À Demian
Capitolo sedicesimo
Tre mesi
Arianna
aveva sempre avuto un debole per le cose
rovinate, una sorta di languore per ciò che era squallido,
triste, abbandonato.
Fin da bambina, era in persone o in luoghi simili che aveva ritrovato i
segreti
più delicati ed aveva imparato che la decadenza era solo un
archetipo di
bellezza, una sensazione di struggente tenerezza, come osservare la
desolazione
di un fiore appassito.
Quei
segreti poi li custodiva con cura, ci si
crogiolava dentro come in una coperta d’inverno,
perché davano una magia
diversa a ciò che guardava.
Per
questo amava i segreti e odiava svelarli. Condividere
qualcosa in qualche modo la semplificava, mostrava una
realtà senza ombre,
senza sfumature, che erano poi ciò che amava davvero.
Senza
sfumature
il mondo è piatto, bidimensionale, quadrato. Privo di vita
Per
una volta, però, il suo lato più egoista si era
fatto da parte e Arianna aveva provato l’impulso di
condividere uno di quei
segreti con Demian, uno di quelli più piccoli certo, ma per
la sua natura era
già un grande passo avanti. Il pensiero di averlo
lì, invece di impoverirla di
una sua personale verità, la faceva sentire stranamente
piena, soddisfatta, quasi
tronfia, e questo la straniva, andava completamente contro la sua
filosofia di
vita.
Fece
leva sulle braccia e si arrampicò sul
parapetto di cemento diroccato sul quale si sedette. Gettò
le gambe magre nel
vuoto e, così sospesa, per un attimo trattenne il respiro a
causa di una leggera
ed eccitante vertigine, l’impressione di una caduta.
Quell’abitudine era come
una sfida, guardare il terreno metri lontano da lei e sentirsi potente:
per
quella manciata di minuti stringeva le redini della propria vita e
della
propria morte, era superiore, era perfino più di una
divinità, era lei a
scegliere.
Le
piaceva, poter scegliere sempre, consapevolmente,
la vita.
Demian
esitò, piuttosto confuso dalla situazione,
prima di decidersi a raggiungerla e accomodarsi accanto a lei. Arianna
provava
per lui la pazienza che può rivolgersi solo ad un bambino
titubante, e di un
bambino era stata l’espressione che aveva calcato il suo viso
ancora androgino
quando lo aveva condotto in una stradina secondaria dietro la stazione
dei
treni, vicino al deposito dei pullman. Si trovavano al secondo piano di
una
palazzina disabitata e ormai quasi completamente sfatta, nella
periferia. Una zona
piuttosto malfamata, a conti fatti. Lì era piuttosto facile
imbattersi in
persone con cattive intenzioni, quell’edificio nello
specifico doveva essere abbattuto
da anni, era sede fissa di barboni e spesso, fino a qualche tempo
prima, anche
di drogati. Venuti a mancare i secondi, Arianna aveva preso
l’abitudine di
portare da mangiare ai senzatetto, talvolta aveva portato loro anche
coperte e
vecchi vestiti, per cui era diventata un po’ la loro protetta
e non aveva più
avuto motivo di avere paura. Quelle persone la adoravano e lei,
paradossalmente,
ci si era affezionata. Tra i detriti, la polvere rossa dei mattoni e
l’intonaco
scrostato, la sensazione di sporco e bruttura creava del disagio, ma
non era per
la bellezza dell’edificio che si addentrava lì
dentro. L’unica cosa che valesse
la pena di tollerare quell’ambiente era il paesaggio. La
vista di cui si godeva
dalla balconata, proprio in quel punto al quarto piano, era il vero
segreto di
quel vecchio complesso di appartamenti mai compiuti, il mistero di quel
lato di
mondo all’apparenza squallido che la gente evitava come la
peste.
«È
la stazione dei treni?» lo sentì pronunciare
alla fine, quasi con meraviglia.
Arianna
annuì di sfuggita e allo stesso modo le
sfuggì un sorriso, distrattamente. Era la stazione, ma da
una prospettiva
completamente differente che di solito non era concessa ai pendolari:
da quel
balcone poteva vedere i treni ricoperti di scritte scorrere come
modellini giocattolo
sulle rotaie, poteva osservare l’erba crescere tra la
pietraia e le
assi di legno che si perdevano all’orizzonte disegnando
sentieri e infiniti
crocevia. Gli alberi e l’erba alta, incolta, circondavano le
strutture di
cemento rovinate dai vandali e Arianna poteva contare le persone in
attesa al
proprio binario di poter raggiungere chissà quale meta, con
l’aria stanca della
prima mattina e gli abiti colorati. Non si vedeva la fontana dimessa,
le panche
marce e le porte sfondate dai vandali e rivestite con assi di legno.
Non fosse
stato per la modernità dei mezzi di trasporto, sarebbe
potuta apparire come una
di quelle vecchie stazioni dei romanzi pirandelliani che aveva letto a
scuola, un
luogo fuori dal tempo, sospeso, che manteneva un odore farraginoso che
quasi si
attaccava al palato.
Ecco,
sembra proprio una di quelle vecchie stazioni da romanzi dimenticati,
con questa
vaga nebbiolina appena distesa sull’erba ingiallita che
diventa opalescente quando
viene accarezzata dalla luce e pare fumo. Niente è
confortante come questa sensazione
di non-luogo.
Eppure,
la curiosità di Demian, quel silenzio
contemplativo carico di stupore, la spinse a vedere solo lui e
nient’altro, la
visione onirica di un luogo che aveva sempre amato scivolava lontano
dalle sue
priorità. Demian riempiva il suo campo visivo.
Quando
è
iniziato tutto questo?
Come
ho
fatto a non rendermene conto?
Anche
se provava a ragionarci sopra, non riusciva a
rievocare un luogo o uno sguardo che avessero cambiato tutto.
Semplicemente,
forse era partito tutto già prima, era rimasta intrappolata,
prima che da lui,
dalle parole di Jenevieve, e ci si era trovata in mezzo e basta, a
quella
situazione, senza nemmeno accorgersi che nella sua testa quello era
l’inizio di
qualcosa, che in lei c’era il principio di una
novità.
«Quindi
tu ti siedi qui e guardi i treni?» le
domandò ancora, dopo un ponderato silenzio.
Stranamente
più loquace del solito
Una
cosa che aveva imparato di Demian e su cui era
certa di non aver sbagliato, era che non amava porre troppe domande,
era un
ragazzo discreto che tratteneva per sé la propria
curiosità e si limitava ad
accogliere ciò che lei si lasciava sfuggire.
L’ideale
per me, visto che non mi piace dare troppe risposte
In
questo caso però, forse a causa dell’atmosfera,
condividere un pezzetto delle proprie verità non sembrava
un’idea così malvagia.
«Sì.
Qualche volta durante la settimana»
«Trainspotting»
borbottò lui a voce bassa,
dedicandole il suo odioso sorriso ironico, intriso di scherno divertito.
Lo
studiò in tralice, riducendo gli occhi a due
fessure di finta minaccia «Che vorrebbe dire? che poi te
l’ho già detto che
odio l’inglese!» Demian sollevò subito i
palmi delle mani in alto, in segno di
resa «Non mi incenerire! È un termine che si
riferisce alle strane,
nullafacenti persone che passano tempo a contare i treni» le
spiegò, poi si
passò le dita tra i capelli, scompigliando ulteriormente una
situazione già di
per sé arruffata e sul bilico del disastro.
Si
sentì stranamente offesa «È questo che
pensi? Che
perda il mio tempo?»
Non
era questo che voleva, il pensiero che non
potesse capire cosa significasse per lei, che svilisse qualcosa che per
lei
aveva un grande valore e trasformasse il tutto in un passatempo
inutile, la
faceva quasi pentire di averlo portato lì. A volte, Arianna
stessa arrivava a
convincersi che sedersi sul quel balcone a sbirciare le esistenze
altrui la
rendesse solo una spettatrice della vita che trascorreva il tempo
guardandola scorrere,
e inorridiva ed era terrorizzata dalla propria passività,
perciò non era facile
sopportare che qualcuno la toccasse così indelicatamente in
una parte tanto
molle e vulnerabile del suo essere.
«Non
proprio. Mi ricordi L’uomo dal
fiore in bocca però, è una storia un
po’ triste…»
mormorò ed Arianna si accorse che non la guardava, ma
torceva le mani nelle
mani «… se desideri salirci non dovresti
semplicemente prendere un treno?»
Rimase
spiazzata e non riuscì a trovare una
risposta immediata. Allora si chinò un poco in avanti,
più vicina a quel mondo
distante da dipinto, più vicina a quella linea sottile di
vertigine tra il
parapetto e il vuoto. Si rosicchiò il labbro,
cercò di ricordare se conoscesse
quel racconto ma non lo aveva mai letto, perciò gli chiese
incerta «Tu lo hai
mai fatto? Sei mai salito su un treno per il semplice gusto di
prenderlo, senza
sapere il dove, il come e il quando?»
È
impulsivo
e imprevedibile, sarebbe da lui
Eppure,
Demian la sorprese con un sussulto e un “No”
mormorato che le diede sicurezza, non la fece sentire in difetto.
«Io
sto aspettando il momento giusto» confessò di
sfuggita, spontaneamente, quasi senza volerlo. Rimase sorpresa da se
stessa e
gli sorrise, perché era piacevole poter lasciare andare
certi pensieri senza timore,
ed era stranamente facile se era lui ad ascoltarla. Le parve di vederlo
arrossire,
ma Demian distolse in fretta lo sguardo e abbassò il mento
in una sorta di
broncio.
«E
quale sarebbe?»
Già,
quale
sarebbe?
«In
realtà ancora non lo so. Ma ho tanto tempo per
scoprirlo, la vita è lunga. E se ci penso, mi sento felice,
mi sembra che quel momento
potrebbe essere dietro l’angolo» sollevò
le spalle d’istinto, anche se Demian
non la stava guardando «Non importa se poi in
realtà sarà tra dieci anni o
dieci minuti, la sola idea di una libertà così
grande mi basta, mi
tranquillizza»
Sarebbe
più
semplice, se ogni attimo della mia vita fosse eterno, destinato a non
consumarsi mai. Sarebbe più semplice, se non sapessi che per
tutta questa
bellezza c’è una scadenza.
Bisognerebbe
ignorare la morte, bisognerebbe morire senza sapere che può
succedere, che un
giorno “X” tutto finisce. Vivere come in uno stato
edenico senza timore di
nulla, ecco come si dovrebbe vivere.
Come
nell’unico libro di poesie che avesse mai
letto, quello che suo fratello le aveva regalato per i disegni. Le
piaceva la
realtà che Blake raccontava nelle Canzoni
d’Innocenza, le piaceva quello stato edenico
incorrotto.
«Sei
così candida»
Sussultò,
colta in fallo. Demian lo aveva sospirato
quasi con esasperazione, e forse esasperato lo era davvero, ma poi la
guardava
e accennava un sorriso dolciastro che le toglieva le parole.
Per
niente.
Vorrei esserlo, era più semplice quando non sapevo cosa
provavo, quando certe emozioni
un nome non l’avevano, forse perché nemmeno le
sentivo. A riguardare il passato
con lo spettro del presente, tutto si sporca, non posso essere candida.
Tese
l’indice all’orizzonte, sentendosi un po’
infantile e goffa «Guardale, Demi. Quelle persone. Sono ferme
al loro binario,
conoscono già la loro meta, sono incanalate. Vedono solo
dove devono andare»
abbassò il braccio e abbozzò un sorriso incerto
«Ma io da qui posso vedere
tutto, non solo il mio treno. Posso osservarli uno per uno, senza
obblighi…
insomma, io posso ancora scegliere. È vero, non ho una meta
così, ma posso decidere
che corsa prendere, il mio è un biglietto bianco. Non
potrò scegliere la
fermata, ma almeno la direzione è ancora nelle mie
mani» inclinò la testa, Demian
si era voltato verso di lei, la ascoltava a labbra schiuse. Erano
grandi e
carnose, sarebbero potute apparire femminili, eppure su di lui avevano
solo un
tocco sensuale e, così separate, innocente.
Con
tutte
le esperienze che lo hanno sporcato, come può sembrare tanto
intonso?
«È
questo che mi fa felice, per questo amo stare
qui. Mi sento di essere libera di avere tutte le possibilità
del mondo, senza
limiti. Posso sognare qualunque cosa, essere qualunque cosa, anche solo
per un
attimo. È un attimo che vale tutta la vita. Vivo mille vite,
vedo mille vite, e
intanto aspetto di poter scegliere la mia»
Demian
si morse l’interno della guancia «Ci credi
se ti dico che in quella stazione ci ho passato più tempo di
qualunque altra
persona su quei binari?»
Arianna
aggrottò le sopracciglia «E
perché?» a
confonderla era soprattutto l’espressione del ragazzo, che
svelava tutta l’amarezza,
la vergogna.
«Non
è importante» liquidò la questione con
un tono
di voce che in realtà sottintendeva il contrario
«Comunque a tutte queste cose
non avevo mai veramente pensato. Il futuro che sia bianco o scritto non
conta
molto… onestamente non sono nemmeno sicuro di arrivarci, ad
avere un futuro. Deve
essere per questo che ci penso poco» turbata, Arianna
seguì la sua mano bianca
dalle dita lunghe che si scompigliava i capelli, scivolava sulla nuca
fragile e
si agganciava al collo, sopra il cappuccio della felpa, a mostrare la
sua
reticenza già solo con la gestualità
«Tu però dovresti provare invece che immaginare
e basta… dovresti provare a vivere di più quello
che sogni, aspettare di meno»
Tu
ti
bruci con la vita, non sai cosa vuol dire averne un terrore assoluto.
Paura di
desiderare di più e di sentirsi dire “Ne hai avuto
già a sufficienza, è il tuo
limite, non potrai averne più di così”.
Non sai cosa significa aggrapparsi all’immaginazione
per compensare una realtà svilente che ti toglie invece che
darti.
«Da
sola ho un po’ paura» mormorò, mentendo
spudoratamente, perché stava raccontando una
verità a metà. L’orizzonte parlava
di vite e promesse che Arianna sapeva non sarebbero state mantenute ma
a cui
lei voleva continuare a credere. Perché finché
non si realizzavano nel presente
non significava assolutamente che non si sarebbero avverate dopo, e se
avesse smesso
di crederci ne sarebbe uscita distrutta.
Ed
io non
posso permettermelo, non posso farmi distruggere, neanche dalla paura.
Anche quella
serve, devo sperimentare tutto ma non devo fermarmi su nulla, o rischio
di
perdere troppo tempo
«Se
aspetti troppo però, non rischi di perdere
l’occasione?»
Credi
che
non lo sappia?
Aspettare
il momento giusto, per qualcuno come me, può significare
anche il non vederlo mai.
Ma non siamo tutti come te, non tutti ci lanciamo senza minimamente
considerare
le conseguenze… io non ho niente da perdere, ma chi mi ama?
Gli
sorrise dolcemente «Demi, c’è un posto
dove
vorresti andare? Che ti piacerebbe rivedere? Un posto dove sei stato
veramente
felice»
Si
spostò nervosamente una ciocca di capelli, la
solita che sfuggiva alla coda e le ricadeva sulla guancia. La
rimboccò dietro l’orecchio
e si morse le labbra, per non mostrargli l’imbarazzo, la
vigliaccheria che ogni
volta la spingeva a ritrarsi, a cambiare argomento per tornare su
terreni più
solidi e a lei congeniali, dove muoversi fosse meno pesante. Insieme al
sole si
alzava un leggero alito di vento freddo. I setosi capelli di Demian,
del tutto
afflosciati sulla sua fronte, si sollevarono appena, rivelando la sua
aria
corrucciata e pensierosa, gli occhi concentrati ombreggiati dalle
ciglia. Quando
Demi era nervoso si mordeva l’interno della guancia con
insistenza, se n’era
accorta la sera in cui aveva dormito da lui, e tra tutti i granchi che
si era
presa quel gesto restava l’unica, assoluta certezza. Era
confortante, conoscere
almeno una sua abitudine, perché se si era convinta di non
conoscerlo affatto,
quando poi sbatteva contro questi piccoli dettagli capiva che non era
così,
aveva conosciuto un lato di quel ragazzo che i più
ignoravano ma che era sempre
più sicura non fosse una finzione. Era forse la parte
più onesta, molle e
delicata di lui.
Lo
ascoltò sospirare, puntare le pupille piccole
come capocchie di spilli lontano, assenti.
«I
miei nonni sono originari di un piccolo paesino
del nord della Francia. Un posto così minuscolo che non lo
conosce nessuno,
sulle coste dell’Atlantico. D’inverno lì
fa veramente freddo, è tutto grigio,
il cielo sembra sempre nebbioso e pesante, allora
c’è un silenzio assoluto,
irreale» il sorriso nostalgico che gli accarezzava le belle
labbra trasmetteva
più tristezza che felicità, ma Arianna lo sapeva
che i ricordi felici finivano
con il ferire più di quelli brutti. Erano momenti perduti,
irrecuperabili, e la
nostalgia era una malattia terribile che corrodeva. «Quando
maman stava ancora
bene, era là che trascorrevo tutte le vacanze,
d’estate e d’inverno. Ed il
Natale, ovviamente. Un anno ha nevicato fortissimo, la neve era alta
quanto Sarah
ed era difficilissimo camminare per le strade. Era così
tanta che aveva ricoperto
la spiaggia, è stata l’unica volta nella vita in
cui ho visto il mare lambire
la neve, a volte quando ci penso mi chiedo se sia successo davvero.
Sembra quasi
più un sogno. Il cielo era grigio e fitto, non riuscivo a
vedere le luci della
baia di Douarnenez, e il mare era di un viola strano, bagnato di
schiuma perché
il vento lo faceva innervosire. Sembrava che ruggisse, ed era
l’unico rumore. Poi,
a volte, stridevano i gabbiani» si rosicchiò
ancora la guancia, si passò le
dita tra i capelli, tutti i suoi tic tradivano la vergogna,
però le parlava e
le si rivolse direttamente ad un tratto, tornando finalmente a quel
parapetto e
non alle fiabe delle sue memorie «È strana la
memoria, vero? Passa il tempo e
certi dettagli si fanno più nitidi invece di sparire.
Ricordo che mi sembrava
ruggisse, che potesse inghiottirmi. Una volta avevo rischiato, mentre
ero sugli
scogli, di essere travolto dalle onde. Ne ero spaventato. Poi
però maman ci ha
condotto attraverso il sentiero sulla scogliera giù nella
spiaggia, una
striscia di sabbia innevata tagliata come un’unghia, dove
giocavo a raccogliere
le pietre colorate e a inseguire i molluschi e gli uccelli. Non
c’era nessuno,
era tutto vuoto, e lei mi teneva per mano, teneva me e Sarah.
L’abbiamo
percorsa tutta, senza dire una parola. Faceva freddissimo, me lo
ricordo bene,
ma non avevo paura, era tutto immenso e silenzioso e gelido, ma non mi
sentivo vuoto.
Non so se puoi
capire»
Infilò
malamente i pugni stretti, strettissimi,
nelle tasche, per nasconderle il disagio «Penso che quella
fosse felicità. Se dovessi
scegliere dove tornare, vorrei che fosse lì. Ma senza di
loro forse avrei
ancora paura»
Quindi
anche
tu hai paura della vita. Ti getti di testa perché se no lo
sai, che ti faresti
mangiare vivo da qualunque cosa. Non sono sola, siamo in due, ma siamo
davvero
due sciocchi
«Prendiamolo»
disse senza nemmeno rifletterci.
Demian si girò di nuovo a guardarla ad occhi sgranati
«Cosa?»
«Un
treno, ovvio!»
Demian
aprì la bocca, la richiuse, si corrucciò cercando
una domanda da porle che avesse un senso ed infinse
sussurrò, desolato «Per
andare dove?»
Arianna
si ritrovò a sbuffare, un poco annoiata da
quella reticenza.
Ti
lanci
nei rischi con strafottenza, e poi sembra che io ti abbia fatto
chissà quale
allucinante proposta. Sei assurdo, Demian Lemaire!
«Che
importa!» sbottò con
decisione «Prendiamolo e basta! Uno a caso, e vediamo dove ci
porta. Non me lo
hai appena detto tu, che bisogna provare e non solo
immaginare?»
Demian
si accigliò ulteriormente, il volto una
maschera di segni di turbamento «Aspetta un attimo! Io
pensavo… non era tutto
in senso figurato?»
Arianna
non riuscì a trattenere la risata «Certo
che no!»
Alla
perplessità si stava aggiungendo una forma di
paura «Non era una metafora?»
Arianna
si ritrovò a scuotere platealmente la testa
portandosi una mano alla fronte «Ma quale metafora e
metafora! Demi, io parlo
sul serio. Il figurato per me non esiste. Sono una persona pratica,
io!»
Convincere
Demian non era stato difficile.
Convincere
Demi a fare qualcosa non era mai
difficile.
Non
perché fosse un debole, ma per una terribile
forma di disamore: non gli importava nulla di se stesso e per questo si
lasciava trasportare alla deriva da ogni cosa senza opporre la minima
resistenza e senza curarsi di quanto i risultati potessero fargli male.
Era
completamente libero, anche troppo.
Così
libero da metterle tristezza.
Al
di là dei problemi, senza la sua famiglia
Arianna si sarebbe sentita sola da morire. Demian aveva
l’aria di uno che dalla
solitudine era stato schiacciato, che con quella ci aveva convissuto
tanto a
lungo da non riuscire più a ricordare cosa significasse
avere una presenza
accanto.
Forse
perché
non basta essere amati. Lui è stato amato molto, ma
l’amore bisogna sentirlo,
bisogna portarselo addosso, essere amati non significa sentirsi amati.
A volte
non è sufficiente sapere.
Sospirò
rassegnata e un piccolo alone di condensa
andò a disegnarsi sul vetro del finestrino. Il rumore del
treno in partenza era
un ronzio di fondo unito a leggeri sussulti, le rotaie iniziavano a
scorrere
lentamente sotto i suoi occhi attenti, i palazzi si susseguirono uno
dietro l’altro
come diapositive, si rincorrevano e davano vita ad uno spettacolo
luminoso di
comete di luce. Il sole era ancora basso, ma la linea della notte si
era quasi
del tutto ritratta, assottigliata con una calma esasperante.
Così, Arianna si sentiva
in uno stato di sospensione temporale, dove a sostituire le stelle ci
pensavano
gli infiniti lampioni ancora accesi.
A
rendere tutto ancora più astratto dal reale c’era
Demian, seduto accanto a lei in silenzio, sprofondato nella sua felpa
con i
capelli scarmigliati sulla fronte e lo sguardo basso, assorto e
malinconico. I suoi
occhi erano bellissimi, Arianna lo
aveva pensato in continuazione quel giorno, probabilmente
perché li aveva
osservati per la prima volta. Aveva osservato il taglio obliquo, la
linea
allungata della palpebra e quell’indefinito colore dovuto
alle lenti. Non aveva
mai visto il vero colore delle sue iridi, Demian non glielo aveva
ancora
permesso, ma dovevano essere chiare, delicatissime.
Potrai
sembrare
anche freddo agli occhi di chiunque altro, ma a me sembrerai sempre e
solo
troppo fragile, così tanto che la bellezza dentro te mi
sfugge e la tua vulnerabilità
mi agita.
Toccarti
è
così difficile… ho paura di frantumarti, Demi, ho
il terrore di farti male.
Demian
abbassò le palpebre lentamente, inconsciamente,
e scivolò nel sedile, ripiegandosi su se stesso.
Inclinò la testa e si appoggiò
alla sua spalla, trattenendo uno sbadiglio. Per un attimo, Arianna ebbe
paura a
muoversi, come se un uccellino le fosse volato casualmente tra le mani,
temeva
che un respiro più pesante degli altri lo avrebbe fatto
scappare. Demian però
non doveva aver dormito granché, perché si
acquietò subito e l’aria che usciva
dalle labbra carnose si fece più regolare e pesante.
Quell’espressione infantile
le strappò un sorriso.
Ecco,
ora
invece sembri un bambino. Come faccio io a cucire un’immagine
sensata di te, Demian?
Come faccio a capire chi sei, se sei sia una vittima che un carnefice?
Lo
ascoltò mugolare e si sentì libera di studiare il
suo volto pallido ricoperto di abrasioni. Aveva un sopracciglio
spaccato ed anche
il labbro inferiore riportava un brutto taglio, risultato probabilmente
di un
pugno. Un altro segno più leggero sulla guancia
già violacea e un livido vicino
all’occhio. La felpa nascondeva altre ferite, ne era certa,
aveva visto prima
il lungo taglio che gli segnava l’avambraccio.
Gli
accarezzò il profilo con la punta delle dita,
quel viso tanto bello quanto maltrattato, sciupato, marcato da occhiaie
profonde.
Non
è di
certo il principe azzurro. Non che abbia mai voluto un uomo in
calzamaglia celeste
pronto a salvarmi, in effetti
Di
cavalieri non ne aveva desiderati nemmeno nel
momento più brutto, e di uomini pronti a proteggerla ne
aveva a sufficienza, i
suoi fratelli erano uno scudo già abbastanza soffocante.
Forse
ragiono
come un uomo
Pensava
alla sua aria smarrita, guardava l’espressione
serena che mostrava nel sonno, rilassato come un bambino sfinito dopo
una
giornata di giochi, e provava una tenerezza nuova, un desiderio di
preservare
quel frammento di dolcezza. Affondò la guancia tra i suoi
capelli setosi e così
si addormentò a sua volta, tenendolo stretto in un abbraccio.
Avevano
dormito ininterrottamente per quasi tre ore
e si erano svegliati soltanto perché a Mestre il treno era
stato abbandonato da
una massa di persone piuttosto chiassose. Con qualche
difficoltà e circa un’altra
ora di pullman, Arianna ora camminava nella sabbia, tentando di tenere
il passo
di Demian.
sembrava
essersi scordato completamente di lei e procedeva
assorto sulla battigia.
Arianna
non era mai stata a Jesolo e lui nemmeno,
però quando erano scesi alla stazione, quello zuccone non le
aveva neanche dato
il tempo di guardarsi attorno, aveva chiesto indicazioni per la
spiaggia più
vicina e l’aveva trascinata con sé. Le sembravano
trascorsi secoli dall’ultima volta
che si era trovata in un paese di mare: così in autunno
inoltrato il centro abitato
cambiava volto, era spopolato. Non c’erano bancarelle estive,
negozi aperti che
vendessero cianfrusaglie ai turisti, non c’erano ombrelloni
né le sdraio.
C’erano
solo i grandi hotel che sovrastavano le
piccole casette modeste ed il brutto tempo, con un sole oscurato da
coltri di
nuvole grigie, una ragnatela di fumo che presagiva pioggia. Si era
alzato anche
il vento, odorava di sale e sabbia ed era terribilmente freddo, Arianna
si
ritrovò a tremare, appiccicosa di salsedine e impreparata ad
un clima tanto ostile.
Le battevano i denti mentre arrancava nella sabbia compatta per
l’umidità, nel
tentativo patetico di inseguire quello stupido testardo completamente
concentrato
su se stesso.
Arianna
aveva scelto quella destinazione senza rifletterci
troppo, era il mare più vicino ed anche se non era quello
della sua infanzia, intenso
come le notti senza stelle, era pur sempre mare.
Forse,
anche
solo per una breve illusione, potrebbe sentirsi meglio. O almeno, ci
speravo,
ma non credo stia funzionando
Demian
sembrava solo più turbato dal vuoto che li
circondava. Le sferzate gelide agitavano le onde, le stavano
scarmigliando i
capelli e il sale appiccicato alla pelle la rendeva secca, la sentiva
tirare ad
ogni espressione del viso.
Sembra
grigio
come polvere da sparo
Era
una giornata troppo brutta perché qualcuno
osasse accostarsi ad un luogo tanto desolato. C’erano solo
loro due su quella
distesa infinita di finto oro, che in quel momento aveva assunto la
sfumatura
del marrone scuro tanto era compatta. Gli stabilimenti balneari erano
stati
quasi del tutto smantellati ed Arianna pensò che forse non
era stata una buona
idea, che tutto era più malinconico e deprimente del dovuto.
Si
chinò e si sfilò le scarpe e i calzini, in barba
a quel freddo gelido, per non incespicare nella sabbia.
Freddo
per
freddo, tanto vale godermelo
Così
libera, aumentò il passo e riuscì a raggiungerlo,
quasi ad affiancarlo. Si fermò volontariamente un passo
dietro di lui e continuò
a osservarlo, in silenzio. Come se l’avesse percepita, o
più probabilmente perché
si era reso conto di averla lasciata indietro, Demian interruppe quella
sua marcia
serrata lungo la costa.
Si
voltò verso la distesa d’acqua grigio piombo e
così rimase ancora, assorto. Il vento gli sferzava il viso,
Arianna poteva
immaginare quanto quel sale bruciasse, sulle ferite aperte, ma lui non
accennava ad accorgersene. Quasi per abitudine, con
l’espressione vacua di chi
si muove per riflesso, si sollevò il cappuccio nero della
felpa e ci sprofondò
dentro, a nascondere un momento di profonda fragilità.
Arianna non sapeva cosa
stesse pensando, ma leggeva nei suoi gesti un malessere triste.
Lasciò cadere
le scarpe a terra e, con una leggera esitazione, si avvicinò
al mare quel tanto
che bastava alle onde per lambirle i piedi.
Rabbrividì,
ma non si sottrasse.
«È
gelida!» gli disse ridendo.
Voleva
attirare la sua attenzione, riportarlo lì
con lei, perché sembrava sperso, smarrito tra le sfumature
che fondevano cielo
e mare. Era bello, suggestivo, quel panorama, ma insinuava in lei una
stilla di
inquietudine.
Forse
ora
riesco a capire cosa intendessi con quel tuo ricordo, Demian, ma in
tutta
questa tristezza, dove è la felicità? Ci si sente
minuscoli qui, quando cielo e
terra si fondono.
Ci
si
sente come se tutta questa immensità potesse inghiottire
davvero.
La
pelle d’oca le rivestiva i polpacci, tremava, ma
davanti a quegli occhi vuoti non le riusciva di muoversi.
Seguì il suo sguardo
che si perdeva nelle onde orlate di schiuma.
Sussultò,
quando una mano s’intrecciò alla sua: non
si era accorta che Demian si era avvicinato, si era incantata. Con
gentilezza,
la tirò per il braccio per invitarla a seguirlo, Arianna
recuperò le scarpe e
gli andò dietro restando scalza. La sabbia compatta sotto i
piedi era viscosa e
umida, ma piacevole. Poche centinaia di metri più avanti, un
pontile di legno
tagliava l’acqua, le onde ci si infrangevano contro. Quando
lo raggiunsero,
Demian volle percorrerlo, il legno viscido di alghe le diede i brividi,
ma
continuò a tacere, perché in fondo il ragazzo non
sembrava disposto a parlare.
Arrivati
in fondo, Demian si sedette senza farsi problemi,
continuando a tenerle la mano. Arianna contemplò le assi
viscide con una
leggera repulsione, ma alla fine lo imitò senza fare storie
e lasciò le gambe penzoloni
a pelo dell’acqua agitata. Gli schizzi gli bagnavano i
pantaloni, ma Demian continuava
a non dire nulla. Quel silenzio non era scomodo, però la
lasciava a macerarsi
nel dubbio. Ad un senso di confidenza strana, di complicità
quasi in quella
situazione assurda e fuori da ogni schema, si univa il disagio del non
avere
idea di cosa stesse pensando.
Lo
guardò dal basso e Demian le concesse un sorriso
vagamente amaro, astratto, impalpabile, più simile allo
spettro di un sorriso. Gli
rispose più apertamente, ma non ottenne reazioni. Allora si
arrischiò ad aprire
bocca, pur con reticenza.
«Era
così che lo ricordavi?»
Il
suono della sua voce le suonò strano, inadatto
al contesto. Come se avesse osato interrompere qualcosa di perfetto, di
sospeso. Tutta quella calma però le pesava, voleva capire
cosa passasse in quella
testa scarmigliata, in quegli occhi adombrati di inquietudine. Da
quando
avevano lasciato il palazzo di periferia nei pressi della stazione, il
ragazzo
si era limitato a borbottare l’indispensabile, troppo
concentrato su cose che
non le era dato conoscere, purtroppo.
«No.
Era completamente diverso, più cupo. Più nervoso.
Come una leggenda… e poi non c’eri tu»
Si
mosse irrequieta sul posto, grattò il legno
marcio con l’unghia dell’indice.
«E
questo cambia qualcosa?»
Demian
accennò un altro sorriso, la tristezza non
era scivolata via dal suo volto e questo un poco la ferì,
anche se ora la guardava,
intenerito «Cambia tutto»
Annuì
e con una tranquillità fin troppo forzata, tornò
a guardare davanti a sé, per rifuggirlo.
Che
paradosso,
aspetti per una vita di sentirti dire certe cose, di occupare un
determinato
ruolo per sentirti finalmente a posto, e quando poi succede,
è uno schifo.
Come
si
fa, ad essere felice sull’infelicità altrui?
A
quel risvolto non ci aveva pensato, ora si
sentiva oppressa dal proprio egoismo.
Demian
è
disperato, per lui non è un gioco, non è un
capriccio. Non c’è alcuna leggerezza
in lui, in me ce ne è stata anche fin troppa. Mi sono
avvicinata a lui senza
pensarci, ed ora cosa faccio?
Come
faccio,
a non restare pienamente coinvolta senza fargli un torto?
Ripensò
a tutto, dal primo incontro alle scoperte
che l’avevano travolta quella mattina e che non aveva avuto
il tempo di valutare
con la giusta lucidità, mossa dai soliti impulsi
irragionevoli, mossa dal
rigetto per quell’autolesionismo che lo caratterizzava e che,
davvero, le era
incomprensibile.
Perché,
per lei, amarsi era tutto, era il senso nel
disastro generale degli eventi.
Amarsi
più di quanto la natura l’avesse amata, per
compensazione.
«Demi,
perché lo fai?» trovò il coraggio di
sussurrare.
Non
aveva smesso di grattare il legno con le
unghie, le trasmetteva calma, sfogare così il proprio
nervosismo.
«Se
sei così criptica, non capisco»
C’era
una dolcezza nella simulata
esasperazione della sua voce, le trasmetteva l’impressione
che si conoscessero
da sempre, che lui potesse leggere già i tratti
più salienti del suo essere,
prevenirli, e apprezzarli nonostante tutto.
Quella
familiarità le stringeva
il petto in un nodo.
«Perché
ti ferisci?»
Le
nocche di Demian sbiancarono,
strette sul bordo di legno. Le onde sotto di loro continuavano a
schiantarsi
con forza contro il pontile.
«Perché
non dovrei?»
La
pacata tranquillità rassegnata
con cui proferì quelle parole la sconvolse anche troppo.
Faticò a deglutire, a
trovare il coraggio di rispondere ad una tale assenza di amor proprio.
Forse non
era quella la domanda giusta, forse chiedergli perché si
odiasse tanto avrebbe
avuto più senso. Invece, preda dell’emozione, si
ritrovò quasi ad urlare un’ottava
sopra, senza riflettere «Stai scherzando spero!
Perché è la tua vita! Perché non
ne avrai un’altra se la distruggi, perché prima o
poi ti farai qualcosa di
tanto grave da non poter essere cancellata, e ti pentirai,
Demi!»
Demian
si irrigidì, ma non si
scompose. La squadrò solo più freddo, con
sufficienza e una nota di fastidio «Non
mi importa niente, della mia vita. Non è una cosa che ho
chiesto, mi ci hanno buttato
a forza in questo mondo di merda. Ti assicuro che se Dio mi avesse
permesso di
visionare il prodotto prima dell’acquisto, avrei rifiutato
senza rimpianti»
Quella
calma era allucinante,
non c’era rabbia, non c’era disappunto. Demian
constatava, ogni frase detta aveva
in sé la forza di qualcuno che nelle proprie sentenze ci
credeva dannatamente.
C’è
chi può pensare anche questo, credere anche questo.
Solo
perché non sai, parli per ignoranza!
È
inaccettabile, la tua vita è perfetta, sei un prodotto senza
scadenza, anche se
soffri, anche se ti accadono cose brutte, hai il tempo di cambiare
tutto, di
sistemare tutto! Come puoi non capirlo?
Il
nodo alla gola minacciò di
soffocarla, strizzò gli occhi, li sentiva già
umidi.
Si
odiava per quella debolezza,
quell’emotività senza controllo che la tradiva
sempre, ma non poteva farci
nulla, lo sgomento era troppo grande, il dolore che la colpiva per
quell’ignoranza
inconsapevole era tremendo, l’espressione dura e distaccata
di Demian era forte
come un montante.
Trattieniti,
maledizione, trattieniti
Si
premette i pugni sulle palpebre
chiuse, strizzate, con tutta la forza che aveva, per trattenere il
magone, il
pianto isterico che stava montando.
Non
sei una persona che piange, non lo sei
Ma
non era vero, lo sapeva fin
troppo bene. Non riusciva a smettere, senza che potesse impedirlo, i
lacrimoni
già le rotolavano giù dalle guance, grandi come
rugiada, abbondanti, pungevano
la pelle già arrossata.
In
passato era stata diversa, ma
erano anni che aveva perso il controllo su tutto e il suo umore era
un’altalena
emotiva assolutamente allo sbaraglio. E così fragile,
così facile da ferire,
tutto crollava facilmente, come un castello di carte. La sua farsa di
persona
normale crollava tra le sue dita, nascondersi da lui, cercare di non
fargli capire
quanto instabile fosse, era impossibile, soprattutto se le faceva tanto
male
senza neanche accorgersene.
«Annie?»
Scacciò
quella mano pallida con
una sberla risentita e, per la prima volta da quando lo aveva
conosciuto, la
sua espressione da cucciolo ferito che non comprende cosa di male possa
aver
fatto, le rimestò lo stomaco in un conato di rancore. Quasi
odio, perché non
riusciva a provare sentimenti ibridi, era sempre tutto troppo forte,
troppo
totalizzante. Era sopraffatta da lui, dalla crudeltà
intrinseca nelle sue
parole, una crudeltà che Demian non poteva scorgere
perché credeva riguardasse
solo lui, fossero meschine solo verso di lui, e non verso tutti gli
altri,
tutte quelle persone che avrebbero dato un rene per fare cambio con la
sua vita
da schifo, pur di avere almeno la possibilità di scegliere,
al di là dello schifo.
Recuperò le sue scarpe e si alzò, decisa ad
andarsene e piantarlo lì.
Non
meriti attenzioni, non meriti nulla! Non dopo la leggerezza con cui hai
detto
ciò che hai detto!
«Annie,
ma cosa ti prende?»
Si
voltò a guardarlo, per ingiuriargli
contro, ma le parole le morirono in un singhiozzo.
Era
una visione quasi poetica,
vederlo in piedi, in contrasto netto con lo sfondo nebbioso e grigio,
con il
mare agitato come cornice. Troppo delicato per tutta quella
brutalità, le ricordava
un quadro che aveva visto in fotografia una volta alle medie, quando
ancora
frequentava regolarmente. L’uomo del dipinto era su uno
scoglio, era l’unica
differenza.
Quel
quadro comunque l’aveva
sempre angosciata, rappresentava qualcosa di troppo grande, di sublime,
la faceva
sentire inutile, l’uno a uno, palla
al
centro dell’universo contro i suoi sforzi di
vincere la fortuna.
Demian
le trasmetteva la
medesima sensazione di frustrante impotenza e inutilità.
E
io che mi preoccupavo di toccarlo, non ho capito nulla. Pone una tale
distanza
tra se stesso e gli altri che anche volendo sarebbe impossibile, non
posso
aiutarlo.
Ed
un aiuto, per ciò che pensa, nemmeno lo merita.
Eppure,
la sola idea le faceva
montare il pianto e si sentiva prostrata dalla propria
fragilità, perché per
quanto si fosse mentalmente preparata ancora e ancora, certi argomenti
restavano un tallone d’Achille per la sua mente debole. Si
voltò e proseguì a
passo di marcia. Incespicò nella sabbia, si morse un labbro
per trattenere il
singhiozzo di rabbia che minacciava di rompere gli argini.
Pochi
passi e si fermò di nuovo.
Restò
immobile, investita dalla
consapevolezza: era ridicola, sembrava irragionevole, non poteva fare
nulla e
non poteva nemmeno fargli capire quanta e quale fosse la sua
frustrazione. Era solo
l’ennesimo tormento che passava per follia, perché
non poteva spiegare, non c’erano
parole, Demian l’avrebbe fraintesa come le era successo
infinite volte, avrebbe
fatto un passo indietro, l’avrebbe guardata con quella
compassione mista a pietà
che si riserva ai pazzi.
Lo
stomaco si contrasse
dolorosamente, si piegò su se stessa e così,
completamente accartocciata, scoppiò
in un pianto disperato.
«Non
voglio…»
«Annie,
cosa sta succedendo?»
Demian le fu accanto in un secondo, le afferrò un braccio
per scuoterla, la
costrinse a rialzarsi, ma gli si mozzò il fiato in gola
quando la vide in
volto, doveva essere un disastro. Sentiva le guance fradice di pianto e
gli
occhi le bruciavano, li sfregò con il polso, con cattiveria,
fino a farsi male,
e lui non glielo impedì, troppo allibito. Quella
passività improvvisa la fece
arrabbiare solo di più, si liberò della sua mano
inerte e lo spintonò, furiosa.
«Vattene!
Tu non capisci niente,
non sai niente e non t’importa di niente!»
Ed
io continuo a invidiarti per questo tuo distacco dalla vita, ti invidio
fin
quasi ad odiarti
«Tu
non la meriti! Ci sono
persone che darebbero qualunque cosa per avere una vita intera a
disposizione,
senza scadenze, e tu invece non le dai un minimo di
considerazione!» lo spinse
ancora, bruciante di una collera irragionevole, quasi ingiusta, che
però non
riusciva ad esimersi dal provare «Cristo, ma ci sei mai stato
nel reparto di tua
madre? Le hai viste, quelle persone? Darebbero l’anima per
poter avere mille
rimpianti, e poi ci sono persone come te, che non capiscono un
cazzo!» gli urlò
contro, dandogli l’ennesimo spintone che lo tenesse lontano,
perché Demian non
demordeva, tentava di avvicinarla blandamente, irritandola solo di
più.
Il
ragazzo abbassò le braccia,
gli occhi grandi di un bambino ferito e offeso «Non sono
affari che ti
riguardano» tentò debolmente di difendersi, ma non
riuscì a prevederla. Arianna
fece scattare la mano per istinto e le sue cinque dita si stamparono
con violenza
sul suo volto pallido, tanto da voltargli il capo.
«Non
osare dire una cosa simile!»
latrò, un misto di grida e pianto forte.
Demian
non rialzò la testa,
rimase con il volto inclinato e gli occhi bassi, puntati sulla sabbia.
Arianna
non sapeva se arrabbiato o, forse, pentito, ma non le importava,
sentiva che
non aveva ancora finito, che lui doveva comprendere. La voce
però le tremò, uscì
meno decisa, più spaventata «Tu prima di tutti
dovresti saperlo, hai tua madre,
tua sorella… tu la conosci la disperazione di chi non ha
più tempo. Tu più di
tutti l’importanza della vita dovresti conoscerla»
Le
mani gli tremarono, Demian le
strinse a pugno, la congelò con un’occhiataccia
ostile «Pensi che non la
cederei se potessi?» alzò i toni a sua volta,
umiliato, prendendola in contropiede.
Sussultò, ma lui non se ne accorse «Farei a cambio
con mia sorella, se potessi!
Le darei il mio cuore! Farei qualunque cosa se servisse a darmi la
certezza che
lei potrebbe vivere, vorrei che vivesse più di ogni altra
cosa e del resto non
me ne frega niente! Della mia vita senza di lei non me ne faccio un
fottuto
cazzo! Quello che sono, quello che faccio, non ha valore! La mia vita
non ha
valore, è Sarah che ha senso, solo Sarah!»
Inerme
di fronte a tanta vuotezza,
a tanta tristezza, Arianna sentì il petto percuotersi di
singhiozzi quasi
isterici, lo percepì come qualcosa di distante da lei, fuori
da ogni controllo.
Immersa in un pianto disperato, gli scaricò un primo pugno
sulla spalla, poi un
secondo.
«Non
è giusto!»
Lo
colpì ancora e ancora, Demian
le afferrò i polsi, ma faticò a tenerla ferma,
Arianna lottò con tutte le sue
forze per sciogliere quella presa e ignorare l’espressione
stralunata, totalmente
sconvolta, con cui il ragazzo la supplicava di fermarsi.
Quindi
io non potrò mai capirti, è questa la
verità, tu mi sarai sempre estraneo.
Io
non posso farti del male, nessuno può: tu sei già
distrutto. Nemmeno volendo
potrei farti più male di quanto tu non te ne faccia
già da solo ogni giorno.
Ma
come puoi alzarti tutte le mattine odiandoti così tanto?
Come
si può sopravvivere così?
«Maledizione
Annie! Che cosa ti
prende?» l’aggredì ad un palmo da suo
volto. Poteva sentire il suo fiato caldo,
i nasi quasi si sfioravano e i suoi tratti candidi non erano del tutto
a fuoco.
La linea dei suoi occhi però, quell’arco aguzzo
sull’angolo mediale che lo
faceva apparire quasi una fiera, non le era mai parsa tanto nitida e
netta, cosparsa
di ciglia bianche e folte, fredde come neve posata su un ramo. Arianna
smise di
dimenarsi, prese un profondo respiro per recuperare una calma apparente
più
forte del dolore allo stomaco.
Le
lacrime la tradivano, ma non esitò
a guardarlo negli occhi.
Daniele
lo dice sempre, chi dice la verità, chi non dubita di se
stesso, non teme di incrociare
lo sguardo di nessuno.
Non
dubito di me, nonostante tutto. Ma forse ti odio, Demian, odio sapere
che
possiedi una cosa che ho sempre desiderato e scegli di non averne cura.
Odio
vedere il mio più bel sogno calpestato
Il
rancore annebbiava ogni suo
pensiero, ma di fondo restava una pallida consapevolezza: tutto
desiderava,
meno che staccarsi da lui. Più quella rabbia si faceva
forte, più in lei
cresceva un senso di attaccamento che a mente lucida avrebbe
tranquillamente
definito morboso. La sua noncuranza la feriva, ma era preferibile
restare
ferita, portarsi sullo stomaco quelle parole pesanti come macigni,
piuttosto
che abbandonarlo.
Farei
un torto a lui, e lo farei anche a me stessa
Non
ho più motivo di sentirmi in colpa, non ho ragioni di
esitare, ormai
«La
voglio io» lo sfidò, decisa.
Le
sopracciglia bianche si aggrottarono
in tutta la loro confusione «Di cosa stai parlando
ora?» domandò esasperato da
quell’altalena emotiva che palesemente lo aveva sfibrato e lo
stava portando
vicino all’esaurimento precoce.
Arianna
arricciò le labbra e
ignorò tutti i segnali di un cedimento «La tua
vita. Hai detto che non ha un
valore, che non te ne fai nulla, no? È come se
già non vivessi, è sprecata. Una
vita non va sprecata. La voglio io, la voglio per me»
Demian
non riuscì a deglutire
per lo sbalordimento. Socchiuse le labbra, per dire qualcosa, ma gli
occhi
tradivano la mancata connessione tra il significato della sua richiesta
e la
comprensione della stessa. Riuscì a mormorare, atono
«Non è divertente»
«Non
volevo esserlo»
«Allora
non sto capendo» ammise
candidamente.
Arianna
incamerò aria insieme ad
una discreta dose di coraggio «Voglio tre mesi della tua
vita. Voglio che me li
cedi, così potrò farti cambiare idea»
Era
fin troppo consapevole di
quanto quella richiesta suonasse assurda e fuori luogo, però
non poteva accettare
una resa a priori, non poteva gettare la spugna e accettare
passivamente che
una realtà troppo triste si consumasse davanti al suo
sguardo indifferente. Tutta
la sua determinazione si era concentrata sull’unica, assoluta
verità che in
quel momento la dominava: non poteva lasciarlo stare, non voleva
abbandonarlo.
Non
chiedermi perché, fra tutti, ho scelto te, perché
sarai tu la vittima di tutto
questo. Non ne ho idea, ma se sei tu Demi, se sei tu può
funzionare, è diverso.
Questo è tutto quello che so
«Non
ti sto chiedendo niente di
eccessivo, se ci pensi. Allo scadere dei tre mesi sarai totalmente
libero di
liberarti di me. Se accetti però, potrai farlo solo allo
scadere del tempo, ci
saranno delle regole e le dovrai seguire categoricamente»
Il
ragazzo inarcò le
sopracciglia, fece un leggero passo indietro. Poi, si lasciò
andare ad una risata
forzata, nervosa «Tutto questo è folle, non ha
senso. Perché mai
dovrei accettare una proposta tanto assurda?»
Arianna
arricciò il naso,
scrollò le spalle per minimizzare il tutto e si
ritrovò a correggerlo, accennando
un sorriso compassato «Nessuno ha detto che devi.
Puoi, è diverso, una
possibilità»
Quella
sua uscita lo rese ancora
più sospettoso.
«È
uno strano scherzo dei tuoi? Non
sta funzionando»
«Sono
serissima»
Come
un animale, la guardò
cauto, in tralice «E se non fossi interessato?»
Con
una certa freddezza, gli
porse la mano «Allora è stato un piacere
conoscerti» chiarì, con tutta
l’indifferenza
di cui fosse capace e che il viso arrossato di pianto sicuramente stava
tradendo.
Se
rifiuta, sono categorica, non lo vedrò più. Tanto
non avrebbe senso, sarebbe
controproducente per entrambi. Se lui è davvero solo questo,
anche io mi farò
del male, non sono così forte da sopportare di vedere
qualcuno che si fa a
pezzi
Aveva
un po’ paura, perché la
parola data a se stessa non se la rimangiava mai, sapeva che non
avrebbe
ritrattato nemmeno se l’avesse desiderato più di
ogni altra cosa, ma il pensiero
che quel ragazzo appena conosciuto potesse già smettere di
far parte della sua
vita la rendeva incredibilmente infelice.
Demian
indietreggiò ancora, un
guizzo di inquietudine sotto la superficie di quei suoi occhi freddi e
incolori, dalla sfumatura inafferrabile.
«Mi
stai ricattando» constatò
con un certo rancore.
Arianna
ne rimase meravigliata:
non l’aveva nemmeno concepita sotto quell’aspetto,
ma Dem ragionava in modo
totalmente imprevisto, per lei.
«Un
ricatto non ha una soluzione»
fece notare, inclinando la testa, come per guardarlo da
un’altra prospettiva,
per capire cosa potesse vederci lui, in quella situazione assurda
«Tu invece
hai una scelta»
Demian
però non la smetteva di
fissare quella mano tesa verso di lui con una sorta di avversione, un
orrore
inspiegabile «Se non accetto, non ti vedrò
più» ripeté piano, e aggiunse
più risentito
«Questo è un ricatto»
Le
strappò un sorriso, con quel
suo broncio da bambino insoddisfatto «Non vedermi
più sarebbe solo la conseguenza
di una tua scelta» gli fece notare con una certa
ovvietà.
Se
possibile, s’indignò ancora
di più «Se vuoi andartene fallo, non devi
ricorrere a scemenze simili, non te
ne farei una colpa comunque» la voce bassa, appena soffiata,
diceva tutt’altro,
non riusciva a nascondere l’acredine.
Eccolo,
ecco il punto. Si sente abbandonato prima ancora di esserlo.
È questo che devo
combattere, altrimenti nulla di ciò che dirò
avrà valore
Si
avvicinò a lui, lo colse di
sorpresa e gli afferrò il volto tra le mani prima che
potesse arretrare ancora,
costringendolo a guardarla negli occhi.
«Ascoltami»
scandì severa «Ascolta
quello che ti dico e solo quello
che
ti dico, non leggere tra le righe verità che non
esistono!» prese fiato e
raccolse tutto il proprio coraggio, mentre gli occhi di Demian si
sgranavano
davanti a lei, grandi e confusi come quelli di un bambino spaventato,
limpidi
di un azzurro leggerissimo, sporcato di rosa «Non voglio
andarmene Demian, ok? Non
lo so perché, sinceramente non ne ho assolutamente idea, so
solo che voglio
restare con te. Voglio che tu stia vicino a me, davvero non lo hai
capito?» lo
smarrimento che trasmetteva parlava per lui, per le sue labbra gonfie
sigillate
in uno straniante orrore. Arianna sentì il panico del
fallimento «Quello che
voglio non ha senso se non posso aiutarti. Se non posso fare niente per
te, se
stai così sulla difensiva… non devo essere un
profeta per dirti che saremo
infelici in due. E io non sono così forte, per questo voglio
che scegli tu,
anche se questo mi rende una vigliacca»
Lo
liberò dalle sue mani, lasciò
scivolare le dita sulla pelle bianca prima di ritrarsi, per sentirne il
calore,
assorbirlo, sentire che era vivo e pulsante, non un oggetto inanimato.
Gli sorrise,
fiaccamente «È tutto il giorno che mi tormento, ma
non sono giunta a nulla oltre
a questo. Perciò scegli tu, ma se scegli ch’io
resti, allora devi rispettare le
mie condizioni, perché che tu ci creda o meno, anche io ho
paura» sollevò le
spalle, per alleggerire quella confessione, sminuirla «Sono
terrorizzata. E se
devi stare sulla difensiva cercando di ferirmi per ogni minima cosa
solo per proteggerti
preventivamente, io non ce la faccio. Non sono una scalatrice, non
posso
assediare continuamente la stupida torre dove ti barrichi ogni volta
che
sbaglio a dire qualcosa!»
Demian
era troppo tramortito per
rispondere a quel fiume di parole, aveva l’aria di chi
cercava di assimilarle,
di venirne a capo. La fissava con un’intensità
tale che Arianna lo sentiva, le
gambe le avrebbero ceduto, forse per l’eccessiva vicinanza,
perché restava lì,
a poco più di una spanna da quel viso bellissimo e sciupato.
Il ragazzo si
morse le labbra, poi, esitante, sollevò la mano. Le
sfiorò la guancia con la
punta delle dita, con lentezza esasperante seguì la linea
del suo profilo, la
mandibola fino al mento, delicatamente. L’accarezzava con una
dolcezza così
struggente e ritrosa, che Arianna sentì il cuore batterle
furiosamente. Non fosse
stata del tutto sana, avrebbe giurato di essere ad un passo
dall’infarto, non
poteva credere che quell’organo potesse reggere tanta
pressione, la pelle del
viso bruciava come fosse rovente e si vergognava, perché
Demian poteva sentirlo
attraverso la punta gelida di quelle dita intirizzite dal freddo.
Insieme all’eccitazione,
provava una strana angustia
Mi
tocca come se potesse rovinarmi.
Non
puoi essere davvero tanto ingenuo, Demian
Era
lusingata e oltraggiata, per
quell’eccessiva delicatezza. Nel miscuglio di sensazioni che
l’attanagliavano,
si ritrovò a trattenere il respiro. Avrebbe voluto
distogliere lo sguardo, ma era
pietrificata. Quando Demian tornò a parlare, lo fece
accostandosi al suo volto,
in un sussurro leggero. Arianna sentì il fiato caldo, in
contrasto con l’aria
gelida, lambirle il collo e l’orecchio.
«Quindi,
se accetto, rimani con
me»
Le
tremavano le mani, le strinse
a pugno e raffazzonò un tentativo di risposta
«Almeno per i prossimi tre mesi»
Cercò
di suonare più spavalda di
quanto non si sentisse, perché in quel momento le sembrava
che il suo corpo
fosse composto di gelatina pronta a sciogliersi.
«Allora
è una promessa»
Riuscì
a stento a borbottare un “Sì”,
prima di ritrovarsi completamente spalmata contro di lui, in un
abbraccio
impetuoso a tradimento.
Qualunque
cosa tu faccia, sembri sempre un disperato
Per
assurdo, questo lo rendeva
solo tenero. Sentiva la mano aperta sulla sua schiena,
l’altra le premeva il
capo contro il suo petto. Si sentiva avvolta completamente, quasi
minuscola,
con la sua guancia fra i capelli. Con l’improvvisa e
soverchiante certezza che
Demian sarebbe rimasto, gli gettò le braccia al collo e lo
strinse con
altrettanta forza, soddisfando il desiderio che l’aveva
pervasa fin da quella
mattina. La tensione ora sciolta minacciò di farla piangere
ancora, ma si
trattenne, perché era già sembrata
sufficientemente matta, di una follia che
non avrebbe potuto mai spiegargli senza spingerlo a scappare. Demian,
nella sua
stretta, si rilassò, abbandonò la postura rigida
e sciolse i muscoli. Si aggrappò
a lei come un bambino.
«Resta»
Gli
passò una mano fra i
capelli, intrecciò le dita a quella massa morbida.
«Resto»
Se
dobbiamo scottarci, ustioniamoci
«Annie?»
sussurrò ancora, in
imbarazzo. Si scostò quel tanto sufficiente a guardarla,
nonostante la sua
altezza la osservava dal basso, intimorito, le fece scappare un
battito, lo perse
con una facilità così disarmante che quasi non le
riuscì di crederci.
Seriamente,
ma come ho fatto a non rendermi conto fin dall’inizio di
quanto fosse bello? Anche
con questi suoi occhi così strani, con questa sfumatura rosa
che si vede solo
standogli così vicino
Tutto
di lui è tremendamente affascinante.
Era
incredibile, come i suoi
occhi parlassero, quando il suo muro si abbassava. Si poteva leggergli
l’anima,
in quello sguardo, con la giusta attenzione.
«Posso
baciarti?»
L’impaccio
era tale che Arianna riuscì
solo a sorridergli sollevando gli occhi al cielo.
«Demi,
hai l’iniziativa di un cucchiaino
in una lavatrice!»
Lo
vide crucciarsi, confuso,
mordersi ancora la guancia con tutta la sua indecisione
«Intendi lavastoviglie?»
la corresse di nuovo, ed Arianna si sentì morire per
l’imbarazzo dell’ennesimo
errore
«Il
punto è che stai lì a
prendere acqua!»
Vedere
le sue guance pallide
arrossarsi le diede la perversa soddisfazione di essere in vantaggio.
«Io
veramente…»
Non
gli diede modo di
concludere. Senza pensare, seguendo l’istinto,
annullò la distanza che la
separava dalle sue labbra ancora schiuse. Le sfiorò appena,
morbide e carnose,
vi sfregò contro le sue e fu pervasa da un brivido di
eccitazione. Erano belle,
delicate anche con la crosta del sangue coagulato, fu mossa dal
desiderio di
morderle ed invece si fermò, mantenne quel delicato contatto.
Non
ricordava più come si
respirasse, né le interessava, non sembrava più
importante, come tutto il
resto, alla luce delle sue labbra soffici e tiepide.
Chiuse
gli occhi, troppo in
imbarazzo per poterlo guardare, e posò la fronte contro la
sua. Le punte dei
nasi si sfioravano, così vicini, l’uno ad un
soffio dall’altro, sentiva il respiro
di Demian spezzarsi sulle guance accaldate.
«Non
hai mai cercato di parlare così
tanto» mormorò a stento, per giustificare quel suo
gesto avventato. In attesa
di una risposta che non sentiva arrivare, le palpebre sigillate per
proteggerla
dalla vergogna, percepì le mani di Demian prenderle a coppa
il viso.
Questa
volta fu lui a baciarla,
con quella sua delicatezza eccessiva, angosciata.
L’accarezzava piano, non la
smetteva di toccarle il viso, faceva scivolare le dita lunghe sul
collo, ma non
si spingeva oltre, lambiva appena la sua bocca per discostarsene, in
baci
leggeri. Esasperata, Arianna si fece più audace, si
lasciò andare a quel
contatto e schiuse le labbra per invitarlo ad approfondire il bacio. La
mano di
Demian scivolò sul suo fianco, la attirò
più stretta, le mancò il respiro.
Riesco
a sentire il suo cuore
Batteva
forte quanto il suo,
sembrava stessero correndo una maratona insieme. Con un ultimo, lieve
bacio a
fior di labbra, Demian si separò da lei. Le sorrise, un
sorriso vero, onesto e
immenso. Osservò il suo canino storto, le rughe
d’espressione intorno agli occhi
strizzati in quel momento di puro, puerile entusiasmo. Era una
felicità tanto
piena da oscurare il volto segnato di lividi. Rapita dal momento,
Arianna si
sfiorò la bocca con la punta delle dita.
Non
me lo immaginavo così. È stato… intenso
Era
stata l’esperienza più inebriante
della sua vita, la consapevolezza di un altro corpo, di un altro
respiro, era
stata schiacciante, quasi opprimente. Si guardò attorno, per
riprendere
contatto con la realtà. Realizzando dove si trovasse e come
ancora Demian la stringesse,
le venne da ridere. Si lasciò andare ad una risata sentita,
quasi selvaggia, a
cui il ragazzo rispose con perplessità.
«Che
ti prende adesso?»
La
sfumatura delusa rese la
situazione ancora più divertente «Guardati
intorno!» gli fece notare con ovvietà
«La spiaggia, il mare… siamo praticamente dentro
il più grande e banale dei cliché!»
Avvilito,
Demian scrollò le
spalle «Hai proprio una testa bacata»
borbottò, ma in fondo trapelava una nota
di divertimento che la fece sbilanciare.
«È
vero, lo sai benissimo che ho
ragione! Mi sento quasi banale. Sai che non ti facevo tipo da luoghi
comuni?»
Il
ragazzo le afferrò malamente
la guancia tra il pollice e l’indice e la
strattonò, provocandole un intenso
bruciore e immediate lamentele «Così mi fai
male!» si lagnò, e gli assestò una
non troppo leggera gomitata allo sterno.
Demian
sbuffò, le scompigliò i
capelli lisciati dal vento e dalla salsedine, prima di allontanarsi e
afferrarle
la mano.
«Non
ti lamentare. E comunque,
sospetto che niente fatto da te potrà mai risultare un
cliché!»