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Autore: Parmandil    11/01/2019    0 recensioni
La Guerra delle Anomalie imperversa ormai da due anni. La Federazione è frantumata in settori che non riescono più a comunicare fra loro e flagellata dagli attacchi dei Tuteriani. Le anomalie distruggono interi mondi, obbligando i federali a uno sforzo senza precedenti per accogliere e ridistribuire i profughi. Solo l’alleanza coi Klingon potrebbe dare alla Federazione il vigore necessario a prevalere.
Molte forze, però, cospirano contro l’unione. La tecnologia predittiva dei Tuteriani consente loro di pianificare le mosse vincenti. La stessa tecnologia sembra in mano a una specie appena giunta dal Quadrante Delta: i Krenim. L’antico sogno di Annorax, il dominio assoluto delle linee temporali, non è mai stato così vicino a realizzarsi. E nello sforzo di padroneggiare per primi il viaggio nel tempo, i nostri eroi potrebbero varcare una soglia insospettabile... ritrovandosi in uno Specchio oscuro.
Ma la sfida più inaspettata viene dal cuore della Federazione. Molti cittadini sono convinti che i Tuteriani non vadano combattuti, ma accolti come ogni altra specie. Avranno ragione? Il Movimento per la Pace Galattica ritiene di sì. I suoi esponenti sono pronti a immolarsi per il loro ideale di pace. La domanda è: quanti altri saranno immolati?
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klingoniani, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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-Capitolo 8: Chiaroscuro

 

   Il Capitano Chase entrò nell’obitorio dell’Enterprise. Il dottor Korris gli aveva appena comunicato il bilancio delle vittime e la sua prossima incombenza sarebbe stata scrivere le lettere alle famiglie. Ma prima voleva vederle con i suoi occhi. I corpi erano diciotto, disposti su tavoli. Erano coperti da teli bianchi con l’emblema della Federazione. C’erano le vittime delle decompressioni, che erano state recuperate dallo spazio, anche se due di loro mancavano ancora all’appello. E c’erano i morti per alcuni incidenti a bordo, verificatisi durante la battaglia.

   Ognuno di quei corpi sembrava a Chase un fallimento personale. Gli era già capitato di perdere degli ufficiali; succedeva in tempo di pace, figurarsi durante una guerra. Ma non poteva fare a meno di chiedersi se avrebbe potuto fare di più per salvarli. D’un tratto si accorse che non era l’unico a far visita. Anche Lantora era lì, in un angolo. Aveva una medaglietta fra le mani e la rigirava. Doveva essere la sua medaglietta d’iniziazione.

   «Capitano...» mormorò lo Xindi.

   «Tenente. Mi spiace che la sua gente abbia dovuto pagare un prezzo così alto» disse Chase. Su venti vittime – contando anche i due dispersi – cinque erano Xindi.

   «Poteva andare peggio» disse Lantora, cupo. «Quel condotto del plasma è esploso vicino al nido degli Insettoidi. E sul ponte degli Acquatici si è rotta una vetrata. Per fortuna i tecnici hanno provveduto prima che defluisse troppa acqua. Ma se non le dispiace, vorrei scrivere io le lettere per le famiglie Xindi». C’era una certa ostilità nella sua voce.

   «Certo» disse il Capitano. «Scusi l’intrusione, ora la lascio» aggiunse, avviandosi all’uscita.

   «No, vengo anch’io» si riscosse Lantora. Mise la medaglietta in tasca e lo seguì, evitando il suo sguardo. Sembrava che ce l’avesse con lui, o forse con se stesso.

   «Lantora».

   «Sì, Capitano?».

   «So cosa sta pensando» disse Chase. «Si sente in colpa perché T’Vala l’ha stordita. Pensa che, se gliel’avesse impedito, forse l’Enterprise sarebbe stata più preparata contro i Krenim. Ma non è così. Grenk aveva già infettato Terry e nessuno poteva aspettarsi che lui e T’Vala fossero sabotatori. Lei non ha nulla da rimproverarsi».

   «Non è quello» disse Lantora, cercando di andarsene.

   «E allora cos’è?» domandò Chase, frapponendosi tra lui e la porta.

   Lantora fu sul punto di scostarlo per passare. Si trattenne, ma gli rifilò un’occhiata tagliente. «Capitano, ricorda il nostro primo incontro?».

   «Certo, allo Zero Point Memorial in Florida» annuì Chase.

   «Lei mi disse che la guerra contro i Costruttori stava arrivando. E infatti di lì a poco li trovammo nella Macchia di Rovi. Ricorda anche cosa accadde nel Collettore Subspaziale?».

   «Certo; perché me lo chiede?».

   «Perché i Tuteriani possono prevedere le linee temporali» disse Lantora con rabbia. «Secoli fa convinsero il mio popolo ad attaccare preventivamente la Terra, sostenendo che altrimenti voi Umani ci avreste annientati. E quando siamo andati nel Collettore, la Messaggera ci ha ripetuto la stessa cosa: che gli Umani distruggeranno Nuova Xindus. Ci ha persino mostrato le linee temporali in cui accadeva».

   «Sì, ricordo quegli ologrammi» annuì Chase. «Dove vuole arrivare?».

   «Ho sempre pensato che fosse un’assurdità. Gli Umani non distruggono pianeti...» disse Lantora.

   «... finora» completò Chase.

   «Esatto, finora» annuì lo Xindi. «Sua sorella Helen ha distrutto Khitomer. So che era un’esaltata, in un’organizzazione di esaltati. So che non posso incolpare tutta la vostra gente. Ma resta il fatto che un’Umana ha distrutto un pianeta. E se è successo una volta...».

   «... può succedere di nuovo» disse Chase. «So cosa intende. Qualche frangia radicale Umana potrebbe distruggere Nuova Xindus».

   «Sembra assurdo, lo so. Ma è anche assurdo che un movimento pacifista distrugga Khitomer... però è successo» disse Lantora. «Ormai gli strumenti per distruggere pianeti non mancano. Dispositivi Genesis, Molecole Omega, Materia Rossa... la tecnologia ha creato tutti questi strumenti di morte e c’è sempre qualcuno abbastanza folle da usarli».

   «Devo darle ragione» sospirò Chase. «Abbiamo creato armi così potenti che possiamo distruggerci da soli. Siamo abbastanza intelligenti da costruirle e abbastanza stupidi da usarle. Ma che si può fare? Una volta inventati, questi ordigni non si possono più cancellare. Bisogna conviverci. E molti ci sono serviti per respingere i Tuteriani, che – loro sì – vogliono sterminarci».

   «Ci vogliono più controlli» disse Lantora. «A voi Umani piace ripetere che, da quando esiste la Federazione, la vostra specie è cambiata. Dite che fra voi non esistono più la violenza, l’avidità, l’invidia. Dite di lavorare solo per il progresso. Ma ci sono parecchie colonie fallite che dimostrano il contrario. La vostra specie non è cambiata, Capitano, come non sono cambiate le altre. Tutti noi nasciamo ancora col retaggio di un’evoluzione spietata, di una lotta all’ultimo sangue per la sopravvivenza. La civiltà può assopire quegli istinti, ma prima o poi riaffiorano. Ci vuole un niente a farci diventare dei killer. Solo che, invece di colpirci con sassi e clave, adesso distruggiamo i pianeti!».

   Lantora aveva parlato con sempre più foga, ma alla rabbia si stava sostituendo la frustrazione. Si sentiva impotente contro tutte queste minacce. «Capitano, io temo per il mio pianeta. Che accadrà se la prossima Helen deciderà che sono gli Xindi la causa di tutti i guai?» chiese, quasi implorante.

   «Allora lotteremo per difenderli» disse Chase, mettendogli una mano sulla spalla. «Finché questa nave non andrà in pezzi, saremo il loro baluardo. Difenderemo Nuova Xindus. Difenderemo la Terra. Difenderemo ogni pianeta possibile, fino al limite delle nostre forze. Lo giuro».

 

   L’USS Pioneer, di classe Mjölnir, uscì dalla cavitazione nell’orbita di Khitomer e si affiancò all’Enterprise. Era una nave di dimensioni ragguardevoli, lunga 625 metri, ma di fianco all’ammiraglia sembrava piccola e insignificante. L’hangar, localizzato nella testa a martello, si aprì, lasciando uscire la Phoenix. La navetta sperimentale mosse rapidamente verso l’hangar 5 dell’Enterprise, che si apriva ad accoglierla. Durante il breve tragitto, T’Vala e Grenk osservarono costernati la superficie ribollente di Khitomer.

   «Credevo che nulla superasse gli orrori dello Specchio... ma mi sbagliavo» mormorò T’Vala. «C’era un miliardo di persone, lì». L’entità della catastrofe le mozzava il fiato.

   «Hai visto il discorso di Helen?» chiese Grenk.

   «Nel mio alloggio, subito prima che arrivassimo nel sistema» annuì T’Vala.

   «Anch’io. Lo stanno ritrasmettendo su tutte le frequenze» disse Grenk. «Non so come abbiano fatto quegli esaltati a mettere le mani su un Dispositivo Genesis. Di certo l’hanno assemblato male... ma anche se avesse funzionato perfettamente, avrebbe ucciso tutti. Quegli aggeggi sono progettati per l’uso su mondi disabitati».

   «Helen Chase... è la sorella del Capitano, vero?» disse T’Vala, scambiando un’occhiata col collega. «Non è un’omonimia».

   «No, non lo è» sospirò Grenk. «Povero Capitano... non oso immaginare come l’abbia presa».

   «Ha una mente forte, per un Umano... ma una cosa del genere schiaccerebbe chiunque» commentò T’Vala. «Immagino ci sarà un’inchiesta. Come se non bastassero i problemi che ha già!» esclamò, portando la navetta nell’hangar.

   «Il prossimo problema saranno i Klingon» notò Grenk, leggendo il rapporto dei sensori. «Si sono ritirati ai margini del sistema. Dopo quel che è successo, non oso immaginare come reagiranno».

   T’Vala non rispose. Eseguì l’atterraggio, mentre il portone si richiudeva dietro la Phoenix. I due ufficiali spensero i motori e uscirono dalla navetta, proprio mentre Chase e Lantora entravano nell’hangar.

   «Capitano!» disse Grenk, quasi correndogli incontro. «Come sono felice di vederla... pur in questo orribile frangente».

   «Anch’io sono lieto di riavervi» disse Chase, con un sorriso stanco. Aveva l’aria di chi non dorme da un pezzo. «Quando abbiamo capito che quelli erano i vostri doppioni, abbiamo temuto di non rivedervi più. Siete sopravvissuti allo Specchio... un’impresa che pochi possono vantare».

   «La nostra fuga ha avuto un prezzo» gli rammentò T’Vala.

   «Sì, il Capitano della Pioneer ci ha informati che siete arrivati a New Bajor con una vittima» disse Chase tristemente. «La Neelah dello Specchio... mi dispiace».

   «Oltre a lei, c’eravamo proprio tutti laggiù?» chiese Lantora, incuriosito.

   «Tutti quanti, ma alcuni si sono uccisi a vicenda durante la nostra permanenza e altri abbiamo dovuto eliminarli noi» rispose T’Vala, lasciandolo di stucco. «Anche le sorti dell’ISS Enterprise sono incerte. Quando ce ne siamo andati era assalita dai Breen e non sappiamo se abbia resistito».

   «Se vuole i dettagli, troverà tutto nei nostri rapporti» aggiunse Grenk, consegnando un d-pad al Capitano.

   «Sì, li leggerò quanto prima» assicurò Chase.

   «Capitano, io... non so che dire per l’incidente» mormorò l’Ingegnere. «Non mi sarei mai aspettato che la Phoenix ci portasse nello Specchio. Ma è successo, e me ne assumo la responsabilità. Se fossimo stati con voi durante la Battaglia, forse le cose sarebbero andate diversamente. Almeno l’Enterprise non avrebbe lanciato quei siluri» disse mortificato.

   «I siluri li abbiamo dirottati in tempo» rispose Chase. «Quanto a Khitomer, non avreste potuto fare niente. E, Grenk... non la incolpo dell’incidente. Nessuno poteva prevederlo. Semmai dovrei congratularmi: avete riportato indietro la Phoenix, e coi vostri rapporti saremo aggiornati sull’Impero Terrestre» disse, sollevando il d-pad. «Magari fossimo stati così brillanti anche qui. Invece, come potete vedere, è tutto un macello. Khitomer, i Krenim... e mia sorella. Non so come ne usciremo» ammise.

   Scese un silenzio imbarazzato. Grenk e T’Vala non avevano mai visto il loro Capitano così stanco e sconfortato, e non sapevano che dire per rincuorarlo.

   «Se la Flotta desidera interrogarci più a fondo sullo Specchio, siamo pronti a collaborare» disse infine T’Vala.

   «Mi sa che non ci vorrà interrogare solo su quello» disse Grenk, occhieggiando la Phoenix. «Su New Bajor tutti hanno notato il suo aspetto insolito. Ci tempestavano di domande. Gli abbiamo raccontato dello scafo in lega molecolare, tacendo il viaggio nel tempo. Ma temo che ormai ci siano olografie e rapporti sulla Phoenix. La Sezione 31 non sarà per nulla contenta» disse spaventato.

   «La Sezione 31 dovrà ingoiare il rospo» ribatté Chase seccamente. «Per adesso abbiamo altri problemi. Dobbiamo... a proposito, voi due come state? Siete andati in infermeria, su New Bajor? Sennò vi mando subito da Korris».

   «Stiamo bene, Capitano. C’erano degli ottimi medici, laggiù» assicurò Grenk. «Ci hanno visitati da cima a fondo. E durante il viaggio di ritorno, i medici della Pioneer ci hanno visitati ancora».

   «Bene, allora la metto subito al lavoro» disse Chase. «L’Enterprise ha subito danni nell’attacco Krenim. Deve rimetterla in sesto prima che tornino i Klingon».

   «E della Phoenix che facciamo?» chiese Grenk.

   «Quella starà qui per un po’, finché avremo risolto gli altri problemi» disse Chase.

   «Farò chiudere quest’hangar e aumenterò la sorveglianza» garantì Lantora.

   «Ricordi di sigillare anche i tubi di Jefferies» consigliò T’Vala. «È così che abbiamo ripreso la Phoenix, nello Specchio».

   «A proposito di navette temporali, guardate un po’ qui» disse Chase, toccando un interruttore sulla parete. Si udì un fruscio elettronico e una sagoma sfarfallò davanti a loro. Un raggio occultante, proiettato all’interno dell’hangar, si disattivò, rendendo visibile una seconda navetta temporale, identica alla prima.

   «Il Basilisk!» gioì Grenk. Lo emozionava avere due navette temporali, anche se erano identiche. «È questo la causa di tutto. Un esperimento condotto simultaneamente con le due navette ha prodotto lo slittamento».

   «Le probabilità dovevano essere infinitesimali» commentò Lantora.

   «Penso che solo Terry possa calcolarle. A proposito... dov’è?» chiese Grenk, stupito di non vederla lì. «Ehi, Terry, che succede? Sei troppo indaffarata per mandarci una proiezione?».

   Chase e Lantora si scambiarono uno strano sguardo, che non sfuggì ai nuovi arrivati. «Che succede? Ci sono problemi con Terry?» chiese Grenk, sentendo un nodo allo stomaco.

   «Sa che il suo sosia ha sabotato l’Enterprise, per lanciare i siluri» disse Lantora. «Quel che non sa, è che ha inserito un virus nel programma di Terry».

   «Che?!» gridò il Tellarita, come se l’avessero colpito al cuore.

   «Abbiamo rischiato di perderla e ora è attiva al minimo» confermò Lantora. «La sua unica proiezione isomorfa è nella sala del processore. I Bynari e gli altri ingegneri ci stanno lavorando. Sperano di riparare il danno causato dal suo sosia...».

   «Quel pezzo di dren! Perché non l’avete catturato? Yotz!» inveì Grenk, torcendosi le mani. «Adesso torno nello Specchio e lo strozzo!» disse, marciando verso la Phoenix.

   «Si calmi!» disse Chase seccamente.

   «Già, è strano sentirla inveire contro se stesso» aggiunse Lantora, un po’ divertito.

   «Non me, il mio grezzo doppione!» sbottò Grenk.

   «Non puoi raggiungerlo, ora» disse T’Vala, trattenendolo per un braccio. «Però puoi salvare Terry... e forse tutti noi. L’Enterprise non può affrontare un’altra battaglia con un computer malridotto».

   «Sì, vado» annuì Grenk, rabbonito. «Capitano... le farò sapere al più presto» si congedò, e corse via con uno scatto notevole per la sua mole.

   «È un grande ingegnere... è solo molto emotivo» cercò di giustificarlo T’Vala, quando fu uscito.

   «Lo siamo tutti, in questi giorni» sospirò Chase. «Ma siamo ufficiali della Flotta Stellare e abbiamo dei doveri. Ora anch’io tornerò ai miei. Ma lei, T’Vala, si prenda un giorno o due di riposo. Ho sentito che ha sofferto molto, nell’infermeria dell’ISS Enterprise».

   «Posso riprendere servizio...».

   «È un ordine. Lei è un’eccellente timoniera, ma ne abbiamo altri. Lasci fare qualcosa anche a loro, così non andranno giù di morale» sorrise Chase, conciliante.

   «Sì, Capitano. Grazie» disse T’Vala.

   Chase riattivò l’occultamento per nascondere il Basilisk e fece lo stesso anche con la Phoenix. L’hangar 5 sembrava vuoto. I tre ufficiali uscirono, lasciando una squadra della Sicurezza a piantonare l’ingresso. Chase lo sigillò con un codice e tornò in plancia, mentre Lantora si attardò con T’Vala.

   «Ha detto che c’eravamo tutti nello Specchio» ricordò lo Xindi, mentre percorrevano il corridoio. «C’ero anch’io?».

   «Sì» confermò T’Vala. «Ma temo che il suo alter-ego sia stato ucciso. Ha cercato di assassinare il Capitano per prenderne il posto, ma gli è andata male».

   «Sul serio?» fece Lantora, sconcertato.

   «Uh-uh» annuì T’Vala. «Sono cose piuttosto frequenti, sull’ISS Enterprise. Comunque non sia troppo in pena per il suo... gemello. Non era una brava persona, e non mi riferisco solo all’ammutinamento» disse con distacco.

   «Perché, che altro ha fatto?» si preoccupò lo Xindi. Entrarono nel turboascensore.

   «Computer, ferma» disse T’Vala. «Vuole proprio saperlo? Tanto per cominciare, mi ha molestata. Proprio in un turboascensore come questo» precisò, calmissima.

   «Oh, m-mi spiace» farfugliò Lantora.

   «Lei si sente in colpa, ma non deve. Non è stato lei. Stiamo parlando del suo doppione, una persona distinta» lo rassicurò T’Vala.

   «Beh, mi scusi lo stesso» disse Lantora, imbarazzato. «Sa, anche la sua gemella non era una santerellina».

   T’Vala alzò un sopracciglio con aria interrogativa.

   «Quando lei e Grenk hanno sabotato Terry, io li ho raggiunti nella sala del processore» spiegò Lantora. «La sua sosia temeva che li scoprissi, e per distrarmi... beh...». Esitò, temendo che la mezza Vulcaniana non avrebbe apprezzato una battuta.

   «La mia sosia l’ha molestata?» chiese T’Vala, sgranando un po’ gli occhi.

   «No, ma che dice, faceva solo la svenevole!» minimizzò Lantora, ma stava arrossendo. «Alla fine mi ha steso con la Presa al Collo. Stupido io a farmi sorprendere, ma... proprio non me l’aspettavo» ammise.

   «I nostri doppioni erano creature infide, mosse da istinti primari» commentò T’Vala. «Ma forse li capirà meglio, sapendo che nello Specchio avevano una relazione».

   «Ah, si?» fece Lantora con un filo di voce.

   «Già. Lantora aveva una relazione con T’Vala, ma anche con Ilia, che era la Donna del Capitano. Ilia ha tradito Chase per Lantora, ma dopo la sua morte potrebbe essere tornata col Capitano, se non l’ha giustiziata».

   «Caspita, che olonovela» commentò lo Xindi. «Immagino che fossero tutte relazioni strumentali».

   «Credo di sì, anche se fra i nostri doppioni forse... no, lasci perdere» s’interruppe T’Vala.

   «Eh no, adesso deve vuotare il sacco. Che c’era fra i nostri doppioni?» insisté Lantora.

   «Ecco, il Lantora-Specchio mi chiamava imzadi. È un termine betazoide, che esprime un concetto molto intimo. Gli imzadi sono amanti non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. Per quanto il suo doppione fosse un essere rozzo, non credo che usasse quel termine del tutto a sproposito. Penso che quei due fossero imzadi, per quanto glielo consentiva la loro natura».

   Per lunghi momenti, Lantora e T’Vala si fissarono senza parlare. Le implicazioni erano evidenti. Se i loro omologhi erano imzadi, allora anche loro dovevano essere compatibili...

   «Naturalmente le scelte dei nostri doppioni non ci riguardano» disse Lantora, cercando di suonare distaccato.

   «No, infatti. Sono del tutto irrilevanti» confermò T’Vala, nello stesso tono.

   «Lei sale o scende?» chiese Lantora, accennando al turboascensore ancora fermo.

   «Salgo, ma solo fino al ponte 7, dov’è il mio alloggio» rispose T’Vala.

   «Io vado in armeria, sa, per fare l’inventario» disse Lantora, riavviando il turboascensore. Per il resto della loro permanenza nel piccolo vano restarono zitti, fissando il pavimento, e al momento di separarsi si salutarono con molta discrezione.

 

   «Ci siamo quasi» disse Grenk, digitando un complesso codice informatico sullo schermo olografico azzurro che gli galleggiava davanti. Era una proiezione ricurva, semicilindrica, che lo avvolgeva parzialmente. Altri schermi più piccoli lo circondavano sugli altri lati. Strisce di dati luminosi se ne dipartivano, formando lunghe stringhe, che percorrevano la sala del processore. I Bynari e altri esperti informatici vi apportavano piccole aggiunte, passando da una stringa all’altra, da uno schermo all’altro. Se qualcuno digitava un codice che andava sistemato da un’altra parte, lo appallottolava e lo lanciava come una palla da baseball attraverso la stanza. Un collega lo afferrava al volo, lo svolgeva e lo incastonava al suo posto. Schermi e strisce erano impostati su vari colori, a seconda di quale parte di Terry descrivevano.

   Era strano vedere una decina di super-esperti informatici che, all’apparenza, si baloccavano con pezzi di codici colorati. In realtà stavano eseguendo un lavoro estremamente complesso. Parlavano poco, comunicando soprattutto attraverso i codici che si scambiavano in continuazione. Ogni intervento sul programma del computer era segnalato da un bip, perciò il vasto salone risuonava continuamente di quel rumore.

   «Ecco... la parte più delicata...» mormorò Grenk, sudando freddo. Le sue dita tozze si mossero velocissime, digitando una complicata sequenza di cifre e simboli matematici. I bip si susseguirono uno dietro l’altro.

   «Wow, mi sento strana» disse Terry, mentre la sua proiezione sfrigolava, assorbendo i nuovi dati. Fino ad allora aveva collaborato attivamente con i tecnici. Adesso però se ne stava immobile, a occhi chiusi, assorbendo le istruzioni finali. Poteva sentire i nuovi codici che si combinavano e si attivavano dentro di lei. I frammenti dei codici danneggiati erano rimossi, così come ogni residuo del virus. Il suo programma stava guarendo... si riallineava, aprendosi a nuove possibilità.

   «Così dovrebbe andare» disse Grenk, terminando la sequenza finale. Gli dette l’avvio e stette a guardare, mentre le stringhe di dati si avvolgevano velocissime, confluendo in nuove strutture tridimensionali, che pulsavano di mille colori. Era il cervello di Terry, dell’Enterprise, reso visibile per via olografica.

   Gli indicatori sulle pareti entrarono in attività: le spie brillarono, i grafici s’impennarono, i microfoni fecero bip-bip. Terry s’irrigidì e spalancò gli occhi, che splendettero per un attimo di luce bianco-azzurra. Poi tornarono normali, mentre gli indicatori si quietavano. «È stata una sensazione... notevole» commentò Terry, guardandosi come per accertarsi di essere tutta d’un pezzo. «Un po’ come nascere una seconda volta».

   «Ma stai bene?» chiese Grenk con apprensione.

   «Direi proprio di sì» rispose Terry. «Lancio una scansione con il nuovo antivirus, per sicurezza, ma sento di essere tornata a posto. Grazie di tutto» aggiunse, sorridendogli con gratitudine.

   «Il suo modo di risolvere il problema è stato brillante» commentò il Bynario 0.

   «Già, si è comportato come se sapesse fin da subito cosa fare» aggiunse il Bynario 1.

   «In un certo senso, lo sapevo» spiegò Grenk. «Quel virus era molto simile a quello che io ho usato per disattivare Trudy, la versione Specchio di Terry. Quindi sapevo come eliminarlo. Per fortuna lo avete fermato prima che le divorasse tutto il programma».

   «Mi avete salvata, in quel momento» disse Terry, carezzando 0 e 1 sulle teste calve, dato che erano molto più bassi di lei. «Non ero mai stata male, prima. Ora capisco cosa provano gli Organici quando si ammalano. È orribile!» rabbrividì.

   «L’importante è che sia passato» la rassicurò Grenk. «Come ti senti adesso, sei operativa?».

   «Operativa al 100%!» confermò Terry. «Invio subito alcune mie proiezioni per aiutare gli ingegneri con le riparazioni».

   «Nei prossimi giorni torneremo qui a lavorare sul tuo programma» decise Grenk. «Sai, negli ultimi tempi mi erano venute diverse idee per migliorarlo. Penso che questa sia l’occasione giusta. Firewall, crittografie, antivirus... raddoppieremo la tua resistenza alle intrusioni!» assicurò.

   «Sarebbe ottimo» disse Terry. «Con l’inasprirsi della guerra ne avremo bisogno».

 

   L’alloggio di T’Vala non era tra i più spaziosi dell’Enterprise, ma lo si poteva senz’altro definire confortevole. Ricordi di Betazed e di Vulcano si alternavano sui mobili e sulle pareti, a rammentare le sue due patrie. Il soggiorno era in penombra, adesso. Lo rischiaravano deboli luci arancioni negli angoli e una lampada da meditazione vulcaniana, posata su un tavolino molto basso. Lì davanti, T’Vala sedeva a gambe incrociate su un tappetino, scalza e in pigiama azzurro. Si sforzava di meditare, come le era stato insegnato su Vulcano, ma senza molto successo. Troppi pensieri la distraevano. Dopo i traumi vissuti nello Specchio avrebbe voluto ritrovare un po’ di serenità. Ma soffocare le emozioni connesse a quell’esperienza le sembrava ingiusto nei confronti di Neelah.

   Un doppio bip dall’ingresso segnalò che qualcuno chiedeva di entrare. T’Vala sapeva chi era, avendola invitata. Spense la lampada con un soffio. «Avanti» disse. Mentre la porta si apriva, T’Vala si alzò e venne incontro all’ospite.

   «Salve, Tenente» disse Neelah, indugiando sulla soglia. «La disturbo?» chiese, notando la lampada ancora fumante.

   «Niente affatto, l’aspettavo. Prego, entri» la invitò T’Vala cortesemente.

   Neelah si avventurò in quello strano alloggio, pieno di simboli filosofici e manufatti alieni. «Stava meditando» constatò.

   «Ci provavo, ma senza molta fortuna» sorrise T’Vala. «Di regola lo faccio tutte le sere. Ma nei giorni passati sulla ISS Enterprise non ne ho avuto il tempo e adesso fatico a ricominciare».

   «Vale la pena di farlo tutti i giorni?» chiese Neelah, scettica.

   «Oh, sì; ha effetti molto salutari» sostenne T’Vala. «Aumenta le connessioni nervose nel cervello, migliora il sistema immunitario, placa le emozioni negative. La meditazione vulcaniana profonda aumenta persino l’aspettativa di vita».

   «Ecco come mai campate più di due secoli!» ridacchiò Neelah, un po’ ironica. «Sa, sto conducendo una ricerca sulla rigenerazione Borg. Credo che garantisca tutti questi risultati, in modo più efficiente. Se le interessa, sono in cerca di volontari».

   «Per farmi installare un nodo corticale nel cervello? No, grazie» disse T’Vala, con garbata decisione.

   «Peccato» commentò Neelah, con una punta di delusione. «Allora, potrei sapere la ragione di quest’invito?».

   «Ho sentito che si è scontrata con la mia sosia dello Specchio» cominciò T’Vala, volendo introdurre per gradi l’argomento.

   «Ah, sì, ma ora sto bene» disse Neelah, un po’ a disagio. «La sua controparte, invece, temo proprio di no. Il dottor Korris la tiene sotto osservazione nel reparto di rianimazione, ma dubita che si risveglierà. Ha riportato gravi danni neurologici» spiegò, dispiaciuta.

   «Non si senta in colpa» la rassicurò T’Vala. «Mi hanno informata di quel che la mia sosia stava cercando di fare. Se quei siluri avessero colpito la nave del Cancelliere, sarebbe stata la catastrofe. Perciò non deve rimproverarsi nulla: si è comportata logicamente».

   «Lo so» sospirò Neelah. «Comunque, se la vuol vedere, sa dove trovarla».

   «Penso che domani le farò visita» annuì T’Vala. «Mi tolga una curiosità, come ha fatto a smascherarla?».

   «I primi sospetti mi sono venuti quando le ho chiesto una rivincita» spiegò Neelah. «Parlavo del kal-toh, ma lei non lo ricordava. E in generale mi trattava in modo strano, come se non mi conoscesse».

   «Sì, posso capirlo» disse T’Vala, riflettendo su quanto la Neelah dello Specchio differisse da quella che aveva davanti. «Comunque mi complimento per la sua vittoria. Sono piuttosto esperta nelle tecniche di lotta e probabilmente la mia sosia lo era ancora di più, visto l’ambiente in cui viveva. Ma lei ha avuto la meglio». Ora che le stava vicina, T’Vala notò che Neelah era più alta e atletica rispetto alla sua alter-ego. Fino ad allora non aveva immaginato che l’Aenar si fosse alterata così profondamente. Le metteva i brividi, pensare a Neelah che si modificava il DNA o s’iniettava nanosonde per sopperire alle debolezze congenite, senza avere un’idea chiara di quando fermarsi.

   «Beh, non è stato facile» ammise Neelah. «La sua sosia mi ha fatto la Presa al Collo, sa? È parecchio dolorosa».

   «Ha subìto la Presa al Collo vulcaniana ed è rimasta cosciente?» chiese T’Vala, ancora più inquieta.

   «È un accorgimento che ho preso tempo fa» spiegò Neelah, in tono modesto, anche se in fondo era compiaciuta. «Comunque ho vinto più che altro con la telepatia».

   «Uhm... stia attenta quando sperimenta sul suo cervello. Se qualcosa andasse storto, non ne ha uno di ricambio» ammonì la mezza Vulcaniana.

   «Grazie dell’interessamento, ma prendo sempre precauzioni» assicurò l’Aenar. «Allora, voleva parlarmi solo di questo o c’è dell’altro?» chiese in tono sospettoso. Le sue antenne oscillavano.

   «C’è altro» confermò T’Vala. «Anch’io ho incontrato la sua omologa, nello Specchio».

   «L’altra Neelah, sì. Grenk me ne ha parlato» fece l’Aenar, turbata. «So che era cieca, e nonostante questo vi ha aiutati a evadere».

   «Si è messa in pericolo per aiutarci» spiegò T’Vala. «È stata colpita mentre entrava nella Phoenix e ha resistito abbastanza da raggiungere il nostro Universo... ma non ha potuto vederlo» disse, chinando il capo addolorata.

   «Mi dispiace» mormorò Neelah. Quella situazione la metteva in difficoltà. Si era sempre considerata unica, e adesso scopriva di avere una controparte... simile nell’aspetto, ma diversa nel carattere e nelle esperienze di vita. Una controparte che era stata uccisa. «Se fosse vissuta, mi sarebbe piaciuto conoscerla... e magari aiutarla con la vista» disse, anche se in realtà non sapeva come avrebbe reagito di fronte a una sosia.

   «Sarebbe piaciuto anche a lei» sospirò T’Vala. «L’esperienza nello Specchio mi ha fatto riflettere su quanto dipendiamo dalle circostanze della nostra vita. Non credo che i nostri sosia fossero mentalmente diversi da noi, eppure vivere in quella dittatura li ha resi spietati. Tutti tranne Neelah; lei era un angelo» disse.

   «Quindi... sarei io la perfida?» chiese Neelah, interdetta.

   «Non volevo dire questo» assicurò T’Vala, anche se il pensiero l’aveva sfiorata. Non che la Neelah davanti a lei fosse perfida... però era arrogante, testarda e pericolosamente incline all’eugenetica. Tutto l’opposto della Neelah timida e remissiva dello Specchio. «Comunque l’altra Neelah mi ha dato qualcosa, prima di morire. Qualcosa che voleva consegnassi a lei» rivelò T’Vala.

   «Di che si tratta?».

   «Una parte di sé: ricordi, emozioni, speranze. È pronta a riceverli?».

   «Non ne sono sicura» rispose Neelah, sempre più nervosa. «È già abbastanza complicato gestire la mia vita così com’è. Non so come farei, coi ricordi di un’altra».

   «Ma l’altra Neelah voleva che glieli trasmettessi. Ha detto che sarà come se vi foste conosciute... sono state le sue ultime parole. E finché lei vivrà, continuerà a esistere qualcosa della sua alter-ego» insisté T’Vala.

   «Gliela ricordo in ogni momento, vero?» sussurrò Neelah.

   T’Vala annuì in modo appena percettibile. «Allora, desidera quei ricordi? Sarà necessaria una Fusione Mentale» avvertì.

   «So come funziona» disse Neelah. «Quand’ero ragazza, la Sezione 31 ha fatto qualche... esperimento su di me. Volevano testare le mie capacità. Ho effettuato Fusioni Mentali con Vulcaniani, tra le altre cose».

   «Quindi ha familiarità col procedimento» commentò T’Vala, rincuorata.

   «Uhm. Quando lasciai la Sezione 31, mi ripromisi di non fare mai più una Fusione» spiegò Neelah, rabbuiata.

   «Perché?».

   «Non se la prenda, ma... detesto l’idea di avere un’altra persona nella mia testa» spiegò l’Aenar. «Persino nella lotta con l’altra T’Vala sono riuscita a tenerla fuori dai miei pensieri. Ma stavolta dovrò farla entrare volontariamente» disse, inazzurrendosi per l’imbarazzo.

   «Non sono male intenzionata come quell’altra» osservò T’Vala.

   «Certo, lo so. È solo che... insomma... i pensieri dovrebbero restare privati. Lo so che è strano, detto da una telepate, ma...».

   «Capisco perfettamente» assicurò T’Vala. «Da quando la conosco, tutte le volte che mi ha parlato telepaticamente ha sempre trasmesso il minimo indispensabile, schermando la sua mente da ogni ulteriore lettura. È un atteggiamento prudente, direi anche logico. Ma consideri che, in questa Fusione, sarò impegnata a trasmettere e non riceverò granché. Ad ogni modo, le prometto la massima riservatezza» promise.

   «Va bene, facciamolo» si arrese Neelah. «Dobbiamo sederci, vero?» chiese, dando un’occhiata al tappetino da meditazione.

   «Sarà più comodo» sorrise T’Vala, sedendo come prima a gambe incrociate.

   Neelah ebbe un ultimo istante d’esitazione. Ma ora che aveva dato l’assenso, e che T’Vala l’aspettava, era sciocco restare in piedi. Sedette davanti a lei, nella stessa posizione.

   «Pronta?» chiese T’Vala.

   «Certo!» rispose Neelah, ostentando sicurezza, ma non occorreva essere telepati per capire che fingeva.

   «Allora cominciamo» disse T’Vala, incoraggiante. «Respiri a fondo, cerchi di calmare la mente. Non faccia resistenza... anche perché, con la forza che ha, mi concerebbe male» aggiunse.

   Neelah annuì e chiuse gli occhi, rallentando la respirazione. Con calma, T’Vala le posizionò la mano destra sul lato del viso, puntando accuratamente le dita. «La mia mente nella sua mente. I suoi pensieri nei miei pensieri. Le nostre menti si fondono. Le nostre menti... sono... una sola» recitò la mezza Vulcaniana, aggrottando la fronte nella parte finale. Sebbene Neelah avesse dato l’assenso, la sua mente ebbe un istintivo moto di protezione. Ma quando l’Aenar la riaprì, con un atto volontario, T’Vala riuscì a entrare. E fu sbalordita dalla potenza del cervello di Neelah. La dottoressa era nettamente più forte della sua omologa dello Specchio. Molto più istruita e sicura di sé. Ma, notò T’Vala, era quasi altrettanto sola.

   Negli anni trascorsi sotto la tutela della Sezione 31, l’Aenar non aveva avuto vere amicizie. Aveva imparato a dividere le persone in due gruppi, Innocui e Pericolosi: con i primi non sprecava tempo e dai secondi si teneva alla larga. Dopo aver lasciato la Sezione 31 aveva visto molte cose, ma nulla che le facesse cambiare idea. E sebbene in pochi anni fosse diventata una ricercatrice affermata, continuava a non avere un’idea precisa di cosa fossero gli affetti. La competizione, invece... quella la capiva benissimo. C’erano sempre vincitori e vinti, c’era chi dava ordini e chi li eseguiva. Tutti i legami personali non le sembravano altro che rapporti di forza e di debolezza; mai di parità.

   Ricordando che le aveva promesso di non indugiare nei suoi pensieri, T’Vala cominciò a trasmettere. Tutto quel che l’altra Neelah le aveva dato – ricordi, sogni, sentimenti – fu riversato nella mente della dottoressa. Data l’intensità del legame telepatico, non ci volle molto a consegnare tutto. E quando ebbero finito, T’Vala si sentì meglio. Non aveva dimenticato quel bagaglio, ma riusciva a vederlo con più distacco, avendo svolto la sua missione di “postina”.

   «Le nostre menti si separano... sono di nuovo due» disse T’Vala, interrompendo il contatto.

   «Gasp!» ansimò Neelah, scattando all’indietro. Quasi si rovesciò sul tavolino. Annaspò in cerca d’aria; aveva le lacrime agli occhi. «Non... credevo... che!» boccheggiò.

   «Che sarebbe stato così intenso? Il transfert emotivo è una conseguenza della Fusione Mentale» spiegò T’Vala, sempre composta. «I sentimenti della sua omologa erano intensi. E temo che lei abbia assorbito un po’ anche i miei. Vede, l’altra Neelah era mia amica. La sua morte è stata... devastante» ammise.

   «Lo so!» gemette Neelah, raddrizzandosi. Cercò di calmare il respiro e il battito cardiaco. Di solito controllava entrambi con facilità, ma stavolta ci mise un pezzo a rallentarli. «Che vita orribile ha avuto! Però... sono contenta che mi abbia affidato questa parte di sé» ammise. Scrutò T’Vala con sospetto. «Ha percepito qualcuno dei miei ricordi?».

   «Alcuni sì, era inevitabile».

   «Quindi sa...» gracchiò Neelah, diventando azzurrina.

   «So che è cresciuta senza affetti e me ne dolgo. Ma come le ho detto, resterà fra noi» promise T’Vala.

   «Sarà meglio» disse Neelah, mentre si rialzavano. L’Aenar era ancora sottosopra. «Sa, è buffo» disse. «Io e la mia... gemella abbiamo avuto vite praticamente opposte, ma nessuna di noi ha conosciuto l’amicizia o l’amore. Ora lei è morta, e io... anche se li trovassi, non credo che saprei riconoscerli» confessò.

   «Ne sente la mancanza?» chiese T’Vala.

   «Fortuna vuole che sia difficile sentire la mancanza di ciò che non si ha mai avuto» rispose Neelah, facendo spallucce. «Beh, si è fatto tardi; è ora che vada» disse, incamminandosi verso la porta.

   «Neelah!» la richiamò T’Vala.

   «Sì, Tenente?» chiese la scienziata, voltandosi.

   «Può darmi del tu, se vuole» propose T’Vala. «La sua gemella lo faceva».

   «D’accordo... T’Vala» disse Neelah, chiamandola per la prima volta per nome.

   «Puoi anche considerarmi tua amica» aggiunse la mezza Vulcaniana.

   «Okay» disse Neelah, sempre un po’ azzurra per l’imbarazzo. «Senti, per quella rivincita al kal-toh... facciamo domani a fine turno?».

   «Volentieri» approvò T’Vala.

   «Bene... buona meditazione» augurò Neelah, uscendo dall’alloggio. Mentre percorreva i corridoi, poco trafficati a quell’ora, l’Aenar ripensò a quanto le aveva trasmesso T’Vala. Era ancora scombussolata da quei ricordi, ma c’era di più. Sentiva di avere assorbito qualcosa della sua gemella, un diverso modo di vedere la Galassia e le persone. Forse d’ora in poi sarebbe stata meno esigente, sia con se stessa che con gli altri.

 

   Andata Neelah, T’Vala riaccese la lampada da meditazione e si risedette. Fissò la fiammella, cercando di svuotare la mente da tutte le emozioni incentrate sull’Io, per trovare la pace. Ma si accorse che non ci riusciva. L’incontro con Neelah le aveva fatto ripensare anche alla sua vita. Anche lei era sempre stata molto concentrata sul lavoro, sebbene non ai livelli patologici dell’Aenar. Anche lei, forse, poteva permettersi di cambiare qualcosa, rendersi la vita più... vivibile.

   La mezza Vulcaniana si alzò come in trance e andò nella camera da letto, fermandosi davanti a un comodino incassato nella parete. S’inginocchiò e aprì il cassetto più basso: conteneva l’uniforme che aveva indossato nello Specchio, accuratamente ripiegata. C’erano anche la vibro-lama e la medaglia assegnatale dal Chase dello Specchio.

   Osservando quei segni tangibili della sua esperienza, T’Vala fu scossa da un brivido. Se non fosse stato per quegli oggetti, avrebbe quasi potuto illudersi che si era trattato di un incubo. Ma no, si disse sfiorando l’uniforme: era tutto vero. L’Impero Terrestre era in agguato, da qualche parte tra le dimensioni parallele. E l’ISS Enterprise era sfuggita all’attacco Breen? T’Vala si augurò di no. Perché se era sopravvissuto, il Chase dello Specchio avrebbe cercato vendetta. E ora che le comunicazioni tra i due Universi erano di nuovo possibili, nulla gli impediva di sfruttare il Tunnel Spaziale per raggiungere la Federazione. Una Federazione che era già in guerra contro due nemici micidiali, i Tuteriani e i Krenim. Cominciavano tempi bui. Lei e i suoi colleghi avrebbero dovuto diventare più cattivi per sopravvivere. Un po’ più simili alle controparti dello Specchio, forse.

   T’Vala passò l’indice sulla vibro-lama, chiudendo gli occhi. Quell’arma le ricordava quanto fossero violente e sfrenate certe emozioni. Ma T’Vala capì che i sentimenti, anche i più oscuri, facevano parte di lei. Non poteva soffocarli, come facevano (o s’illudevano di fare?) i Vulcaniani. Non voleva precludersi l’amore. Né poteva negare quel pizzico di oscurità che era in lei. Doveva imparare a conviverci... e persino a tirarla fuori, se necessario. In fondo non era con le buone maniere che lei e Grenk erano fuggiti dallo Specchio.

   Per un attimo, T’Vala ripensò al suo ultimo incontro con Lantora, al fatto che i loro alter-ego avessero una relazione. Chissà se anche loro potevano farlo. Fantasia? Forse, ma del tipo che la faceva andare avanti, si disse, richiudendo con cura il cassetto. Tornò alla lampada da meditazione e la spense. Per quella sera aveva riflettuto abbastanza. E poi cascava dal sonno.

 

   La ISS Enterprise orbitava intorno a Deep Space Nine, circondata da altri vascelli dell’Impero Terrestre. Erano stati quei rinforzi, recati dall’Ammiraglio N’Rass, a salvarla dai Breen. Gli alieni erano stati ricacciati nel loro spazio e l’Impero aveva rinsaldato il controllo sul sistema bajoriano. Le navi da guerra continuavano ad affluire, rafforzando il presidio. La vigilanza dipendeva da loro, perché l’Enterprise non era in grado di combattere. Il suo scafo era crivellato di squarci, alcuni dei quali lasciavano ancora sfuggire atmosfera. Ma i droni di riparazione e le squadre tecniche avevano già cominciato a occuparsene. Le Work Bee, minuscole navette munite di arti meccanici con saldatori, la circondavano come uno sciame di api affaccendate.

   All’interno l’Enterprise non era messa meglio. Metà delle sezioni erano senza atmosfera, riscaldamento o gravità. Lamiere contorte e cavi spezzati ingombravano i corridoi e le stanze. I civili e il personale non essenziale erano stati evacuati, mentre squadre d’ingegneri si affannavano per fermare le perdite d’aria e di radiazioni. Alcuni indossavano sofisticate tute o campi di forza protettivi. Altri, di rango più basso, non erano così fortunati. Il loro equipaggiamento più scadente comportava che, dopo i lavori nei settori irradiati, la loro aspettativa di vita ne risentisse drasticamente. Ma l’Impero Terrestre non si curava di questi dettagli.

   Il Capitano Chase scrutò cupamente la fossa del Gorn. Alcune ossa e componenti metallici sul fondo erano tutto ciò che restava del dottor Korris. Alle sue spalle, due guardie scortarono Grenk, appena giunto con un trasporto. Il Tellarita indugiò, spostando il peso da un piede all’altro, non osando prendere la parola.

   «Bentornato, signor Grenk» disse il Capitano, senza voltarsi.

   «Signore...» mormorò l’ingegnere, facendo il saluto militare.

   «Lasci stare» lo fermò Chase, girandosi di scatto. «Oggi non c’è gloria per l’Impero. Siamo stati doppiamente traditi» disse, fissando il Tellarita.

   «Capitano, i medici le possono confermare che sono davvero io, non quell’impostore di un’altra dimensione!» squittì Grenk.

   «L’hanno già fatto, o non sarebbe qui» puntualizzò Chase. «Mi rallegro che sia tornato; peccato che non si possa dire lo stesso del Tenente Shil».

   «T’Vala è una vittima di guerra» rispose Grenk. «Mi ha aiutato a sabotare l’USS Enterprise e mi ha dato il tempo di fuggire; non ce l’avrei fatta senza di lei».

   «Mentre lei fuggiva col teletrasporto, i vostri doppioni se ne andavano con la navetta temporale» grugnì Chase. «Sa che vuol dire? Che adesso la Federazione dispone di entrambe le navette, mentre noi non ne abbiamo nessuna. Questo non è un pareggio, è una sconfitta. Lei e Shil siete stati assai più maldestri dei vostri alter-ego».

   «M-ma signore, troverà che nel mio rapporto ci sono molte informazioni utili sulla Federazione!» balbettò Grenk.

   «Per questo lei non è agli arresti» spiegò Chase. «E anche per via della nave. Avrà notato che cade a pezzi. Deve riportarla agli splendori di un tempo».

   «S-sì, Capitano» mormorò Grenk, guardandosi intorno sconfortato. «Temo che non sarà una cosa breve. I rapporti preliminari dicono che la situazione è catastr...».

   «Ho letto i rapporti, ingegnere!» l’interruppe Chase. «Per fortuna DS9 ha gli strumenti e il personale tecnico che ci occorrono. Possiamo rimettere a nuovo l’Enterprise. Se lei e le sue squadre sarete all’altezza».

   «Faremo tutto il possibile, Capitano» assicurò Grenk. «Ma potrebbero volerci mesi».

   «La guerra non aspetta» brontolò Chase. «Ho parlato con l’Ammiraglio N’Rass: vuole prendere in mano l’offensiva. Considerando che i Breen hanno appena subito due sconfitte, avrà gioco facile a respingerli ancora. La gloria sarà sua, mentre noi resteremo qui fra i rottami!» inveì, calciando un frammento metallico.

   «Se mi è permesso, signore...» azzardò Grenk.

   «Sì?».

   «Anche se questa guerra finisse senza la gloria che le spetta, c’è un modo di ribaltare la situazione. Un’altra facile conquista a portata di mano» suggerì.

   «E sarebbe? Aspetti, non starà mica insinuando...» disse Chase, aggrottando la fronte.

   «Perché no? La Federazione è decadente. Ed è piegata dalla guerra coi Tuteriani» disse Grenk. «Ho parlato con la loro Messaggera. Mi ha detto esplicitamente che stanno attaccando la Federazione, anziché il nostro Impero, perché è molto più fragile».

   «E le crede?» domandò Chase, scettico.

   «Non aveva ragione di mentire. Se i Tuteriani volessero attaccarci, l’avrebbero già fatto» rispose Grenk con sicurezza. «Invece hanno scelto la Federazione, perché hanno sentito il fetore della sua decomposizione. Sa che i pianeti federali sono ostaggio di movimenti di protesta che vogliono arrendersi ai conquistatori?».

   «Sta dicendo che i cittadini federali vogliono essere sottomessi... o persino sterminati dai Tuteriani?» chiese il Capitano, incredulo.

   «Sì!» esultò Grenk. «Più sono massacrati e più credono di essere loro il problema. E non ci sono solo i Tuteriani, adesso. Anche i Krenim, una specie del Quadrante Delta, si sono uniti a loro».

   «Sembra che gli squali abbiano fiutato il sangue nelle correnti» osservò Chase. «Sono tentato di unirmi al banchetto».

   «Dovrà farlo il prima possibile. Se continua così, la Federazione crollerà entro pochi anni» avvertì Grenk. «A quel punto saranno in molti a spolparla. Ricchezze, tecnologia, schiavi... il più grande bottino della Storia!» aggiunse.

   «E come potremmo impadronircene?» chiese il Capitano, con sguardo rapace. «Non ci basta il teletrasporto, dobbiamo trasferire l’astronave. Anche perché la somiglianza fra la mia Enterprise e la loro mi suggerisce una strategia di conquista» aggiunse, sempre più bramoso.

   «Beh, i traditori se la sono squagliata attraverso il Tunnel Spaziale» rispose Grenk. «Già in passato ha collegato i due Universi. La prima volta accadde con un Runabout, una navicella di vecchio tipo. Ho consultato gli archivi: successe tutto per un iniettore del plasma malfunzionante, che destabilizzò il campo di curvatura. Se è davvero così facile, potrei senz’altro ottenere un effetto simile con l’Enterprise. Comunque suggerisco d’inviare prima qualche sonda automatica. Per accertarci di aver azzeccato la giusta dimensione».

   «Mi sembra ragionevole» disse Chase. «Solo, mi chiedo se la Federazione sia inerme come la dipinge. Quei due federali che ci siamo trovati a bordo erano tutt’altro che innocui. Ci hanno beffati... ed è un sapore amaro che solo la vendetta potrà lenire».

   «Ehm, alcuni individui possono essere pericolosi, certo» ammise Grenk. «Il suo alter-ego, per esempio, lo sarà senz’altro. Capisco se non ha voglia d’incontrarlo» disse, lanciando un’esca irresistibile.

   «Chi ha detto che non voglio?!» insorse Chase. «Crede che tema quell’impostore? Al contrario, non vedo l’ora d’incontrarlo!» assicurò. «Così gli mostrerò chi è il vero Alexander Chase. Lui e la sua brutta copia dell’Enterprise faranno la fine che meritano. Non tollero che il mio doppione se ne vada in giro, identico a me, diffondendo la sua ideologia di patetica arrendevolezza!» inveì.

   «Allora si profila uno scontro fra titani» disse Grenk, in tono servile. «Due Chase e due Enterprise, per dimostrare chi è meglio, tra la Federazione e l’Impero».

   «Sì, sì... questo mi darà la gloria che merito. Farà di me il simbolo stesso dell’Impero!» esclamò Chase, pensando alla Terra e al trionfo davanti al Palazzo Imperiale. «Voglio un rapporto dettagliato sulla sua esperienza oltre lo Specchio: tutto quel che sa sulla Federazione e la Flotta Stellare, i loro punti deboli» ordinò all’ingegnere. «Poi si concentri sulle riparazioni. So che saranno complicate, ma... faccia del suo meglio. Le do carta bianca» disse.

   «Agli ordini, Capitano. Terra firma!» disse Grenk, e trottò via, lieto d’essere sfuggito alla punizione.

   Chase passeggiò su e giù per qualche momento, valutando le prospettive. Se non aveva occasioni di conquista lì, perché non provare con un altro Universo? Sarebbe stato il primo Capitano dell’Impero a lanciarsi in un simile tentativo. Il primo, come conveniva al nome Enterprise.

   Sentendo i ruggiti del Gorn che provenivano dalla prigione-pozzo, Chase decise di cambiare aria. Quei versi animaleschi lo infastidivano, e poi era pieno d’impegni. Doveva visitare le varie sezioni, parlare con gli ufficiali, rincuorare l’equipaggio, punire i ribelli catturati... ma prima aveva una visita da fare. Attraversò la sezione principale dell’infermeria, dove medici e infermieri stavano facendo pulizia degli strumenti e dei recipienti rotti, cercando di salvare il salvabile. Ed entrò nella sala della Lobo-Sedia, sempre immersa nella penombra. Almeno quello strumento non si era rotto, osservò compiaciuto. Korris era morto, ma il suo capolavoro gli sopravviveva. E Chase sapeva perfettamente come usarlo.

   «Salve, Capitano» lo accolse Trudy, che stava manovrando i comandi della Lobo-Sedia. «Com’è stato l’incontro con l’Ingegnere Capo?».

   «Proficuo, direi. Mi ha comunicato notizie interessanti... ma ti aggiornerò con gli altri ufficiali, alla prossima riunione» rispose Chase. «Sono qui per controllare come sta la paziente» aggiunse.

   «Risponde ottimamente al trattamento» disse Trudy.

   «Bene» gongolò Chase, avvicinandosi alla Lobo-Sedia ticchettante. Ilia vi era imprigionata sopra, con la testa e gli arti immobilizzati dagli archetti metallici. I suoi occhi, tenuti forzosamente spalancati, fissavano i raggi verdi del proiettore. Il terzo raggio, quello azzurro, le puntava la fronte, ricablando in profondità le connessioni nervose. Ogni tanto le sedia le iniettava qualche sostanza psicoattiva, per facilitare il processo. Alcuni legami sinaptici erano recisi, altri creati di bel nuovo.

   «Alexander, sei tu?» mormorò Ilia, con voce impastata. In quello stadio del procedimento aveva difficoltà a parlare.

   «Sì, dolcezza. Sono proprio accanto a te» rispose Chase, in tono rassicurante, passandole l’indice sul lato del viso.

   «Amore, m-mi dispiace» balbettò Ilia. «È stato Lantora a costringermi a fare tutto. Ha minacciato me e la mia famiglia, ha detto cose terribili. Io ho d-dovuto piegarmi. Ma t-ti amo, Alexander! Lo giuro! N-non vorrei mai darti un d-dispiacere...» disse, le guance solcate di lacrime.

   «Mi piace sentirtelo dire. Fra poco lo penserai veramente. Fra poco sarà tutto vero» sorrise Chase, godendosi la sua espressione sbarrata.

   «P-perdonami, amore m-mio...» sussurrò Ilia tra le lacrime.

   «Ti perdono, tesoro» disse Chase, chinandosi per baciarla in fronte. Ilia sorrise e le sue pupille si contrassero come capocchie di spillo. Aveva smesso di piangere.

   «Spezzala» disse Chase, rivolto a Trudy. «Riducile il cervello in pappa, se necessario. Dev’essere incapace di pensare altri inganni. Voglio che sia la più fedele Donna del Capitano che sia mai esistita».

   «Agli ordini» disse Trudy, portando il condizionamento mentale al massimo. Il ronzio della Lobo-Sedia divenne più intenso e Ilia s’irrigidì. Un filo di saliva le usciva dall’angolo della bocca. «Gliela consegnerò entro stasera» garantì l’IA.

   «Ci conto. Sono giorni stressanti» sospirò Chase. «Fortuna che sei di nuovo in funzione... voi Intelligenze Artificiali siete più affidabili degli Organici e molto più efficienti».

   «Vivo per servire, mio signore» disse Trudy, lusingata dal complimento.

   «Lo facciamo tutti, in un modo o nell’altro... per il bene dell’Impero» disse Chase, e lasciò la sala oscura.

 

   
 
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