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Autore: Yugi95    19/01/2019    1 recensioni
Quando si perde l’unica cosa al mondo che abbia davvero importanza; quando si perde una parte di sé che mai più potrà essere ritrovata; quando si perde l’amore della propria vita senza poter fare nulla per impedirlo… è in quel momento, è in quel preciso momento che si cede lasciando che il proprio cuore sia corrotto dalle tenebre. Si tenta il tutto per tutto senza considerare le conseguenze, senza pensare al dolore che si possa causare. Se il male diventa l’unico modo per far del bene, come si può definire chi sia il buono e chi il cattivo? Se l’eroe, che ha fatto sognare una generazione di giovani maghi e streghe, si trasforma in mostro, chi si farà carico di difendere un mondo fatto di magia, contraddizioni e bellezza? Due ragazzi, accomunati dallo stesso destino, si troveranno a combattere una battaglia che affonda le proprie radici nel mito e nella leggenda; una battaglia che tenderà a dissolvere quella sottile linea che si pone tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XIII – Fischio finale

 
 
Era più di un’ora che svolazzava da una parte all’altra del campo di Quidditch. Non si era mai sentito così stanco e demoralizzato. Prima di fare il suo ingresso sul terreno di gioco, era convito che il tutto si sarebbe risolto in poco tempo. Quando giocava nell’immenso giardino della tenuta di famiglia, non aveva alcun problema a cercare, trovare, inseguire e infine catturare il boccino. Profondi conoscitori di quello sport avevano sempre speso grandi lodi sul suo talento; c’era anche chi si era addirittura spinto a sostenere come lui fosse nato per quel ruolo.

Eppure, nel momento in cui si era messo seriamente alla prova, le sue aspettative erano state disattese. Aveva amaramente scoperto che, in tutto quel casino, era impossibile individuare una piccola pallina dorata. Il continuo sfrecciare di compagni e avversari lo disorientava impedendogli di capire cosa avesse attorno. Le urla dei tifosi, i cori e i continui fuochi d’artificio aumentavano ulteriormente il suo senso di smarrimento, lo distraevano dal suo vero obbiettivo. Infine, la costante presenza di Katami, pronta a seguirlo ad ogni sua mossa, lo agitava.

Aveva l’impressione che la ragazza si comportasse intenzionalmente in quel modo. Cercava di mettergli pressione, di confonderlo facendolo sbagliare. Adrien era ormai sfinito, pronto a planare sul manto erboso per dare forfait. Non aveva più alcuna intenzione di continuare: era certo che agli occhi dei presenti la sua goffaggine e l’inesperienza lo stessero facendo apparire ridicolo. Ad un tratto però si accorse di un luccichio sospetto in lontananza. Credette di aver avuto un abbaglio, che il riflesso della luce del sole gli stesse giocando un brutto scherzo.

No, non si era sbagliato. Il boccino d’oro era proprio lì, poco al di sotto del terzo anello nella metà campo dei Serpeverde. Voltò leggermente la testa: Katami era ancora dietro di lui, poteva sentire il suo fiato sul collo. Non doveva commettere errori, altrimenti avrebbe rivelato la posizione del suo obiettivo anche alla sua avversaria. Strinse il manico ligneo tra le mani e, tirandolo a sé con uno strattone, eseguì una capriola all’indietro che lo portò alle spalle della Cercatrice avversaria. L’acrobazia del ragazzo raccolse uno scrosciante applauso del pubblico che, a prescindere dalla squadra tifata, elogiò la sua bravura.

Adrien, però, non si adagiò sugli allori: avrebbe raggiunto il boccino a qualsiasi costo. Scese in picchiata costeggiando gli spalti e, superato il campo da gioco, ne raggiunse la sottostruttura. In quello stretto dedalo di assi, che avevano il compito di sorreggere lo stadio, Katami non avrebbe mai potuto superarlo e sarebbe stata costretta a rimanere dietro di lui. Le labbra del giovane Agreste si incresparono in un sorriso soddisfatto: ormai era fatta, niente gli avrebbe impedito di conquistare la vittoria.

Come aveva previsto la sua rivale, avendo compreso le reali intenzioni dell’avversario, gli stava alle costole. Tuttavia, non aveva alcun margine di manovra per poter effettuare un sorpasso e il tornare in campo le avrebbe fatto perdere tempo. Sbuffò stizzita, si era fatta fregare come una principiante. La sua strategia di destabilizzare psicologicamente Adrien le si era ritorta contro facendole perdere di vista l’unica cosa che contava sul serio: individuare il boccino. Si sentiva demoralizzata, insoddisfatta della propria prestazione; ma non sarebbe stato certo questo a farle riconoscere il valore del suo amico: «Ehi, Adrien…»

La voce della ragazza, nonostante il vociare che giungeva dalle gradinate e le urla dei giocatori, arrivò distintamente all’orecchio del ragazzo. Questi, sicuro che non si trattasse di un tiro mancino, non fece attendere una sua risposta. «Che c’è? Devi dirmi qualcosa?»

«Bella partita!»

«Grazie…» replicò in maniera asciutta il figlio di Gabriel Agreste contento che il suo valore fosse stato riconosciuto, «Anche tu sei stata in gamba. Mi hai messo tantissima…»

Adrien si interruppe di colpo e, senza rendersene conto, arrestò la corsa della sua scopa. Katami, presa in contropiede, fu costretta ad una frenata disperata in modo tale da evitare una collisione. Fortunatamente, riuscì nell’impresa fermandosi a pochi millimetri dal ragazzo. Tirato un sospiro di sollievo, era pronta a riservare al suo amico una sfuriata che avrebbe ricordato per tutta la sua vita. «Ma dico: sei scemo?! Ti sembra il modo di fermarti? Potevamo farci molto male!»

L’altro non le rispose. Portatosi l’indice sulle labbra, la invitò a fare silenzio. La ragazza, dapprima contrariata dal fatto di essere stata zittita, fece ciò che le era stato detto non appena capì cosa stesse accadendo. A pochi metri di distanza, appollaiata sulle travi che sostenevano il terreno di gioco, vi era una studentessa dai lunghi capelli neri. Katami non sembrò riconoscerla, Adrien al contrario aveva immediatamente capito di chi si trattasse. «Juleka! Juleka cosa ci fai qui sotto?! È pericoloso!»

Le urla del giovane Agreste riecheggiarono nel vuoto senza sortire alcun effetto. Juleka rimase immobile, ferma sull’ asse di legno. La testa china, nascosta tra le mani. Il Cercatore dei Grifondoro non si arrese e, ignorando il fatto che la partita fosse ancora in corso, fluttuò verso la sua amica. La sua avversaria, sebbene avesse potuto approfittarne per acchiappare il boccino, si limitò a lanciare un’ultima occhiata al passaggio ormai libero. Batterlo era il suo unico obiettivo, ma voleva riuscirci in modo onesto. Facendo spallucce, si accodò ad Adrien.

I due si affiancarono e, volando con circospezione, si avvicinarono alla Corvonero. Quest’ultima, però, si mise improvvisamente in piedi. Era strana, il suo corpo si muoveva a scatti. Tuttavia, ciò che impensierì maggiormente i ragazzi furono i suoi occhi vitrei. Spenti e completamente privi di espressione, davano l’impressione di guardare nel vuoto.

«Cosa pensi le sia successo?» bisbigliò Katami cercando di far meno rumore possibile.

«Non lo so. Non mi sembra cosciente di ciò che sta facendo.»

«Forse qualcuno la sta controllando. Potrebbe essere stata maledetta.»

«È probabile, ma sarebbe davvero inquietante…» sibilò il figlio di Gabriel Agreste, tremando al solo pensiero che qualcuno all’interno della scuola avesse potuto compiere un simile gesto.

Intanto, Juleka continuava a barcollare sulle travi della struttura. Stava seguendo una traiettoria ben precisa, un percorso che la portava dritta ad un massiccio tronco posto al centro di quel labirinto di legno. La sua funzione era evidente: sorreggere il centro del campo da Quidditch e contemporaneamente scaricare la tensione accumulata sugli atri tralicci. La ragazza si fermò a poche assi di distanza e, alzando il braccio destro in avanti, puntò minacciosamente la propria bacchetta contro quella specie di pilastro.

«Juleka non farlo! No!» gridarono all’unisono i due Cercatori capendo all’istante le sue vere intenzioni, ma era troppo tardi.

La punta dell’oggetto magico si colorò di un’intesa luce rossa, che poco dopo scattò in avanti. L’incantesimo colpì in pieno il tronco di sostegno senza che Adrien e Katami potessero fare nulla per evitarlo. Il legno cominciò pian piano ad annerirsi: ad ogni secondo si faceva sempre più scuro, finché non marcì del tutto. Uno scricchiolio sinistro echeggiò nell’aria. Fu un attimo: il tronco centrale collassò improvvisamente su se stesso e anche alle travi nelle vicinanze toccò la medesima sorte.

Compiuta la propria missione, Juleka perse i sensi e, se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Katami, si sarebbe ritrovata sommersa dai detriti. La struttura, che sorreggeva lo stadio della scuola, stava letteralmente cadendo a pezzi. I due Cercatori, recuperata la presunta responsabile dell’incidente, volarono via da lì. Intanto, gli effetti di quel sabotaggio stavano iniziando a manifestarsi anche in superfice. Sotto gli occhi sgomentati dei presenti, una delle tribune collassò su se stessa lasciando nulla più che un cumulo di macerie.

Fortunatamente, la torre di legno era vuota e nessuno spettatore rimase coinvolto. Il cedimento strutturale, però, si stava propagando anche alle altre strutture. Il triplice fischio del professor D’Argencourt segnò la sospensione della partita per cause di forza maggiore. I giocatori furono invitati ad abbandonare il terreno di gioco, mentre il Preside e gli altri insegnanti provvedevano a mettere in sicurezza il pubblico. Era una corsa contro il tempo: parte degli spalti aveva già ceduto e gli studenti si erano dovuti ammassare da un unico lato.

L’unico modo rimasto per scendere dalle gradinate era rappresentato dal varco sud, dal momento che quello nord era già stato inghiottito nella sottostruttura. In fila indiana i ragazzi si mossero verso quella via di fuga, ma il tutto procedeva a rilento. Chi poteva cercava di dare una mano escogitando percorsi alternativi, o semplicemente tranquillizzando le matricole. Tra queste, però, vi era anche chi non si era perso d’animo. Ad esempio, Kim, Alix e Max aiutavano tutti coloro che per un motivo o per un altro erano rimasti intrappolati.

Nino, Alya, Rose e Mylène avevano già abbandonato lo stadio e, raggiunta l’area per il primo soccorso allestita dall’infermiera della scuola, si presero cura dei feriti meno gravi. Gli unici rimasti indietro erano Luka e Marinette. Nonostante fossero consapevoli del pericolo, non se la sentivano di allontanarsi senza aver prima trovato la sorella del ragazzo. Senza che se ne rendessero conto, Juleka si era allontanata durante lo svolgimento della partita e non era più tornata. Preoccupati come non mai, si muovevano tra le gradinate sperando di trovarla.

«Juleka! Dove sei, Juleka?!» gridava a gran voce il fratello portandosi le mani alla bocca per amplificare il suono.

«Non la troveremo mai in questa confusione» mugugnò la giovane Corvonero che lo accompagnava, «Dovremmo recarci all’area di primo soccorso e cercare lì. Sono sicura che sia riuscita ad allontanarsi in tempo.»

«Lo spero, Marinette. Lo spero con tutto il cuore…»

La ragazza gli fece dono di un sorriso di incoraggiamento e gli strinse forte la mano per confortarlo. Luka ricambiò la gentilezza con un occhiolino, poi entrambi si incamminarono verso il varco nord.

Tuttavia, mentre attraversavano ciò che restava degli spalti dedicati ai Serpeverde, un grido soffocato richiamò la loro attenzione. Temendo il peggio, corsero nella direzione delle urla che stavano diventando sempre più acute e insofferenti. «Tiratemi fuori di qui! Sono la figlia del Primo Ministro Francese, non posso essere schiacciata da una trave!»

«Chloé resisti, stiamo arrivando.»

«La conosci?»

«Purtroppo si…» mugugnò la figlia del Signor Dupain facendo roteare seccatamente gli occhi.

La piccola Bourgeois era incastrata al di sotto di un pesante traliccio di legno. Coperta di detriti e polvere, sarebbe stata quasi impossibile da individuare se non avesse starnazzato a quel modo. Marinette e Luka si avvicinarono con cautela: gli spalti scricchiolavano, sembrava potessero cedere da un momento all’altro. Chloé, non appena li vide, iniziò a dimenarsi di più scalciando e strepitando come un’ossessa. «Aiutatemi! Sono bloccata qui, per terra. La mia bellissima uniforme completamente rovinata, per non parlare dei miei capelli!»

«Adesso smettila con questi piagnistei, frignona che non sei altro!» la rimproverò la giovane Corvonero inginocchiandosi a pochi centimetri dal suo naso, «Rischi di far venire giù tutto. Tanto te ne ricompri mille di divise e ti fai una messa in piega alla settimana. Di cosa ti lamenti?!»

«È una questione di stile, Dupain-Cheng! Ma non sto nemmeno a spiegarti cosa sia, tanto non lo capiresti.»

«Ti prego Luka, possiamo lasciarla qui? Non credo dispiacerà a qualcuno.»

Il fratello di Juleka ridacchiò all’idea di abbandonare quella rompiscatole, ma la sua galanteria ebbe la meglio. Si accovacciò accanto alla ragazza e, osservando attentamente la trave che era crollata, rifletté ad alta voce. «È troppo pesante per poterla spostare a mani nude, occorre la magia. Conosco l’incantesimo perfetto per questo tipo di problema.»

Schioccando un occhiolino alla Serpeverde, si mise in piedi e, sfoderata la bacchetta, la agitò con veemenza nell’aria. «Wingardium Leviòsa!», l’incanto impattò sul traliccio facendolo sollevare di alcuni centimetri. Marinette non perse tempo: afferrò Chloé per i polsi e la trascinò via. Una volta in salvo, i tre tirarono un sospiro di sollievo. Tuttavia, il continuo traballare dell’impalcatura che sorreggeva le gradinate li mise in allarme. Non potevano concedersi il lusso di continuare a tergiversare: dovevano assolutamente abbandonare lo stadio.

«Ce la fai a camminare? Non possiamo restare qui.»

«Certo che non ce la faccio, Marinette!» si lamentò la figlia del Primo Ministro Francese, mentre si massaggiava una caviglia esageratamente gonfia. «Ho preso una storta, non riesco nemmeno a mettermi in piedi e…»

«Afferra la mia mano. Ti porto io, fidati di me.» esclamò il ragazzo porgendole galantemente la mano destra.

«O-o-ok… grazie…» balbettò, timidamente, Chloé il cui viso divenne rosso come un pomodoro.

Sotto lo sguardo sbigottito di Marinette, Luka la prese in braccio e, stringendola a sé, si incamminò verso la scalinata nord. Per tutta la durata del tragitto, la piccola Bourgeois non aprì bocca. Troppo imbarazzata per continuare a lamentarsi, rifletté sull’accaduto. Dopotutto, era la prima volta nella sua vita che qualcuno si comportasse in maniera gentile senza avere alcun tipo di tornaconto personale. Raggiunto il varco di accesso allo stadio, si resero conto di essere ormai rimasti soli. Studenti, professori e semplici spettatori avevano già abbandonato la struttura prima del crollo.

Mancavano soltanto loro tre all’appello, non dovevano fare altro che attraversare uno stretto ponte di legno che raccordava gli spalti con la scalinata. Luka, tenendo ancora in braccio Chloé, fu il primo ad attraversalo. Tuttavia, non appena raggiunse il centro della struttura sospesa, accadde il disastro. La sottostruttura dello stadio, ormai troppo fragile per reggere oltre, aveva ceduto di colpo. Gli anelli degli spalti, come in un micidiale domino della distruzione, vennero giù uno dopo l’altro lasciando al loro posto solo macerie e polvere.

Marinette si aggrappò a ciò che rimaneva di una balaustra, mentre i suoi amici rimasero bloccati sul ponticello. Impossibilitati a proseguire o a tornare indietro, furono facile preda dei continui scossoni, finché i piloni di sostegno non collassarono su loro stessi. Le assi di legno caddero nel vuoto e lo stesso sarebbe accaduto ai due ragazzi se non fosse stato per il provvidenziale intervento della figlia del Signor Dupain. Le era bastata una manciata di secondi per capire cosa stesse per succedere. Afferrò la bacchetta e scagliò il primo incantesimo che le venne in mente.

Il ponte brillò di una luce violetta, poi, nonostante fosse privo di appoggio, rimase sospeso a mezz’aria. Luka si girò verso la ragazza per ringraziarla, ma non appena la vide la sua espressione divenne cupa, corrucciata. La magia, che aveva appena eseguito, era di tipo “continuo”; ovvero necessitava che il mago, o la strega, infondessero costantemente energia per poter continuare ad operare. Di conseguenza, la giovane Corvonero non poteva muoversi dal punto in cui si trovava, altrimenti l’effetto dell’incanto sarebbe svanito.

«Luka! Porta via Chloé, non resisterò ancora a lungo…»

«È fuori discussione, Marinette. Non ti lascio sola!»

«Va e non perdere altro tempo. Io me la caverò.» gridò la figlia del Signor Dupain serrando la presa sul manico della bacchetta e sulla ringhiera alla quale era appoggiata.

Il fratello di Juleka, sebbene contrariato, non ebbe altra scelta. Le scoccò un’ultima occhiata di rammarico, poi corse al varco nord mettendosi in salvo. Nel vederlo andare via, la ragazza abbozzò un sorriso di soddisfazione: era riuscita a metterli in salvo. Interruppe il proprio incantesimo e osservò la struttura lignea precipitare nel baratro che separava la collina dallo stadio. Chiuse gli occhi e, consapevole di non avere altre vie di fuga, aspettò che le gradinate cedessero sotto i suoi piedi. Un tonfo sordo accompagnò la sua caduta, poi un piacevole vento fresco le accarezzò il viso.

«La sua abitudine di cadere nel vuoto è alquanto bizzarra, Milady» esclamò Adrien stringendola a sé, mentre volando con la scopa cercava di evitare le tribune che collassavano.

Marinette impiegò un po’ per capire cosa fosse successo; ma, quando incrociò gli occhi color smeraldo del suo compagno, tutto le fu finalmente chiaro. Si sentiva al sicuro tra le sue braccia, come mai prima di allora. Nascondendo a fatica l’imbarazzo, infossò la testa nella spalla di Adrien. Si beò del suo profumo, del suo calore: nonostante l’esito disastroso di quella giornata, non desiderava altro che stare lì, aggrappata a lui. Gli cinse le braccia intorno al collo poggiando le labbra sul suo orecchio. «Cado, perché so che ci sei tu a prendermi…»
   
 
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