Demelza non ricordava di aver mai
visto Ross più agitato di
quella mattina, preso com’era da un’irrequietezza
che non lasciava adito alle
interpretazioni. Ovviamente, poteva soltanto immaginare quanto fosse
doloroso
per lui persino il pensiero di assistere alle nozze di Elizabeth, un
pensiero
che, applicato alla realtà, lo avrebbe costretto ad essere
ciò che non era, fingendo
entusiasmo e approvazione per un’unione che aveva richiesto
grandissimi
sacrifici da un'unica parte: la
sua.
Ciononostante, per
affetto e lealtà nei confronti di Francis, Ross non si
sarebbe tirato indietro
e, ancora una volta, avrebbe sacrificato il suo orgoglio andando a
porgere i
suoi più sinceri auguri alla donna che amava da sempre ma
che presto sarebbe diventata
la moglie di un altro, se non fosse stato per un piccolo inconveniente.
La causa scatenante di
quell’agitazione che Demelza non
aveva mancato di notare, tenendo gelosamente per sé le sue
considerazioni, non
risiedeva infatti in lacrimevoli rimpianti per ciò che
sarebbe potuto essere se
avesse scelto di non partire per l’America e rimanere al
fianco di Elizabeth, ma in una angoscia profonda per
quello che con tutta probabilità sarebbe accaduto di
lì a pochi minuti, se non
avesse scelto di non partecipare al matrimonio, sacrificando la gioia
di
Francis per un motivo ben più valido, ossia la
felicità di qualcuno bisognoso
di una serenità che non avrebbe nutrito soltanto se stessa
ma tante altre
persone in difficoltà, compreso lui.
Demelza era di una bellezza a dir
poco impressionante, con i
capelli acconciati in una treccia naturale che le conferiva un aspetto
da vera
bohémien e con addosso un abito lungo in tulle color cipria,
adornato con
roselline ed altri fiori selvatici. Ross non escludeva che tutto quello
splendore avrebbe potuto facilmente far sfigurare chiunque, persino
Elizabeth
nel giorno del suo matrimonio, tuttavia non riusciva ancora ad
esprimerle i
suoi sentimenti e renderla partecipe di quei pensieri che formulava
soltanto nel
cantuccio della sua anima.
“Sono
sicuro che oggi
riceverai un bel po’ di proposte interessanti, quindi sta
attenta a
scegliere con cura chi meriti veramente la tua
attenzione…”
Demelza si sbirciò
un’ultima volta nello specchio, poi al
suono di quella curiosa raccomandazione si voltò di scatto
verso di lui, “E con
questo cosa vorresti dire? Credevo che non ci sarebbe stato spazio per
altri,
all’infuori di te. Mi vuoi cedere in pasto a gente senza
scrupoli che nemmeno
conosco?”
La sua espressione di assoluta
ingenuità lo commosse. Si
avvicinò a lei, “No, affatto. Però, ci
tenevo che tu sapessi quanto mi sta a
cuore il tuo benessere e che non permetterei mai a nessuno di farti
soffrire.”
“Ragion per cui, sarai tu
stesso a proteggermi dai
pericolosi tentacoli di Sir Hugh Bodrugan. Non penso esistano sguardi
più
eloquenti di quelli che mi ha lanciato il giorno della festa di
fidanzamento.”
Ross non rispose, se non con un amaro
sorriso a fior di
labbra.
Demelza gli sistemò il
cravattino, in un piccolo gesto di
intimità che non mancò di procurare ad entrambi
un lieve ma piacevolissimo
imbarazzo. Per ricambiare quella premura, Ross tirò
indietro una ciocca dei
suoi capelli ribelli, sempre desiderosi di sfuggire alle regole
dell’acconciatura in cui erano costretti.
Non voleva lasciarla andare,
distogliere lo sguardo da quei
magnetici occhi azzurri per poterla
ricordare in ogni dettaglio, nel caso in cui suo padre si fosse
mostrato
inamovibile e Demelza non avrebbe avuto altra scelta che tornare a
Illugan,
alla mediocrità di quella vita che l’avrebbe
relegata per sempre ai margini del
successo e dell’amore. No, Ross aveva un impegno
più importante a cui non
poteva mancare e, anche se questo comportava dover mentire, o
continuare a
mentire, alle persone che amava, nulla poteva distoglierlo dalla
decisione che
aveva preso già da un paio di settimane.
“Ross, ho sentito il rumore
della macchina di Dwight.
Sbrigati, se non vuoi far aspettare il tuo migliore amico!”
“Precedetemi voi. Ho ancora
un’ultima cosa da fare…”
Demelza lo guardò con gli
occhi languidi, “Promettimi che
verrai e che non farai nessuna stupidaggine. Sai a cosa mi
riferisco…”
“Sta tranquilla, non
sarò io quello che interromperà la
cerimonia per impedire il matrimonio di mio cugino! Non è
nel mio stile,
checché se ne possa dire.” Il sorriso ricolmo di
dolcezza con cui Ross
accompagnò quell’affermazione bastò a
rincuorarla. Uscì dalla porta,
mandandogli una battutina piuttosto pungente, “Comunque, se
la sposa dovesse
far troppo tardi, vorrà dire che avrò indovinato
il motivo del tuo ritardo…”
Ross scosse la testa, “Non
succederà.”
Circa mezz’ora dopo che
Dwight e Demelza se ne furono andati,
le lancette dell’orologio scandirono il momento
dell’incontro con il signor
Carne. Ross aveva organizzato tutto affinché Demelza non
fosse presente quando
suo padre avrebbe fatto la sua comparsa a Nampara, convincendolo ad
aspettare
quella domenica per
reclamare sua figlia.
Una mano pesante e resa ancora
più aggressiva dalla forza
dell’alcool prese a bussare prepotentemente sulla porta. Ross
non aveva alcun
dubbio che si trattasse dell’uomo che stava aspettando,
perciò andò subito ad
accoglierlo senza chiedere nemmeno chi fosse.
L’imponente figura che gli
si parò dinanzi aveva gli occhi
dello stesso colore di Demelza, ma non per questo potevano dirsi
simili, privi
come erano della dolcezza espressiva di quelli della figlia.
“Signore, vedo che
è venuto accompagnato dalla sua scorta.
Posso chiederle il motivo di questa diffidenza?” Ross
lanciò un’occhiata ai due
colossi che aspettavano solo un segno del padrone per rendergli chiaro
il motivo della loro presenza.
“Bene,
signore…” Esordì il padre di Demelza,
ponendo una
particolare enfasi su quel “signore”,
perché Ross potesse cogliere pienamente il
senso sarcastico delle sue parole, “Come lei sa, ho scoperto
che è qui che mia
figlia ha deciso di traslocare, se così si può
dire, circa due mesi fa senza
dirmi niente e soprattutto facendomi morire dalla paura che le fosse
accaduto
qualcosa di grave. Quindi, sono venuto a riprendermela e a darle una
bella
lezione, così imparerà una volta per tutta a non
fare di testa sua! Dov’è?”
Strattonò
Ross con una spalla, atteggiandosi come se fosse il reale proprietario
della
casa, ed entrò dando un’occhiata al mobilio che
arredava l’ingresso.
Ross lo seguì dapprima con
lo sguardo, trattenendosi con
tutte le sue forze dal riportarlo al suo posto con la forza di pugni e
insulti,
“Non è qui, al momento. Può girare
dappertutto e constatare con i suoi occhi
che quel che dico è la verità.”
“Ma mi aveva detto che
l’avrei trovata. Cos’è questa
storia?”
Il suo tono si faceva sempre più minaccioso.
“Sua figlia non ha nessuna
intenzione di tornarsene a casa, quindi
prima lo accetterà e meglio sarà per lei
convivere con questa realtà.” Incrociò
le braccia, guardando con insistenza l’orologio.
“E quale diritto crede di
avere lei a parlami così? Sono io suo padre e se
dico che Demelza verrà con me, non sarà certo un
bellimbusto come lei a
impedirmi di esercitare il miei diritti su mia figlia!”
“Quali diritti? Demelza non
è una merce, né tanto meno una
bambina costretta alla sua tutela. E’ una donna, un medico in
gamba che non ha
nessun dovere, se non quello di cercare la felicità lontano
dalla violenza di
un uomo come lei!”
Il signor Carne digrignò i
denti in preda alla più feroce rabbia. Poi
richiamò
con un fischio gli altri due uomini con la vivissima intenzione di far
intimidire Ross, profilandogli la possibilità di un
imminente scontro
a quattro, uno scontro chiaramente impari.
Ross si era sbarazzato della giacca
ed ora stava
procedendo a risvoltare le maniche della sua camicia immacolata, che
presto
sarebbe diventata un canovaccio a brandelli tinto del suo sangue. Carne
fu il primo a
colpirlo, mandandolo dritto contro il tavolo del soggiorno, ma Ross non
tardò a
rialzarsi con l’agilità propria di un guerriero
abituato a quel tipo di
combattimento e sferzò un pugno sulla bocca del suo
assalitore. Doveva avergli
rotto qualche dente, perché Carne spuntò una
grande quantità di sangue sul
pavimento prima di retrocedere per dar spazio agli altri picchiatori, i
quali
fecero del loro meglio per evitare che Ross potesse rialzarsi
facilmente come
la prima volta.
La maggior parte dei soprammobili
cadde a terra, quindi
anche le schegge di vetro provocate dalla caduta di vasi e bicchieri si
rivelarono pericolosissime armi da cui guardarsi ogni volta che si
giungeva con
il viso rivolto sul pavimento. Ross aveva diversi tagli sulla guancia
dove già
imperava la profonda cicatrice che aveva riportato da una missione di
guerra,
ma le condizioni in cui presto si ritrovarono tutti e tre i suoi
aggressori si dimostrarono persino peggiori delle sue.
Furono costretti dunque a ritirarsi,
sventolando bandiera
bianca e riconoscendo a malincuore la superiorità di
quell’uomo che mai,
neppure per un istante, aveva mostrato segni di cedimento o codardia,
combattendo fino alla fine pur di ottenere il suo scopo: a Carne
sarebbe
convenuto fidarsi della sua parola, perché la testardaggine
con cui Ross aveva difeso la libertà di
Demelza gli era valsa parecchi lividi, alcune ossa rotte e
più di qualche dente fracassato, ma assolutamente niente di
ciò per cui aveva fatto l'enorme sacrificio di
scomodarsi e partire a piedi da Illugan sino a Nampara.