivo, e molte altre nei suoi incubi. Se fosse stato ancora Tenente, probabilmente avrebbe urlato. Ma era Capitano, adesso, e non poteva cedere. La sua astronave era ancora là fuori, in mezzo alle anomalie e alle navi nemiche. E da qualche parte, nel Collettore Subspaziale, il timer della Bomba Omega correva inesorabilmente verso lo zero. Quanto tempo rimaneva? Chase non lo sapeva, ma era improbabile che gli restasse molto. Forse quindici minuti, forse uno. Forse sarebbe tutto finito di lì a due secondi.
   Il Capitano si stiracchiò, per quanto possibile, ed ebbe la conferma di essere imprigionato su un tavolo operatorio. Mentre i sensi tornavano, sentì il metallo freddo sotto di sé e i ceppi ai polsi e alle caviglie. Sbatté gli occhi, mise a fuoco la visione. Un attrezzo chirurgico familiare incombeva su di lui: un sottile braccio snodato che terminava in due lame ricurve e seghettate. Una chela pronta a ucciderlo, o aprirgli il cervello per estrarre informazioni utili ai Tuteriani.
   Chase inclinò la testa, osservando il laboratorio. Non c’erano dubbi: era quello di dieci anni prima. C’erano gli stessi tavoli operatori, gli stessi orrori chirurgici, gli stessi pannelli luminosi bianchi, che il pavimento rifletteva tingendoli di rosso. E c’erano i Solanae, avvolti nelle pesanti cappe gialle con cappuccio. Stavano trafficando attorno ai comandi, con le grosse mani simili a chele. Alcuni si girarono verso di lui, mostrando gli squamosi volti da pesce. Emisero il consueto ticchettio, che stavolta però fu tradotto da qualche congegno.
   «Ben svegliato, Capitano» disse uno dei Solanae, avvicinandosi. «Io sono il Direttore Scientifico Krek, capo di questa installazione».
   «Era qui anche...?» rantolò Chase.
   «Dieci anni fa? Naturalmente. Dirigo il Collettore da molto tempo» confermò Krek. «Lei è uno dei pochi che l’hanno lasciato senza essere infettato dai Parassiti. Su di lei abbiamo eseguito solo qualche analisi... l’altra volta».
   «I miei ufficiali...».
   «Sono qui, vede?». Krek allungò la tenaglia che aveva al posto della mano, indicando un altro tavolo operatorio. T’Vala vi era stesa sopra. Sembrava ancora priva di sensi, o forse in un dormiveglia, perché a tratti muoveva la testa. Aveva la manica dell’uniforme rialzata e un congegno fissato al braccio.
   «Che le avete fatto?!» ringhiò Chase, dibattendosi.
   «Le abbiamo somministrato un soppressore neurale per tenerla buona, come facciamo regolarmente coi nostri pazienti» spiegò Krek. «Per adesso le stiamo facendo qualche prelievo. Ma la sua fisiologia unica ci obbliga a procedere con altri esami. Mezza Vulcaniana e mezza Betazoide... molto interessante! È la prima volta che ho a disposizione un simile ibrido. La esaminerò con la massima attenzione».
   «Non osi!» sibilò Chase. «Sono due secoli che perseguita la nostra gente. Si crede uno scienziato? Lei è solo un criminale di guerra!».
   «Non secondo le leggi a cui debbo rispondere» obiettò Krek.
   Chase tacque un attimo, riordinando le idee. Aveva poco tempo e nessun margine di manovra, ma c’era qualcosa che voleva sapere. «Dove sono i miei altri accompagnatori?» chiese.
   «Una è qui, Capitano» disse una voce nota.
   «Neelah!». Chase si girò dall’altra parte, scoprendo che l’Aenar era in piedi, accanto al suo tavolo operatorio. Sorrideva tranquilla e non era ammanettata. «Lei è libera!» disse il Capitano con voce strozzata, intravedendo una possibilità di salvezza.
   «Oh sì, Capitano. Sono più libera di quanto lei immagini» sorrise la biologa. «Finora ero schiava di un’insensata ambizione personale e delle irrilevanti leggi federali. Ora appartengo a qualcosa di più grande e nobile, ho un vero scopo».
   «L’hanno infettata coi Parassiti» mormorò Chase, sentendosi davvero perduto.
   «Certo. Come avrebbero potuto rendermi utile, altrimenti?» rispose Neelah, o chi per lei.
   «Maledizione, sa di essere sotto il loro controllo e non gliene importa niente?!» ringhiò Chase.
   «I Tuteriani sono dalla parte giusta della Storia, Capitano. E ora lo sono anch’io» rispose Neelah quietamente. «Che c’è di più nobile che salvare un popolo dall’estinzione?».
   «Che c’è di più ignobile che tradire i propri compagni e condannare centinaia di popoli all’estinzione?» ritorse Chase. L’idea che il Parassita accedesse alla memoria di Neelah, scoprendo la Bomba Omega, lo agghiacciava.
   «Quel che conta è la qualità, non la quantità» spiegò Neelah. «I Tuteriani sono una specie superiore. Prima non riuscivo a capirlo, ma ora è tutto chiaro. Un solo Tuteriano vale più di mille federali. Sa, la Federazione mente, quando dice che tutte le vite sono uguali. La vostra democrazia, i vostri Diritti dei Senzienti sono concetti fallimentari. Presto l’unica legge sarà quella tuteriana» sorrise, e indietreggiò.
   «Maledizione, questa non è lei!» inveì Chase, scuotendosi come un ossesso. «Lei è la persona più cocciuta, strafottente e solipsista che abbia mai conosciuto! Questa rassegnazione non le si addice! Faccia uno sforzo, ricordi com’era fino a poco fa!».
   «Lascia stare, Neelah» disse la Messaggera, sbucando dall’oscurità retrostante. «Chase non è stato ancora corretto, non possiamo ragionare con lui. Pensa ancora alla sua piccola Flotta, alla sua meschina Federazione. Non comprende la vastità dei nostri progetti. Piuttosto è Lantora che dovrebbe mostrare più apertura mentale. Non è così, Tenente?».
   «Liberatemi e lo saprete» disse Lantora, che era prigioniero su un altro tavolo.
   «Ma certo. Direttore Krek, le spiace?» ordinò la Messaggera.
   Il capo dei Solanae andò da Lantora e premette un comando vicino al lettino, in un punto che lo Xindi non poteva raggiungere. Subito i ceppi metallici rientrarono nel tavolo operatorio, liberandolo.
   Lantora balzò in piedi, fregandosi i polsi, mentre il Solanae indietreggiava. L’Ufficiale Tattico si guardò intorno, valutando le opzioni. C’erano una dozzina di Solanae, apparentemente disarmati. C’era la Messaggera dei Tuteriani. E intorno a lei c’erano alcune vittime dei Parassiti, tra cui Neelah. Questi erano gli unici armati: in cintura avevano phaser e disgregatori. Ma alle loro spalle si agitava qualcos’altro. Era una creatura mostruosa, con un esoscheletro giallastro e molte zampe ticchettanti. Era grossa come un cinghiale, ma quasi tutta la massa corporea era costituita dall’enorme sacca ventrale rigonfia. Aveva la bocca enorme, piena di zanne sproporzionate e diseguali, come un pesce abissale. Quando incrociò lo sguardo di Lantora, il mostro emise un ringhio gutturale.
   «Cos’è quella... cosa?» chiese Lantora con orrore. Aveva familiarità con gli Xindi Insettoidi, ma quell’obbrobrio era troppo anche per lui.
   «Ah, sì. Ti presento la Regina dei Parassiti Neurali» sorrise la Messaggera. «Pensi a lei come a un’ape regina. La sua progenie è attualmente impegnata nel rovesciare la Federazione».
   «Ci avete già provato una volta, e avete fallito» osservò Lantora.
   «L’altra volta fummo troppo avventati» rispose la Messaggera. «Consentimmo alla Regina di andare sulla Terra, al Comando di Flotta, per controllare da vicino le operazioni. Ma così la esponemmo troppo al pericolo. Quando fu uccisa, anche i droni morirono. È una precauzione che abbiamo dovuto prendere, per evitare che questi animaletti ci sfuggano di mano» spiegò, carezzando il mostro sulla testa. «Ma abbiamo imparato la lezione. Questa nuova Regina, chiamata Oa, è stata creata nel Collettore e non è mai uscita. Abbiamo reso la sua telepatia così forte che può comandare i droni attraverso le distanze siderali».
   «Anche da questa bolla di subspazio?» chiese Lantora, scettico.
   «Sì, attraverso il tunnel subspaziale che vi ha portati qui» confermò la Messaggera.
   Lantora notò che, di conseguenza, il tunnel non poteva mai essere chiuso, o avrebbe troncato il collegamento. Era una vulnerabilità significativa per il Collettore e aumentava leggermente le loro possibilità di fuga.
   «Perché mi ha liberato?» chiese lo Xindi, squadrando la Messaggera. Non poteva attaccarla, finché stava in mezzo alle sue guardie armate.
   «Perché sono clemente e voglio offrirti un’occasione per redimerti» rispose lei. «Tu somigli davvero al tuo avo Degra. Me lo ricordi moltissimo. Non fare il suo stesso errore!».
   «Lei... ricorda Degra? Lo ha incontrato di persona?» si stupì Lantora.
   «In molte occasioni» annuì la Messaggera. «Di solito accadeva quando mi rivolgevo al Consiglio Xindi, ma in alcuni casi gli parlai in privato. Ovviamente potevo manifestarmi solo come immagine, non in carne e ossa».
   «Ma è stato quattrocento anni fa!» esclamò Lantora, incredulo.
   «Noi Tuteriani viviamo molto più a lungo di voi» spiegò la Messaggera, con un certo orgoglio. «La nostra civiltà esiste da milioni di anni, durante i quali ci siamo migliorati geneticamente. Un Tuteriano medio vive cinquecento anni. Ma chi appartiene alla suprema triade di comando gode di un arco vitale ancora più lungo. La mia esistenza dura da più di seicento dei vostri anni, e potrebbe superare il millennio».
   «Se è così in gamba, a che le servo io?» chiese Lantora, circospetto.
   «Non lo immagini?» disse la Messaggera, con un sorriso beffardo. «Sei l’ufficiale tattico dell’Enterprise. Potevo infettarti con un Parassita, per farti rivelare le difese della nave. O potevo ordinare ai Solanae di estrarre le informazioni direttamente dal tuo cervello. Invece no... ti chiedo di farlo spontaneamente».
   «E perché dovrei?» volle sapere Lantora, immaginando qualche ricatto.
   «Magari perché hai a cuore il tuo popolo» suggerì la Messaggera. «Come spiegai a Degra, gli Umani sono destinati a distruggere gli Xindi. Solo noi possiamo salvarvi da questo destino... se ce lo permettete».
   «Ma per favore!» sbottò Lantora. «Abbiamo smascherato le vostre menzogne secoli fa».
   «Menzogne? Non è una menzogna che noi possiamo sondare le linee temporali» obiettò la Messaggera. «Guarda tu stesso!» disse, attivando un proiettore olografico. Il laboratorio si riempì di sottili linee colorate, che galleggiavano a mezz’aria. Partivano da un solo ceppo, ma si allargavano in varie direzioni. Alcune scorrevano quasi dritte, altre si piegavano e si attorcigliavano. Il loro colore variava dall’azzurro al rosso, attraversando tutto lo spettro dell’arcobaleno.
   «Osserva. Questo è il futuro degli Xindi, così come l’ha previsto la Vate» spiegò la Messaggera. «Le linee temporali più ingarbugliate sono quelle meno probabili. Quelle lineari hanno maggiori probabilità di verificarsi. Guarda un po’ cosa c’è nella più dritta di tutte».
   Lantora esitò. L’unica linea retta in tutto il fascio, l’unica che arrivava in fondo alla stanza, era di un tono scarlatto che non prometteva nulla di buono.
   «Avanti... è l’ignoranza che devi temere, non la conoscenza» disse la Messaggera. «Anche se la conoscenza, a volte, comporta il dolore».
   Lantora toccò la linea temporale rossa, vicino alla sua estremità. Subito gli comparve davanti uno schermo olografico, che mostrava una furiosa battaglia spaziale. Il Tenente osservò incredulo: centinaia di navi federali combattevano nell’orbita di Nuova Xindus. La Flotta Stellare stava chiaramente attaccando, mentre gli Xindi erano sulla difensiva. Le piccole navi Insettoidi sciamavano attorno ai vascelli della Flotta Stellare, ma non riuscivano a penetrare i loro scudi ed erano abbattute una dopo l’altra. Rettili, Arboricoli e Primati se la cavavano un po’ meglio, ma le loro navi di media stazza erano comunque soverchiate dal fuoco pesante della Federazione. Una dopo l’altra, esplosero in fiamme. Poi c’erano gli Acquatici, i più potenti. I loro enormi incrociatori azzurri, simili a creature marine, percorrevano il campo di battaglia, sparando in tutte le direzioni. Ma erano troppo pochi per ribaltare le sorti dello scontro. Quando arrivarono le navi federali più moderne, anche gli Acquatici cedettero. I loro scafi, crivellati di siluri, si coprirono di crepe e infine cedettero. Ne uscì l’acqua, milioni di litri che formarono grandi bolle congelate nello spazio.
   Con gli incrociatori Acquatici a pezzi, i federali si concentrarono sulle piattaforme difensive in orbita attorno a Nuova Xindus. Queste furono dure da superare: molte astronavi ebbero gli scafi perforati e sbandarono. Ma il fuoco pesante delle classe Universe ebbe il sopravvento. Una dopo l’altra, anche le piattaforme esplosero. Ora Nuova Xindus era difesa solo dal suo Scudo Planetario.
   «Questo è il filmato che, quattro secoli fa, mostrai al Consiglio Xindi» rivelò la Messaggera. «Da allora la Vate ha riesaminato le linee temporali innumerevoli volte. Il risultato è sempre lo stesso, il vostro annientamento».
   La flotta federale si radunò nell’orbita bassa, ancora ingombra di relitti in fiamme e bolle d’acqua congelata. E iniziò il bombardamento. Una pioggia interminabile di siluri e raggi distruttori martellò lo Scudo Planetario, fino a sovraccaricarlo. Apparvero degli squarci, attraverso cui i colpi giunsero a segno. Ogni siluro disintegrava una città, lasciando al suo posto un cratere largo chilometri, ricolmo di lava. Presto l’atmosfera fu annerita dai fumi tossici. Lo Scudo cedette completamente. Le navi federali attaccavano ancora, implacabili.
   «Voi lo chiamate Bombardamento Delta Zero» disse la Messaggera. «L’intera biosfera è distrutta, la crosta planetaria è ridotta in lava».
   «So cos’è un Bombardamento Delta Zero!» gridò Lantora, osservando il suo amato pianeta che diventava sempre più rossastro. «La Flotta Stellare non l’ha mai messo in pratica. Nemmeno una volta, in tutta la sua storia! Perché dovrebbe farlo adesso? E perché contro uno dei suoi membri?».
   «Perché la tua preziosa Federazione è prossima alla guerra civile» rispose la Messaggera. «Sono secoli che si prepara, ormai è inevitabile. Da una parte ci sono i fondatori e altri membri di vecchia data, gelosi dei loro privilegi. Dall’altra i mondi entrati di recente: Cardassia, Ferenginar, Nuova Xindus. A voi le regole federali stanno strette, per questo tentate di riformarle. Ma la Federazione è troppo vecchia e corrotta per essere salvata. È così incancrenita nei suoi regolamenti che preferisce dichiararvi guerra, piuttosto che cambiare! Pensa alla Prima Direttiva, a quanti popoli sono stati lasciati morire in suo nome. Quello che vedi non è poi così diverso: alla Federazione importa dei suoi commi, non delle vostre vite».
   Nuova Xindus era ormai ridotta a una palla incandescente, rossa e arancione. La crosta semifusa era attraversata da immensi squarci, attraverso cui il magma era scagliato fino in orbita. Game over. Con quella scena apocalittica, lo schermo olografico si disattivò.
   «È tutto falso!» gracchiò Lantora. «Avete creato quest’animazione computerizzata per ingannarmi!».
   «Vuoi scommetterci la sorte degli Xindi? Di tutte e cinque le specie?» chiese la Messaggera. «Tocca un’altra linea, osserva un altro futuro».
   Smarrito, Lantora toccò la linea più vicina, facendo apparire un’altra scena. Una nave di classe Universe uscì dalla cavitazione quantica a breve distanza da Nuova Xindus. Scagliò un singolo siluro nell’atmosfera, prima che gli abitanti potessero attivare lo scudo difensivo. Il missile colpì la capitale e iniziò a scavare una voragine. A ogni istante l’imbuto cresceva, risucchiando la materia circostante: terreno, montagne, l’acqua del mare, l’atmosfera.
   «Quel siluro conteneva un campione di Materia Rossa, che a contatto con la materia comune forma un buco nero» spiegò la Messaggera. «Furono i pacifici Vulcaniani a inventarla. Vedi, la Terra e Vulcano sono fondatori della Federazione, quindi alleati nella futura Guerra Civile. I nuovi arrivati come voi ne faranno le spese».
   Sotto gli occhi di Lantora, il buco nero crebbe fino a consumare completamente Nuova Xindus. Era tutto sparito: crosta, mantello, nucleo.
   «Puoi vedere altri futuri, se t’interessa. In un modo o nell’altro, il tuo mondo è condannato» disse la Messaggera, in tono addolorato.
   «Ho visto abbastanza» disse Lantora, spazzando via le linee temporali con un gesto secco. Gli ologrammi si spensero. «Lei ha ammesso che il suo popolo vuole soppiantare quelli della Via Lattea. Allora perché v’interessate a noi? Perché vi stiamo tanto a cuore, mentre gli altri sono erbacce da estirpare?».
   «Perché noi non trasformeremo completamente la Via Lattea» rivelò la Messaggera. «Alcune regioni di spazio rimarranno abitabili per gli indigeni. Le destineremo alle specie meritevoli, quelle che accetteranno di servirci. Voi Xindi siete stati prescelti per questo da molto tempo».
   «Cioè dovremmo essere i vostri servi? O i vostri cani da guardia?» chiese Lantora. «Se non faremo i bravi, ci ridurrete così?» aggiunse, indicando Neelah e gli altri schiavi dei Parassiti.
   «Noi vi consegneremo un’area di spazio più grande di quella che avete attualmente» promise la Messaggera. «Potrete amministrarla a vostro piacimento. Ma se seguirete i nostri consigli, diverrete un potente Impero. Nessun altro oserà mai più guardarvi dall’alto in basso. Non è qualcosa per cui valga la pena di lottare? Tu, Lantora, puoi essere il padre del futuro Impero Xindi. Un Impero che durerà in eterno, perché a ogni problema potrete chiedere a noi la soluzione! Noi scruteremo le linee temporali e vi diremo cosa fare, perché la vostra gloria non abbia mai fine! Oh, Lantora, il tuo nome sarà pronunciato con profonda deferenza dalle generazioni a venire, se oggi farai la cosa giusta!».
   La Messaggera parlava in tono sempre più appassionato. Si avvicinò alla Regina, attorno a cui zampettavano molti Parassiti più piccoli, e ne colse uno. Se lo accostò al viso, osservandolo quasi commossa. E lo porse a Lantora.
   «Prendilo. Non avere timore, tienilo stretto nel pugno. E mettilo sul collo di Chase. Il procedimento sarà rapido, il dolore contenuto. Chase diverrà parte del nostro grande progetto, come la sua collega qui» aggiunse, carezzando il mento di Neelah. «Ma tu, Lantora, avrai un ruolo ben diverso».
   «Sì, quello del traditore» disse Lantora, afferrando il Parassita. Lo strinse con forza, temendo che gli scappasse di mano.
   «Quello di Capitano dell’Enterprise, tanto per cominciare» corresse la Messaggera. «Quando avremo estratto da Chase tutte le informazioni utili, potremo assumere il controllo della sua nave. La vostra Intelligenza Artificiale sarà riprogrammata per servirci. Gli ufficiali superiori riceveranno la progenie di Oa. E tu, Lantora, siederai sulla poltrona di Capitano».
   «Non sarà così facile espugnare l’Enterprise» avvertì Chase, che aveva ascoltato tutta la conversazione. «I miei ufficiali la distruggeranno, piuttosto che consegnarvela».
   «Sarebbe un terribile spreco, come lo è stato distruggere la vecchia Enterprise» rispose distrattamente la Messaggera. «Allora, Lantora... da che parte vuoi stare?».
   Lo Xindi Primate era accanto al tavolo di Chase. Gli bastava un gesto per infettarlo. Guardò il suo Capitano: al loro primo incontro gli aveva messo soggezione, ma adesso era del tutto indifeso.
   «Lantora, mi ascolti» disse Chase, guardandolo negli occhi. «Lei è un ufficiale della Flotta Stellare, come me. Abbiamo un dovere da compiere, anche se ne va delle nostre vite. Non creda a quella manipolatrice: vuole solo dividerci! Ricordi il monumento funebre di Point Zero, ricordi quanti erano i nomi delle vittime. Umani e Xindi hanno già versato troppo sangue a causa del Tuteriani. La Messaggera vuole solo usarla per invadere l’Enterprise. Quando non avrà più bisogno di lei, la ucciderà o la renderà schiavo dei Parassiti. È così che fanno i Tuteriani, lo ha visto. Usano la compassione che abbiamo per i nostri simili come arma per distruggerci. Lo fanno sempre!».
   «Chiuda il becco!» gridò la Messaggera, stizzita. «La fedeltà di Lantora va ai suoi fratelli Xindi e a noi Custodi, non a voi carnefici della Federazione!».
   «Lei ha ragione, Messaggera, quando dice che la sua gente è pragmatica. Fate tutto il necessario per sopravvivere» disse Lantora. «Ma io non sono da meno». Infilzò il Parassita sullo strumento chirurgico che corredava il lettino di Chase. La Regina emise un lamento, mentre gli altri Parassiti le zampettavano sopra e accanto, come tanti scarafaggi.
   «Povero sciocco!» esclamò la Messaggera. «Potevi rimediare al male di Degra, invece hai preferito tradirci come lui. Bene, farai la stessa fine. Uccidetelo» ordinò ai suoi.
   Lantora azionò il comando ai lati del tavolo di Chase, liberandolo dalla costrizione. Tutti e due si tuffarono dietro al tavolo, sfuggendo ai phaser e ai disgregatori.
   «Lieto che sia con me» sorrise Chase, grato.
   «Capitano, questo tavolo non ci proteggerà a lungo. Ha qualche idea?» chiese Lantora.
   «Ormai speravo nel nostro asso» rispose il Capitano.
   «E fa bene, ma non è quello che crede» disse Neelah, dall’altra parte di quel rifugio improvvisato. Approfittando del fatto che era più indietro degli altri armati, aprì il fuoco su di loro. Un singolo raggio phaser, tenuto acceso per qualche secondo, li vaporizzò uno dopo l’altro, comprese le loro armi. Chase sentì l’odore acre delle carni aliene bruciate.
   «Traditrice! Com’è possibile?!» inveì la Messaggera. Sollevò la mano destra, facendone scaturire un vortice d’energia distruttiva. Ma l’Aenar vide il suo gesto e corse a nascondersi dietro alcuni strumenti.
   «Non lo immagini, zucca pelata? Dov’è finita la tua intelligenza superiore?» la canzonò la biologa. «Quando ho studiato i Parassiti, mi sono cautelata contro di loro. Le mie nanosonde hanno preso a corrodere il mostriciattolo nel momento in cui è entrato. Domani avrò un gran mal di testa, ma intanto sono padrona di me. E tu sei nel dren!» disse, sporgendosi dal suo nascondiglio per sparare ancora.
   Accorgendosi di essere allo scoperto, la Tuteriana arretrò verso la porta, continuando a scagliare energia dalle mani. «Il tuo pianeta sarà uno dei primi che distruggerò!» promise.
   «Non conquisterete niente, fattelo entrare in quel tuo vecchio cervello!» gridò Neelah, aprendo il fuoco. Il vortice d’energia e il raggio phaser s’incontrarono a mezz’aria, generando un’onda d’urto che spazzò il laboratorio. I Solanae furono scaraventati contro le pareti. Anche la Messaggera e Neelah furono scagliate all’indietro, con gli abiti e la pelle strinati. Neelah si accasciò contro il tavolo di T’Vala, mentre la Messaggera finì nel corridoio. Mentre si rialzava dolorante, la porta si chiuse, tagliandola fuori dalla stanza.
   «Adesso!» disse Chase. Lui e Lantora uscirono dal loro riparo, trovandosi di fonte i Solanae inferociti.
   «Ci penso io» disse Lantora, facendosi avanti.
   «Siete degli ingenui se credete di fuggire» avvertì il Direttore Krek. Con la sua mano a chela gli rifilò una sberla così forte che lo Xindi fu scaraventato indietro.
   «Pure la superforza!» sbottò Chase, esasperato.
   «Siamo scienziati. Credevi che non avessimo migliorato il nostro organismo?» chiese Krek, rifilando uno sganassone anche al Capitano. Ma le cose non andarono come si aspettava.
   Chase parò il colpo con il braccio destro, senza difficoltà. Afferrò la chela del Solanae e gliela rigirò fino a stroncarla. Si udì un raccapricciante crack, mentre l’esoscheletro violaceo dell’alieno si rompeva. Ne uscì un sangue nero e oleoso. Gli altri Solanae indietreggiarono ticchettando, sconcertati dall’inaspettata forza di Chase.
   Il Capitano afferrò l’anfibio per il collo, sempre con la destra, e lo sollevò da terra. «I vostri esperimenti finiscono oggi» gli sibilò nel foro che aveva al posto dell’orecchio.
   Intanto Lantora e Neelah si rialzarono, doloranti. Videro il Capitano che strangolava l’alieno, grosso quanto lui, e si scambiarono un’occhiata incredula.
   «Ma come...» gracchiò Krek.
   «Non mi avete ucciso, l’altra volta; così mi avete reso più forte» disse Chase, fissandolo negli occhi a palla, che roteavano fuori controllo. Il Solanae gli afferrò la gola con la chela superstite. Allora il Capitano girò sui tacchi e lo impalò brutalmente sullo strumento chirurgico del suo lettino, quello con la lametta seghettata. Continuò a fissarlo negli occhi, mentre il suo sangue nero lo imbrattava, spargendo un lezzo di pesce marcio. Il ticchettio della creatura si affievolì fino a spegnersi e gli occhi smisero di girare. Solo allora Chase lo lasciò. L’alieno rimase in piedi, sostenuto dall’attrezzo che gli usciva dal petto. Sotto di lui si allargava la macchia nera del suo sangue.
   «Lei ha un braccio meccanico!» comprese Neelah, scioccata.
   «Sì, un risultato della lotta sull’Enterprise-I» confermò Chase. «Un colpo di phaser mi staccò quasi il braccio. Se mi avessero curato subito, avrebbero potuto salvarlo. Ma fui recuperato solo 24 ore dopo, mezzo assiderato nella capsula di salvataggio. E l’infermeria della Ascension era vecchia. Ho lasciato un pezzo di me su quella nave» disse, svitando la doppia lama seghettata. La brandì come un pugnale, con una presa rovesciata. «Quanto manca all’ora X?» chiese.
   «Venti minuti» rispose l’Aenar, tirata.
   «Allora dobbiamo levare le tende».
   «E quelli?» chiese Lantora, indicando i Solanae che stavano fra loro e la porta. Anche gli alieni avevano impugnato alcuni strumenti chirurgici, come fossero armi bianche.
   «Quelli non ci devono fermare» disse il Capitano, truce. E balzò loro addosso.
 
   Si scatenò una lotta così brutale da far impallidire quella sull’Enterprise-I. Lottarono con i bisturi laser, le tenaglie, le forbici chirurgiche. Chase si passò il coltello nella sinistra, usando il braccio destro come scudo per parare i colpi. Ne ricevette parecchi, che graffiarono la finta pelle, mostrando il metallo sottostante. Ma nessuno fu tanto forte da danneggiare seriamente il braccio artificiale. E intanto lui sferrava attacchi micidiali, che facevano schizzare sulle pareti il sangue dei Solanae, nero e fumigante.
   Poco più indietro, Lantora difendeva il lettino di T’Vala, su cui la timoniera era ancora semi-incosciente. Incalzato dai Solanae, fu costretto persino a saltarci sopra, stando attento a non calpestare T’Vala. Atterrò un alieno con un calcio in pieno volto, mandandolo a rompersi la testa contro un macchinario. Quando un secondo Solanae cercò di troncargli le gambe con un seghetto, Lantora spiccò un balzo, sfiorando il soffitto del laboratorio. Fece un salto mortale, atterrò alle spalle dell’avversario, si girò e gli trafisse la gola con un bisturi.
   Neelah stava per unirsi alla battaglia, quando notò la Regina che zampettava verso l’uscita. Era scortata dagli altri Parassiti, che la coprivano come un guscio protettivo. «No, non te la cavi!» ringhiò. Regolò il phaser al massimo e la colpì.
   La creatura lanciò un lamento pietoso, mentre i Parassiti minori sfrigolavano a scoppiavano intorno a lei. Il puzzo di bruciato era insopportabile, ma Neelah tenne fisso il raggio sull’obiettivo. Il phaser perforò l’esoscheletro, per quanto fosse resistente, e vaporizzò i tessuti interni. La Regina si trasformò in una macchia bianco-azzurra di plasma rovente. Poi anche quella si dissolse, con un ultimo sfrigolio.
   Neelah smise di sparare. Per uccidere quella creatura c’era voluta la stessa energia che avrebbe disintegrato una navetta. Al suo posto c’era adesso una gran chiazza gialla e rovente, che indicava dove il pavimento si era parzialmente liquefatto. I pochi Parassiti che non erano stati uccisi, perché si trovavano più lontani, stridettero e morirono.
   «Ma certo... uccidendo la Regina, anche i droni muoiono!» ricordò la biologa. «Capitano, potrei aver stecchito tutti i Parassiti della Galassia!».
   «Ottima notizia» disse Chase. Afferrò l’ultimo Solanae per il collo e strinse tanto che glielo stroncò. Lasciò cadere l’alieno e si guardò attorno, ansimante. Il laboratorio sembrava un mattatoio. Ovunque c’erano i corpi dei Solanae, misti a schizzi di sangue e ai resti dei Parassiti.
   «Direi che è la fine dell’Infiltrazione» constatò Lantora, detergendosi il sudore dalla fronte.
   «Restano quindici minuti all’ora X» li informò Neelah.
   «Ma riesce davvero a tenere il conto? Anche quando aveva il Parassita abbarbicato alla spina dorsale?» chiese Lantora.
   «Ho ancora il Parassita abbarbicato, anche se è morto» disse l’Aenar. «E sì, riesco a tenere il conto». Corse verso la porta, ma la trovò sbarrata. Dovette tagliarla con il phaser.
   «Presto!» disse Chase, correndo verso il lettino di T’Vala. «La Messaggera avrà chiamato le guardie. Potrebbe aver ordinato di attaccare l’Enterprise» aggiunse angosciato. Staccò lo strumento chirurgico dal braccio di T’Vala, notando che le aveva prelevato molto sangue. Accanto al tavolo c’era infatti un recipiente cilindrico e trasparente, pieno del sangue verde di T’Vala.
   «Capitano, cosa...» gemette la mezza Vulcaniana, che cominciava a riaversi dagli effetti del soppressore neurale. Era molto pallida.
   «Hanno cercato di ucciderci, ma ci siamo ribellati. I Solanae sono morti, come la Regina dei Parassiti, ma la Messaggera ci è sfuggita» riassunse Chase.
   «Mancano pochi minuti all’ora X e dobbiamo ancora trovare un modo per andarcene» aggiunse Lantora. «Riesce a camminare?».
   «S-sì, credo» mormorò T’Vala, alzandosi con l’aiuto dell’Ufficiale Tattico. «Se non riusciamo ad avvertire la Federazione, sarà stato tutto vano» ansimò. Si guardò intorno, notando lo stato del laboratorio, con i cadaveri e i segni della lotta. Il puzzo di bruciato, misto a quello di pesce marcio, le diede la nausea. «Un momento... avete detto che la Regina è morta?».
   «L’ho disintegrata» assicurò Neelah, che aveva finito di tagliare la porta. Le assestò un calcio, facendola cadere nel corridoio. Scattò di lato, aspettandosi di trovare dei nemici armati... invece niente. Il corridoio era deserto. In sottofondo, però, si sentiva squillare un allarme. «Dove sono le guardie?» si chiese.
   «Forse i Tuteriani devono pensare ad altro» disse T’Vala, avvicinandosi. «Se i Parassiti sono morti, hanno una rivolta da domare. Qui, ma anche sulle astronavi».
   «Giusto!» esclamò Lantora, battendosi il pugno sul palmo. «Forse l’Enterprise sta cercando di liberarsi. Potrebbe esserci una battaglia in corso!».
   «Seguitemi» disse Chase, imboccando il corridoio. «Neelah, lei è l’unica rimasta cosciente per tutto il tempo. Saprebbe tornare all’hangar, attraverso questo labirinto?».
   «Certo, ho memorizzato tutto il tragitto. Ma non credo che faremo in tempo» avvertì la biologa. Gli consegnò il phaser, l’unico che avevano.
   «L’Auriga sarà certamente piantonato» osservò T’Vala. «Non riusciremo a impadronircene, in quattro e con una sola arma».
   «E poi sull’Auriga c’è Omega» ricordò Lantora. «Non ha senso correre da una bomba che esploderà fra...».
   «Dieci minuti» disse Neelah.
   «E allora dove andiamo?!» protestò lo Xindi. «Dobbiamo distruggere il Collettore, ma dobbiamo anche informare la Federazione!».
   «La Federazione sarà informata dall’Enterprise... se supera la battaglia» disse Chase. Stavano correndo trafelati, ma in realtà non sapevano dove andare.
   «Forse c’è un modo logico di salvare capra e cavoli» intervenne T’Vala. Si accostò a Neelah e l’afferrò per un braccio. «Ha detto di aver memorizzato proprio tutto il tragitto?» le chiese.
   «Sì, perché?».
   «So dove andare» sorrise T’Vala. 
 
   
 
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