Serie TV > Star Trek
Segui la storia  |       
Autore: Parmandil    13/01/2019    0 recensioni
La Guerra delle Anomalie si tinge di giallo quando l’Enterprise incontra dei misteri che s’intrecciano alla confluenza dello spazio federale, Klingon e Romulano.
Quale segreto si cela dietro la ridente colonia Galatea, passata indenne attraverso secoli di conflitti? Cosa vuole realmente Delara, l’amica d’infanzia di Neelah, riemersa da un passato che la dottoressa preferirebbe dimenticare? Quali trame si celano dietro il sorprendente esito della Battaglia di Carraya? Fin dove si spinge l’influenza della Sezione 31, il famigerato servizio segreto federale? Ma soprattutto, di chi ci si può realmente fidare? Le domande non sono mai state così tante e le risposte potrebbero essere devastanti.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-Capitolo 4: A mali estremi...

 

   La task-force dell’Unione arrivò il giorno dopo. C’erano due agili navi federali, la Paladin e la Theseus. A loro si aggiungevano due sparvieri klingon e due falchi da guerra romulani. Era una forza d’urto notevole, trattandosi di navi moderne e agguerrite. L’Enterprise aveva però il comando dell’operazione, essendo l’astronave più potente. I nuovi arrivati furono sorpresi di vedere che Galatea non era ancora evacuata. Chase convocò i capitani in sala tattica e li informò sinteticamente dell’accaduto, esortandoli a non cadere nei tranelli dei Galateani. L’obiettivo era Carraya IV e il tempo stringeva, perché i Krenim potevano ricevere rinforzi in ogni momento. Così, dopo una sola riunione, la flottiglia si lanciò all’attacco.

   Carraya IV era un pianeta verde, coperto in gran parte di foreste. Piccoli mari maculavano la sua superficie e nubi bianche la striavano. Nell’orbita stazionavano le famigerate catapulte subspaziali Krenim. Erano una meraviglia ingegneristica, capace di abbattere i tempi di percorrenza delle distanze siderali, proiettando le astronavi nel subspazio. Come aveva affermato il loro inventore Tash – prima che i Krenim se ne impadronissero – facevano sembrare la curvatura “lenta come una slitta di legno”.

   Il corpo principale era una stazione a forma di torre, che ospitava il nucleo energetico, un complesso reattore tetrionico. Questa struttura si collegava a uno dei “bracci” simmetrici della catapulta. Si trattava di strutture arcuate, lunghissime ma esili. Sei proiettori di gravitoni erano fissati a ciascun braccio, per un totale di dodici. La coppia superiore e quella inferiore restavano fisse in posizione, delimitando la finestra di lancio. Le quattro coppie intermedie erano quelle fondamentali per il lancio. I loro raggi gravitonici bluastri agganciavano delicatamente le navi e le proiettavano nel subspazio. Il progetto originale aveva una gittata massima di 10.000 anni luce, ma i Krenim lo avevano migliorato, rendendo possibile attraversare mezza galassia. In tal modo avevano raggiunto lo spazio federale. Appena arrivati avevano immediatamente costruito nuove catapulte, che si erano portati smontate nelle stive di carico. Così potevano scagliare le loro navi dietro le linee nemiche, anche se il ritorno era assai più lento e incerto.

   Le navi dell’Unione si avvicinarono occultate e in silenzio subspaziale. Sull’Enterprise, Chase osservò le esili strutture delle catapulte che s’ingrandivano contro lo sfondo verde di Carraya IV. Erano circondate dalle sagome più tozze delle navi da guerra Krenim, schierate in posizione difensiva. «Rapporto sensori» richiese.

   «Le navi Krenim hanno gli scudi alzati» rilevò Terry.

   «Come se ci stessero aspettando» notò Ilia.

   «Questa non ci voleva... e il pianeta?» volle sapere Chase.

   «Rilevo 30.000 segni vitali di specie dell’Unione, perlopiù Klingon e Romulani» riferì Terry. «Ci sono anche un migliaio di segni vitali Krenim, ma sono molto deboli».

   «Si saranno già rifugiati nei bunker» disse Chase. «È chiaro che abbiamo perso l’effetto sorpresa. Speriamo che almeno non sappiano dei rinforzi. Procediamo come da programma».

   «Se ci aspettavano, potrebbero aver sistemato delle mine» notò T’Vala.

   «Non ne rilevo» disse Terry.

   «È un rischio che dobbiamo correre. Avanti a un quarto d’impulso» ordinò il Capitano.

   «Sì, signore» disse la timoniera, celando la preoccupazione dietro l’imperturbabilità vulcaniana.

   La flottiglia dell’Unione avanzò mantenendosi occultata. Fortunatamente non incappò in mine o altri ostacoli. Procedette adagio, finché fu in mezzo alle catapulte e alle navi da guerra nemiche. Per quanto determinati, gli attaccanti rabbrividirono nel vedere così da vicino la potenza dei Krenim. Quelle erano le tecnologie che avevano dato al nemico le sue maggiori vittorie. «Non più» pensò Chase, osservando le strutture scheletriche. «Giù l’occultamento, attacchiamo» ordinò.

   I Krenim sapevano che l’Enterprise si trovava nelle vicinanze di Carraya, mentre ignoravano la presenza dei rinforzi (o così si sperava). Di conseguenza l’Enterprise fu la prima a uscire dall’occultamento. Attaccò subito le catapulte, ignorando le navi da guerra. L’idea era compiere un passaggio ravvicinato, per stuzzicare il nemico, e subito dopo allontanarsi, cercando di farsi seguire da più navi possibile. Appena i Krenim avessero sguarnito le catapulte, il resto della task-force si sarebbe rivelato, distruggendole. Era un piano semplice, ma poteva funzionare, se i Krenim non si aspettavano i rinforzi.

   Il primo assalto dell’Enterprise superò le aspettative. Chase pensava che avrebbero appena danneggiato qualche catapulta, invece ne distrussero una e colpirono seriamente altre due. I potenti siluri dell’Enterprise facevano a pezzi le esili strutture, ma la nave non poteva soffermarsi. Fatto un volo radente, si diresse verso lo spazio aperto, lasciandosi dietro fiamme ed esplosioni. Due navi da guerra Krenim si lanciarono all’inseguimento. Le altre diciotto mantennero la posizione.

   «Ahi ahi... non ci cascano» commentò Lantora. «Hanno fiutato la trappola».

   «È tardi per cambiare i piani» disse il Capitano. «Sbarazziamoci in fretta di queste navi e torniamo indietro ad aiutare gli altri».

   Vedendo che il grosso delle forze Krenim non si muoveva, il resto della task-force ruppe gli indugi. I primi a uscire dall’occultamento furono i Klingon, impazienti di vendicarsi degli odiati Krenim. Questo costrinse anche i Romulani a palesarsi. Per ultime, la Theseus e la Paladin si unirono alla battaglia. Le sei navi dell’Unione si concentrarono nell’abbattere le catapulte, il che le esponeva all’attacco dei Krenim, tre volte più numerosi. Stranamente, però, solo otto navi Krenim aprirono il fuoco. Le altre dieci rimasero inerti. Era inspiegabile, ma gli aggressori non potevano lamentarsi della loro fortuna. Una dopo l’altra, le catapulte andarono in pezzi. I loro frammenti incandescenti precipitarono su Carraya IV, rigandone il cielo azzurro. Alcuni giunsero a terra, appiccando vasti incendi boschivi.

   A poca distanza dal pianeta, l’Enterprise fece dietrofront, affrontando gli inseguitori. Due navi da guerra Krenim erano un ostacolo impegnativo, anche per l’ammiraglia federale. Ma quel giorno i Krenim non sembravano in forma. Le loro navi manovravano con goffaggine e non usavano neanche tutte le armi. Quando l’Enterprise le colpì, non cercarono nemmeno di adattare gli scudi. La loro traccia energetica era irregolare.

   «Ma che hanno?» si chiese il Capitano, notando la stranezza. «Sembrano già danneggiate».

   «Questi non sono problemi di hardware» comprese Ilia. «È l’equipaggio che non sta manovrando a dovere. Guardi le letture energetiche» disse, osservando la propria consolle. «È come se non avessero nessuno in sala macchine a regolare i flussi».

   «Un imprevisto, fortunato sviluppo» disse Chase, tamburellando sul bracciolo. «Liberiamocene e andiamo in soccorso degli altri».

   Ilia e Terry si scambiarono un’occhiata inquieta, ma non contestarono l’ordine.

   «Ho agganciato i loro nuclei, lancio i siluri» disse Lantora. Le navi Krenim, già indebolite dai raggi anti-polaronici e dai cannoni a impulso dell’Enterprise, non ressero al nuovo assalto. Prima una e poi l’altra si aprirono in una rosa di fuoco. L’ammiraglia federale sfrecciò tra le esplosioni e si gettò a capofitto nella battaglia intorno a Carraya.

   Gran parte delle catapulte era già stata distrutta; le rimanenti avevano gli scudi indeboliti. L’arrivo dell’Enterprise fu come un uragano che schianta i pali della luce. Uno dopo l’altro, i reattori tetrionici esplosero e gli esili bracci delle catapulte si frantumarono. Frammenti affilati schizzarono ovunque, danneggiando navi di entrambi gli schieramenti. Ma l’Unione era chiaramente in vantaggio. Dieci navi Krenim restavano inerti e le altre otto cominciavano a cedere.

   «Missione compiuta. Dovremmo ritirarci, ora» notò Terry.

   «Conosco il piano» rispose il Capitano. «Ma laggiù ci sono 30.000 prigionieri che subiranno la rappresaglia dei Krenim, se non li salviamo. E per salvarli... dobbiamo sbarazzarci di queste navi».

   Gli ufficiali si scambiarono occhiate perplesse e in certi casi preoccupate. «Signore, gli ordini del Comando...» cominciò Terry.

   «Il Comando è a centinaia di parsec da qui» l’interruppe Chase. «Ora che siamo a Carraya, rifiuto di abbandonare i prigionieri. Signor Grog, informi la task-force che l’attacco proseguirà fino alla completa liberazione del pianeta».

   «S-sì, Capitano» balbettò il Ferengi, timoroso.

   «Sta cercando di fare ammenda per la mancata evacuazione di Galatea?» chiese Ilia a bassa voce.

   «Cerco di non pensare a Galatea» fu la risposta. «Questa è un’altra missione. Portiamola a termine nel modo più umano: salvando gli ostaggi».

   «Bene, signore» disse Lantora, che la pensava come lui. L’Ufficiale Tattico martellò le navi Krenim con tutta la potenza di fuoco dell’Enterprise. Ben presto fu chiaro che anche quelle navi avevano lo stesso problema delle altre. Le loro manovre erano goffe, gli attacchi disordinati. Agivano in modo sparso, più che come una flottiglia. Riuscirono a distruggere una nave klingon e una romulana, e lì si fermarono. Troppo danneggiate per nuocere ancora, erano condannate. I federali si sarebbero accontentati di metterle fuori uso, ma Klingon e Romulani intendevano vendicare le loro navi distrutte e continuarono l’attacco. Erano lì per espellere i Krenim dal loro spazio, non per fare sfoggio di cavalleria.

   «L’ammiraglia Krenim ci chiama».

   «Sullo schermo».

   Per la terza volta, Chase si trovò di fronte il Capitano Morlish. Stavolta, però, stentò a riconoscerlo. Il Krenim era pallido e sudato, con gli occhi cerchiati di rosso e sfoghi qua e là sul viso. Chase conosceva quei sintomi. Li aveva visti su tanti volti, nei sistemi attaccati dai Na’kuhl. Era il famigerato Agente 47, l’arma biologica che l’Unione non riusciva a contrastare.

   «Capitano Chase...» rantolò Morlish. «Mi ero sbagliato sul suo conto. Lei non conosce né fedeltà alla parola data, né onore sul campo di battaglia. Ha approfittato della nostra buonafede per colpirci nel modo più vile».

   «Non so di che parla, Morlish» rispose Chase, sulla difensiva. «Che vi è successo?».

   «E ancora c’insulta, fingendo di non sapere!» ringhiò il Krenim, scattando col capo in avanti. «Potrei capire se fossimo stati solo soldati. Ma c’erano 10.000 coloni Krenim su Carraya IV, appena giunti dall’Impero. Lei sapeva che il contagio si sarebbe esteso anche a loro!» inveì, ma fu assalito da un violento attacco di tosse. Si portò una mano alla bocca. Piccole gocce scarlatte macchiarono il guanto nero. Sangue... stava tossendo sangue.

   «Signore, rilevo appena venti segni vitali sulla nave Krenim, contro i 250 standard» avvertì Terry. «Sono molto deboli... come quelli sul pianeta».

   Chase rimase ammutolito. Ora capiva la scarsa resistenza offerta dai Krenim. Le dieci navi inerti contenevano solo cadaveri. Quanto alle altre... chiunque non fosse morto era moribondo. I Krenim non avevano abbastanza equipaggio per manovrarle a dovere e i pochi ancora in piedi stavano così male che agivano quasi a casaccio. Chase segnalò a Grog di togliere l’audio dalla comunicazione. «I prigionieri dell’Unione ci sono ancora tutti?» chiese a Terry.

   «Si direbbe di sì... sono quasi 30.000» confermò l’IA.

   «Perciò la malattia colpisce solo i Krenim» comprese il Capitano.

   «I sintomi corrispondono a quelli dell’Agente...».

   «Lo so» disse Chase, segnalando di ripristinare l’audio. «Morlish, quand’è iniziato il contagio?» volle sapere.

   «E me lo chiede? Subito dopo lo scambio d’ostaggi!» rispose il Krenim con voce roca. «Li abbiamo esaminati alla ricerca di sensori o camuffamenti, ma non credevamo che foste così vili da infettarli. Quando li abbiamo ridistribuiti fra le nostre astronavi, hanno diffuso il contagio fra gli equipaggi. E i soldati scesi sul pianeta l’hanno trasmesso sia alla guarnigione, sia ai coloni! Diecimila civili, maledetti!» inveì, sollevando il pugno. «Dite che Vosk è l’incarnazione del Male, e non vedete di essere uguali a lui» aggiunse più sconfortato. Il braccio gli ricadde stancamente.

   Scioccato, Chase non seppe che ribattere. In compenso si fece avanti Terry. «Perché non vi siete accorti prima del virus?» chiese l’IA.

   «Siete stati abbastanza astuti da dargli un tempo d’incubazione» rispose Morlish. «Quando il primo paziente ha manifestato i sintomi, era già tardi per circoscrivere l’epidemia. E non ci è sfuggito che i nostri prigionieri stanno bene. Avete progettato il virus su misura per noi». Il Capitano si portò ancora la mano alla bocca, sputacchiando sangue. «Avremmo potuto sterminare la vostra gente, per rappresaglia. Ma a che sarebbe servito? Non certo a rendere la vita ai nostri. Se tenete tanto a quei prigionieri, prendeteli! A che prezzo li avete riscattati».

   Morlish cadde in avanti quando la sua nave fu squassata dal fuoco dei Klingon. Si udirono grida sulla sua plancia. Sulla parete di fondo una consolle esplose in fiamme.

   «Chase a sparviero Klingon, sospendete l’attacco!» ordinò il Capitano.

   «C’ignorano» rilevò Terry. «Mirano al nucleo dell’ammiraglia Krenim».

   «Allora frapponiamoci» ordinò Chase, sperando che questo non portasse a un confronto con gli alleati.

   «Lasci stare, Capitano» disse Morlish, rialzandosi a fatica. «Preferisco morire così, sulla mia nave, piuttosto che vomitando sangue in una vostra prigione. Mi conceda almeno questo, di morire col mio equipaggio».

   I  due Capitani si fissarono negli occhi e Chase annuì in modo appena percettibile. Poi si alzò e si avvicinò allo schermo. La plancia Krenim tremava e le consolle esplodevano a cascata; la fine era imminente.

   «Qual era il paziente 0?» domandò Chase.

   «Come?!» fece Morlish, strabuzzando gli occhi cerchiati. Doveva reggersi al bracciolo della sua poltrona per non cadere ancora.

   «Mi ha sentito. Chi ha diffuso il contagio, chi è stato la prima vittima?» chiese l’Umano, conscio che restavano pochi secondi.

   «Il Caporale Cormak» rivelò Morlish. «Vigliacchi... era solo un ragazzo... ma perché lo chiedete?».

   «Per fare giustizia» rispose Chase.

   Morlish aggrottò la fronte, chiedendosi se l’Umano fosse sincero. Ma non ebbe tempo di scoprirlo. I siluri Klingon raggiunsero il nucleo della sua nave, facendola esplodere in una girandola di frammenti incandescenti. Era l’ultima delle navi da guerra dotate di equipaggio. Quanto alle navi inerti, i Krenim non potevano lasciarle in mano al nemico. Quindi avevano piazzato i timer, attivandoli nel momento in cui si erano visti sconfitti. Nello stesso attimo, dieci astronavi Krenim brillarono ed esplosero come immani fuochi d’artificio, riversando un’ultima ondata di rottami nell’orbita. Con quello spettacolo, la Battaglia di Carraya IV ebbe il suo finale inglorioso.

 

   Nei giorni successivi, Chase delegò ai suoi ufficiali gran parte delle incombenze, che erano molte. Bisognava mandare squadre su Carraya IV, per assumere il controllo delle installazioni e liberare i prigionieri dai campi di lavoro. Molti erano denutriti o ammalati, così che bisognava prendersene cura. Ma i loro carcerieri stavano peggio. Il 90% dei Krenim sul pianeta era morto e gli altri stavano riversi a terra, sputando sangue. Osservando le file interminabili di cadaveri, chiusi in sacchi di plastica, Chase si chiese quali promesse o inganni li avevano portati così lontano da casa e se non avrebbero preferito restarci. Intanto i medici dell’Enterprise esaminavano i morti e i moribondi, trovando conferma ai loro sospetti.

   «È una mutazione dell’Agente 47» disse Neelah durante una riunione. Accanto a lei, Korris stava silenzioso. Non si era ancora ripreso dalla morte di Karen.

   «Mutazione o manipolazione?» chiese il Capitano.

   «Giusto, è più corretto dire manipolazione» convenne l’Aenar. Ingrandì l’immagine olografica del virus, proiettata al centro del tavolo tattico. Sembrava un poliedro, coperto di “tentacoli” che in realtà erano lunghe molecole. «Il virus è stato riprogrammato per colpire solo i Krenim. Una volta che si sviluppa nell’organismo, il contagio avviene tramite l’aria».

   «C’è pericolo per noi?» chiese Lantora. Tutte le squadre sbarcate avevano equipaggiamento protettivo, ma non si poteva dire lo stesso per gli ostaggi liberati, che bisognava caricare a bordo.

   «È la prima cosa che ho pensato, ma sembra che il virus non possa sopravvivere in un organismo non adatto» spiegò Neelah. «Se non può riprodursi, la sua membrana cede, uccidendolo in poche ore».

   «Questa versione del virus può essere usata come cura dal ceppo originale?» chiese Ilia.

   «Temo di no» rispose Neelah. «Sotto molti aspetti è più debole. Se li mettiamo a contatto, il ceppo originale prende il sopravvento. Ma stiamo cercando di capire in che modo il virus è stato alterato. Potrebbe essere la base per sviluppare una cura».

   «Bene... ma intanto che ne sarà dei Krenim?» chiese il Capitano.

   «Ne restano poche centinaia, ormai» disse Korris, prendendo finalmente la parola. «Io... non credo che potremo salvarli. Finita l’incubazione, il decorso è rapidissimo. Li perderemo entro poche ore». Cadde un silenzio di piombo.

   «Capitano, i Klingon e i Romulani ci chiedono di aiutarli a trasferire i loro civili su Acamar, prima che i Krenim lancino una controffensiva» disse infine Terry.

   «Sì, facciamolo» disse Chase stancamente. «Non abbiamo potuto portarci i Galateani. Almeno salviamo loro».

   «E per il resto, come intende procedere?» chiese l’IA.

   «Apriremo un’inchiesta» saltò su Lantora. «Dobbiamo capire chi ha contagiato Cormak».

   «Non che la lista dei sospetti sia lunga» disse Korris, senza allegria. «Ci siamo io e gli altri medici che l’hanno avuto in cura. Quanto a Vrelik, che l’ha intervistato, non gli è mai arrivato a contatto. C’è sempre stato un campo di forza a dividerli».

   «Perché, sospetta forse di mio nipote?» chiese Ilia, con sguardo durissimo.

   «No, e le ho appena detto il motivo» sospirò Korris. «Gli unici che hanno potuto toccare Cormak siamo noi medici e...».

   «Le guardie dislocate in infermeria» completò Ilia.

   «Pensa che uno dei miei uomini...» s’indignò Lantora.

   «Non un uomo. Una donna» corresse la Comandante. «Abbiamo già parlato del Guardiamarina Livras, vero?».

   «È indubbiamente una persona danneggiata» riconobbe Chase. «Non sappiamo cosa le ha fatto la Sezione 31, né se la controlli ancora, in modo diretto o occulto. Ma il fatto stesso che sia invischiata coi servizi segreti è sospetto. Chiunque abbia diffuso quel virus non è uno squilibrato qualunque. Saranno serviti fior di medici per alterare l’Agente 47. Qui sull’Enterprise, ad esempio, chi ne sarebbe in grado?».

   «Pochi, anche fra noi dottori» convenne Korris. «Non credo che nessuno possa farlo da solo. Sarà stato un lavoro d’equipe».

   «E diffondere un virus è il genere d’azione immorale di cui la Sezione 31 non esita a macchiarsi» aggiunse Ilia. «Lo fecero già coi Fondatori, nella Guerra del Dominio».

   «Va bene, ricostruiamo l’accaduto» disse Lantora. «La Sezione 31 sa della situazione a Carraya IV e dell’attacco imminente. Sa che, nel migliore dei casi, distruggeremo le catapulte subspaziali, senza intaccare il controllo Krenim della superficie. Venuta a sapere che abbiamo degli ostaggi, e che intendiamo fare uno scambio, decide di darci una mano» aggiunse con una smorfia. «Sintetizza una variante dell’Agente 47, se non l’aveva già fatto prima. Una variante che colpisce solo i Krenim, risparmiando le altre specie. Forse pianifica d’usarla estesamente e vuole usare Carraya come banco di prova. Quindi affida un campione al suo agente, o ex agente, Delara Livras. La manda sull’Enterprise con la scusa del rimpasto di personale. Alla prima occasione Delara infetta un Krenim, il Caporale Cormak. Poi attende. Il virus ha qualche giorno d’incubazione, quanto basta per realizzare lo scambio d’ostaggi. Si nasconde così bene nell’organismo che i Krenim non lo notano. Credo che a quel punto Cormak avesse già contagiato i compagni di prigionia. Così l’epidemia dilaga sia sulle navi che sul pianeta. E quando arriviamo noi, abbiamo gioco facile». Un muscolo si contrasse dolorosamente sulla sua guancia.

   Neelah aveva ascoltato tutto con interesse. Stava ancora rimuginando su chi, oltre a Delara, poteva aver contagiato Cormak. Ripensò a quando aveva visitato Korris, per consegnargli la sua versione dell’Antidoto 46. C’erano i medici, le guardie... e Lantora. Anche lui aveva fatto una capatina in infermeria, per parlare con Korris, sebbene gli bastasse usare il comunicatore. Neelah studiò lo Xindi, che parlava ancora animato. Ormai lo conosceva da qualche anno. Lantora era un po’ irruento e certo odiava il Fronte, specie da quando aveva perso un occhio in duello. Anche se l’occhio artificiale gli aveva restituito la vista, aveva ancora un conto in sospeso. Però Neelah non ce lo vedeva a pianificare un massacro di civili. No, aveva ragione lui: Delara era l’unica sospetta. Non che questo confortasse l’Aenar. Fino all’ultimo aveva sperato che la Betazoide si fosse liberata dalla Sezione 31, ma gli indizi erano troppi.

   «È una ricostruzione convincente, anche se i tempi sono tirati» ammise Chase. «Pochi giorni d’anticipo nello scambio di prigionieri e Delara non sarebbe arrivata in tempo. Pochi giorni di ritardo e ci saremmo accorti del virus. Ma conoscendo la Sezione 31, non mi stupisco che ci abbiano provato».

   «Ma come faceva Delara a sapere che l’avreste inviata a sorvegliare i prigionieri?» chiese Korris. Gli sguardi si appuntarono su Lantora.

   «Sono stato io a darle quell’incarico» ammise lo Xindi. «È prassi comune affidare la sorveglianza al nuovo personale. Mi assumo la responsabilità dell’errore. Livras era troppo compromessa per darle quel compito. Ma ho pensato che fosse ingiusto escluderla a causa del suo passato, senza nulla di concreto in mano».

   «Infatti sarebbe stata un’ingiustizia» convenne Chase. «Non la biasimo per quanto ha fatto. Tutti noi abbiamo voluto dare una possibilità a Delara, ma...». Scosse la testa, assalito dai rimorsi.

   «Dottoressa Neelah, lei conosce Delara meglio di tutti» disse Terry. «Crede che sia cosciente di ciò che ha fatto o che sia un’Agente in Sonno?».

   «Non so che dire... questa non è la stessa Delara che conoscevo anni fa» rispose l’Aenar sconsolata. «La Sezione 31 ha giocato col suo cervello in modi che non conosciamo. Pensate a quell’impianto neurale che le ha messo. Forse è così che la controlla».

   «Cioè potrebbe avere la Sezione 31 nel cervello, che la muove come una marionetta?» rabbrividì Lantora.

   «Signori, devo avvertirvi di un problema logico» intervenne T’Vala, fino ad allora silenziosa. «L’ipotesi della colpevolezza di Delara segue una logica coerente. Ma resta pur sempre un’ipotesi. Abbiamo diversi indizi e anche il movente, ma nessuna vera prova. In che modo Delara ha contagiato Cormak? E prima ancora, come ha contrabbandato il virus sull’Enterprise?».

   «Se ci servono prove, perquisiamo il suo alloggio» propose Lantora. «Ci sono gli estremi per farlo».

   «D’accordo» disse Chase. «Prima chiudiamo quest’indagine, meglio è. Nel frattempo trasferiamo i civili su Acamar. Non voglio essere qui, quando i Krenim lanceranno la controffensiva». Il Capitano si alzò, imitato dagli ufficiali. «Potete andare» disse.

   La maggior parte dei presenti lasciò la sala tattica, ma Grenk e Terry rimasero, segnalando a Neelah di fare altrettanto. Chase s’incuriosì. Erano settimane che l’Ingegnere Capo si faceva vedere pochissimo. Anche durante l’insurrezione dei Galateani e l’attacco a Carraya era rimasto defilato. Aveva persino trascorso la riunione senza aprir bocca, chiaro segno che qualcosa di grosso bolliva in pentola. «Allora, che succede?» chiese, quando rimasero in quattro.

   «Signore, ce l’abbiamo fatta» disse il Tellarita, guardandosi attorno come se temesse che ci fossero spie anche lì. «Il nostro progetto segreto... quello per cui ho consumato il mio genio nell’ultimo anno e mezzo... è completato. Ho il sensore temporale che può localizzare il Tox Uthat».

 

   Chase impiegò qualche secondo a metabolizzare; si era quasi dimenticato della faccenda. Tutto era iniziato poco prima dell’attacco di Vosk alla Terra. Un incidente con la navetta temporale Phoenix aveva catapultato Neelah e pochi altri nel passato, dove avevano incontrato un altro naufrago del tempo, Kal Dano. Quel genio in esilio era l’artefice del Tox Uthat, un’arma capace di far esplodere le stelle. Neelah aveva avuto un breve contatto con la mente di Kal Dano, prima che fosse ucciso dai Vorgon, e si era convinta che il Tox Uthat potesse distruggere anche le Sfere dei Tuteriani. Senza di quelle, gli invasori extra-dimensionali avrebbero dovuto ritirarsi, innescando lo sfaldamento del Fronte. Neelah era così convinta della sua idea che si era lanciata alla ricerca dell’Uthat, inseguendolo da un’epoca all’altra. Dopo l’ultimo scontro coi Vorgon, la loro base subacquea era stata inondata. Neelah si era salvata a stento, usando il teletrasporto temporale Vorgon per tornare nella propria epoca. Aveva perso l’Uthat, sprofondato in chissà quale oceano alieno. Ma lo aveva tenuto in mano abbastanza a lungo da leggere la sua traccia quantica. Questo permetteva di rintracciarlo... a patto d’inventare un sensore temporale. Per un anno e mezzo Terry e gli ingegneri si erano dedicati a questo compito. Ora l’attesa era finita e la caccia al Tox Uthat poteva ricominciare.

   «Signori, non finirete mai di sorprendermi!» disse Chase, dando una gran pacca sulla spalla al piccolo Tellarita. «È la notizia migliore che sento da... non so nemmeno quando. E lei, Grenk, merita il Premio Daystrom!».

   «Sssshhh... con tutte queste spie a bordo, meno persone lo sanno e meglio è!» fece Grenk, agitatissimo. «Allora, come procediamo? Perché ci ho pensato, sa... e mi sono reso conto che inventare il sensore è solo metà dell’opera. Il suo raggio è limitato a pochi anni luce e la Galassia è grande».

   «Uhm, sì. È come cercare un ago nel pagliaio» ammise Chase, rabbuiandosi.

   «Più come cercare un sasso in mezza Galassia» precisò Terry. «Potremmo non trovarlo mai».

   «Dobbiamo restringere il campo» disse Neelah con decisione. «Anche col sensore temporale, non troveremo mai l’Uthat se rimane spento. Ci occorre che qualcuno lo accenda. L’unico che può farlo è l’informatore dei Vorgon... il capo della Cabala... il Tizio del Futuro, insomma. Lui conosceva le coordinate del pianeta in cui si è perso l’Uthat. Andrà a recuperarlo e lo accenderà. Potremo captarlo a partire da quel momento».

   «Questo ci aiuta?» chiese Grenk.

   «Moltissimo» disse l’Aenar con decisione. «La base Vorgon potrebbe essere ovunque. Ma quando ho intravisto il Tizio del Futuro, aveva l’aria di essere un Romulano. La Repubblica Romulana ormai è nostra alleata, quindi resta lo Stato Imperiale. Ecco dove dobbiamo cercare».

   «Non si entra facilmente nello Stato Imperiale» commentò l’Ingegnere Capo, sconsolato.

   «Non ci andremo con l’Enterprise!» disse Neelah con trasporto. «Quel sensore, quant’è grande?».

   «Misura 150x50x40 cm» rispose Terry con l’immancabile precisione.

   «Quindi possiamo stiparlo in una sonda di classe 9!» gongolò l’Aenar.

   «Non proporrai di...» fece Chase.

   «Non c’è altra strada» disse Neelah, scuotendo la testa così vigorosamente da agitarsi i capelli bianchi. «Dobbiamo replicare molte copie del sensore e installarle su sonde di classe 9. Cerchiamo di fare in modo che le sonde siano anche occultate. Poi disseminiamole lungo il confine dello Stato Imperiale. Naturalmente dovremo programmarle perché lo esplorino nel modo più efficiente».

   «Posso progettare una griglia esplorativa» si offrì Terry.

   «Sì, e poi...» fece Neelah, trionfante.

   «Poi non ci resta che aspettare» disse Chase. «Considerando il volume di spazio da sondare, è probabile che la guerra finirà prima che avremo un responso. E non dimentichiamo che il Tizio del Futuro potrebbe abitare fuori dai confini dello Stato Imperiale. Non siamo nemmeno certi che sia un Romulano».

   «Se penso che ho avuto l’Uthat in mano...» disse Neelah, tremando da capo a piedi per la stizza. Aveva promesso a Kal Dano, subito prima che morisse, di recuperare l’arma. Si era impegnata a distruggerla, se necessario, piuttosto che lasciarla in mani sbagliate. Era un dovere che non aveva mai dimenticato.

   «Non tormentarti» la esortò Chase. «Pochi sarebbero arrivati fin dove sei giunta tu. Per il resto... dobbiamo confidare nella fortuna. O nel destino».

   «Le mie cognizioni escludono l’esistenza dell’una o dell’altro» avvertì Terry.

   «Grazie dell’incoraggiamento!» sbuffò Grenk. «Ma sì, le sonde sono l’unico modo sensato di procedere. Sperando di non fare un regalino allo Stato Imperiale».

   «Dobbiamo fare in modo che si autodistruggano, se sono intercettate» raccomandò Chase.

   «Groan... preparare una sola sonda del genere è una faticaccia. E io devo approntarne decine!» si lamentò l’Ingegnere Capo.

   «Faccia le cose con calma» consigliò Chase. «Preferisco lanciare quelle sonde fra qualche settimana, sapendo che sono affidabili, piuttosto che in pochi giorni, ma con meno garanzie. E lei, Terry, gli dia una mano».

   «Mando subito le mie proiezioni in ingegneria» garantì l’IA.

   «Bene... inutile dire che dobbiamo mantenere il riserbo, finché c’è una spia della Sezione 31 a bordo» aggiunse Chase.

   «Vuole che manteniamo il monopolio della caccia all’Uthat, eh? Giusto!» approvò Grenk. «In fondo siamo stati noi ad arrivare fin qui. Perché un altro dovrebbe soffiarcelo?».

   «Non è solo questione di trofei» disse Chase, preoccupato. «Abbiamo visto che la Sezione 31 non esita a sacrificare gli innocenti. Immaginate che il Tox Uthat non riesca a distruggere le Sfere. Potrebbe comunque usarlo come Kal Dano l’aveva progettato».

   «Intende...?» esalò Grenk.

   «Hai ragione» disse Neelah, cupa. «La Sezione 31 potrebbe mettersi a distruggere tutti i sistemi stellari conquistati dal Fronte. Non baderà ai civili, di una parte e dell’altra».

   «Crede che arriverebbe a tanto?» chiese Terry al Capitano, impressionata.

   «Crederei volentieri il contrario, ma...» disse Chase.

   «Lo farebbe» disse Neelah, cupa. «Sono capaci di tutto, quelli. Finché avranno un agente sull’Enterprise, dobbiamo stare attenti. Possiamo fidarci solo di noi stessi».

 

   Le navi dell’Unione caricarono in fretta i civili liberati da Carraya IV. Abbandonarono il sistema prima che arrivasse la reazione del Fronte, lasciandosi dietro solo una sonda. Raggiunto Acamar vi trasferirono gli sfollati. Il pianeta ne aveva già accolti molti dai sistemi vicini, ma poche decine di migliaia non facevano una gran differenza. Per ironia della sorte, erano numerosi quanto i Galateani che ci si aspettava in loro vece. Fatto questo, la task-force dell’Unione si divise: le navi erano richiamate su altri fronti. Quanto all’Enterprise, l’aspettava un’ultima visita a Galatea per decidere il da farsi. Ma prima c’era un’indagine interna da compiere.

   Quando la Sicurezza la informò che doveva perquisire il suo alloggio, Delara reagì indignata. «Non penserete che abbia infettato Cormak? Sono un soldato, io. Quello è un lavoro da medici» sostenne.

   «Non dico che sia stata lei a sintetizzare il virus» spiegò Lantora. «Ma può benissimo aver fatto da corriere». Presero a discutere di fianco all’ingresso, per far passare il personale incaricato della perquisizione.

   «Mi sospettate perché ero nella Sezione 31, ma sbagliate» disse la Betazoide. «Da quando mi hanno espulsa, non ho più avuto a che fare coi servizi segreti».

   «In tal caso non ha niente da temere» disse Lantora. «La consideri una pura formalità».

   «Uhm... è stata Neelah ad accusarmi, vero?» sibilò Delara, con sguardo velenoso. «Quella piccola traditrice!».

   «Si sbaglia. Il suo nome è emerso durante la riunione, ma Neelah non ha lanciato accuse» corresse Lantora. «Però il suo atteggiamento sprezzante verso la dottoressa non l’aiuta, Guardiamarina. Quindi stia calma e ci lasci fare il nostro lavoro».

   «Perquisirete anche gli alloggi delle altre guardie? E dei medici?» chiese la Betazoide.

   «Se qui non troveremo niente, sì» confermò lo Xindi. «Non la prenda sul personale. È un atto dovuto».

   «Beh, io non ho nulla da nascondere, quindi fate quel che vi pare. Perderete solo un po’ di tempo» disse Delara, allargando le braccia.

   Ma di lì a poco i fatti la smentirono. Terry e Korris uscirono dall’alloggio con sguardo cupo. Il dottore reggeva una busta trasparente per le prove, con dentro una siringa ipospray. «Abbiamo trovato questa» disse, mostrandola a Lantora. «Era nascosta in un’intercapedine dei circuiti del replicatore».

   «Ma che dice?! Sta vaneggiando!» protestò Delara, imporporata. «Io non ho nascosto nessuno stupido ipospray!». Fece per afferrare la busta, ma il dottore la ritrasse svelto.

   «Contiene ancora tracce del virus modificato che ha colpito i Krenim» disse Korris con gravità. «Anche se non ci sono impronte, l’abbiamo trovata nel suo alloggio. Questo lascia ben pochi dubbi».

   «Ma... ma...» balbettò Delara, guardandosi attorno come un animale in trappola. «Vi state sbagliando, tutti voi. Questa non è opera mia. Mi hanno incastrata... qualcuno mi ha incastrata!» gridò pateticamente.

   «Guardiamarina Livras, la dichiaro in arresto per alto tradimento e attentato bio-terroristico nei confronti dei civili di Carraya IV» disse Lantora, estraendo le manette elettroniche. «Tutto ciò che dirà da ora potrà essere usato contro di lei. Se non può permettersi un avvocato, la Flotta gliene assegnerà uno d’ufficio».

   «No, vi state sbagliando... ma insomma, siete tutti ciechi?! Non sono stata io!» gridò Delara, agitandosi istericamente.

   «La prego, non peggiori ulteriormente la sua posizione» disse Terry. L’afferrò e la immobilizzò contro la parete, permettendo a Lantora di ammanettarla. «Le accuse sono molto gravi» aggiunse l’IA. «L’aspetta l’ergastolo in un carcere di massima sicurezza».

   «E se c’è un Dio, che possa avere pietà della sua anima» aggiunse Korris, che reggeva ancora la siringa incriminata.

   «Non sono stata io... il colpevole è ancora in circolazione... non sono stata io...» mormorò Delara, con occhi spenti. Continuò a ripeterlo meccanicamente mentre le guardie la portavano via.

   «Beh, è stata l’indagine più breve che io ricordi» disse Lantora, passandosi una mano tra i capelli.

   «Però è strano che Delara non abbia distrutto l’ipospray, dopo averlo usato» notò Korris.

   «Molto strano» ammise Terry, turbata.

 

   «Anomalie» disse Terry, ricevendo il rapporto della sonda lasciata a Carraya. «Hanno superato Galatea e ora stanno avvolgendo Carraya IV. La sonda non trasmetterà a lungo».

   «Non è la risposta che ci aspettavamo, ma è sempre una risposta» commentò Chase.

   «Quindi abbiamo tolto Carraya ai Krenim solo perché se la prendessero i Tuteriani» notò Lantora con amarezza. Un senso di sconforto si diffuse in plancia. Anche le maggiori vittorie contro il Fronte sembravano inutili. Se una delle sue fazioni arretrava, un’altra ne prendeva subito il posto. In questo caso la sconfitta dei Krenim andava a tutto vantaggio dei Tuteriani.

   «Non è stata una vittoria inutile» disse Chase, per confortare l’equipaggio. «Abbiamo distrutto le catapulte subspaziali, ostacolando l’espansione Krenim. Abbiamo salvato 30.000 ostaggi dalla schiavitù. E per quanto riguarda i Tuteriani... il loro comportamento opportunista finirà per spazientire i Krenim. L’Ammiraglio Hortis non è uno stupido. Capirà che i Tuteriani li stanno usando, avvantaggiandosi delle loro vittorie come delle loro sconfitte. Prima o poi si sfilerà dal Fronte».

   «Se non ne temerà di più la ritorsione» obiettò Ilia. «Ora che si fa, torniamo su Galatea?».

   «I civili sono sbarcati tutti?».

   «Sì, Capitano» confermò Terry.

   «Allora andiamo».

   «Non dovremmo prima consegnare Delara alla giustizia?» ricordò Lantora. «Mi sono già accordato col tribunale federale per il trasferimento».

   «No» disse Chase con decisione. «Sento ancora puzza di bruciato in questa faccenda. Voglio interrogare a fondo Delara, prima di consegnarla ad altri. Dica al penitenziario che dovrà aspettare, perché ci sono... accertamenti in corso».

   «Come vuole, Capitano» annuì lo Xindi.

   Pochi minuti dopo l’Enterprise lasciò l’orbita. Chase si rilassò contro lo schienale della poltroncina, mentre il globo industrializzato di Acamar usciva dallo schermo. Conclusa la manovra, le stelle lasciarono il posto al condotto bianco-azzurro della cavitazione.

 

   Vista dallo spazio, Galatea sembrava il paradiso di sempre. Ma quando l’Enterprise entrò nell’orbita bassa, fu chiaro che qualcosa era cambiato. Le violente anomalie che l’avevano attraversata, durante l’assenza dei federali, avevano lasciato il segno. Le isole verdi si erano ingiallite, là dove la vegetazione era morta. Un cupo autunno sembrava investire, per la prima volta, tutto il pianeta.

   «Eidola City non risponde alle chiamate» riferì Grog.

   «Vediamola» ordinò Chase, sentendo stringersi lo stomaco.

   Inquadrata sullo schermo, la città sembrava bella e ordinata come sempre. Le case bianche e i palazzi coperti da superfici a specchio non avevano subito danni rilevanti. Solo la vegetazione era appassita. Ma osservando con attenzione, Chase notò quel che temeva. Le strade e le piazze erano deserte. Nessuna imbarcazione solcava il lago. La città era immobile e silenziosa, come un cadavere ancora incorrotto.

   «Com’è la rete energetica?» chiese il Capitano.

   «Disattivata in tutto il pianeta» rilevò Terry. «Le centrali sono spente. I pannelli solari e le pale eoliche funzionano ancora, ma le linee di trasmissione sono compromesse. Il black-out è totale».

   «Segni vitali?» domandò Chase con un tuffo al cuore.

   «Nessuno».

   I federali osservarono la città che scorreva sotto di loro, in un silenzio di morte. I palazzi avveniristici, le case confortevoli, le strade pulite, i parchi e le aiuole ben curate... tutto portava l’impronta dei proprietari. Ma loro non c’erano più. E si poteva argomentare che non ci fossero più da un pezzo, da quando i Galateani erano divenuti il simulacro di se stessi. Cos’era Galatea, se non una finzione che si auto-perpetuava? Eppure i suoi abitanti tenevano alla vita, né più né meno che se fossero stati Organici. Dove finiva la simulazione e dove iniziava la realtà?

   «Ci abbiamo provato» disse Terry, intuendo che il Capitano si sentiva responsabile. «Purtroppo non tutti possono essere salvati. I Galateani erano così condizionati dal loro programma da non sapere cosa facevano. Ogni loro azione li ha portati verso il baratro».

   «Già» sospirò Chase, osservando la città deserta. «Non potevamo salvarli... ma qui sull’Enterprise c’è ancora qualcuno che, forse...». Un’idea si stava formando nella sua mente. Qualcosa che metteva in fila gli strani eventi degli ultimi giorni.

   «Capitano?» chiese l’IA.

   «Potremmo esserci sbagliati» disse Chase, distogliendo a fatica lo sguardo dallo schermo. «Ma forse siamo ancora in tempo per rimediare. Che nessuno lasci l’astronave, per alcun motivo. E bloccate ogni trasmissione!» ordinò, improvvisamente agitato.

   «Capitano, che succede?» si allarmò Ilia.

   «Dobbiamo proseguire l’indagine» disse il Capitano con decisione. «T’Vala, lei è abilitata alle Fusioni Mentali. Se la sente di provarci con Delara?».

   «Posso tentare» rispose T’Vala, circospetta. «Ma quella mente sarà piena di blocchi. Ha subito così tanti condizionamenti e traumi, che non so se riuscirò a cavarci qualcosa» disse con onestà.

   «Faccia il possibile; nessuno le chiede di più» la rassicurò Chase. «Ma venga subito... il tempo è essenziale. Qualcuno la sostituisca al timone» ordinò, affrettandosi verso il turboascensore.

   «Insomma, che succede?!» chiese Lantora, confuso e preoccupato.

   «Non c’è tempo per spiegare. Metta guardie negli hangar e tenga d’occhio anche le capsule di salvataggio. Ma sia discreto... i passeggeri non devono accorgersi che siamo in allarme» ordinò Chase. Lui e T’Vala sparirono nel turboascensore.

 

   Le celle di massima sicurezza dell’Enterprise erano piccole. Contenevano un letto dal materassino sottile e un lavandino. Sulla parete di fondo si apriva la porta del bagno, ancora più angusto. I pasti erano introdotti con il teletrasporto e gli avanzi erano portati via con lo stesso sistema. La parete anteriore delle celle era trasparente, per sorvegliare di continuo i prigionieri, e irrobustita da un campo di forza. Non c’erano ingressi. Il teletrasporto era il solo modo per entrare e uscire in quegli ambienti inespugnabili. Dieci celle del genere erano disposte intorno a un salone centrale, dove si trovavano le guardie e i comandi della prigione. Solo una era occupata, al momento.

   Quando Chase e T’Vala si avvicinarono, Delara era seduta a terra, a gambe incrociate. Indossava la tuta grigia e monopezzo dei carcerati. Teneva le mani sulle ginocchia, aveva gli occhi chiusi ed era perfettamente immobile.

   «È in quella posizione da ore» disse il carceriere, bisbigliando sebbene le celle fossero insonorizzate. «Non capisco se sta meditando, se dorme o che altro».

   «Non sta dormendo» disse T’Vala. «Sa che siamo qui».

   «Ci metta in comunicazione» ordinò Chase. Il carceriere attivò l’altoparlante. Il Capitano e la timoniera avanzarono lentamente, finché furono proprio davanti alla cella. Delara era a meno di due metri da loro, dietro la lastra di metallo trasparente.

   «Salve, Capitano Chase» salutò Delara, che aveva ancora gli occhi chiusi. «E salve a lei, Tenente Shil. Prego, venite pure nel mio nuovo alloggio. È rilassante, anche se un po’ spartano».

   «Il Tenente Shil entrerà... per compiere una Fusione Mentale» disse Chase con calma.

   «Fusione Mentale!» sibilò Delara, aprendo finalmente gli occhi. Si alzò senza far leva sulle mani, con grazia serpentina, e fissò la timoniera. «Certo... orecchie a punta e quelle orribili sopracciglia all’insù. Avrai anche gli occhi da Betazoide, ma il tuo sangue è verde!» disse con disprezzo.

   «Mio padre è Vulcaniano» confermò T’Vala, sostenendo l’esame con dignità. «Grazie a lui ho avuto i migliori maestri di telepatia».

   «Ma non hai completato il kolinahr!» esclamò Delara, trionfante. «Sei una Vulcaniana Senza Logica».

   «La mia logica è impeccabile» si difese T’Vala, con una punta d’orgoglio.

   «A chi credi di darla a bere?» rise Delara. «Io sono una Betazoide pura. Ho percepito la tua paura nel momento in cui sei entrata. Paura di fallire, di non essere all’altezza. Poi... vediamo che altro c’è» aggiunse, socchiudendo gli occhi. «Ah, ecco... inadeguatezza. Temi di non andar bene né come Betazoide, né come Vulcaniana. E poi, e poi... lutto. Hai perso tua madre in tenera età. Queste sono emozioni potenti! E tu ne sei impregnata, cara la mia Vulcaniana!» disse in tono maligno.

   T’Vala vacillò e si portò una mano alla tempia, cercando di respingere i tentacoli mentali che la sondavano.

   «Basta così» ordinò Chase. «Questa Fusione Mentale è l’unica cosa che può evitarle l’ergastolo, Guardiamarina. Quindi le consiglio di collaborare».

   «Cos’è, ora si è convinto della mia innocenza?» chiese Delara, sprezzante.

   «Non ancora. Diciamo che sono aperto alla possibilità che lei sia stata la pedina di un gioco più grande» rispose in tono misurato il Capitano. «E lei non è curiosa di saperlo?».

   «Che me ne viene in tasca?» domandò subito la Betazoide, ancora sulla difensiva.

   «Se si rivelerà innocente, verrà scarcerata. E se scopriremo che è solo una fiancheggiatrice, la sua pena sarà ridotta» rispose Chase. «Questa è la sua unica possibilità, prima che la consegni al tribunale federale di Acamar. Quindi ci pensi bene, prima di rispondermi».

   «Come se avessi scelta!» disse Delara, fissandolo cupa. «Molto bene, faccia entrare la sua mezza Vulcaniana, e vediamo che sa fare» aggiunse in tono di sfida.

   «Se la sente?» chiese il Capitano, osservando T’Vala con un pizzico d’apprensione.

   «Sì, signore» rispose lei, con un respiro profondo.

   «Se avverte un pericolo per sé, spezzi il legame all’istante» raccomandò Chase. L’ultima cosa che ci voleva era un’altra telepate con la mente sconvolta.

   «Intesi, Capitano». T’Vala si recò sulla piccola pedana del teletrasporto che corredava il salone. Il carceriere azionò i comandi, trasferendola in cella.

   «Fai come se fossi a casa tua» l’accolse Delara, beffarda. Le due donne sedettero sul lettino, una davanti all’altra. T’Vala era girata in modo che il Capitano la vedesse in volto.

   «Andremo per gradi» disse la timoniera. «Libera la mente, non indugiare su pensieri che...».

   «So come funzionano le Fusioni» tagliò corto Delara. «Ho fatto ben altro, su Tantalus». Prese la mano di T’Vala e se la pose sulla guancia.

   «Bene allora, procediamo» disse la mezza Vulcaniana, aggiustando la posizione delle dita. «La mia mente nella tua mente. I tuoi pensieri nei miei pensieri. Le nostre menti si fondono... le nostre menti sono una sola». Una concentrazione dolorosa le distorse i lineamenti. Aggrottò la fronte per lo sforzo di entrare nella mente sigillata di Delara. «Non opporti» boccheggiò, come se stesse annegando. «Cerco di aiutarti».

   «Non mi sto opponendo» rispose la Betazoide, digrignando i denti per lo sforzo. «È solo che la Sezione 31 mi ha fatto... delle cose. Hanno messo... blocchi nella mia mente. C’erano cose che non dovevo sapere. Ho dei... buchi nella memoria. Non so...». Tacque, ma dalla tensione del suo corpo e dai respiri affannosi si sarebbe detto che avesse un principio d’infarto.

   «Calma, stai calma» disse T’Vala, stringendole saldamente il viso. «La mia mente nella tua mente... i tuoi pensieri nei miei pensieri... urgh...» ripeté fra i lamenti.

   «Tutto bene?» chiese il Capitano, che le osservava con crescente preoccupazione. Non aveva mai visto una Fusione Mentale così difficile e dolorosa.

   «La sua mente è... oh, povera creatura!» gemette la mezza Vulcaniana. «Che ti hanno fatto?».

   «Piano... mi fai male...» mormorò Delara. Stava piangendo. E T’Vala pianse con lei.

   «Signore, la sua mente è una foresta irta di spine... un labirinto pieno di porte sprangate» disse la timoniera fra i singhiozzi. «Serviranno anni di terapia per aiutarla. E non credo che guarirà mai del tutto».

   «Come temevo» mormorò Chase. «Riesce a capire se è stata lei a contagiare Cormak?».

   «Sei... stata... tu? Siamo... state... noi?» mugolò T’Vala.

   «Noi... non ricordiamo... noi... non sappiamo...» rispose Delara con la stessa voce.

   «Così non va» si disse Chase, scuotendo il capo. Era evidente che T’Vala compiva un terribile sforzo solo per mantenere il legame. Non poteva chiederle di rimettere in ordine quella mente torturata. Come aveva detto lei stessa, servivano anni di terapia. Ma di lì a poco l’Enterprise avrebbe dovuto consegnare Delara al tribunale. Bisognava accorciare i tempi.

   «T’Vala, mi ascolti» disse Chase, picchiando sulla parete trasparente. «Lasci perdere i Krenim, il contagio e tutto il resto. Mi dica una cosa sola».

   «Q-quale?».

   «Il nome in codice di Delara durante l’addestramento su Tantalus. Neelah mi ha detto che i “giovani dotati” erano numerati, anche se a loro insaputa» spiegò il Capitano. «Però credo che Delara conosca la sua designazione, a livello inconscio. Che numero era?» chiese con una strana urgenza.

   «Che numero siamo?» chiese T’Vala, dando fondo a tutte le sue capacità mentali. «Qual è la nostra designazione?».

   «Delara Livras, Agente Operativo...» rispose la Betazoide, schiumando come se avesse la rabbia. La voce di T’Vala si sovrappose alla sua; parlavano all’unisono. «Io sono... leale alla Sezione 31. Questa è la mia... famiglia. Questo è il mio... scopo. Io... io sono... io sono il Soggetto...».

   «Sì? Chi sei tu, Agente?!» gridò Chase, sui carboni ardenti.

   «Soggetto 378, pronto a servire!» gridarono Delara e T’Vala all’unisono. La loro pelle si accapponò, come se avessero ricevuto una scossa. Si staccarono di botto e ricaddero all’indietro, una verso la testata del letto e l’altra verso il fondo. Avevano il respiro affannoso, i volti pallidi e sudati, con gli occhi stralunati.

   «Povera me... la peggior Fusione... della mia vita!» gemette T’Vala, portandosi le mani alle tempie.

   «Che bastardi... sapevo che mi avevano frellato il cervello, ma...» boccheggiò Delara.

   «Ho quel che mi serviva. La porti via» ordinò Chase al sorvegliante. T’Vala fu subito teletrasportata fuori dalla cella. Era ancora accasciata a terra. Chase l’aiutò a rialzarsi e poi la sostenne, perché aveva le gambe molli. «Bravissima, T’Vala. Mi spiace di averla costretta a un simile sforzo, ma non c’era alternativa. Ora si riposi» raccomandò.

   «Perché ha voluto sapere il suo numero?» chiese T’Vala, asciugandosi il sudore dalla fronte. «Di tutte le cose che potevo cercare, perché proprio quello?».

   «Era il tassello mancante» spiegò Chase. Vedendo che T’Vala era più salda sulle gambe, la lasciò andare e si rivolse alla prigioniera: «Ho buone notizie per lei, Delara. Ora so che è innocente».

   «Davvero?» si stupì la Betazoide. «Come può saperlo, se non lo so nemmeno io?».

   «Perché ho trovato il vero colpevole» spiegò Chase, facendosi torvo. «Sarà meglio che gli faccia visita, prima che accada qualcos’altro d’irreparabile». Se ne andò di corsa, lasciandosi dietro due telepati esauste e piene di domande.

 

   Il laboratorio di Neelah era sigillato come sempre, ma quando i sensori d’ingresso riconobbero Chase lo fecero entrare senza difficoltà. La stanza principale era il solito guazzabuglio di tecnologie mezze smontate. Le luci erano basse e l’aria fredda, a imitare le condizioni ambientali di Andoria. Le consolle alle pareti mostravano che i computer erano al lavoro sul rompicapo medico che affliggeva l’Unione: trovare una cura per l’Agente 47. Le sequenze genetiche del virus scorrevano sugli schermi.

   «Ciao, Alexander!» sorrise Neelah, vedendolo entrare. «Che ti porta qui?».

   «Ero in pensiero per te» rispose il Capitano, mantenendo le distanze.

   «In pensiero? Perché?!» si stupì l’Aenar, accorgendosi anche dalla sua espressione che qualcosa non andava.

   «Ci sbagliavamo su Delara» spiegò Chase. «Lei è innocente, ora ne ho la prova».

   «Davvero?» fece Neelah, ancora più meravigliata. «Eppure sembrava tutto contro di lei. Beh, sono contenta. Hai anche trovato il colpevole?».

   «Oh, sì» annuì Chase, guardandola come se la vedesse per la prima volta. «E indovina un po’? Si trova proprio qui, nel tuo laboratorio».

   «Alexander, ma che dici?» mormorò Neelah, arretrando spaventata. Se avesse potuto impallidire l’avrebbe fatto.

   «Dico che dovresti scegliere meglio i tuoi ospiti» rispose il Capitano, osservando la porta che dava sulla stanza di sinistra. Sentì rumore di passi e vide una figura umanoide stagliarsi sulla soglia.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Star Trek / Vai alla pagina dell'autore: Parmandil