Storie originali > Favola
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    08/01/2019    15 recensioni
Berlino, fine anni '20. Una bella ma (forse) ingenua ragazza, Cordula Kerschbaumer, arriva nella Capitale con l'intenzione di diventare una famosa artista di varietà. Una volta giunta in città, la fanciulla trova un impiego come ballerina al celebre night club Schatztruhe, anche detto Truhe (= scrigno). Peccato che una volta lì si scontri con Regine, una vecchia gloria del cabaret, ormai quasi in disarmo ma molto decisa a non lasciarsi mettere i piedi in testa dall'ultima arrivata.
Prima classificata al contest Villains against Heroes indetto da missredlights sul forum di EFP, a pari merito con "Ha i capelli d'oro degli Æsir", di Shilyss. Premio "Miglior Villain".
Genere: Commedia, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve gente,
ecco qui finalmente un altro capitolo della vicenda. Come sempre, ringrazio moltissimo tutti quelli che mi hanno seguito e commentato, ma un ringraziamento speciale va a tutti coloro, e sono tanti, che mi hanno testimoniato il loro affetto e la loro stima. Grazie davvero, ragazzi!!






Capitolo 4

Ferma lungo un binario della stazione di Bochum, stretta nel suo spolverino troppo leggero, Cordula si sentiva affamata e stanca. Le facevano male i piedi per colpa dei tacchi alti e il suo abito troppo vistoso, adatto tutt'al più a una serata elegante nella Capitale, attirava gli sguardi dei passanti.
Abbandonò la pensilina, andando alla ricerca della stazione degli autobus.
Anche se era estate, il cielo della Ruhr appariva cupo come in pieno inverno. Ovunque c'era odore di carbone, tutto era tetro e grigio. Non il grigio di Berlino, ovvero il colore della pietra di cui erano fatti palazzi e monumenti, ma un grigio scialbo, triste, come di un enorme pennello che fosse passato cancellando ogni altro colore.
Persino il suo sgargiante abito di seta verde in quella luce smorta sembrava perdere la sua brillantezza.
Finalmente individuò il parcheggio da cui partivano gli autobus. Attraversò mesta la strada e con gli ultimi soldi comprò un biglietto per Gladbeck, quindi prese posto su una corriera fredda, in cui anche i sedili di legno sembravano grigi.

La svegliò l'avviso del conducente: “Capolinea!”
Cordula sussultò e d'istinto si portò la mano alla gola, solo per constatare ancora una volta che il suo beneamato ciondolo non c'era più. Si alzò ancora indolenzita e percorrendo lo stretto corridoio del veicolo, di traverso perché coi suoi fianchi rotondi sbatteva contro i sedili, pensò che in effetti era come se in quella fatidica notte una parte di lei se ne fosse andata per sempre. Il cuoricino, emblematicamente, ucciso dalla cattiveria e dall'egoismo di certe persone senza scrupoli.
Si fermò presso l'autista e gli chiese se per caso conosceva la pensione di Gertrud Hofer.
L'uomo sollevò le sopracciglia con aria stupita.
Gertrud. Trude Hofer. Dovrebbe avere una pensione qui a Gladbeck,” disse Cordula, mentre si faceva strada in lei il terrore di rimanere lì da sola, senza soldi, senza casa e abbandonata da tutti.
Ah, Trude,” disse invece l'autista. Aggrottò le sopracciglia che prima aveva sollevato e in tono ammonitore disse: “Ma non è un posto adatto a lei, signorina.” Poi abbassò con fare significativo lo sguardo sul suo abito di seta verde e soggiunse: “Forse.”
Cordula avvampò: era appena stata scambiata per una puttana. Si strinse nello spolverino cercando di mostrare la minor porzione possibile del sottostante vestito, quindi replicò: “Posso sapere dov'è, per favore? La signora Hofer è mia zia e io sto andando a farle visita.”
Ma certo, come no,” ghignò l'uomo, “e io sono il Kaiser.”
Non mi interessa se lei è il Kaiser o il Presidente Hindenburg,” replicò Cordula offesa, “voglio solo sapere dov'è la pensione di mia zia.”
Ma certo, signorina, non si scaldi.” Le indicò una strada. “Prenda quella via, giri a destra alla terza ed è arrivata. Mi saluti la sua cara zietta.”
La ragazza gli girò le spalle con sussiego, scese dal mezzo cercando di ignorare il male ai piedi e si incamminò sperando che l'uomo le avesse dato le indicazioni giuste.
Il tempo non era migliorato rispetto a Bochum. Guardare il cielo era come fissare una parete dipinta di un grigio smorto. Non c'era nemmeno una nuvola a turbare quella piatta uniformità, non tirava un filo di vento. I caseggiati, di mattoni così scuri da sembrare neri, avevano l'aria tetra, sembravano disabitati da anni. Per strada non c'era anima viva.
Cordula tese l'orecchio: in lontananza udì lo sferragliare di un carretto, da una finestra socchiusa proveniva il canto di una voce femminile.
Ormai era quasi ora di pranzo e nell'aria, oltre all'odore di carbone, vi era quello di crauti e salsicce. Non che di solito ne andasse pazza, ma in quel frangente le parve il profumo più soave del mondo.
Deglutì un paio di volte mentre lo stomaco, desolatamente vuoto dai cioccolatini della sera prima, emetteva un brontolio.

La pensione apparve dietro una svolta: era un edificio a due piani che doveva risalire alla metà del secolo prima, originariamente bianco e color crema, ma ormai grigio al pari di tutto il resto. Solo una porzione quadrata di muro, dalla quale probabilmente era stato da poco rimosso un pannello, manteneva i colori originali.
Sulla porta pendeva un'insegna su cui si leggeva: Pensione Trude.
Cordula emise un sospiro di sollievo. Si sentì il cammelliere che dopo giorni di deserto vede l'oasi, o il naufrago che scorge una vela profilarsi all'orizzonte. Nonostante il sempre più acuto male ai piedi, si trovò ad allungare il passo.
Raggiunse la porta. Intorno all'edificio aleggiava un paradisiaco odore di cibo, sui davanzali del primo piano lenzuola e coperte stavano prendendo aria.
Suonò il campanello.
Arrivo!” disse una voce femminile.
La porta si aprì. Sulla soglia c'era una robusta matrona con uno chignon di capelli neri appena venato di grigio, un grembiule bianco legato in cintura e una sigaretta all'angolo della bocca. “Sì?” chiese rivolgendole uno sguardo vagamente sdegnoso.
Zia Trude?” tentò Cordula.
L'altra aggrottò le sopracciglia. “Cosa?”
Ehm... signora Gertrud Hofer?”
È il mio nome da ragazza, adesso mi chiamo Gertrud Staerkel. E tu chi saresti?”
Cordula. La figlia di Helga Kerschbaumer, nata Hofer.”
Sul volto della donna, fino a quel momento cupo e sospettoso, si allargò un sorriso. “Ma pensa un po', la piccola Cora! Sei davvero tu?” La afferrò per le spalle, la scosse facendole scrocchiare le ossa e poi se la strinse al prosperoso petto. “La piccola Cora, nientemeno!” ripeté.
Cordula si lasciò docilmente sbatacchiare, anche perché ormai non avrebbe più avuto la forza di opporsi a quelle rudi manifestazioni d'affetto. “Posso entrare, zia Trude?” si limitò a pigolare dopo un po'.
Ma certo che puoi! Vieni dentro, tesoro.” Si fece da parte per lasciarla passare.
Quando furono entrambe sedute a tavola, entrambe con un enorme piatto di salsicce e crauti davanti, zia Trude la rimirò con affetto e le chiese: “E quindi, cosa ti porta qui a Gladbeck, piccola Cora?”
Tra un boccone e l'altro, la ragazza riferì gli avvenimenti degli ultimi mesi.
Alla fine del racconto, Trude rimase in silenzio per quasi un minuto, infine disse: “Puoi stare qui finché vuoi, tesoro. Mi darai una mano con gli ospiti e io in cambio ti darò vitto e alloggio.” Fece una pausa, poi soggiunse: “E vestiti decenti.”
Sì, zia.”
Qui vivono solo uomini,” spiegò la donna, “non vorrei che si facessero strane idee.”
Cordula annuì. “Hai molti ospiti?” le chiese poi, già calcolando mentalmente quanto ci sarebbe stato da lavorare ogni giorno.
La pensione ha dodici posti, ma al momento ho solo i sette fratelli Zwerg. Dormono nelle camere al piano di sopra.”
Cordula si guardò intorno come aspettandosi che dessero qualche segno della loro presenza, ma la pensione era perfettamente silenziosa. “Dove sono?” domandò.
In miniera. Lavorano tutto il giorno.”
La ragazza si limitò ad annuire.
Tra un po' torneranno,” proseguì Trude. “Ci sarà da fare la cena e da mettere un mastello d'acqua sul fuoco.”
Perché l'acqua?”
La donna fece una risatina. “Vedrai.”

Quando Cordula, all'imbrunire, vide avvicinarsi un chiassoso gruppo di uomini neri, poco mancò che scappasse strillando.
Come sempre andò d'istinto alla ricerca del ciondolo, ma non trovò nulla. Rivolse allora un'occhiata interrogativa alla zia.
Hai messo l'acqua a scaldare?” si limitò a chiederle la donna.
Cordula annuì. Protetta dalla mole della parente, osservò le figure in avvicinamento. Avevano gli abiti, le mani, i capelli e la faccia completamente neri di carbone. L'unica cosa che si vedeva erano gli occhi, perlopiù chiari, che risaltavano particolarmente luminosi su quello sfondo scuro.
Cantavano tutti insieme, con voci più vigorose che intonate, una canzone sulla fine della giornata di lavoro.
Quando si accorsero di lei il canto si affievolì e cessò, poi tutti rimasero muti a fissarla. Alcuni fecero un tentativo di rassettarsi gli abiti, altri si limitarono a mugugnare imbarazzati. Solo uno, un pezzo d'uomo grande e grosso, si avvicinò, la fissò diffidente e chiese: “E questa chi sarebbe, signora Staerkel?”
La donna, che si era appena accesa una sigaretta, senza togliersela dall'angolo della bocca rispose: “Mia nipote Cordula. Starà qui per un po'.”
Non avrà la mania di ascoltare il grammofono fino a tardi, voglio sperare.”
No di certo, signor Zwerg. Mia nipote sa perfettamente come comportarsi.”
Vedremo.” Senza proferire altro, Zwerg girò le spalle e raggiunse i fratelli.
Non appena l'uomo si fu allontanato, Cordula si voltò verso la zia, che diede un tiro alla sigaretta ed esalando il fumo rispose: “Non farci caso, quello è Berthold Zwerg. Ha sempre da brontolare su tutto.”
Si udì in lontananza un poderoso starnuto.
E questo è Eberhard Zwerg. Se non si decide ad andare dal medico per quel raffreddore, non so come andrà a finire.”

§

Il signor König contemplò attraverso il finestrino la sala gremita di gente. Contrariamente al solito, la vista degli avventori non gli suscitò soddisfazione ma ansia. Si voltò verso Spiegel, che sedeva sull'angolo della scrivania sorseggiando un bicchiere di whiskey, e disse: “Ancora non si vede.”
Hai fatto telefonare a casa sua?”
Non risponde. È tutto il giorno che non risponde, nessuno sa niente di lei.”
Spiegel alzò un sopracciglio con l'aria di chi si intende di certe cose. “E Florian dov'è?” chiese.
König scosse la testa. “So cosa stai pensando, ma mio figlio è qui. L'ha cercata dappertutto, sta per andare alla polizia.”
L'altro alzò le spalle senza manifestare particolare impressione, quindi replicò: “Prima della polizia, conviene chiamare qualcuno che ti faccia il numero centrale. La gente là sotto vuole divertirsi. Fanno presto a spostarsi al Plaza o al Garten, se qui al Truhe non si divertono più.”
König si girò di nuovo verso il finestrino che dava sulla sala, fissandolo come se da esso una belva avesse potuto all'improvviso balzare nella stanza. “Quella dannata stupida,” ringhiò. “Finalmente troviamo un numero che piace, che chiama gente, e cosa succede? La stella sparisce. Da non crederci.”
Spiegel si limitò a bere un sorso di whiskey.
Dal finestrino provenivano i clamori di una folla in attesa.
Il signor König si versò a sua volta un bicchiere di whiskey, ne bevve una generosa sorsata e disse: “Ci sarebbe sempre Regine.”
Spiegel scosse la testa. “L'hai visto anche tu dal successo che ha avuto la ragazzetta: la gente vuole le forme. Gli uomini, soprattutto, e di solito sono loro che pagano.”
Regine ha cinque ottave.”
Ma è senza tette. Non ha nemmeno il buon gusto di mettersi un'imbottitura decente quando va in scena.”
Però canta.”
Spiegel scosse la testa con aria scettica, poi disse: Ma accetterà? Quella vecchia salacca è permalosa come una gatta, scommetto che sarebbe anche capace di rifiutarsi per il gusto di lasciarci nella merda.”
Un tentativo non costa niente,” sospirò König. “Abbiamo un quarto d'ora prima che lo spettacolo cominci, sarà meglio che ci muoviamo.”
Ma se basta fare una rampa di scale.”
Eh, ma la contrattazione non sarà così breve.”

Regine fu inaspettatamente accomodante. Li accolse seduta al tavolino da trucco del suo nuovo camerino, con un copricapo tempestato di gemme e un lungo abito di lamè. Ascoltò attentamente ciò che le riferirono i due uomini, come suo solito senza tradire alcuna emozione, infine con sussiego proferì: “Ecco cosa succede quando si dà troppa fiducia a chi non ha ancora la necessaria esperienza.”
Consapevole di ciò che Regine avrebbe preteso da lui, ovvero sopportare tutto ciò che avrebbe ritenuto di rinfacciargli, König con fare contrito rispose: “Hai proprio ragione, mia cara. Avremmo dovuto ascoltarti.”
Non fa nulla,” replicò lei magnanima, “non sono una persona che serba rancore.” Aprì un astuccio d'argento che si trovava sul tavolino, ne trasse una sigaretta, la infilò in un lungo bocchino tempestato di strass e poi si volse verso i due uomini, che immediatamente le tesero ciascuno un accendino.
Regine stirò le labbra in un sorrisetto compiaciuto, quindi aprì il cassetto e prese il proprio. Si accese la sigaretta e aspirò una lenta boccata di fumo. “Bisogna capire con chi si ha a che fare,” proseguì col tono di una banale conversazione. “Bisogna rendersi conto che poppe e natiche non bastano a trasformare una ragazzetta qualsiasi in una stella.”
Ce ne rendiamo conto,” sospirò König, cercando di non dare a vedere che era sui carboni ardenti. “L'aspetto non è tutto.”
La cantante, che si stava godendo compiaciuta le blandizie, scattò come punta da una vespa e gli rivolse uno sguardo di fuoco. “Non dirai ancora che è più bella di me, spero,” ringhiò minacciosa.
No no, certo che no,” si affrettò ad assicurarle König. Rivolse un'occhiata a Spiegel, ma questi mantenne un diplomatico silenzio.
Regine fece saettare lo sguardo dall'uno all'altro, infine si levò regalmente in piedi e proferì: “Forse potrei anche mettermi una mano sulla coscienza e aiutarvi, nonostante il modo in cui mi avete trattata.”
Cercando di farlo notare il meno possibile, König diede un'occhiata all'orologio. Regine ovviamente se ne accorse, e in tono sarcastico chiese: “Hai fretta, per caso? Non hai tempo di ascoltare quello che ho da dirti?”
No, Regine, scusami. Non volevo metterti fretta.”
Meglio così, perché io invece ho un sacco di tempo.” Fece una studiata pausa. “Ho avuto un sacco di tempo, mentre voi correvate dietro alle discutibili capacità di quella specie di sciacquetta. Avrei potuto trovarmi un altro posto quando volevo, ma in fondo vi voglio bene.” Altra pausa, accompagnata da un sospiro. “Eh sì, sono i sentimenti, alla fine, quelli che fregano. Credevo di odiarvi per quello che mi avete fatto, ma sapete una cosa? L'odio non è altro che amore non corrisposto.”

§

Cordula sistemò sette coperti sul lato lungo del tavolo. “Siete pronti?” gorgheggiò.
Dal piano superiore giunse una robusta voce maschile: “Arriviamo, signorina Kerschbaumer!”
Si udirono sulle scale di legno passi che facevano pensare alla migrazione dei bisonti, poi comparvero i sette fratelli Zwerg, lavati e sbarbati per la cena. Dal primo all’ultimo erano tutti pezzi d’uomini, alti e robusti.
Buona sera,” li salutò Cordula con un pentolone fumante in mano.
Il maggiore di essi, che era anche il più galante, le si avvicinò e le rivolse un breve inchino del busto. “Che profumo magnifico, signorina Kerschbaumer,” apprezzò.
La ragazza sorrise e rispose: “Grazie, questa è la zuppa di patate come si fa dalle mie parti.”
Ma no, signorina, io parlavo di lei!”
Mentre tutti ridevano della battuta, Cordula si schermì maliziosa, poi disse: “Vada a sedersi, signor Dieter.” Poi, dopo una pausa: “Mi scuserà per la confidenza, ma se la chiamassi signor Zwerg, tutti i suoi fratelli risponderebbero assieme a lei.”
Glielo consento solo se lei mi permette di chiamarla signorina Cordula, mia cara.”
Oh, ma via...”
Altre risate.
Si avvicinò zia Trude con un vassoio carico di boccali di birra. Il signor Zwerg si inchinò anche a lei e disse: “I miei rispetti, signora Staerkel.”
Ci fu qualche scambio di convenevoli, poi Cordula esclamò: “Forza, tutti a tavola, altrimenti si raffredda!”
I fratelli presero posto.
Canticchiando la sua canzone, ‘l’odio non è altro che amore non corrisposto’, la ragazza cominciò a versare generose mestolate di zuppa in ogni piatto.
Si rivolse al fratello più anziano: “Ecco qui, signor Dieter. Ora è convinto? È questo il buon profumo che sentiva.”
Non ne sono così certo, signorina Cordula.”
Passò al secondo. “Signor Berthold, è andata bene la giornata?”
Al solito, l’uomo la fissò torvo e rispose con un grugnito inintelligibile.
Il terzo era una specie di gigante dall’aria allegra. Cordula gli versò ben tre mestoli di zuppa, andando a pescare quella più densa sul fondo della pentola, quindi gli chiese: “Come sta, signor Gerhold?”
Molto bene, signorina, e quando la vedo sto ancora meglio!” Rise allegro.
Il successivo aveva il mento poggiato sul petto e respirava con la regolarità del sonno.
Peter!” esclamò Cordula facendolo sobbalzare. “Non si sarà addormentato di nuovo, spero.”
N-no, signorina,” si affrettò a negare il giovanotto. “Ero sveglissimo, mi creda.”
Ma certo, come no!” La ragazza fece una risatina, canticchiò ancora qualche parola della sua canzone, quindi gli disse: “Mangi, prima di addormentarsi di nuovo.”
Peter balbettò qualche scusa mentre i fratelli ridevano.
Passò al successivo. “E lei, signor Martin?”
Questi divenne rosso come un peperone e per un attimo parve sul punto di scomparire sotto il tavolo. Farfugliò qualcosa di inintelligibile.
Non sia timido, signor Martin,” lo esortò Cordula, servendogli una generosa porzione di zuppa. Stava per aggiungere altro quando un poderoso starnuto la fece quasi sussultare. Posò la pentola sul tavolo, si girò in quella direzione e si puntò le mani sui fianchi con aria severa. “Signor Eberhard,” disse seria, “non si è ancora deciso ad andare dal medico?”
Scusi, signorina,” disse questi contrito.
Domani la accompagnerò io stessa, per essere sicura che ci vada davvero.”
Allora ho il raffreddore anch’io!” saltò su Dieter. Fece finta di starnutire.
Anch’io!” esclamò Gerhard. Anche lui imitò uno starnuto.
In breve, tutti i fratelli stavano facendo a gara a chi starnutiva più forte e si disputavano il diritto di essere accompagnati dal dottore da Cordula.
L’unico che non si era unito alla gazzarra era il più giovane dei fratelli Zwerg, Claus, che per quanto fosse appena sedicenne superava già il metro e ottanta ed era robusto come un torello.
E tu non dici niente?” lo provocò affettuosamente Cordula.
Il ragazzo si limitò a scuotere la testa.
Ti va un po’ di zuppa?”
Claus accennò di sì.
Cordula lo servì con generosità, quindi gli chiese: “Un giorno me la dirai una parolina? Solo a me, in un orecchio?” Si piegò verso di lui come aspettandosi che il ragazzo stesse per fare quanto gli aveva chiesto, ma Dieter intervenne: “Lasci stare, signorina. Claus non parla quasi mai.”
E se lo fa, dice sciocchezze,” intervenne burbero Berthold.
Allora cantiamo tutti insieme!” propose Cordula, e prese a gorgheggiare le strofe della sua canzone.
In breve i fratelli Zwerg si unirono al coro, chi con la voce, chi battendo il bicchiere sul tavolo o le posate sul bordo del piatto. Dopo un’esitazione, zia Trude andò al pianoforte che si trovava contro la parete e diede il suo contributo alla generale allegria.

§

A Berlino, Florian si struggeva in preda ai più funesti pensieri. Cordula era sparita. La polizia brancolava nel buio, i genitori della ragazza, ai quali aveva telefonato sperando che fosse tornata a casa, non sapevano neppure che lei avesse lasciato la Capitale, se poi se n’era effettivamente andata.
Aveva cercato ovunque, nel suo appartamento e in tutti i luoghi che ella poteva conoscere, ma niente: era come se si fosse volatilizzata.
Andò dal padre, che come al solito sedeva nel suo ufficio.
Al suo arrivo, l’uomo alzò gli occhi dai registri che stava controllando e gli chiese: “Come mai da queste parti, figliolo?”
Hai notizie di Cordula?”
König scosse la testa. “L’hai visto anche tu: se n’è andata.”
Non è possibile,” replicò il ragazzo accorato, “mi avrebbe detto qualcosa.”
Il genitore si strinse nelle spalle. “Non necessariamente.”
Ma perché sparire così? Era la stella del Truhe, aveva davanti una carriera, aveva tutto.”
Forse voleva altro, forse era stanca di questa vita. Probabilmente non lo sapremo mai.”
E se è morta? Se è annegata nel Landwehrkanal? Se l’hanno uccisa?”
Il signor König emise un sospiro: ecco che stava per ricominciare la solfa. “Avrebbero trovato il corpo,” disse, nella speranza di frenare le lamentazioni del figlio.
E se...”
Basta, Florian!” esclamò l’uomo, “Ora ho da fare e questo discorso l’ho già sentito identico almeno dieci volte.” Spinse verso di lui una scatola di cartone. “Va' a portare questo a Regine, su.”
Cos'è?”
Roba dei suoi ammiratori. Biglietti di lesbiche miopi, perlopiù, e di travestiti in disarmo in cerca di solidarietà.”
Non ci sono i fattorini per certe cose?”
Così almeno la smetti di ciondolare intorno al telefono nella speranza che lei chiami.” Fece un gesto come per scacciare dei polli. “E ora va', forza. Qui ho da fare.”

Adagiata su un’ottomana coperta di broccato, Regine stese mollemente una mano e sollevò un calice di cristallo che si trovava su un tavolino lì a fianco.
Jäger si alzò dalla poltrona su cui sedeva, trasse dal secchiello del ghiaccio una bottiglia di Dom Perignon e le versò da bere.
E allora?” chiese Regine. Portò il calice alle labbra e sorbì un sorso.
Jäger versò da bere anche per sé, tornò a sedersi e disse: “Fatto.”
Ella strinse appena gli occhi mentre sul volto le compariva un sorrisetto di trionfo. “Racconta,” ordinò.
Non è che ci sia poi tanto da raccontare,” rispose l’uomo a disagio.
Regine sogghignò. “Stai scherzando? Non mi perderei per niente al mondo il racconto di come hai fatto fuori quella stronzetta.” Si passò la lingua sulle labbra come se fosse in attesa di gustare qualcosa di prelibato. Sorbì un altro sorso, poi chiese: “Ha implorato? Ha frignato? Scommetto che ha cercato di farti gli occhi dolci, senza immaginare quanto può importare a te dei suoi begli occhioni.”
Regine...”
Su, dimmelo.” Alterando la voce in un teatrale falsetto, pigolò: “Ti prego, non farmi del male, scapperò da Berlino, non mi vedrai mai più...” Ghignò di nuovo, poi, tornando al suo tono normale, proferì: “Tutte stronzate. Ora dimmi come l’hai fatta fuori.”
Jäger emise un sospiro. “Le ho tagliato la gola, va bene? Poi l’ho buttata nel Landwehrkanal.” Per prevenire ulteriori richieste di particolari, trasse di tasca il ciondolo a forma di cuore e lo posò sul tavolino.
Regine sollevò le sopracciglia, quindi abbandonò la coppa di champagne, ghermì la catenina e si fece ondeggiare il monile davanti agli occhi. “È lui, lo riconosco,” confermò.
Siamo pari, allora?” chiese Jäger.
La cantante stava per rispondere quando la cameriera le annunciò che c’era una visita per lei.

Ma tu guarda che cazzo di sfortuna, pensò Jäger contrariato. Si era già visto uscire dall’appartamento di Regine con la compromettente busta sottobraccio ed ecco che invece arrivava qualcuno a mandare tutto all’aria. Si versò un’altra coppa di champagne con l’intenzione di tracannarla.
Il gesto rimase a metà.
A seguito della cameriera, stava entrando nella stanza un ragazzo. Un gran bel ragazzo, per la precisione. Alto, snello, capelli corvini e occhi blu.
Di colpo, i documenti gli parvero decisamente poco importanti.
Rivolse un’occhiata interrogativa a Regine e notò che ella aveva fatto sparire il ciondolo infilandolo tra i cuscini.
Con gesto plastico, la cantante tese poi un braccio verso il nuovo arrivato e disse: “Ma caro Florian, che bella sorpresa. Cosa ti porta da queste parti?”
Mio padre le manda questa scatola, signora Regine. Sono lettere dei suoi ammiratori.”
Ah, molto bene,” approvò sussiegosa la cantante, “davvero gentile da parte sua.”
Jäger a quel punto tossicchiò, Regine parve rendersi conto solo in quel momento della sua presenza nella stanza. Disse a Florian: “Ti presento un mio valido collaboratore: il signor Erich Jäger.”
Poi si rivolse a Jäger: “Questo è il giovane signor König, il figlio del proprietario dello Schatztruhe.”
Cercando di ignorare come Regine lo aveva definito, egli si fece avanti tendendo la mano, il ragazzo la strinse. Si guardarono negli occhi.
Incantato,” disse Jäger. Accentuò impercettibilmente la presa.
Il giovanotto abbassò lo sguardo, l'altro notò che sulle sue guance era comparsa una fugace pennellata di rosso.

Di nuovo in strada, Florian realizzò che per qualche strano motivo quell’incontro l’aveva lasciato piuttosto turbato. Aveva a che fare da anni col mondo dello spettacolo e del vizio, quindi Jäger non era certo stato il primo a tentare un approccio, e non era nemmeno stato uno dei più raffinati, a dire la verità. Di solito la cosa non gli causava più di un momentaneo fastidio, poi serenamente se ne dimenticava.
Si accorse che contrariamente al solito, se ripensava a quello sguardo misterioso e cupo come acqua profonda, a quella stretta di mano solida, virile eppure delicata, si sentiva pervadere da una sottile emozione.
Scrollò la testa come per liberarsi di quelle strane idee e si sforzò di rivolgere nuovamente il pensiero a Cora.

§

Cordula abbandonò il grembiule sulla spalliera di una sedia ed emise un lungo sospiro. I fratelli Zwerg erano al lavoro, zia Trude era andata a fare la spesa per la cena. A parte lei, in casa non c’era nessuno.
Guardò fuori dalla finestra: la pensione era al limitare del centro abitato e dal suo punto d’osservazione la vista spaziava su una landa disseminata di radi alberi. In lontananza troneggiava la sinistra mole di una torre di estrazione. Il silenzio era tale che si sarebbe sentito cadere uno spillo.
Non poté fare a meno di pensare che a quell’ora a Berlino le strade erano piene di gente e si udivano rumori di ogni genere: motori, trombe di automobili, voci e spezzoni di musica provenienti dai locali.
Non aveva dimenticato quello che era successo nel parco lungo il Landwehrkanal, ovviamente, ma alle volte la nostalgia era tale che si chiedeva se davvero valesse la pena di vivere confinata in quel posto, o se invece fosse meglio rischiare di morire nella Capitale.
Non aveva ancora fatto progetti per il futuro, in fondo si trovava a Gladbeck da troppo poco tempo, ma dal primo momento che ci aveva messo piede, di una cosa era stata ben certa: da lì voleva andarsene. In fin dei conti, se era andata via dal suo paese, che di diverso rispetto a quel posto aveva praticamente solo le montagne, un motivo c'era.
Di nuovo emise un sospiro sconsolato e si trasferì in salotto. Berthold Zwerg aveva una vera avversione per il grammofono e le ore in cui era al lavoro erano anche le uniche in cui, se era abbastanza libera, poteva sedersi ad ascoltare un po’ di musica.
Entrando nella stanza notò subito una rivista abbandonata sul tavolino. Letteralmente vi si avventò sopra e cominciò a sfogliarla con avidità: davanti al suo sguardo carico di nostalgia presero a scorrere immagini di attrici bellissime, cantanti, feste da ballo e macchine costose.
Abbassò il periodico e lanciò uno sguardo al telefono.
Aggrottò le sopracciglia, scosse la testa e tornò a sfogliare la rivista.
Passò qualche minuto, poi lo sguardo volò di nuovo all’apparecchio telefonico.
No,” disse allora Cordula a mezza voce. “Non ti ricordi quello che è successo? Non devi.”
Cambiò poltrona, in modo che il telefono fosse più o meno alle sue spalle, poi tornò a immergersi nella lettura.
Dopo un po’ si trovò piegata all’indietro come una specie di contorsionista a scrutare il telefono.
Alzò gli occhi sull’orologio appeso alla parete: zia Trude non sarebbe tornata per un’altra mezz’ora. Ripensò allo Schatztruhe, all’ebbrezza del palcoscenico, alla vita nella Capitale. In fin dei conti, che male c’era a fare una breve chiamata? Non avrebbe detto dove si trovava, ovviamente, sarebbe stata assolutamente concisa, ma sentiva di avere bisogno di quella telefonata come chi sta soffocando ha bisogno di riempirsi d'aria i polmoni.

Dietro le quinte del Truhe, seduto su una vecchia cassa, Florian prestava un orecchio distratto alle prove di Regine. Non paga di aver ripreso il suo vecchio ruolo di stella, la cantante si era anche appropriata della canzone di Cordula, l'aveva trasformata in una specie di torbida ode al vizio, più bassa di due ottave, lenta e sensuale, e la cantava indossando un abito nero e lungo che le lasciava scoperta praticamente solo la faccia. In onore al suo nome d'arte, e probabilmente al fatto che ormai nessuno era più in grado di insidiare la sua posizione di primadonna, in scena portava una corona d'oro.
Uno squillo lontano attirò la sua attenzione. Tese l'orecchio: quasi del tutto coperto dalla musica, si udiva fioco il trillare ritmico di un telefono.
Florian scattò in piedi, si precipitò in corridoio e fece a tre a tre i gradini che lo separavano dallo studio del padre, in quel momento probabilmente impegnato a controllare che le casse di champagne scaricate finissero tutte in magazzino.
L'apparecchio stava ancora squillando. In preda a uno strano presentimento, il ragazzo sollevò la cornetta e disse: “Schatztruhe, qui parla König.”
Oh, Florian!” sospirò la voce dall'altro capo del filo. “Florian, come sono felice di sentirti!”
Al giovane quasi minacciarono di cedere le gambe per l'emozione. “Cordula!” esclamò. “Oh, Cordula, tesoro! Stai bene? Dove sei? Ti vengo subito a prendere!”
No no, aspetta, lasciami parlare, non ho molto tempo...”
Florian si trovò ad ansare come dopo una corsa, col cuore che gli batteva all'impazzata. “Non hai tempo? Sei forse prigioniera? Devo chiamare la polizia? Cordula, dimmi dove sei, sono stato terribilmente in pena per te.”
Sto bene, non preoccuparti.”
Ma dove sei?”
Non posso dirtelo.”
Il ragazzo fece tanto d'occhi. Deglutì a fatica con la bocca d'improvviso riarsa, quindi replicò: “Non puoi dirmelo? Ma cosa sta succedendo, sei forse in pericolo?”
No, non preoccuparti, volevo solo sentirti.”
Ma tu stai bene?”
Sì, ti ho detto di sì.”
Tornerai da me?”
Alla domanda seguì qualche secondo di meditativa pausa, poi Cordula disse: “Beh... si potrebbe organizzare.”

Florian entrò nel magazzino come un treno, individuò il signor König e lo raggiunse scavalcando casse e cartoni. “Papà, dobbiamo parlare!” esordì con foga.
L'uomo, che stava controllando le bolle di consegna, lo fissò stupito e chiese: “Di cosa dobbiamo parlare?”
Il giovanotto si guardò intorno con aria da cospiratore. “Non qui.”
Eh? Non qui? Ma cosa ti salta in mente? Non avrai messo nei guai qualche ragazza, spero.” König lanciò un'occhiata preoccupata alle casse di champagne, che stavano transitando verso il loro scaffale senza la sua supervisione.
Il figlio lo tirò per la manica. “Devo parlarti in privato.”
Sbuffando infastidito, l'uomo si rassegnò a seguirlo. Raggiunsero una zona del magazzino piuttosto appartata e a quel punto Florian disse: “Papà, Cordula ha telefonato.”
Alla buon'ora!” replicò il signor König. “Dov'è, in villeggiatura a Baden-Baden?”
Ha detto che vuole tornare, papà,” gli assicurò il ragazzo eludendo abilmente la domanda. “Ha detto che non vede l'ora di riprendere a lavorare qui da noi.”
E allora perché se n'era andata?”
Florian si guardò intorno con fare circospetto, quindi abbassando la voce disse: “Problemi con Regine.”
König alzò gli occhi al cielo. “Lo immaginavo.”
Ma vuole tornare, ci tiene molto. Solo che Regine...”
L'uomo fece un rapido calcolo: la ragazzetta era piaciuta, lo dicevano chiaramente i libri mastri su cui annotava tutti i guadagni. “Fammi parlare con Spiegel,” disse semplicemente.



   
 
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned