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Autore: Reginafenice    14/01/2019    4 recensioni
Il termine che dà il nome a questa storia indica ciò che serve come sostegno per una nuova impresa, una sorta di conforto o spinta morale utile a non lasciarsi scoraggiare dalle impervietà di un cammino appena intrapreso. Si tratta infatti di una fanfiction che vede come protagonisti i personaggi di Poldark, con i loro complessi viaggi interiori verso la scoperta della vera felicità, ma inseriti in un contesto moderno. Lo sfondo delle vicende rimane tuttavia la splendida Cornovaglia, dove vecchi e nuovi amori si ritroveranno e si scopriranno indispensabili per capirsi meglio, anche a costo di grandi sacrifici e scelte dolorose.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Ross Poldark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Demelza non ricordava di aver mai visto Ross più agitato di quella mattina, preso com’era da un’irrequietezza che non lasciava adito alle interpretazioni. Ovviamente, poteva soltanto immaginare quanto fosse doloroso per lui persino il pensiero di assistere alle nozze di Elizabeth, un pensiero che, applicato alla realtà, lo avrebbe costretto ad essere ciò che non era, fingendo entusiasmo e approvazione per un’unione che aveva richiesto grandissimi sacrifici da un'unica parte: la sua.

Ciononostante, per affetto e lealtà nei confronti di Francis, Ross non si sarebbe tirato indietro e, ancora una volta, avrebbe sacrificato il suo orgoglio andando a porgere i suoi più sinceri auguri alla donna che amava da sempre ma che presto sarebbe diventata la moglie di un altro, se non fosse stato per un piccolo inconveniente.

La causa scatenante di quell’agitazione che Demelza non aveva mancato di notare, tenendo gelosamente per sé le sue considerazioni, non risiedeva infatti in lacrimevoli rimpianti per ciò che sarebbe potuto essere se avesse scelto di non partire per l’America e rimanere al fianco di Elizabeth, ma in una angoscia profonda per quello che con tutta probabilità sarebbe accaduto di lì a pochi minuti, se non avesse scelto di non partecipare al matrimonio, sacrificando la gioia di Francis per un motivo ben più valido, ossia la felicità di qualcuno bisognoso di una serenità che non avrebbe nutrito soltanto se stessa ma tante altre persone in difficoltà, compreso lui.

Demelza era di una bellezza a dir poco impressionante, con i capelli acconciati in una treccia naturale che le conferiva un aspetto da vera bohémien e con addosso un abito lungo in tulle color cipria, adornato con roselline ed altri fiori selvatici. Ross non escludeva che tutto quello splendore avrebbe potuto facilmente far sfigurare chiunque, persino Elizabeth nel giorno del suo matrimonio, tuttavia non riusciva ancora ad esprimerle i suoi sentimenti e renderla partecipe di quei pensieri che formulava soltanto nel cantuccio della sua anima.

“Sono sicuro che oggi riceverai un bel po’ di proposte interessanti, quindi sta attenta a scegliere con cura chi meriti veramente la tua attenzione…”

Demelza si sbirciò un’ultima volta nello specchio, poi al suono di quella curiosa raccomandazione si voltò di scatto verso di lui, “E con questo cosa vorresti dire? Credevo che non ci sarebbe stato spazio per altri, all’infuori di te. Mi vuoi cedere in pasto a gente senza scrupoli che nemmeno conosco?”

La sua espressione di assoluta ingenuità lo commosse. Si avvicinò a lei, “No, affatto. Però, ci tenevo che tu sapessi quanto mi sta a cuore il tuo benessere e che non permetterei mai a nessuno di farti soffrire.”

“Ragion per cui, sarai tu stesso a proteggermi dai pericolosi tentacoli di Sir Hugh Bodrugan. Non penso esistano sguardi più eloquenti di quelli che mi ha lanciato il giorno della festa di fidanzamento.”

Ross non rispose, se non con un amaro sorriso a fior di labbra.

Demelza gli sistemò il cravattino, in un piccolo gesto di intimità che non mancò di procurare ad entrambi un lieve ma piacevolissimo imbarazzo. Per ricambiare quella premura, Ross tirò indietro una ciocca dei suoi capelli ribelli, sempre desiderosi di sfuggire alle regole dell’acconciatura in cui erano costretti.

Non voleva lasciarla andare, distogliere lo sguardo da quei magnetici occhi azzurri per poterla ricordare in ogni dettaglio, nel caso in cui suo padre si fosse mostrato inamovibile e Demelza non avrebbe avuto altra scelta che tornare a Illugan, alla mediocrità di quella vita che l’avrebbe relegata per sempre ai margini del successo e dell’amore. No, Ross aveva un impegno più importante a cui non poteva mancare e, anche se questo comportava dover mentire, o continuare a mentire, alle persone che amava, nulla poteva distoglierlo dalla decisione che aveva preso già da un paio di settimane.

“Ross, ho sentito il rumore della macchina di Dwight. Sbrigati, se non vuoi far aspettare il tuo migliore amico!”

“Precedetemi voi. Ho ancora un’ultima cosa da fare…”

Demelza lo guardò con gli occhi languidi, “Promettimi che verrai e che non farai nessuna stupidaggine. Sai a cosa mi riferisco…”

“Sta tranquilla, non sarò io quello che interromperà la cerimonia per impedire il matrimonio di mio cugino! Non è nel mio stile, checché se ne possa dire.” Il sorriso ricolmo di dolcezza con cui Ross accompagnò quell’affermazione bastò a rincuorarla. Uscì dalla porta, mandandogli una battutina piuttosto pungente, “Comunque, se la sposa dovesse far troppo tardi, vorrà dire che avrò indovinato il motivo del tuo ritardo…”

Ross scosse la testa, “Non succederà.”

Circa mezz’ora dopo che Dwight e Demelza se ne furono andati, le lancette dell’orologio scandirono il momento dell’incontro con il signor Carne. Ross aveva organizzato tutto affinché Demelza non fosse presente quando suo padre avrebbe fatto la sua comparsa a Nampara, convincendolo ad aspettare quella domenica per reclamare sua figlia.

Una mano pesante e resa ancora più aggressiva dalla forza dell’alcool prese a bussare prepotentemente sulla porta. Ross non aveva alcun dubbio che si trattasse dell’uomo che stava aspettando, perciò andò subito ad accoglierlo senza chiedere nemmeno chi fosse.

L’imponente figura che gli si parò dinanzi aveva gli occhi dello stesso colore di Demelza, ma non per questo potevano dirsi simili, privi come erano della dolcezza espressiva di quelli della figlia.

“Signore, vedo che è venuto accompagnato dalla sua scorta. Posso chiederle il motivo di questa diffidenza?” Ross lanciò un’occhiata ai due colossi che aspettavano solo un segno del padrone per rendergli chiaro il motivo della loro presenza.

“Bene, signore…” Esordì il padre di Demelza, ponendo una particolare enfasi su quel “signore”, perché Ross potesse cogliere pienamente il senso sarcastico delle sue parole, “Come lei sa, ho scoperto che è qui che mia figlia ha deciso di traslocare, se così si può dire, circa due mesi fa senza dirmi niente e soprattutto facendomi morire dalla paura che le fosse accaduto qualcosa di grave. Quindi, sono venuto a riprendermela e a darle una bella lezione, così imparerà una volta per tutta a non fare di testa sua! Dov’è?” Strattonò Ross con una spalla, atteggiandosi come se fosse il reale proprietario della casa, ed entrò dando un’occhiata al mobilio che arredava l’ingresso.

Ross lo seguì dapprima con lo sguardo, trattenendosi con tutte le sue forze dal riportarlo al suo posto con la forza di pugni e insulti, “Non è qui, al momento. Può girare dappertutto e constatare con i suoi occhi che quel che dico è la verità.”

“Ma mi aveva detto che l’avrei trovata. Cos’è questa storia?” Il suo tono si faceva sempre più minaccioso.

“Sua figlia non ha nessuna intenzione di tornarsene a casa, quindi prima lo accetterà e meglio sarà per lei convivere con questa realtà.” Incrociò le braccia, guardando con insistenza l’orologio.

“E quale diritto crede di avere lei a parlami così? Sono io suo padre e se dico che Demelza verrà con me, non sarà certo un bellimbusto come lei a impedirmi di esercitare il miei diritti su mia figlia!”

“Quali diritti? Demelza non è una merce, né tanto meno una bambina costretta alla sua tutela. E’ una donna, un medico in gamba che non ha nessun dovere, se non quello di cercare la felicità lontano dalla violenza di un uomo come lei!”

Il signor Carne digrignò i denti in preda alla più feroce rabbia. Poi richiamò con un fischio gli altri due uomini con la vivissima intenzione di far intimidire Ross, profilandogli la possibilità di un imminente scontro a quattro, uno scontro chiaramente impari.

Ross si era sbarazzato della giacca ed ora stava procedendo a risvoltare le maniche della sua camicia immacolata, che presto sarebbe diventata un canovaccio a brandelli tinto del suo sangue. Carne fu il primo a colpirlo, mandandolo dritto contro il tavolo del soggiorno, ma Ross non tardò a rialzarsi con l’agilità propria di un guerriero abituato a quel tipo di combattimento e sferzò un pugno sulla bocca del suo assalitore. Doveva avergli rotto qualche dente, perché Carne spuntò una grande quantità di sangue sul pavimento prima di retrocedere per dar spazio agli altri picchiatori, i quali fecero del loro meglio per evitare che Ross potesse rialzarsi facilmente come la prima volta.

La maggior parte dei soprammobili cadde a terra, quindi anche le schegge di vetro provocate dalla caduta di vasi e bicchieri si rivelarono pericolosissime armi da cui guardarsi ogni volta che si giungeva con il viso rivolto sul pavimento. Ross aveva diversi tagli sulla guancia dove già imperava la profonda cicatrice che aveva riportato da una missione di guerra, ma le condizioni in cui presto si ritrovarono tutti e tre i suoi aggressori si dimostrarono persino peggiori delle sue.

Furono costretti dunque a ritirarsi, sventolando bandiera bianca e riconoscendo a malincuore la superiorità di quell’uomo che mai, neppure per un istante, aveva mostrato segni di cedimento o codardia, combattendo fino alla fine pur di ottenere il suo scopo: a Carne sarebbe convenuto fidarsi della sua parola, perché la testardaggine con cui Ross aveva difeso la libertà di Demelza gli era valsa parecchi lividi, alcune ossa rotte e più di qualche dente fracassato, ma assolutamente niente di ciò per cui aveva fatto l'enorme sacrificio di scomodarsi e partire a piedi da Illugan sino a Nampara.

   
 
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