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Autore: Mocchan    13/01/2019    4 recensioni
Guan Shan è dovuto crescere in fretta, assumendosi responsabilità che a un quindicenne non spetterebbero e rendendosi utile in casa. A scuola è uno studente problematico, fra gli ultimi nella graduatoria scolastica e spesso in punizione. Al di fuori, non ha praticamente amici e l'unica cerchia che frequenta è poco raccomandabile.
Da una parte ci sono He Tian, Jian Yi e Zheng Xi; dall'altra, She Li e un'appetibile soluzione al suo problema: i soldi.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: He Tian, Mo Guan Shan, She Li
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia prima classificata a pari merito al contest “Mille e una fiaba” indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di EFP.
Pacchetto: Pinocchio

ANCHE CON IL MONDO CONTRO



 
In giardino stavano giocando a basket.
Dalla finestra socchiusa penetrava un concerto di rumori che infastidiva Guan Shan: le risate e le prese in giro, la palla che rimbalzava sul campo, qualcuno che richiamava un compagno di squadra. Gli altri studenti si stavano divertendo, mentre lui era costretto a un'ora di punizione.
Aprì gli occhi, il tentativo di spendere quell'ora dormendo era andato a farsi benedire. Sollevò la testa dal banco, squadrandosi attorno: nell'aula di detenzione erano presenti altri sette studenti, tutti altrettanto annoiati.
Guan Shan incrociò le braccia sul banco e vi poggiò il mento sopra, sbuffando. Ogni volta il tempo sembrava scorrere a rallentatore. Avrebbe potuto studiare, i professori consigliavano sempre di approfittarne per ripassare o fare i compiti, ma a lui non importava nulla dei voti, così come, in fondo, non gli fregava nemmeno di terminare gli studi o proseguirli oltre. Avrebbe benissimo potuto mollare la scuola, perché le sue priorità erano altre.
Si morse l'interno del labbro inferiore; non doveva essere lì, sarebbe dovuto tornare a casa a un buon orario per poter aiutare la madre con le faccende. Era un disastro. Sua madre era costretta a svolgere più lavori durante la giornata per pagare le bollette e mantenerli, si occupava della casa e la manteneva in ordine, da dieci anni si prendeva cura di lui da sola. E lui non trovava altro modo di ripagarla se non facendosi mettere in punizione?
Guan Shan si sfregò la fronte e lanciò un'occhiata all'orologio da parete: aveva ancora dieci minuti, ma una volta scaduti sarebbe corso a casa e si sarebbe reso utile, da buon figlio responsabile.
Se lo ripeté per tutti i dieci minuti successivi. Quando finalmente fu libero di andarsene, raggiunse la sua bicicletta e pedalò fino a casa, senza soste lungo la strada, diretto come un fulmine.
La detenzione si inseriva dopo l'orario scolastico, andando ad allungare quella che da sé era già abitualmente una lunga e impegnativa giornata di scuola. Era tardo pomeriggio quando rincasò, la madre aveva giusto un'altra oretta di riposo prima di recarsi a un secondo lavoro.
Guan Shan si sfilò le scarpe all'entrata e salutò la madre: «Sono tornato, ma’.»
«Bentornato, tesoro. Hai avuto l'orario prolungato oggi?»
Il viso di Guan Shan si tese in una nota d'imbarazzo mentre si dirigeva verso la sua camera con lo zaino ancora in spalla. «Sì,» provò a rispondere, «ero impegnato col club sportivo, un mini-torneo fra diverse sezioni.»
«Ah, che sport hai scelto alla fine?» gli domandò entusiasta, intenta a sciacquare i piatti e a sistemarli sullo sgocciolatoio.
«Basket.» Guan Shan si sentì subito male per quella bugia, ma cercò di ingannarsi pensando che in fondo era vero: lui era realmente iscritto al club sportivo di basket, soltanto che quel pomeriggio non aveva messo piede nel campetto.
Emise un sospiro che somigliò tanto a un grugnito, poi andò a rinchiudersi in camera. Mollò lo zaino sul pavimento, accanto all'armadio, e cominciò a spogliarsi. Si levò la divisa scolastica, gettandola malamente sul letto, e si infilò i pantaloni della tuta per stare comodo.
Ebbe appena il tempo di sdraiarsi sul letto, sfogliare qualche pagina di una rivista, che ricevette un messaggio. Quando lesse il nome di He Tian sullo schermo fu tentato di ignorarlo, ma data la sua insistenza, con il telefono che continuava a vibrare, si decise a leggere. Soltanto a leggere, poi avrebbe scelto se rispondere.
“Piccolo Mo, hai impegni per stasera?” recitava l'ultimo messaggio.
Guan Shan corrugò la fronte, infastidito. Aveva a che fare con quel tipo di messaggi una volta ogni due giorni. Il giorno prima era stato uguale, quindi la sua dose di disagio aveva già raggiunto il limite, ma evidentemente He Tian non era dello stesso parere.
Alla fine replicò: “Certo che ho impegni. Puoi considerarmi impegnato ogni sera e ogni giorno, da qui all'eternità. Non mi scocciare.”
Rimase immobile a fissare lo schermo, prevedendo che quella risposta non avrebbe fatto desistere il ragazzo, che infatti tornò alla carica.
“Non fare così. Se mi stai rispondendo significa che non sei così occupato.”
Dopo quel messaggio, Guan Shan ebbe proprio l'istinto di non rispondergli, il rumore che giunse dalla cucina lo aiutò in questo.
Un bicchiere si era infranto a terra, quando Mo fece capolino dalla sua camera intravide i cocci di vetro sul pavimento. La madre era inginocchiata lì accanto con qualche frammento in mano, il suo capo era chino e la schiena ingobbita tremava. Un singulto, bastò quello e Guan Shan si fiondò al fianco della donna.
«Ti sei ferita? Lascia stare, ci penso io a ripulire.» Le tolse i frammenti dalla mano, mentre con un mezzo abbracciò tentò di tranquillizzarla. Quando la vide meglio in viso, si accorse che le guance erano rigate dalle lacrime e la bocca contorta dallo sconforto. Stava piangendo e non certamente per quel bicchiere. No, Guan Shan sapeva benissimo che cosa l'affliggeva.
«Ma’, va tutto bene, e continueremo a stare bene. Non preoccuparti, ci sono io.»
«Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto che tu debba vedermi in queste condizioni» il pianto della madre si fece ancora più brusco, con brividi che le agitavano il corpo.
«È tutto ok...» pronunciò lui in un sussurro. Con il dolore al cuore, la raccolse fra le sue braccia, la strinse dolcemente e le fece appoggiare la testa contro la sua spalla. Anche il suo corpo iniziò a fremere, ma erano sentimenti di altra natura quelli che lo scuotevano. Rabbia, delusione, ansia... impotenza. La realizzazione di essere stato nient'altro che un peso per la madre lo colpì come un treno in pieno petto. Inutile, si sentiva inerme di fronte alla loro situazione precaria. Fin quel momento non aveva fatto a sufficienza per alleviare le pene della madre, poteva e doveva fare di più.
«Va tutto bene,»  ripeté di nuovo, ma questa volta più a se stesso, «ti aiuterò io. Stai tranquilla, farò di tutto perché tu non debba reggere tutto il peso sulle tue spalle. Abbi fiducia in me.»


Guan Shan avrebbe dato tutto per tener fede alla promessa pronunciata la sera prima alla madre, ma già quella mattina, guardando in faccia la dura realtà, si rese conto che sarebbe stata dura.
Non aveva un lavoro, il suo ultimo contratto era terminato qualche settimana prima. I lavoretti occasionali permettevano di tirar su qualche soldo, ma quel tanto che bastava per pagarsi i pasti di una giornata. Doveva impegnarsi molto di più se voleva contribuire in maniera significativa alle spese di casa.
Sospirò a fondo, le mani nascoste nelle tasche. Varcò il portone d'entrata della scuola e quasi non si accorse del braccio che gli avvolse le spalle, così perso com'era nei suoi pensieri.
«Piccolo Mo, non mi hai più risposto ieri sera. Sei arrabbiato?»
«C'è bisogno che te lo dica?»
He Tian lo strinse con vigore a sé, provocando la reazione stizzita dell'altro. «Dimmelo, allora: cos'è che ti turba?»
Come al solito, quel ragazzo sfacciato rigettava ogni sua frecciatina con una disinvoltura che lo irritava ancora di più. Guan Shan se lo scrollò di dosso con uno spintone secco. «‘Fanculo, sei tu! Visto che non ci arrivi, te la do io la risposta: tu, tu, TU!»
He Tian, così come metà degli studenti che stavano percorrendo il corridoio, lo fissò interdetto. Sulle sue labbra si allargò un sorriso beffardo e con voce suadente disse: «Ti stai confessando, Mo Guan Shan?»
«Che diamine- NO! Che hai in testa, cacca di piccione?» Girò i tacchi e a passo spedito si allontanò più che poté dall'altro. Lo udì ridacchiare e supplicarlo di fermarsi, che scherzava e doveva imparare a prendere le battute per quello che erano; ma Guan Shan non era proprio dell'umore di scherzare quella mattina. Così, prima di svoltare l'angolo e sparire alla vista di He Tian, ribatté un'ultima volta: «Lasciami. In. Pace!»

She Li camminava con passo rilassato per il corridoio. Oltrepassò l'aula della sezione ‘sette’ del terzo anno, fermandosi poi sul posto, e un secondo dopo di fronte a lui apparve Guan Shan. Lo salutò con un cenno del capo che l'altro ricambiò, poi riprese il passo. Due passi e l'altro gli fu davanti, sembrava che volesse parlargli, ma un'espressione dubbiosa gli corrucciava il volto.
«Mo,» pronunciò She Li, «devi dirmi qualcosa?»
«Chiederti, più che altro» rispose in tutta prontezza Guan Shan, che pareva aver trovato le parole o, forse, il coraggio. «Per caso i tuoi hanno bisogno di qualcuno al bar? Un aiuto anche temporaneo magari?»
La bocca di She Li si inarcò in un sorriso appena abbozzato. Conosceva la situazione economica dell'altro, probabilmente non aveva nessun altro lavoro per le mani in quel momento. Suppose che fosse piuttosto disperato per chiedere proprio a lui. «Ora come ora no» affermò placido. «Tuttavia, potrei avere qualcosa che fa al caso tuo.»
Il ragazzo lo squadrò accigliato. «Va bene qualsiasi cosa, ho davvero bisogno di lavorare.»
«Ti informo però, ne sto parlando a te, ma non voglio che si sappia in giro. È solo per... gli amici fidati.»
Guan Shan deglutì, per un attimo non capì dove stava andando a finire la loro conversazione. Gli aveva chiesto una cosa molto semplice, eppure il tono di She Li era diventato confidenziale, cauto. Avvertì un senso di pericolosità fra le sue parole.
«Se è soldi che cerchi, ne avrai. Tutti quelli che vuoi, se sarai bravo.»
«Ma?» lo precedette, fiutando l'andamento del discorso.
«Ma non è un compito che chiunque può svolgere. Devi essere tosto, disciplinato, resistente, furbo anche. E soprattutto, devi saper tenere acqua in bocca. Ti offro di lavorare con me, per me, ma devo potermi fidare.»
Fidare, ecco che tornava in gioco quella parola. Più la sentiva pronunciare, che fosse lui o chiunque altro, più gli pareva che perdesse di significato, di senso, di tutto. Un suono insapore che vagava nell'aria, senza alcun peso reale.
«Ti prenderai la responsabilità?» lo incitò infine She Li.
«Certo. Qualsiasi cosa, non ho problemi.»


Al suono dell'ultima campanella, il giardino fu invaso dalla massa di studenti che uscivano dall'istituto. Guan Shan continuava a ripetersi a mente il posto che gli aveva indicato She Li, così da non dimenticarselo.
Procedeva a passo spedito diretto alla stazione della metro, dato che quel giorno aveva preferito non andare in bicicletta. Gli giunse all'orecchio una voce squillante che chiamava il suo nome, insistente. Fu tentato di ignorarlo e proseguire per la sua strada, ma l'individuo molesto in questione lo afferrò per la giacca.
«Ehi, Rosso, perché non ti fermi quando ti chiamo?»
Guan Shan si voltò in direzione del biondino, più basso di lui di qualche centimetro. Con aria truce grugnì: «Quanto sei fastidioso, scrollati di dosso.»
Jian Yi brontolò sommessamente quanto fosse irascibile e intrattabile, ma l'attenzione nei suoi confronti terminò lì, poiché si rivolse prontamente a Zheng Xi che camminava al suo fianco.
«Zhan Xixi, stammi più vicino, avverto troppa distanza fra di noi.»
Zheng Xi, seppur mormorando qualcosa, si fece più vicino all'amico, nonostante stessero già camminando spalla contro spalla.
Guan Shan trovò curioso quel fatto, interessante, ma non riuscì a capirlo completamente. Intravedeva un legame che andava oltre l'amicizia, che sfociava quasi... Il suo cervello andò nel pallone quando avvertì uno struscio, un contatto invadente contro il braccio. Si voltò dalla parte opposta ai due compagni soltanto per realizzare che He Tian era lì, accanto a lui.
Avvampò, balzando sul posto dallo stupore. «Tu da quanto tempo sei qui!?»
«Da quando ti abbiamo raggiunto.»
Da quando ti abbiamo raggiunto, ripeté a mente Guan Shan, fissando il vuoto.
«Pensavo che fingessi di ignorarmi. Come hai potuto non accorgerti di me?» La voce del ragazzo suonò canzonatoria e ironica: aveva voglia di prenderlo in giro, come suo solito.
Accennò appena un verso di stizza, ma si ricordò di essere di fretta, che c'era un posto dove doveva recarsi e non aveva tempo per quelle bambinate. Quindi affrettò il passo superando il gruppetto.
«Ehi!» provò a bloccarlo He Tian, afferrandolo per il polso.
Ma lui si divincolò con uno strattone e, proseguendo senza voltarsi, si giustificò: «Voglio soltanto tornarmene a casa.»

Quel tratto di strada non appariva molto frequentato: pochi negozi, molti appartamenti disabitati, in giro non c'era quasi nessuno. Non conosceva quel quartiere, ma per via di She Li c'era già capitato alcune volte. Per quel motivo, percepì uno strano senso di familiarità e riconobbe all'istante quella galleria.
Camminò sul marciapiede fino al sottopassaggio e fu subito distinguibile un vociare di adolescenti scalmanati, tutti attorno alla sua stessa età. Un gruppetto di, su per giù, una ventina di ragazzi, radunati in quel sottopasso dai muri imbrattati di murales e graffiti.
Guan Shan si prese il tempo per studiare quella massa chiassosa, su tutte quelle teste, risaltò la chioma platinata di She Li. Si fece avanti quel tanto che bastò perché l'altro potesse notarlo.
Quando lo vide She Li gli sorrise come non aveva mai fatto prima, in una maniera che provocò nel ragazzo una sensazione di immenso disagio. Un topo sul bordo della trappola, così si sentì. Ma She Li voleva soltanto aiutarlo, ne era sicuro, seppur in un modo non convenzionale.
«Sei venuto.»
«Avevi dubbi?» ribatté Guan Shan, per quanto a disagio, non aveva intenzione di mostrarsi in soggezione.
«Al contrario, ero sicuro che ti saresti presentato.» She Li lo prese sotto braccio e lo guidò più vicino al punto di interesse di tutti gli altri presenti: erano disposti in cerchio, circondando altri due adolescenti con indosso le loro divise scolastiche. Guan Shan credette di riconoscere l'abbinamento giallo e verde, caratteristico di una scuola superiore non lontana dal suo quartiere; segno anche che quel ragazzo doveva avere almeno sedici anni.
Guardando meglio, notò che entrambi avevano i vestiti macchiati di sangue. Uno dei due si reggeva a malapena in piedi, l'altro, il sedicenne, aveva il labbro inferiore spaccato, insanguinato. In quell'istante realizzò cosa stava accadendo.
«Mo, ti ricordi i requisiti che ho menzionato questa mattina?»
Il rosso annuì col capo, senza fiatare e trattenendosi il meglio che poté dal deglutire.
«Ti senti abbastanza capace per metterli in pratica?»
«Cioè, si tratta di fare a botte con altri ragazzini, dico bene?»
«Dici bene. Allora, te la senti?»
Guan Shan riportò lo sguardo sul centro della mischia, su quei due ragazzini che se le davano senza risparmiarsi colpi, anche di quelli bassi.
«Cosa ci guadagnerei?» chiese soppesando con attenzione la possibilità.
«Una percentuale sulla vincita della mia scommessa.»
Squadrò She Li con aria interrogativa: per ogni risposta che otteneva parevano sbucar fuori ancora più dubbi. «In concreto, quanto ci guadagnerei io?» Riprovò, se doveva sporcarsi le mani, preferiva quantomeno che ne valesse la pena e ricevere un ritorno adeguato.
«Almeno 40 yuan a incontro.»
Guan Shan strabuzzò gli occhi, non gli fu difficile fare due conti e individuare il lato positivo di quell'offerta. Quella somma pareggiava già da sola l'ammontare di un'intera settimana di lavoro al mercato o come sguattero nei locali.
«Decidi allora,» il tono di She Li si ridusse a un sibilo, «pensi di avere abbastanza palle per questo lavoro?»
«Non c'è bisogno di chiederlo. Sono più che pronto.»
Guan Shan ricambiò lo sguardo dell'altro con determinazione, al che il biondo platinato gli sorrise soddisfatto. Gli sfregò una spalla e poi lo sospinse verso la folla.
«Sapevo non mi avresti deluso. Ricordati, Guan Shan, sei il mio mastino: mi aspetto che tu vinca. Sempre.»


Il sole in cielo aveva lasciato il posto alla luna e alle stelle. I lampioni della via erano già illuminati, segno che fossero le sette passate.
Guan Shan si tamponò un'ultima volta il naso con un fazzoletto, si diede una rapida controllata col telefono e giudicò passabile il suo aspetto. Fisicamente non era messo troppo male, anche se aveva dolori sparsi un po' ovunque. Si tastò una tasca dei pantaloni: il piccolo gruzzolo guadagnato con sudore e sangue gli regalò un'immediata sensazione di sollievo, contentezza.
Quando entrò in casa, la madre era intenta a tagliare le verdure per la cena. Un pentolone d'acqua sul fornello esalava vapore acqueo nell'aria, riscaldando l'ambiente.
«Sono rientrato, ma'» la salutò come di consueto.
«Sei tornato tardi oggi, tesoro. Sei stato in giro?»
Mugugnò qualche parola di assenso, mentre poggiava il rotolino di banconote su un mobile dell'ingresso, dove la madre teneva le varie bollette da pagare.
«Un amico è passato a trovarti» lo informò, attirando tutta la sua attenzione. «Pur non sapendo a che ora saresti tornato, ha voluto aspettarti in camera tua. Forza, vallo a salutare, sono ore che attende.»
Guan Shan sospettò di sapere chi potesse essere; non esitò oltre e si fiondò verso la porta della camera, per poi imprecare appena l'aprì. «Che cavolo pensi di fare sul mio letto!?»
He Tian se ne stava tranquillamente sdraiato con il telefono in mano. Sollevò lo sguardo verso di lui, annoiato e truce, e gelido come una stalattite disse, citando le sue esatte parole: «Credevo che volessi soltanto tornartene a casa
Guan Shan avvertì l'intero corpo paralizzarsi sul posto, come un criminale colto in fallo. «Infatti,» trovò la sfacciataggine di mentire, «ma poi ho deciso di passare da un amico. E comunque non sono cose che ti riguardano, non ti impicciare!» Mollò lo zaino a terra e si richiuse la porta alle spalle, anche se contava che presto si sarebbe riaperta per far uscire He Tian.
Stava per ordinargli di alzarsi dal suo letto, ma il moro lo precedette sia nell'intenzione che nel prendere parola.
«Un amico? Credevo di essere anch'io un tuo amico, piccolo Mo, ma perché allora mi nascondi le cose?» lo stuzzicò, facendosi vicino a lui tanto da poterlo guardare dall'alto dei suoi centimetri in più.
«Ma di che stai parlando?» grugnì Guan Shan, preso in contropiede. «Non devo giustificarmi con te, tanto meno devo farti sapere tutti i miei movimenti o le mie frequentazioni.»
«Che termine curioso che hai usato: frequentazioni
Impallidì, persino per lui quella parola era fin troppo ricercata e, in ogni caso, non l'aveva intesa in quel senso. Fu sul punto di rimangiarsi tutto, negando qualsiasi insinuazione dell'altro, ma poi una lampadina si accese.
«Sì, certo, perché? Ho bisogno del tuo permesso per vedermi con qualcuno? Dovresti darti meno importanza.»
Lo sguardo che He Tian gli restituì parve un suggerimento a zittirsi, o a rimboccarsi le maniche per scavarsi la fossa. Fece ricorso a tutta la forza di volontà che aveva in corpo per non battere ciglio di fronte a lui. Quasi gli vennero le lacrime agli occhi.
La reazione dell'altro lo sbalordì, ancora una volta. Ghignò, strofinandogli con una mano i capelli, e con una tonalità apatica, atta a mascherare il nervoso che invece traspariva dal suo volto, gli bisbigliò delle parole all'orecchio...
«Non respingermi sempre.»


Guan Shan aveva ricevuto un messaggio da parte di She Li: lo aspettava nell'aula di chimica durante l'intervallo.
Mentre si stiracchiava i muscoli indolenziti, cominciò a dirigersi verso la stanza in questione. Altri studenti passeggiavano e sostavano nel giardino e per i corridoi, ma nemmeno il brusio collettivo poteva disturbare il suo stato pensieroso.
Era trascorsa una settimana da quella sera, quando He Tian aveva lasciato casa sua indispettito, amareggiato e forse, Guan Shan temeva, anche diffidente. Il suo atteggiamento l'aveva fatto insospettire, probabilmente aveva colto la menzogna dietro alle sue parole. In ogni caso, per tutta la settimana aveva mantenuto alta la guardia per evitare contatti inopportuni con il moro.
Giunse finalmente all'aula di chimica, la porta semichiusa. All'interno si potevano già intravedere diverse figure di studenti. Aprì la porta quel tanto per poter individuare She Li, appoggiato a una parete. Sgusciò dentro e si diresse verso di lui, quindi lo salutò con il consueto cenno del capo: non si erano mai sprecati in finte cordialità. Definirli ‘amici’ era un parolone, ma anche ‘conoscenti’ era riduttivo. Semplicemente non avevano un termine per definirsi.
«Ho delle novità» esordì il bullo.
«Spara.»
«Questo pomeriggio si terrà un nuovo incontro, voglio che partecipi.»
Guan Shan espresse il suo assenso inclinando la testa.
«Il tuo avversario è un mingherlino del primo anno, sarà alto un metro e sessanta, su per giù.» Portò lo sguardo verso il ragazzo, serio. «Ho intenzione di scommettere su di lui, nessuno lo farebbe mai date le sue poche probabilità di vincita, quindi...»
«Vuoi che perda, non è vero?» intuì Guan Shan, un senso familiare di rabbia e impotenza gli attanagliò lo stomaco. «Credevo di essere il tuo miglior lottatore, il tuo mastino, e ora vuoi che perda. Perché dovrei farlo?»
L'altro sospirò come se avesse preveduto quella reazione. «Hai detto bene, Mo, sei il mio miglior lottatore e perciò nessuno si aspetterebbe la tua sconfitta,» spiegò paziente, «proprio per questo motivo voglio che invece tu perda. E confido che lo farai.»
Guan Shan serrò la mascella abbassando lo sguardo ai piedi. Non gli piaceva la piega che stava prendendo quella situazione, truccare un incontro per vincere la scommessa... perdere. Le orecchie gli si tinsero di rosso, accaldate.
«Posso contare su di te, vero? Spero che tu non abbia intenzione di tirarti indietro,» lo incalzò impedendogli di ragionarci su, «sarebbe da codardo
Si sentì punto nell'orgoglio, suo punto più debole. Suo malgrado, accettò quell'accordo infame.

«Zhan Xixi...» pronunciò Jian Yi sovrappensiero, immaginandosi il volto dell'amico: i suoi occhi di un celeste opaco, prezioso; le labbra arcuate e seducenti. «Zhan Xixi...»
«... Questo pomeriggio dopo la scuola, al sottopassaggio...»
Jian Yi voltò il capo verso l'aula di chimica, spiando la sagoma di Mo Guan Shan fare capolino da dietro la porta socchiusa.
«Non fare tardi, Mo.» Fu l'ultima parte che carpì del discorso, prima di sfrecciare via a tutta velocità al solo riconoscere la voce di She Li.


Guan Shan era convinto che preparando lo zaino prima del suono della campanella, e filandosela via subito dopo come un fulmine, sarebbe riuscito a evitare qualsiasi tipo di incontro molesto e seccante. Aveva fatto male i calcoli.
Jian Yi lo afferrò per lo zaino, sbilanciandolo per un secondo. He Tian e Zheng Xi erano con lui.
Non ebbe il coraggio di guardare il moro negli occhi, mentre indirizzò al biondo il suo saluto: «È incredibile come tu possa essere fastidiosamente allegro dopo tutte quelle ore di lezione. Ti fai?»
«Di cosa?» domandò Jian Yi con sguardo vacuo. «O forse mi stai chiedendo se mi faccio... qualcuno?»
Fra il gruppetto calò il silenzio e il biondo si beccò le occhiatacce di tutti e tre. Guan Shan si rifiutò di cogliere l'allusione, piuttosto si divincolò dalla debole presa e schizzò via. Prese a correre verso la sua destinazione, senza scusarsi né voltarsi indietro. Voleva liberarsi al più presto di quella faccenda e chiuderla lì.


I tre restarono a fissare il rosso finché non scomparve dalla loro vista.
«Si comporta in modo strano» commentò Zheng Xi. Gli altri due concordarono mentalmente con quell'affermazione. «Come se stesse nascondendo qualcosa» aggiunse.
«Dice che frequenta qualcuno» disse He Tian, mentre il gruppetto aveva ripreso a muoversi.
«Per questo è così irritabile ultimamente? No, cioè, lo è sempre stato, ma in questo periodo lo è ancora di più. L'altro giorno gli sono apparso da dietro, per poco non mi ha preso a pugni.» Jian Yi inclinò la testa sulla spalla di Zheng Xi, che lo lasciò fare, seppur corrugando la fronte.
He Tian non ridacchiò nemmeno, serio e pensieroso com'era. «Dite che si sta davvero vedendo con qualcuno?»
«She Li!» esclamò il biondino.
«She Li?» ripeterono confusi gli altri due.
«Sì, proprio lui. Li ho sentiti oggi mentre si davano appuntamento dopo la scuola. She Li ha anche precisato: “Non fare tardi, Mo”» raccontò, scimmiottando il tono di voce del bullo.
«Ora sono curioso» lo intrappolò He Tian con un braccio. «Dove sarebbe il luogo dell'appuntamento?»


Intorno a lui era un vocio indistinto di grida, acclamazioni, insulti. Di fronte a sé, lo studente del primo anno barcollava e tentennava, stremato.
In quella pausa momentanea, dettata dall'attesa che l'altro compisse la prossima mossa, Guan Shan si scrutò le nocche delle mani. Mani che reggeva davanti a sé come scudo dagli attacchi. Sbucciate e insanguinate, sia del suo che del sangue dell'altro. Non immaginava che quel bambino sarebbe durato tanto, infatti, a giudicare dal suo affanno, ipotizzò che si sarebbe presto arreso.
Lanciò un'occhiata a She Li, tra la folla, che gli fece un cenno inequivocabile. Era giunto il momento: doveva perdere. Di tutta risposta, serrando la mascella, decise di rimanere fedele, per una volta.
Caricò, a partire dalle gambe, tutta la forza che poté in un unico pugno, un gancio destro che cozzò contro la guancia già livida del tredicenne. Si sentì una merda, ma aveva deciso di restare fedele a se stesso, nessun altro.
Il ragazzino cadde al suolo, inerme, e venne sancita la fine dell'incontro. Mo Guan Shan aveva vinto, She Li aveva perso. Quando incontrò il suo sguardo, colse un'ira quasi disumana celarsi dietro una finta indifferenza. Non seppe capire come la scorse, se dagli occhi di ghiaccio, i lineamenti tirati, la postura composta ma minacciosa.
Il tempo che il ragazzino malconcio venne spostato in disparte, e She Li prese posto di fronte a lui. «Questo non me lo dovevi fare» proferì sdegnato, prima di centrarlo con un pugno diretto allo stomaco.
Le gambe gli cedettero, ormai svuotate dalle forze. Rovinò a terra sputando saliva e liquidi gastrici. D'istinto strinse i pugni, per quanto messo male fosse, non le avrebbe prese senza reagire. Nemmeno da lui.

Guan Shan era appena caduto rovinosamente al suolo, colpito da She Li.
«Dobbiamo...» aiutarlo, avrebbe voluto dire Jian Yi che prima di poterlo fare si vide arrivare in piena faccia lo zaino di He Tian. Il moro senza esitare si lanciò verso i due nel sottopassaggio. Spintonò qualche bulletto per farsi strada, fino a inserirsi fra i due compagni di scuola.
Alle sue spalle, Guan Shan si era rialzato, pronto a menar le mani. Di fronte a sé, She Li lo mirava dritto negli occhi, altrettanto pronto a rispondere.
«Non ci pensare neanche. Finisce qui, non azzardarti a sfiorarlo mai più.»
She Li ghignò davanti a quella minaccia. «Pensi davvero che possa finire così? Mo Guan Shan mi ha giocato davvero un brutto tiro, non accetto un torto del genere. Ripagherà, in un modo o nell'altro.»
Quell'avvertimento venne interpretato dai presenti come un invito a dileguarsi. Tutti se ne andarono, She Li compreso, lasciando i quattro amici soli in quel sottopassaggio.
Zheng Xi e Jian Yi li avevano raggiunti; osservavano i due in silenzio, incapaci di dire alcunché in quella situazione.
«Non c'era bisogno che venivate» mugugnò il rosso, imbarazzato, sofferente e al limite del pianto. «Me la sarei cavata.»
«Certo che...» intervenne He Tian deluso, alterato, ma con una nota di compassione nella voce, «ne dici di stronzate


La notte non chiuse occhio e l'indomani, a scuola, evitò di parlare con chiunque, anche con i suoi stessi compagni di classe. Si vergognava profondamente di ciò che aveva fatto, fin dove si era spinto per qualche soldo.
Così, Guan Shan si ritrovò a fissare il proprio riflesso nello specchio del bagno maschile, in quel momento deserto. Scrutò le sbucciature che gli sfregiavano la pelle, i lividi che gliela macchiavano. A sua madre aveva detto che era stata una pessima settimana di allenamenti al club di basket, lei aveva finto di crederci. Aveva colto la sua bugia, ovviamente; era sua madre dopotutto.
E suo padre, se avesse saputo cosa si era ridotto a fare, non sarebbe stato affatto orgoglioso di lui. No, forse non l'avrebbe nemmeno disprezzato, ma solamente compatito.
Avvertì gli occhi pizzicare con insistenza, ma non voleva piangere, non lì. Aprì l'acqua del rubinetto e sciacquò più volte il viso, come per volersi riprendere da uno stato di torpore.
Al cigolio della porta si interruppe, drizzandosi allertato, e con la coda dell'occhio intravide una figura slanciata fare il suo ingresso.
«Ti stavo cercando.» La voce era calma, comprensiva.
Se possibile, Guan Shan si sentì ancora peggio. «He Tian,» lo chiamò per nome «non sono dell'umore per parlare, voglio stare da solo.»
«Lo capisco» commentò l'altro, asciutto. «In questo caso, basta che mi ascolti.»
Il silenzio di risposta venne inteso come un consenso a proseguire.
«A tutti capita di sbagliare, piccolo Mo. Non sei il primo e non sarai di certo l'ultimo a finire fuori strada. Per quel che può valere e se ti interessa, io sono sempre disponibile a fornirti un lavoro attraverso i miei contatti. Cerca soltanto di non caricarti tutto il peso sulle tue spalle.»
Guan Shan rimase senza parole, paralizzato dall'imbarazzo e dalla frustrazione. He Tian gli aveva teso una mano e lui era incapace di afferrarla, perché... per via del suo stupido orgoglio. Finì per non rispondere.
Il moro fece per andarsene. Reggendo la porta aperta prima di uscire, aggiunse: «Ricordati, il mondo non ce l'ha con te, e tu non dovresti avercela con esso.»
La porta si richiuse. In un istante il silenzio nel bagno divenne paradossalmente assordante, tanto che non fu nemmeno più in grado di dare ascolto ai suoi stessi pensieri. Forse perché il cuore in petto gli martellava impazzito, minacciando di esplodere se non si fosse sbrigato a fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Scattò fuori dal bagno spalancando la porta, preso dall'istinto di rincorrere He Tian. Si stupì nel non vederlo da nessuna parte nei paraggi. In compenso, riconobbe un fastidioso lamentio provenire dalle sue spalle.
«Jian Yi!» disse, notando il biondino intento a coprirsi il naso con una mano. «Hai visto passare He Tian?»
Jian Yi mugugnò qualcosa di indecifrabile prima di togliersi la mano dal volto. Si schiarì la voce, quindi lo informò: «È corso via. Mi ha soltanto detto che andava a chiudere una questione.»
Senza alcun bisogno di specificare cosa, Guan Shan capì. «Quell'idiota...»


Corse per i corridoi, setacciò il campo da basket, controllò ogni zona del giardino che circondava la scuola. Di He Tian non c'era traccia.
Poi passò accanto a delle ragazze che gli parvero familiari, probabilmente perché ammiratrici del suo amico. Chiese loro se l'avessero visto e scoprì che il moro si era diretto alla palestra.
Riprese la sua corsa senza risparmiarsi, preoccupato. Quello era un suo problema, un suo guaio. Per nessun motivo voleva che ci finisse invischiato anche lui. Lo ammise a se stesso: temeva e detestava l'idea che l'altro potesse ferirsi a causa sua.
Quando irruppe nella palestra, gli si presentò davanti una scena unica: She Li era accasciato al suolo, ai piedi di Tian che lo scrutava dall'alto, rabbioso e col fiato corto. Dedusse che avevano lottato.
Tuttavia, il corpo dell'amico, scosso dall'affanno, parve subito rilassarsi alla sua vista. Avvicinandosi, Guan Shan si accorse che le nocche della mano sinistra erano sbucciate e lo zigomo sinistro era arrossato.
Lo sguardo di He Tian si rasserenò, vittorioso. Con il cenno della mano lo invitò ad avvicinarsi ulteriormente, fino a giungergli al fianco. «She Li ha qualche parola da dirti» gli annunciò, poi si rivolse al bullo dolorante a terra. «Avanti, informalo su ciò che è stato stabilito.» La sua voce suonò autoritaria e incontestabile.
She Li, seppur con riluttanza, parlò: «Il nostro accordo finisce qui, niente più incontri.»
«E...» lo invitò a continuare Tian.
«Non mi devi nulla, non sentirai mai più una parola in merito da me.»
«Molto bene!» Il moro sogghignò portandosi via Guan Shan sotto il braccio. «La questione è chiusa.»


Guan Shan impacchettò l'ultima confezione di mele, dopodiché rimise in ordine tutto il materiale e sistemò in una cesta apposita la frutta restante, sarebbe stata confezionata il giorno dopo.
Era esausto; lavorare al mercato, specie nelle ore di maggior movimento, consumava parecchie energie, sia fisiche che mentali.
Quando uscì all'aria aperta inspirò a pieni polmoni, assaporando la freschezza della sera. Lo notò subito, seduto in una panchina di fronte all'uscita del negozio: He Tian. Quando lo raggiunse, il ragazzo smise di fumare e gettò il mozzicone della sigaretta a terra.
«Ti stavo aspettando» gli disse, avvolgendolo sotto al suo braccio.
«Lasciami indovinare...» ipotizzò, trattenendosi dall'essere scortese.
«Hai impegni per stasera?» fece il moro, l'esatta domanda che Guan Shan si aspettava.
«Non credo.»
«Bene! Avevo proprio voglia di andare al cinema» propose — o forse impose — con un sorriso beffardo stampato sulle labbra.
«Mmh, però non c'è nessun film interessante in questo periodo.»
«Non importa, non è che avessi intenzione di concentrarmi sul film, in ogni caso.»
Guan Shan arrossì, subito cercò di divincolarsi dall'abbraccio del moro, e quando fu vicino a riuscirci l'altro lo riacciuffò per la stoffa della maglia.
Mentre si incamminarono verso una destinazione ancora da decidere, si ritrovarono a battibeccare. In ultimo, He Tian la strappò vinta, come sempre: «Allora potremmo far altro, piccolo Mo... A te la scelta.»
«Che cavolo, se lo dici con quel tono, vada per il cinema. Che almeno al buio non ti vedo.»




 
Fine.



 
Note:

1. Perché le lotte fra studenti? Perché volevo puntare su qualcosa di abbastanza ‘clandestino’ ma non esageratamente illegale. Mo Guan Shan è un ragazzo abbastanza disperato per quanto riguarda i soldi e la sua situazione economica familiare, che per guadagnare qualcosa ritengo sia anche disposto a sporcarsi le mani, ma entro un certo limite. Questi incontri fra ragazzi, in fondo, non sono totalmente immorali, non vanno a ledere qualcuno che non c'entra nulla (inizialmente avevo pensato davvero a qualcosa di peggio): tutti sono d'accordo nella loro immaturità. Guan Shan ha solo pensato che fosse un modo facile per tirare su qualche soldo usando la propria fisicità, ha voluto provare (e sbagliare).
2. Questa storia potrebbe essere considerata un parallelo alla situazione “scambio di colpe”, poiché come avviene in quel caso, Mo si lascia trascinare dentro a una vicenda più grande di lui: in quel caso, per orgoglio [“If you aren't bold enough for this, then I'm going to look down on you”, ricordate?]; in questo, per disperazione... e poi anche per orgoglio, quello c'è sempre.
3. Nel caso non si fosse capito, io leggo le strisce in inglese, quindi non so se ci sono differenze o lost in translation nella versione italiana. xD
4. Comunque il personaggio di She Li è ancora troppo enigmatico: nonostante le abbia prese da He Tian per via di Guan Shan, va comunque a trovare il rosso in ospedale (tanto per farsi un giretto), poi ancora cerca di accopparlo con una lattina di Cola. Boh, chi lo capisce a quello. xDD
5. La sezione 7... ok, giuro che non me lo sono immaginata e in una vignetta del manhua si può anche vedere. Se ho capito bene (perché non ho approfondito il sistema scolastico cinese l'ho approfondito solo in seguito), Guan Shan dovrebbe essere del 3° anno, sezione 7. Nel caso non fosse, facciamo finta, ehh~~~
6. Questa doveva essere una storia improntata sull'angst, ma avrete notato come Jian Yi renda tutto più comico ogni qual volta sia presente. Non posso farci nulla, lui mi ispira tanta goffaggine nel quotidiano. =D
7. Finite le note? Lo spero, come spero che la storia risulti una lettura piacevole (♥). Grazie a chiunque leggerà, apprezzo sempre (anche se lo dimostro male)!
  
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