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Autore: lady igraine    10/01/2019    0 recensioni
Demian ha quasi sedici anni, è armato della tragicità di un adolescente e dell’esperienza di vita di un uomo fin troppo intraprendente. La sua esistenza è in costante bilico tra un morboso amore per la propria famiglia, afflitta dal dramma della malattia terminale della madre, ed un mondo più oscuro, di amici poco raccomandabili che gli permettono di sfogare i sentimenti più ombrosi e repressi della sua anima. È in questa fase che lo incontra Arianna, infantile, irrequieta e altrettanto problematica ragazza, dotata di un instancabile sorriso che cela più malinconie e segreti che gioie. Sono tre, i mesi decisivi, quelli che, nel bene e nel male, lasceranno un segno indelebile nelle loro vite.
***
La coscienza era una bestia oscura che divorava da dentro, lasciando sempre l’impressione di facciata che tutto andasse bene.
"Le persone, da fuori, sembrano indistruttibili, perfette come bambole di plastica che non si possono rompere. È il dentro che è una fregatura, un agglomerato di marciume infilato a forza tra gli organi, da qualche parte"
La sua coscienza era terribile più di tutto, le toglieva molte cose, una ad una, con la noncuranza con cui un bambino strappa i petali ad una margherita
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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À Demian

Capitolo sedicesimo

Tre mesi


Arianna aveva sempre avuto un debole per le cose rovinate, una sorta di languore per ciò che era squallido, triste, abbandonato. Fin da bambina, era in persone o in luoghi simili che aveva ritrovato i segreti più delicati ed aveva imparato che la decadenza era solo un archetipo di bellezza, una sensazione di struggente tenerezza, come osservare la desolazione di un fiore appassito.

Quei segreti poi li custodiva con cura, ci si crogiolava dentro come in una coperta d’inverno, perché davano una magia diversa a ciò che guardava.

Per questo amava i segreti e odiava svelarli. Condividere qualcosa in qualche modo la semplificava, mostrava una realtà senza ombre, senza sfumature, che erano poi ciò che amava davvero.

 

Senza sfumature il mondo è piatto, bidimensionale, quadrato. Privo di vita

 

Per una volta, però, il suo lato più egoista si era fatto da parte e Arianna aveva provato l’impulso di condividere uno di quei segreti con Demian, uno di quelli più piccoli certo, ma per la sua natura era già un grande passo avanti. Il pensiero di averlo lì, invece di impoverirla di una sua personale verità, la faceva sentire stranamente piena, soddisfatta, quasi tronfia, e questo la straniva, andava completamente contro la sua filosofia di vita.

Fece leva sulle braccia e si arrampicò sul parapetto di cemento diroccato sul quale si sedette. Gettò le gambe magre nel vuoto e, così sospesa, per un attimo trattenne il respiro a causa di una leggera ed eccitante vertigine, l’impressione di una caduta. Quell’abitudine era come una sfida, guardare il terreno metri lontano da lei e sentirsi potente: per quella manciata di minuti stringeva le redini della propria vita e della propria morte, era superiore, era perfino più di una divinità, era lei a scegliere.

Le piaceva, poter scegliere sempre, consapevolmente, la vita.

Demian esitò, piuttosto confuso dalla situazione, prima di decidersi a raggiungerla e accomodarsi accanto a lei. Arianna provava per lui la pazienza che può rivolgersi solo ad un bambino titubante, e di un bambino era stata l’espressione che aveva calcato il suo viso ancora androgino quando lo aveva condotto in una stradina secondaria dietro la stazione dei treni, vicino al deposito dei pullman. Si trovavano al secondo piano di una palazzina disabitata e ormai quasi completamente sfatta, nella periferia. Una zona piuttosto malfamata, a conti fatti. Lì era piuttosto facile imbattersi in persone con cattive intenzioni, quell’edificio nello specifico doveva essere abbattuto da anni, era sede fissa di barboni e spesso, fino a qualche tempo prima, anche di drogati. Venuti a mancare i secondi, Arianna aveva preso l’abitudine di portare da mangiare ai senzatetto, talvolta aveva portato loro anche coperte e vecchi vestiti, per cui era diventata un po’ la loro protetta e non aveva più avuto motivo di avere paura. Quelle persone la adoravano e lei, paradossalmente, ci si era affezionata. Tra i detriti, la polvere rossa dei mattoni e l’intonaco scrostato, la sensazione di sporco e bruttura creava del disagio, ma non era per la bellezza dell’edificio che si addentrava lì dentro. L’unica cosa che valesse la pena di tollerare quell’ambiente era il paesaggio. La vista di cui si godeva dalla balconata, proprio in quel punto al quarto piano, era il vero segreto di quel vecchio complesso di appartamenti mai compiuti, il mistero di quel lato di mondo all’apparenza squallido che la gente evitava come la peste.

«È la stazione dei treni?» lo sentì pronunciare alla fine, quasi con meraviglia.

Arianna annuì di sfuggita e allo stesso modo le sfuggì un sorriso, distrattamente. Era la stazione, ma da una prospettiva completamente differente che di solito non era concessa ai pendolari: da quel balcone poteva vedere i treni ricoperti di scritte scorrere come modellini giocattolo sulle rotaie, poteva osservare l’erba crescere tra la pietraia e le assi di legno che si perdevano all’orizzonte disegnando sentieri e infiniti crocevia. Gli alberi e l’erba alta, incolta, circondavano le strutture di cemento rovinate dai vandali e Arianna poteva contare le persone in attesa al proprio binario di poter raggiungere chissà quale meta, con l’aria stanca della prima mattina e gli abiti colorati. Non si vedeva la fontana dimessa, le panche marce e le porte sfondate dai vandali e rivestite con assi di legno. Non fosse stato per la modernità dei mezzi di trasporto, sarebbe potuta apparire come una di quelle vecchie stazioni dei romanzi pirandelliani che aveva letto a scuola, un luogo fuori dal tempo, sospeso, che manteneva un odore farraginoso che quasi si attaccava al palato.

 

Ecco, sembra proprio una di quelle vecchie stazioni da romanzi dimenticati, con questa vaga nebbiolina appena distesa sull’erba ingiallita che diventa opalescente quando viene accarezzata dalla luce e pare fumo. Niente è confortante come questa sensazione di non-luogo.

 

Eppure, la curiosità di Demian, quel silenzio contemplativo carico di stupore, la spinse a vedere solo lui e nient’altro, la visione onirica di un luogo che aveva sempre amato scivolava lontano dalle sue priorità. Demian riempiva il suo campo visivo.

 

Quando è iniziato tutto questo?

Come ho fatto a non rendermene conto?

 

Anche se provava a ragionarci sopra, non riusciva a rievocare un luogo o uno sguardo che avessero cambiato tutto. Semplicemente, forse era partito tutto già prima, era rimasta intrappolata, prima che da lui, dalle parole di Jenevieve, e ci si era trovata in mezzo e basta, a quella situazione, senza nemmeno accorgersi che nella sua testa quello era l’inizio di qualcosa, che in lei c’era il principio di una novità.

«Quindi tu ti siedi qui e guardi i treni?» le domandò ancora, dopo un ponderato silenzio.

 

Stranamente più loquace del solito

 

Una cosa che aveva imparato di Demian e su cui era certa di non aver sbagliato, era che non amava porre troppe domande, era un ragazzo discreto che tratteneva per sé la propria curiosità e si limitava ad accogliere ciò che lei si lasciava sfuggire.

 

L’ideale per me, visto che non mi piace dare troppe risposte

 

In questo caso però, forse a causa dell’atmosfera, condividere un pezzetto delle proprie verità non sembrava un’idea così malvagia.

«Sì. Qualche volta durante la settimana»

«Trainspotting» borbottò lui a voce bassa, dedicandole il suo odioso sorriso ironico, intriso di scherno divertito.

Lo studiò in tralice, riducendo gli occhi a due fessure di finta minaccia «Che vorrebbe dire? che poi te l’ho già detto che odio l’inglese!» Demian sollevò subito i palmi delle mani in alto, in segno di resa «Non mi incenerire! È un termine che si riferisce alle strane, nullafacenti persone che passano tempo a contare i treni» le spiegò, poi si passò le dita tra i capelli, scompigliando ulteriormente una situazione già di per sé arruffata e sul bilico del disastro.

Si sentì stranamente offesa «È questo che pensi? Che perda il mio tempo?»

Non era questo che voleva, il pensiero che non potesse capire cosa significasse per lei, che svilisse qualcosa che per lei aveva un grande valore e trasformasse il tutto in un passatempo inutile, la faceva quasi pentire di averlo portato lì. A volte, Arianna stessa arrivava a convincersi che sedersi sul quel balcone a sbirciare le esistenze altrui la rendesse solo una spettatrice della vita che trascorreva il tempo guardandola scorrere, e inorridiva ed era terrorizzata dalla propria passività, perciò non era facile sopportare che qualcuno la toccasse così indelicatamente in una parte tanto molle e vulnerabile del suo essere.

«Non proprio. Mi ricordi L’uomo dal fiore in bocca però, è una storia un po’ triste…» mormorò ed Arianna si accorse che non la guardava, ma torceva le mani nelle mani «… se desideri salirci non dovresti semplicemente prendere un treno?»

Rimase spiazzata e non riuscì a trovare una risposta immediata. Allora si chinò un poco in avanti, più vicina a quel mondo distante da dipinto, più vicina a quella linea sottile di vertigine tra il parapetto e il vuoto. Si rosicchiò il labbro, cercò di ricordare se conoscesse quel racconto ma non lo aveva mai letto, perciò gli chiese incerta «Tu lo hai mai fatto? Sei mai salito su un treno per il semplice gusto di prenderlo, senza sapere il dove, il come e il quando?»

 

È impulsivo e imprevedibile, sarebbe da lui

 

Eppure, Demian la sorprese con un sussulto e un “No” mormorato che le diede sicurezza, non la fece sentire in difetto.

«Io sto aspettando il momento giusto» confessò di sfuggita, spontaneamente, quasi senza volerlo. Rimase sorpresa da se stessa e gli sorrise, perché era piacevole poter lasciare andare certi pensieri senza timore, ed era stranamente facile se era lui ad ascoltarla. Le parve di vederlo arrossire, ma Demian distolse in fretta lo sguardo e abbassò il mento in una sorta di broncio.

«E quale sarebbe?»

 

Già, quale sarebbe?

 

«In realtà ancora non lo so. Ma ho tanto tempo per scoprirlo, la vita è lunga. E se ci penso, mi sento felice, mi sembra che quel momento potrebbe essere dietro l’angolo» sollevò le spalle d’istinto, anche se Demian non la stava guardando «Non importa se poi in realtà sarà tra dieci anni o dieci minuti, la sola idea di una libertà così grande mi basta, mi tranquillizza»

 

Sarebbe più semplice, se ogni attimo della mia vita fosse eterno, destinato a non consumarsi mai. Sarebbe più semplice, se non sapessi che per tutta questa bellezza c’è una scadenza.

Bisognerebbe ignorare la morte, bisognerebbe morire senza sapere che può succedere, che un giorno “X” tutto finisce. Vivere come in uno stato edenico senza timore di nulla, ecco come si dovrebbe vivere.

 

Come nell’unico libro di poesie che avesse mai letto, quello che suo fratello le aveva regalato per i disegni. Le piaceva la realtà che Blake raccontava nelle Canzoni d’Innocenza, le piaceva quello stato edenico incorrotto.

«Sei così candida»

Sussultò, colta in fallo. Demian lo aveva sospirato quasi con esasperazione, e forse esasperato lo era davvero, ma poi la guardava e accennava un sorriso dolciastro che le toglieva le parole.

 

Per niente. Vorrei esserlo, era più semplice quando non sapevo cosa provavo, quando certe emozioni un nome non l’avevano, forse perché nemmeno le sentivo. A riguardare il passato con lo spettro del presente, tutto si sporca, non posso essere candida.

 

Tese l’indice all’orizzonte, sentendosi un po’ infantile e goffa «Guardale, Demi. Quelle persone. Sono ferme al loro binario, conoscono già la loro meta, sono incanalate. Vedono solo dove devono andare» abbassò il braccio e abbozzò un sorriso incerto «Ma io da qui posso vedere tutto, non solo il mio treno. Posso osservarli uno per uno, senza obblighi… insomma, io posso ancora scegliere. È vero, non ho una meta così, ma posso decidere che corsa prendere, il mio è un biglietto bianco. Non potrò scegliere la fermata, ma almeno la direzione è ancora nelle mie mani» inclinò la testa, Demian si era voltato verso di lei, la ascoltava a labbra schiuse. Erano grandi e carnose, sarebbero potute apparire femminili, eppure su di lui avevano solo un tocco sensuale e, così separate, innocente.

 

Con tutte le esperienze che lo hanno sporcato, come può sembrare tanto intonso?

 

«È questo che mi fa felice, per questo amo stare qui. Mi sento di essere libera di avere tutte le possibilità del mondo, senza limiti. Posso sognare qualunque cosa, essere qualunque cosa, anche solo per un attimo. È un attimo che vale tutta la vita. Vivo mille vite, vedo mille vite, e intanto aspetto di poter scegliere la mia»

Demian si morse l’interno della guancia «Ci credi se ti dico che in quella stazione ci ho passato più tempo di qualunque altra persona su quei binari?»

Arianna aggrottò le sopracciglia «E perché?» a confonderla era soprattutto l’espressione del ragazzo, che svelava tutta l’amarezza, la vergogna.

«Non è importante» liquidò la questione con un tono di voce che in realtà sottintendeva il contrario «Comunque a tutte queste cose non avevo mai veramente pensato. Il futuro che sia bianco o scritto non conta molto… onestamente non sono nemmeno sicuro di arrivarci, ad avere un futuro. Deve essere per questo che ci penso poco» turbata, Arianna seguì la sua mano bianca dalle dita lunghe che si scompigliava i capelli, scivolava sulla nuca fragile e si agganciava al collo, sopra il cappuccio della felpa, a mostrare la sua reticenza già solo con la gestualità «Tu però dovresti provare invece che immaginare e basta… dovresti provare a vivere di più quello che sogni, aspettare di meno»

 

Tu ti bruci con la vita, non sai cosa vuol dire averne un terrore assoluto. Paura di desiderare di più e di sentirsi dire “Ne hai avuto già a sufficienza, è il tuo limite, non potrai averne più di così”. Non sai cosa significa aggrapparsi all’immaginazione per compensare una realtà svilente che ti toglie invece che darti.

 

«Da sola ho un po’ paura» mormorò, mentendo spudoratamente, perché stava raccontando una verità a metà. L’orizzonte parlava di vite e promesse che Arianna sapeva non sarebbero state mantenute ma a cui lei voleva continuare a credere. Perché finché non si realizzavano nel presente non significava assolutamente che non si sarebbero avverate dopo, e se avesse smesso di crederci ne sarebbe uscita distrutta.

 

Ed io non posso permettermelo, non posso farmi distruggere, neanche dalla paura. Anche quella serve, devo sperimentare tutto ma non devo fermarmi su nulla, o rischio di perdere troppo tempo

 

«Se aspetti troppo però, non rischi di perdere l’occasione?»

 

 

Credi che non lo sappia?

Aspettare il momento giusto, per qualcuno come me, può significare anche il non vederlo mai. Ma non siamo tutti come te, non tutti ci lanciamo senza minimamente considerare le conseguenze… io non ho niente da perdere, ma chi mi ama?

 

Gli sorrise dolcemente «Demi, c’è un posto dove vorresti andare? Che ti piacerebbe rivedere? Un posto dove sei stato veramente felice»

Si spostò nervosamente una ciocca di capelli, la solita che sfuggiva alla coda e le ricadeva sulla guancia. La rimboccò dietro l’orecchio e si morse le labbra, per non mostrargli l’imbarazzo, la vigliaccheria che ogni volta la spingeva a ritrarsi, a cambiare argomento per tornare su terreni più solidi e a lei congeniali, dove muoversi fosse meno pesante. Insieme al sole si alzava un leggero alito di vento freddo. I setosi capelli di Demian, del tutto afflosciati sulla sua fronte, si sollevarono appena, rivelando la sua aria corrucciata e pensierosa, gli occhi concentrati ombreggiati dalle ciglia. Quando Demi era nervoso si mordeva l’interno della guancia con insistenza, se n’era accorta la sera in cui aveva dormito da lui, e tra tutti i granchi che si era presa quel gesto restava l’unica, assoluta certezza. Era confortante, conoscere almeno una sua abitudine, perché se si era convinta di non conoscerlo affatto, quando poi sbatteva contro questi piccoli dettagli capiva che non era così, aveva conosciuto un lato di quel ragazzo che i più ignoravano ma che era sempre più sicura non fosse una finzione. Era forse la parte più onesta, molle e delicata di lui.

Lo ascoltò sospirare, puntare le pupille piccole come capocchie di spilli lontano, assenti.

«I miei nonni sono originari di un piccolo paesino del nord della Francia. Un posto così minuscolo che non lo conosce nessuno, sulle coste dell’Atlantico. D’inverno lì fa veramente freddo, è tutto grigio, il cielo sembra sempre nebbioso e pesante, allora c’è un silenzio assoluto, irreale» il sorriso nostalgico che gli accarezzava le belle labbra trasmetteva più tristezza che felicità, ma Arianna lo sapeva che i ricordi felici finivano con il ferire più di quelli brutti. Erano momenti perduti, irrecuperabili, e la nostalgia era una malattia terribile che corrodeva. «Quando maman stava ancora bene, era là che trascorrevo tutte le vacanze, d’estate e d’inverno. Ed il Natale, ovviamente. Un anno ha nevicato fortissimo, la neve era alta quanto Sarah ed era difficilissimo camminare per le strade. Era così tanta che aveva ricoperto la spiaggia, è stata l’unica volta nella vita in cui ho visto il mare lambire la neve, a volte quando ci penso mi chiedo se sia successo davvero. Sembra quasi più un sogno. Il cielo era grigio e fitto, non riuscivo a vedere le luci della baia di Douarnenez, e il mare era di un viola strano, bagnato di schiuma perché il vento lo faceva innervosire. Sembrava che ruggisse, ed era l’unico rumore. Poi, a volte, stridevano i gabbiani» si rosicchiò ancora la guancia, si passò le dita tra i capelli, tutti i suoi tic tradivano la vergogna, però le parlava e le si rivolse direttamente ad un tratto, tornando finalmente a quel parapetto e non alle fiabe delle sue memorie «È strana la memoria, vero? Passa il tempo e certi dettagli si fanno più nitidi invece di sparire. Ricordo che mi sembrava ruggisse, che potesse inghiottirmi. Una volta avevo rischiato, mentre ero sugli scogli, di essere travolto dalle onde. Ne ero spaventato. Poi però maman ci ha condotto attraverso il sentiero sulla scogliera giù nella spiaggia, una striscia di sabbia innevata tagliata come un’unghia, dove giocavo a raccogliere le pietre colorate e a inseguire i molluschi e gli uccelli. Non c’era nessuno, era tutto vuoto, e lei mi teneva per mano, teneva me e Sarah. L’abbiamo percorsa tutta, senza dire una parola. Faceva freddissimo, me lo ricordo bene, ma non avevo paura, era tutto immenso e silenzioso e gelido, ma non mi sentivo vuoto.  Non so se puoi capire»

Infilò malamente i pugni stretti, strettissimi, nelle tasche, per nasconderle il disagio «Penso che quella fosse felicità. Se dovessi scegliere dove tornare, vorrei che fosse lì. Ma senza di loro forse avrei ancora paura»

 

Quindi anche tu hai paura della vita. Ti getti di testa perché se no lo sai, che ti faresti mangiare vivo da qualunque cosa. Non sono sola, siamo in due, ma siamo davvero due sciocchi

 

«Prendiamolo» disse senza nemmeno rifletterci. Demian si girò di nuovo a guardarla ad occhi sgranati

«Cosa?»

«Un treno, ovvio!»

Demian aprì la bocca, la richiuse, si corrucciò cercando una domanda da porle che avesse un senso ed infinse sussurrò, desolato «Per andare dove?»

Arianna si ritrovò a sbuffare, un poco annoiata da quella reticenza.

 

Ti lanci nei rischi con strafottenza, e poi sembra che io ti abbia fatto chissà quale allucinante proposta. Sei assurdo, Demian Lemaire!

 

«Che importa!» sbottò con decisione «Prendiamolo e basta! Uno a caso, e vediamo dove ci porta. Non me lo hai appena detto tu, che bisogna provare e non solo immaginare?»

Demian si accigliò ulteriormente, il volto una maschera di segni di turbamento «Aspetta un attimo! Io pensavo… non era tutto in senso figurato?»

Arianna non riuscì a trattenere la risata «Certo che no!»

Alla perplessità si stava aggiungendo una forma di paura «Non era una metafora?»

Arianna si ritrovò a scuotere platealmente la testa portandosi una mano alla fronte «Ma quale metafora e metafora! Demi, io parlo sul serio. Il figurato per me non esiste. Sono una persona pratica, io!»

 

 

 

Convincere Demian non era stato difficile.

Convincere Demi a fare qualcosa non era mai difficile.

Non perché fosse un debole, ma per una terribile forma di disamore: non gli importava nulla di se stesso e per questo si lasciava trasportare alla deriva da ogni cosa senza opporre la minima resistenza e senza curarsi di quanto i risultati potessero fargli male.

Era completamente libero, anche troppo.

Così libero da metterle tristezza.

Al di là dei problemi, senza la sua famiglia Arianna si sarebbe sentita sola da morire. Demian aveva l’aria di uno che dalla solitudine era stato schiacciato, che con quella ci aveva convissuto tanto a lungo da non riuscire più a ricordare cosa significasse avere una presenza accanto.

 

Forse perché non basta essere amati. Lui è stato amato molto, ma l’amore bisogna sentirlo, bisogna portarselo addosso, essere amati non significa sentirsi amati. A volte non è sufficiente sapere.

 

Sospirò rassegnata e un piccolo alone di condensa andò a disegnarsi sul vetro del finestrino. Il rumore del treno in partenza era un ronzio di fondo unito a leggeri sussulti, le rotaie iniziavano a scorrere lentamente sotto i suoi occhi attenti, i palazzi si susseguirono uno dietro l’altro come diapositive, si rincorrevano e davano vita ad uno spettacolo luminoso di comete di luce. Il sole era ancora basso, ma la linea della notte si era quasi del tutto ritratta, assottigliata con una calma esasperante. Così, Arianna si sentiva in uno stato di sospensione temporale, dove a sostituire le stelle ci pensavano gli infiniti lampioni ancora accesi.

A rendere tutto ancora più astratto dal reale c’era Demian, seduto accanto a lei in silenzio, sprofondato nella sua felpa con i capelli scarmigliati sulla fronte e lo sguardo basso, assorto e malinconico.  I suoi occhi erano bellissimi, Arianna lo aveva pensato in continuazione quel giorno, probabilmente perché li aveva osservati per la prima volta. Aveva osservato il taglio obliquo, la linea allungata della palpebra e quell’indefinito colore dovuto alle lenti. Non aveva mai visto il vero colore delle sue iridi, Demian non glielo aveva ancora permesso, ma dovevano essere chiare, delicatissime.

 

Potrai sembrare anche freddo agli occhi di chiunque altro, ma a me sembrerai sempre e solo troppo fragile, così tanto che la bellezza dentro te mi sfugge e la tua vulnerabilità mi agita.

Toccarti è così difficile… ho paura di frantumarti, Demi, ho il terrore di farti male.

 

Demian abbassò le palpebre lentamente, inconsciamente, e scivolò nel sedile, ripiegandosi su se stesso. Inclinò la testa e si appoggiò alla sua spalla, trattenendo uno sbadiglio. Per un attimo, Arianna ebbe paura a muoversi, come se un uccellino le fosse volato casualmente tra le mani, temeva che un respiro più pesante degli altri lo avrebbe fatto scappare. Demian però non doveva aver dormito granché, perché si acquietò subito e l’aria che usciva dalle labbra carnose si fece più regolare e pesante. Quell’espressione infantile le strappò un sorriso.

 

Ecco, ora invece sembri un bambino. Come faccio io a cucire un’immagine sensata di te, Demian? Come faccio a capire chi sei, se sei sia una vittima che un carnefice?

 

Lo ascoltò mugolare e si sentì libera di studiare il suo volto pallido ricoperto di abrasioni. Aveva un sopracciglio spaccato ed anche il labbro inferiore riportava un brutto taglio, risultato probabilmente di un pugno. Un altro segno più leggero sulla guancia già violacea e un livido vicino all’occhio. La felpa nascondeva altre ferite, ne era certa, aveva visto prima il lungo taglio che gli segnava l’avambraccio.

Gli accarezzò il profilo con la punta delle dita, quel viso tanto bello quanto maltrattato, sciupato, marcato da occhiaie profonde.

 

Non è di certo il principe azzurro. Non che abbia mai voluto un uomo in calzamaglia celeste pronto a salvarmi, in effetti

 

Di cavalieri non ne aveva desiderati nemmeno nel momento più brutto, e di uomini pronti a proteggerla ne aveva a sufficienza, i suoi fratelli erano uno scudo già abbastanza soffocante.

 

Forse ragiono come un uomo

 

Pensava alla sua aria smarrita, guardava l’espressione serena che mostrava nel sonno, rilassato come un bambino sfinito dopo una giornata di giochi, e provava una tenerezza nuova, un desiderio di preservare quel frammento di dolcezza. Affondò la guancia tra i suoi capelli setosi e così si addormentò a sua volta, tenendolo stretto in un abbraccio.

 

 

Avevano dormito ininterrottamente per quasi tre ore e si erano svegliati soltanto perché a Mestre il treno era stato abbandonato da una massa di persone piuttosto chiassose. Con qualche difficoltà e circa un’altra ora di pullman, Arianna ora camminava nella sabbia, tentando di tenere il passo di Demian.

sembrava essersi scordato completamente di lei e procedeva assorto sulla battigia.

Arianna non era mai stata a Jesolo e lui nemmeno, però quando erano scesi alla stazione, quello zuccone non le aveva neanche dato il tempo di guardarsi attorno, aveva chiesto indicazioni per la spiaggia più vicina e l’aveva trascinata con sé. Le sembravano trascorsi secoli dall’ultima volta che si era trovata in un paese di mare: così in autunno inoltrato il centro abitato cambiava volto, era spopolato. Non c’erano bancarelle estive, negozi aperti che vendessero cianfrusaglie ai turisti, non c’erano ombrelloni né le sdraio.

C’erano solo i grandi hotel che sovrastavano le piccole casette modeste ed il brutto tempo, con un sole oscurato da coltri di nuvole grigie, una ragnatela di fumo che presagiva pioggia. Si era alzato anche il vento, odorava di sale e sabbia ed era terribilmente freddo, Arianna si ritrovò a tremare, appiccicosa di salsedine e impreparata ad un clima tanto ostile. Le battevano i denti mentre arrancava nella sabbia compatta per l’umidità, nel tentativo patetico di inseguire quello stupido testardo completamente concentrato su se stesso.

Arianna aveva scelto quella destinazione senza rifletterci troppo, era il mare più vicino ed anche se non era quello della sua infanzia, intenso come le notti senza stelle, era pur sempre mare.

 

Forse, anche solo per una breve illusione, potrebbe sentirsi meglio. O almeno, ci speravo, ma non credo stia funzionando

 

Demian sembrava solo più turbato dal vuoto che li circondava. Le sferzate gelide agitavano le onde, le stavano scarmigliando i capelli e il sale appiccicato alla pelle la rendeva secca, la sentiva tirare ad ogni espressione del viso.

 

Sembra grigio come polvere da sparo

 

Era una giornata troppo brutta perché qualcuno osasse accostarsi ad un luogo tanto desolato. C’erano solo loro due su quella distesa infinita di finto oro, che in quel momento aveva assunto la sfumatura del marrone scuro tanto era compatta. Gli stabilimenti balneari erano stati quasi del tutto smantellati ed Arianna pensò che forse non era stata una buona idea, che tutto era più malinconico e deprimente del dovuto.

Si chinò e si sfilò le scarpe e i calzini, in barba a quel freddo gelido, per non incespicare nella sabbia.

 

Freddo per freddo, tanto vale godermelo

 

Così libera, aumentò il passo e riuscì a raggiungerlo, quasi ad affiancarlo. Si fermò volontariamente un passo dietro di lui e continuò a osservarlo, in silenzio. Come se l’avesse percepita, o più probabilmente perché si era reso conto di averla lasciata indietro, Demian interruppe quella sua marcia serrata lungo la costa.

Si voltò verso la distesa d’acqua grigio piombo e così rimase ancora, assorto. Il vento gli sferzava il viso, Arianna poteva immaginare quanto quel sale bruciasse, sulle ferite aperte, ma lui non accennava ad accorgersene. Quasi per abitudine, con l’espressione vacua di chi si muove per riflesso, si sollevò il cappuccio nero della felpa e ci sprofondò dentro, a nascondere un momento di profonda fragilità. Arianna non sapeva cosa stesse pensando, ma leggeva nei suoi gesti un malessere triste. Lasciò cadere le scarpe a terra e, con una leggera esitazione, si avvicinò al mare quel tanto che bastava alle onde per lambirle i piedi.

Rabbrividì, ma non si sottrasse.

«È gelida!» gli disse ridendo.

Voleva attirare la sua attenzione, riportarlo lì con lei, perché sembrava sperso, smarrito tra le sfumature che fondevano cielo e mare. Era bello, suggestivo, quel panorama, ma insinuava in lei una stilla di inquietudine.

 

Forse ora riesco a capire cosa intendessi con quel tuo ricordo, Demian, ma in tutta questa tristezza, dove è la felicità? Ci si sente minuscoli qui, quando cielo e terra si fondono.

Ci si sente come se tutta questa immensità potesse inghiottire davvero.

 

La pelle d’oca le rivestiva i polpacci, tremava, ma davanti a quegli occhi vuoti non le riusciva di muoversi. Seguì il suo sguardo che si perdeva nelle onde orlate di schiuma.

Sussultò, quando una mano s’intrecciò alla sua: non si era accorta che Demian si era avvicinato, si era incantata. Con gentilezza, la tirò per il braccio per invitarla a seguirlo, Arianna recuperò le scarpe e gli andò dietro restando scalza. La sabbia compatta sotto i piedi era viscosa e umida, ma piacevole. Poche centinaia di metri più avanti, un pontile di legno tagliava l’acqua, le onde ci si infrangevano contro. Quando lo raggiunsero, Demian volle percorrerlo, il legno viscido di alghe le diede i brividi, ma continuò a tacere, perché in fondo il ragazzo non sembrava disposto a parlare.

Arrivati in fondo, Demian si sedette senza farsi problemi, continuando a tenerle la mano. Arianna contemplò le assi viscide con una leggera repulsione, ma alla fine lo imitò senza fare storie e lasciò le gambe penzoloni a pelo dell’acqua agitata. Gli schizzi gli bagnavano i pantaloni, ma Demian continuava a non dire nulla. Quel silenzio non era scomodo, però la lasciava a macerarsi nel dubbio. Ad un senso di confidenza strana, di complicità quasi in quella situazione assurda e fuori da ogni schema, si univa il disagio del non avere idea di cosa stesse pensando.

Lo guardò dal basso e Demian le concesse un sorriso vagamente amaro, astratto, impalpabile, più simile allo spettro di un sorriso. Gli rispose più apertamente, ma non ottenne reazioni. Allora si arrischiò ad aprire bocca, pur con reticenza.

«Era così che lo ricordavi?»

Il suono della sua voce le suonò strano, inadatto al contesto. Come se avesse osato interrompere qualcosa di perfetto, di sospeso. Tutta quella calma però le pesava, voleva capire cosa passasse in quella testa scarmigliata, in quegli occhi adombrati di inquietudine. Da quando avevano lasciato il palazzo di periferia nei pressi della stazione, il ragazzo si era limitato a borbottare l’indispensabile, troppo concentrato su cose che non le era dato conoscere, purtroppo.

«No. Era completamente diverso, più cupo. Più nervoso. Come una leggenda… e poi non c’eri tu»

Si mosse irrequieta sul posto, grattò il legno marcio con l’unghia dell’indice.

«E questo cambia qualcosa?»

Demian accennò un altro sorriso, la tristezza non era scivolata via dal suo volto e questo un poco la ferì, anche se ora la guardava, intenerito «Cambia tutto»

Annuì e con una tranquillità fin troppo forzata, tornò a guardare davanti a sé, per rifuggirlo.

 

Che paradosso, aspetti per una vita di sentirti dire certe cose, di occupare un determinato ruolo per sentirti finalmente a posto, e quando poi succede, è uno schifo.

Come si fa, ad essere felice sull’infelicità altrui?

 

A quel risvolto non ci aveva pensato, ora si sentiva oppressa dal proprio egoismo.

 

Demian è disperato, per lui non è un gioco, non è un capriccio. Non c’è alcuna leggerezza in lui, in me ce ne è stata anche fin troppa. Mi sono avvicinata a lui senza pensarci, ed ora cosa faccio?

Come faccio, a non restare pienamente coinvolta senza fargli un torto?

 

Ripensò a tutto, dal primo incontro alle scoperte che l’avevano travolta quella mattina e che non aveva avuto il tempo di valutare con la giusta lucidità, mossa dai soliti impulsi irragionevoli, mossa dal rigetto per quell’autolesionismo che lo caratterizzava e che, davvero, le era incomprensibile.

Perché, per lei, amarsi era tutto, era il senso nel disastro generale degli eventi.

Amarsi più di quanto la natura l’avesse amata, per compensazione.

«Demi, perché lo fai?» trovò il coraggio di sussurrare.

Non aveva smesso di grattare il legno con le unghie, le trasmetteva calma, sfogare così il proprio nervosismo.

«Se sei così criptica, non capisco»

C’era una dolcezza nella simulata esasperazione della sua voce, le trasmetteva l’impressione che si conoscessero da sempre, che lui potesse leggere già i tratti più salienti del suo essere, prevenirli, e apprezzarli nonostante tutto.

Quella familiarità le stringeva il petto in un nodo.

«Perché ti ferisci?»

Le nocche di Demian sbiancarono, strette sul bordo di legno. Le onde sotto di loro continuavano a schiantarsi con forza contro il pontile.

«Perché non dovrei?»

La pacata tranquillità rassegnata con cui proferì quelle parole la sconvolse anche troppo. Faticò a deglutire, a trovare il coraggio di rispondere ad una tale assenza di amor proprio. Forse non era quella la domanda giusta, forse chiedergli perché si odiasse tanto avrebbe avuto più senso. Invece, preda dell’emozione, si ritrovò quasi ad urlare un’ottava sopra, senza riflettere «Stai scherzando spero! Perché è la tua vita! Perché non ne avrai un’altra se la distruggi, perché prima o poi ti farai qualcosa di tanto grave da non poter essere cancellata, e ti pentirai, Demi!»                                                                                 

Demian si irrigidì, ma non si scompose. La squadrò solo più freddo, con sufficienza e una nota di fastidio «Non mi importa niente, della mia vita. Non è una cosa che ho chiesto, mi ci hanno buttato a forza in questo mondo di merda. Ti assicuro che se Dio mi avesse permesso di visionare il prodotto prima dell’acquisto, avrei rifiutato senza rimpianti»

Quella calma era allucinante, non c’era rabbia, non c’era disappunto. Demian constatava, ogni frase detta aveva in sé la forza di qualcuno che nelle proprie sentenze ci credeva dannatamente.

 

C’è chi può pensare anche questo, credere anche questo.

Solo perché non sai, parli per ignoranza!

È inaccettabile, la tua vita è perfetta, sei un prodotto senza scadenza, anche se soffri, anche se ti accadono cose brutte, hai il tempo di cambiare tutto, di sistemare tutto! Come puoi non capirlo?

 

Il nodo alla gola minacciò di soffocarla, strizzò gli occhi, li sentiva già umidi.

Si odiava per quella debolezza, quell’emotività senza controllo che la tradiva sempre, ma non poteva farci nulla, lo sgomento era troppo grande, il dolore che la colpiva per quell’ignoranza inconsapevole era tremendo, l’espressione dura e distaccata di Demian era forte come un montante.

 

Trattieniti, maledizione, trattieniti

 

Si premette i pugni sulle palpebre chiuse, strizzate, con tutta la forza che aveva, per trattenere il magone, il pianto isterico che stava montando.

 

Non sei una persona che piange, non lo sei

 

Ma non era vero, lo sapeva fin troppo bene. Non riusciva a smettere, senza che potesse impedirlo, i lacrimoni già le rotolavano giù dalle guance, grandi come rugiada, abbondanti, pungevano la pelle già arrossata.

In passato era stata diversa, ma erano anni che aveva perso il controllo su tutto e il suo umore era un’altalena emotiva assolutamente allo sbaraglio. E così fragile, così facile da ferire, tutto crollava facilmente, come un castello di carte. La sua farsa di persona normale crollava tra le sue dita, nascondersi da lui, cercare di non fargli capire quanto instabile fosse, era impossibile, soprattutto se le faceva tanto male senza neanche accorgersene.

«Annie?»

Scacciò quella mano pallida con una sberla risentita e, per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, la sua espressione da cucciolo ferito che non comprende cosa di male possa aver fatto, le rimestò lo stomaco in un conato di rancore. Quasi odio, perché non riusciva a provare sentimenti ibridi, era sempre tutto troppo forte, troppo totalizzante. Era sopraffatta da lui, dalla crudeltà intrinseca nelle sue parole, una crudeltà che Demian non poteva scorgere perché credeva riguardasse solo lui, fossero meschine solo verso di lui, e non verso tutti gli altri, tutte quelle persone che avrebbero dato un rene per fare cambio con la sua vita da schifo, pur di avere almeno la possibilità di scegliere, al di là dello schifo. Recuperò le sue scarpe e si alzò, decisa ad andarsene e piantarlo lì.

 

Non meriti attenzioni, non meriti nulla! Non dopo la leggerezza con cui hai detto ciò che hai detto!

 

«Annie, ma cosa ti prende?»

Si voltò a guardarlo, per ingiuriargli contro, ma le parole le morirono in un singhiozzo.

Era una visione quasi poetica, vederlo in piedi, in contrasto netto con lo sfondo nebbioso e grigio, con il mare agitato come cornice. Troppo delicato per tutta quella brutalità, le ricordava un quadro che aveva visto in fotografia una volta alle medie, quando ancora frequentava regolarmente. L’uomo del dipinto era su uno scoglio, era l’unica differenza.

Quel quadro comunque l’aveva sempre angosciata, rappresentava qualcosa di troppo grande, di sublime, la faceva sentire inutile, l’uno a uno, palla al centro dell’universo contro i suoi sforzi di vincere la fortuna.

Demian le trasmetteva la medesima sensazione di frustrante impotenza e inutilità.

 

E io che mi preoccupavo di toccarlo, non ho capito nulla. Pone una tale distanza tra se stesso e gli altri che anche volendo sarebbe impossibile, non posso aiutarlo.

Ed un aiuto, per ciò che pensa, nemmeno lo merita.

 

Eppure, la sola idea le faceva montare il pianto e si sentiva prostrata dalla propria fragilità, perché per quanto si fosse mentalmente preparata ancora e ancora, certi argomenti restavano un tallone d’Achille per la sua mente debole. Si voltò e proseguì a passo di marcia. Incespicò nella sabbia, si morse un labbro per trattenere il singhiozzo di rabbia che minacciava di rompere gli argini.

Pochi passi e si fermò di nuovo.

Restò immobile, investita dalla consapevolezza: era ridicola, sembrava irragionevole, non poteva fare nulla e non poteva nemmeno fargli capire quanta e quale fosse la sua frustrazione. Era solo l’ennesimo tormento che passava per follia, perché non poteva spiegare, non c’erano parole, Demian l’avrebbe fraintesa come le era successo infinite volte, avrebbe fatto un passo indietro, l’avrebbe guardata con quella compassione mista a pietà che si riserva ai pazzi.

Lo stomaco si contrasse dolorosamente, si piegò su se stessa e così, completamente accartocciata, scoppiò in un pianto disperato.

«Non voglio…»

«Annie, cosa sta succedendo?» Demian le fu accanto in un secondo, le afferrò un braccio per scuoterla, la costrinse a rialzarsi, ma gli si mozzò il fiato in gola quando la vide in volto, doveva essere un disastro. Sentiva le guance fradice di pianto e gli occhi le bruciavano, li sfregò con il polso, con cattiveria, fino a farsi male, e lui non glielo impedì, troppo allibito. Quella passività improvvisa la fece arrabbiare solo di più, si liberò della sua mano inerte e lo spintonò, furiosa.

«Vattene! Tu non capisci niente, non sai niente e non t’importa di niente!»

 

Ed io continuo a invidiarti per questo tuo distacco dalla vita, ti invidio fin quasi ad odiarti

 

«Tu non la meriti! Ci sono persone che darebbero qualunque cosa per avere una vita intera a disposizione, senza scadenze, e tu invece non le dai un minimo di considerazione!» lo spinse ancora, bruciante di una collera irragionevole, quasi ingiusta, che però non riusciva ad esimersi dal provare «Cristo, ma ci sei mai stato nel reparto di tua madre? Le hai viste, quelle persone? Darebbero l’anima per poter avere mille rimpianti, e poi ci sono persone come te, che non capiscono un cazzo!» gli urlò contro, dandogli l’ennesimo spintone che lo tenesse lontano, perché Demian non demordeva, tentava di avvicinarla blandamente, irritandola solo di più.

Il ragazzo abbassò le braccia, gli occhi grandi di un bambino ferito e offeso «Non sono affari che ti riguardano» tentò debolmente di difendersi, ma non riuscì a prevederla. Arianna fece scattare la mano per istinto e le sue cinque dita si stamparono con violenza sul suo volto pallido, tanto da voltargli il capo.

«Non osare dire una cosa simile!» latrò, un misto di grida e pianto forte.

Demian non rialzò la testa, rimase con il volto inclinato e gli occhi bassi, puntati sulla sabbia. Arianna non sapeva se arrabbiato o, forse, pentito, ma non le importava, sentiva che non aveva ancora finito, che lui doveva comprendere. La voce però le tremò, uscì meno decisa, più spaventata «Tu prima di tutti dovresti saperlo, hai tua madre, tua sorella… tu la conosci la disperazione di chi non ha più tempo. Tu più di tutti l’importanza della vita dovresti conoscerla»

Le mani gli tremarono, Demian le strinse a pugno, la congelò con un’occhiataccia ostile «Pensi che non la cederei se potessi?» alzò i toni a sua volta, umiliato, prendendola in contropiede. Sussultò, ma lui non se ne accorse «Farei a cambio con mia sorella, se potessi! Le darei il mio cuore! Farei qualunque cosa se servisse a darmi la certezza che lei potrebbe vivere, vorrei che vivesse più di ogni altra cosa e del resto non me ne frega niente! Della mia vita senza di lei non me ne faccio un fottuto cazzo! Quello che sono, quello che faccio, non ha valore! La mia vita non ha valore, è Sarah che ha senso, solo Sarah!»

Inerme di fronte a tanta vuotezza, a tanta tristezza, Arianna sentì il petto percuotersi di singhiozzi quasi isterici, lo percepì come qualcosa di distante da lei, fuori da ogni controllo. Immersa in un pianto disperato, gli scaricò un primo pugno sulla spalla, poi un secondo.

«Non è giusto!»

Lo colpì ancora e ancora, Demian le afferrò i polsi, ma faticò a tenerla ferma, Arianna lottò con tutte le sue forze per sciogliere quella presa e ignorare l’espressione stralunata, totalmente sconvolta, con cui il ragazzo la supplicava di fermarsi.

 

Quindi io non potrò mai capirti, è questa la verità, tu mi sarai sempre estraneo.

Io non posso farti del male, nessuno può: tu sei già distrutto. Nemmeno volendo potrei farti più male di quanto tu non te ne faccia già da solo ogni giorno.

Ma come puoi alzarti tutte le mattine odiandoti così tanto?

Come si può sopravvivere così?

 

«Maledizione Annie! Che cosa ti prende?» l’aggredì ad un palmo da suo volto. Poteva sentire il suo fiato caldo, i nasi quasi si sfioravano e i suoi tratti candidi non erano del tutto a fuoco. La linea dei suoi occhi però, quell’arco aguzzo sull’angolo mediale che lo faceva apparire quasi una fiera, non le era mai parsa tanto nitida e netta, cosparsa di ciglia bianche e folte, fredde come neve posata su un ramo. Arianna smise di dimenarsi, prese un profondo respiro per recuperare una calma apparente più forte del dolore allo stomaco.

Le lacrime la tradivano, ma non esitò a guardarlo negli occhi.

 

Daniele lo dice sempre, chi dice la verità, chi non dubita di se stesso, non teme di incrociare lo sguardo di nessuno.

Non dubito di me, nonostante tutto. Ma forse ti odio, Demian, odio sapere che possiedi una cosa che ho sempre desiderato e scegli di non averne cura.

Odio vedere il mio più bel sogno calpestato

 

Il rancore annebbiava ogni suo pensiero, ma di fondo restava una pallida consapevolezza: tutto desiderava, meno che staccarsi da lui. Più quella rabbia si faceva forte, più in lei cresceva un senso di attaccamento che a mente lucida avrebbe tranquillamente definito morboso. La sua noncuranza la feriva, ma era preferibile restare ferita, portarsi sullo stomaco quelle parole pesanti come macigni, piuttosto che abbandonarlo.

 

Farei un torto a lui, e lo farei anche a me stessa

Non ho più motivo di sentirmi in colpa, non ho ragioni di esitare, ormai

 

«La voglio io» lo sfidò, decisa.

Le sopracciglia bianche si aggrottarono in tutta la loro confusione «Di cosa stai parlando ora?» domandò esasperato da quell’altalena emotiva che palesemente lo aveva sfibrato e lo stava portando vicino all’esaurimento precoce.

Arianna arricciò le labbra e ignorò tutti i segnali di un cedimento «La tua vita. Hai detto che non ha un valore, che non te ne fai nulla, no? È come se già non vivessi, è sprecata. Una vita non va sprecata. La voglio io, la voglio per me»

Demian non riuscì a deglutire per lo sbalordimento. Socchiuse le labbra, per dire qualcosa, ma gli occhi tradivano la mancata connessione tra il significato della sua richiesta e la comprensione della stessa. Riuscì a mormorare, atono «Non è divertente»

«Non volevo esserlo»

«Allora non sto capendo» ammise candidamente.

Arianna incamerò aria insieme ad una discreta dose di coraggio «Voglio tre mesi della tua vita. Voglio che me li cedi, così potrò farti cambiare idea»

Era fin troppo consapevole di quanto quella richiesta suonasse assurda e fuori luogo, però non poteva accettare una resa a priori, non poteva gettare la spugna e accettare passivamente che una realtà troppo triste si consumasse davanti al suo sguardo indifferente. Tutta la sua determinazione si era concentrata sull’unica, assoluta verità che in quel momento la dominava: non poteva lasciarlo stare, non voleva abbandonarlo.

 

Non chiedermi perché, fra tutti, ho scelto te, perché sarai tu la vittima di tutto questo. Non ne ho idea, ma se sei tu Demi, se sei tu può funzionare, è diverso. Questo è tutto quello che so

 

«Non ti sto chiedendo niente di eccessivo, se ci pensi. Allo scadere dei tre mesi sarai totalmente libero di liberarti di me. Se accetti però, potrai farlo solo allo scadere del tempo, ci saranno delle regole e le dovrai seguire categoricamente»

Il ragazzo inarcò le sopracciglia, fece un leggero passo indietro. Poi, si lasciò andare ad una risata forzata, nervosa «Tutto questo è folle, non ha senso. Perché mai dovrei accettare una proposta tanto assurda?»

Arianna arricciò il naso, scrollò le spalle per minimizzare il tutto e si ritrovò a correggerlo, accennando un sorriso compassato «Nessuno ha detto che devi. Puoi, è diverso, una possibilità»

Quella sua uscita lo rese ancora più sospettoso.

«È uno strano scherzo dei tuoi? Non sta funzionando»

«Sono serissima»

Come un animale, la guardò cauto, in tralice «E se non fossi interessato?»

Con una certa freddezza, gli porse la mano «Allora è stato un piacere conoscerti» chiarì, con tutta l’indifferenza di cui fosse capace e che il viso arrossato di pianto sicuramente stava tradendo.

 

Se rifiuta, sono categorica, non lo vedrò più. Tanto non avrebbe senso, sarebbe controproducente per entrambi. Se lui è davvero solo questo, anche io mi farò del male, non sono così forte da sopportare di vedere qualcuno che si fa a pezzi

 

Aveva un po’ paura, perché la parola data a se stessa non se la rimangiava mai, sapeva che non avrebbe ritrattato nemmeno se l’avesse desiderato più di ogni altra cosa, ma il pensiero che quel ragazzo appena conosciuto potesse già smettere di far parte della sua vita la rendeva incredibilmente infelice.

Demian indietreggiò ancora, un guizzo di inquietudine sotto la superficie di quei suoi occhi freddi e incolori, dalla sfumatura inafferrabile.

«Mi stai ricattando» constatò con un certo rancore.

Arianna ne rimase meravigliata: non l’aveva nemmeno concepita sotto quell’aspetto, ma Dem ragionava in modo totalmente imprevisto, per lei.

«Un ricatto non ha una soluzione» fece notare, inclinando la testa, come per guardarlo da un’altra prospettiva, per capire cosa potesse vederci lui, in quella situazione assurda «Tu invece hai una scelta»

Demian però non la smetteva di fissare quella mano tesa verso di lui con una sorta di avversione, un orrore inspiegabile «Se non accetto, non ti vedrò più» ripeté piano, e aggiunse più risentito «Questo è un ricatto»

Le strappò un sorriso, con quel suo broncio da bambino insoddisfatto «Non vedermi più sarebbe solo la conseguenza di una tua scelta» gli fece notare con una certa ovvietà.

Se possibile, s’indignò ancora di più «Se vuoi andartene fallo, non devi ricorrere a scemenze simili, non te ne farei una colpa comunque» la voce bassa, appena soffiata, diceva tutt’altro, non riusciva a nascondere l’acredine.

 

Eccolo, ecco il punto. Si sente abbandonato prima ancora di esserlo. È questo che devo combattere, altrimenti nulla di ciò che dirò avrà valore

 

Si avvicinò a lui, lo colse di sorpresa e gli afferrò il volto tra le mani prima che potesse arretrare ancora, costringendolo a guardarla negli occhi.

«Ascoltami» scandì severa «Ascolta quello che ti dico e solo quello che ti dico, non leggere tra le righe verità che non esistono!» prese fiato e raccolse tutto il proprio coraggio, mentre gli occhi di Demian si sgranavano davanti a lei, grandi e confusi come quelli di un bambino spaventato, limpidi di un azzurro leggerissimo, sporcato di rosa «Non voglio andarmene Demian, ok? Non lo so perché, sinceramente non ne ho assolutamente idea, so solo che voglio restare con te. Voglio che tu stia vicino a me, davvero non lo hai capito?» lo smarrimento che trasmetteva parlava per lui, per le sue labbra gonfie sigillate in uno straniante orrore. Arianna sentì il panico del fallimento «Quello che voglio non ha senso se non posso aiutarti. Se non posso fare niente per te, se stai così sulla difensiva… non devo essere un profeta per dirti che saremo infelici in due. E io non sono così forte, per questo voglio che scegli tu, anche se questo mi rende una vigliacca»

Lo liberò dalle sue mani, lasciò scivolare le dita sulla pelle bianca prima di ritrarsi, per sentirne il calore, assorbirlo, sentire che era vivo e pulsante, non un oggetto inanimato. Gli sorrise, fiaccamente «È tutto il giorno che mi tormento, ma non sono giunta a nulla oltre a questo. Perciò scegli tu, ma se scegli ch’io resti, allora devi rispettare le mie condizioni, perché che tu ci creda o meno, anche io ho paura» sollevò le spalle, per alleggerire quella confessione, sminuirla «Sono terrorizzata. E se devi stare sulla difensiva cercando di ferirmi per ogni minima cosa solo per proteggerti preventivamente, io non ce la faccio. Non sono una scalatrice, non posso assediare continuamente la stupida torre dove ti barrichi ogni volta che sbaglio a dire qualcosa!»

Demian era troppo tramortito per rispondere a quel fiume di parole, aveva l’aria di chi cercava di assimilarle, di venirne a capo. La fissava con un’intensità tale che Arianna lo sentiva, le gambe le avrebbero ceduto, forse per l’eccessiva vicinanza, perché restava lì, a poco più di una spanna da quel viso bellissimo e sciupato. Il ragazzo si morse le labbra, poi, esitante, sollevò la mano. Le sfiorò la guancia con la punta delle dita, con lentezza esasperante seguì la linea del suo profilo, la mandibola fino al mento, delicatamente. L’accarezzava con una dolcezza così struggente e ritrosa, che Arianna sentì il cuore batterle furiosamente. Non fosse stata del tutto sana, avrebbe giurato di essere ad un passo dall’infarto, non poteva credere che quell’organo potesse reggere tanta pressione, la pelle del viso bruciava come fosse rovente e si vergognava, perché Demian poteva sentirlo attraverso la punta gelida di quelle dita intirizzite dal freddo. Insieme all’eccitazione, provava una strana angustia

 

Mi tocca come se potesse rovinarmi.

Non puoi essere davvero tanto ingenuo, Demian

 

Era lusingata e oltraggiata, per quell’eccessiva delicatezza. Nel miscuglio di sensazioni che l’attanagliavano, si ritrovò a trattenere il respiro. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma era pietrificata. Quando Demian tornò a parlare, lo fece accostandosi al suo volto, in un sussurro leggero. Arianna sentì il fiato caldo, in contrasto con l’aria gelida, lambirle il collo e l’orecchio.

«Quindi, se accetto, rimani con me»

Le tremavano le mani, le strinse a pugno e raffazzonò un tentativo di risposta «Almeno per i prossimi tre mesi»

Cercò di suonare più spavalda di quanto non si sentisse, perché in quel momento le sembrava che il suo corpo fosse composto di gelatina pronta a sciogliersi.

«Allora è una promessa»

Riuscì a stento a borbottare un “Sì”, prima di ritrovarsi completamente spalmata contro di lui, in un abbraccio impetuoso a tradimento.

 

Qualunque cosa tu faccia, sembri sempre un disperato

 

Per assurdo, questo lo rendeva solo tenero. Sentiva la mano aperta sulla sua schiena, l’altra le premeva il capo contro il suo petto. Si sentiva avvolta completamente, quasi minuscola, con la sua guancia fra i capelli. Con l’improvvisa e soverchiante certezza che Demian sarebbe rimasto, gli gettò le braccia al collo e lo strinse con altrettanta forza, soddisfando il desiderio che l’aveva pervasa fin da quella mattina. La tensione ora sciolta minacciò di farla piangere ancora, ma si trattenne, perché era già sembrata sufficientemente matta, di una follia che non avrebbe potuto mai spiegargli senza spingerlo a scappare. Demian, nella sua stretta, si rilassò, abbandonò la postura rigida e sciolse i muscoli. Si aggrappò a lei come un bambino.

«Resta»

Gli passò una mano fra i capelli, intrecciò le dita a quella massa morbida.

«Resto»

 

Se dobbiamo scottarci, ustioniamoci

«Annie?» sussurrò ancora, in imbarazzo. Si scostò quel tanto sufficiente a guardarla, nonostante la sua altezza la osservava dal basso, intimorito, le fece scappare un battito, lo perse con una facilità così disarmante che quasi non le riuscì di crederci.

 

Seriamente, ma come ho fatto a non rendermi conto fin dall’inizio di quanto fosse bello? Anche con questi suoi occhi così strani, con questa sfumatura rosa che si vede solo standogli così vicino

Tutto di lui è tremendamente affascinante.

 

Era incredibile, come i suoi occhi parlassero, quando il suo muro si abbassava. Si poteva leggergli l’anima, in quello sguardo, con la giusta attenzione.

«Posso baciarti?»

L’impaccio era tale che Arianna riuscì solo a sorridergli sollevando gli occhi al cielo.

«Demi, hai l’iniziativa di un cucchiaino in una lavatrice!»

Lo vide crucciarsi, confuso, mordersi ancora la guancia con tutta la sua indecisione «Intendi lavastoviglie?» la corresse di nuovo, ed Arianna si sentì morire per l’imbarazzo dell’ennesimo errore

«Il punto è che stai lì a prendere acqua!»

Vedere le sue guance pallide arrossarsi le diede la perversa soddisfazione di essere in vantaggio.

«Io veramente…»

Non gli diede modo di concludere. Senza pensare, seguendo l’istinto, annullò la distanza che la separava dalle sue labbra ancora schiuse. Le sfiorò appena, morbide e carnose, vi sfregò contro le sue e fu pervasa da un brivido di eccitazione. Erano belle, delicate anche con la crosta del sangue coagulato, fu mossa dal desiderio di morderle ed invece si fermò, mantenne quel delicato contatto.

Non ricordava più come si respirasse, né le interessava, non sembrava più importante, come tutto il resto, alla luce delle sue labbra soffici e tiepide.

Chiuse gli occhi, troppo in imbarazzo per poterlo guardare, e posò la fronte contro la sua. Le punte dei nasi si sfioravano, così vicini, l’uno ad un soffio dall’altro, sentiva il respiro di Demian spezzarsi sulle guance accaldate.

«Non hai mai cercato di parlare così tanto» mormorò a stento, per giustificare quel suo gesto avventato. In attesa di una risposta che non sentiva arrivare, le palpebre sigillate per proteggerla dalla vergogna, percepì le mani di Demian prenderle a coppa il viso.

Questa volta fu lui a baciarla, con quella sua delicatezza eccessiva, angosciata. L’accarezzava piano, non la smetteva di toccarle il viso, faceva scivolare le dita lunghe sul collo, ma non si spingeva oltre, lambiva appena la sua bocca per discostarsene, in baci leggeri. Esasperata, Arianna si fece più audace, si lasciò andare a quel contatto e schiuse le labbra per invitarlo ad approfondire il bacio. La mano di Demian scivolò sul suo fianco, la attirò più stretta, le mancò il respiro.

 

Riesco a sentire il suo cuore

 

Batteva forte quanto il suo, sembrava stessero correndo una maratona insieme. Con un ultimo, lieve bacio a fior di labbra, Demian si separò da lei. Le sorrise, un sorriso vero, onesto e immenso. Osservò il suo canino storto, le rughe d’espressione intorno agli occhi strizzati in quel momento di puro, puerile entusiasmo. Era una felicità tanto piena da oscurare il volto segnato di lividi. Rapita dal momento, Arianna si sfiorò la bocca con la punta delle dita.

 

Non me lo immaginavo così. È stato… intenso

 

Era stata l’esperienza più inebriante della sua vita, la consapevolezza di un altro corpo, di un altro respiro, era stata schiacciante, quasi opprimente. Si guardò attorno, per riprendere contatto con la realtà. Realizzando dove si trovasse e come ancora Demian la stringesse, le venne da ridere. Si lasciò andare ad una risata sentita, quasi selvaggia, a cui il ragazzo rispose con perplessità.

«Che ti prende adesso?»

La sfumatura delusa rese la situazione ancora più divertente «Guardati intorno!» gli fece notare con ovvietà «La spiaggia, il mare… siamo praticamente dentro il più grande e banale dei cliché!»

Avvilito, Demian scrollò le spalle «Hai proprio una testa bacata» borbottò, ma in fondo trapelava una nota di divertimento che la fece sbilanciare.

«È vero, lo sai benissimo che ho ragione! Mi sento quasi banale. Sai che non ti facevo tipo da luoghi comuni?»

Il ragazzo le afferrò malamente la guancia tra il pollice e l’indice e la strattonò, provocandole un intenso bruciore e immediate lamentele «Così mi fai male!» si lagnò, e gli assestò una non troppo leggera gomitata allo sterno.

Demian sbuffò, le scompigliò i capelli lisciati dal vento e dalla salsedine, prima di allontanarsi e afferrarle la mano.

«Non ti lamentare. E comunque, sospetto che niente fatto da te potrà mai risultare un cliché!»

  
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