“So
Eleanor, put those boots
back on | Put the boots back
on and run | Run, come on over here,
come on over here, come on over here”
Franz Ferdinand. Eleanor Put Your Boots
On
Starbucks coffee, Shaftesbury
Ave, Londra, 14 ottobre
Ore 9:37 AM
“Per fare pace con un ragazzo bisogna prima fare pace
con i suoi amici”. Così le aveva detto Pani prima di salutarla alla stazione di
Glasgow, per poi stringere l’amica in un lungo, incoraggiante, abbraccio.
Amelia sapeva che aveva ragione, per questo nelle quattro ore di viaggio che la
separavano dalla capitale aveva deciso di studiare attentamente le sue prossime
mosse.
Era arrivata
nella capitale la sera precedente e aveva raggiunto l’ostello in cui aveva
affittato un letto per le tre notti successive, incontrando i suoi temporanei
compagni di stanza. Quelle erano tutte spese che avrebbe potuto benissimo
risparmiarsi se solo non fosse scappata da Ewan, ma si disse che così, almeno,
avrebbe imparato la lezione, soprattutto perché non era affatto certa che lui l’avrebbe
perdonata per il suo comportamento – e, in tal caso, lei non lo avrebbe certo
biasimato.
Seguendo il
consiglio della migliore amica, Amelia aveva deciso di scusarsi con ciascun
membro degli Shards, lasciando Ewan per ultimo. Sperava che raccontando le
reali motivazioni che l’avevano portata ad allontanarsi da Londra, Chase, Chris
e Trent l’avrebbero aiutata a riappacificarsi con Ewan. Voleva incontrare i tre
separatamente, chiedere loro scusa, sperando che le cose andassero per il
meglio. Per quello si trovava lì, nello Starbucks di fronte alla sala
prove degli Shards, il luogo in chi sapeva avrebbe potuto incontrarli tutti. In
quel momento, però, ne stava aspettando uno in particolare.
Si era seduta in
uno dei tavolini più appartati, il cappuccio della felpa in testa e il libro
fra le mani per far scorrere il tempo. Si era appostata come nei film,
sentendosi quasi un’agente segreto. Era lì da più di mezz’ora, ormai, e, dopo
il mocaccino che stava finendo di bere, aveva pensato di concedersi la colazione
che, anche complice l’ansia, non era riuscita a mandare giù quella mattina.
Non sapeva se
sarebbe riuscita a mandare giù un boccone, si sentiva agitata all’idea di
rivedere i quattro Shards. Ancora non sapeva bene cosa avrebbe detto loro, da
che parte avrebbe iniziato a raccontare la sua verità, se i ragazzi l’avrebbero
capita o, al contrario, si sarebbero accaniti contro di lei, spezzandole
definitivamente il cuore. Impossibile stare calmi con tutte quelle incognite
addosso, impossibile anche solo pensare di mangiare qualcosa.
Tornò a
concentrarsi sulla lettura, tenendo però l’orecchio ben teso verso la porta,
così da monitorare ogni movimento, anche se si fosse trattato di persone in
cerca di un riparo dalla pioggia che stava scendendo su Londra. Qualcuno di
tanto in tanto entrava, ordinava un caffè e usciva, ma di lui nessuna traccia.
Passò all’incirca
un’altra mezz’ora, altre persone, altra pioggia.
Amelia sospirò.
Forse quella di parcheggiarsi da Starbucks non era stata una gran idea, ma
ormai aveva preparato il necessario e il barista aveva consentito ad aiutarla.
Quando aveva ipotizzato la cosa le era sembrato un buon piano. Proseguì
nella lettura, diventando sempre più impaziente. Si disse che se entro le 11:30
il ragazzo non fosse arrivato avrebbe trovato un altro metodo per incontrarlo,
anche se quello che aveva ipotizzato lì nel caffè era perfetto per lui.
Alla fine,
quando era ormai prossima a perdere del tutto le speranze, pronta per
recuperare le sue cose e andarsene da lì per studiare un piano di ripiego, il
ragazzo entrò.
Chase superò la
soglia del locale, salutò il barista e ordinò un caffè americano come suo
solito. Il ragazzo di Starbucks gli disse che glielo avrebbe preparato a breve,
il tempo di ultimare quelli che stava facendo, e il batterista prese posto a
uno dei tavoli. Quasi lo avesse fatto apposta, si sedette poco lontano dal
punto in cui si trovava Amelia e le diede le spalle, senza neanche vederla.
Lei, infatti, si era calcata per bene il cappuccio in testa e si era nascosta
dietro le pagine del libro, facendosi il più piccola possibile, osservando
circospetta la scena sotto i suoi occhi. Il cuore cominciò a batterle forte per
l’agitazione. Cosa avrebbe detto Chase trovandola lì, a Londra?
Osservò il
barista avvicinarsi al tavolo del ragazzo, lanciare a lei uno sguardo d’intesa,
infine posare il bicchiere sotto al naso di Chase con un “Il suo caffè, prego”
di tutto rispetto. Il batterista lo ringraziò, un po’ sorpreso per quel
servizio extra e afferrò il bicchiere.
Amelia, alle sue
spalle, trasse un profondo respiro, chiuse il libro e si abbassò il cappuccio,
mettendosi in attesa. Il suo piano era appena, ufficialmente, scattato.
In un primo
momento Chase non si accorse di nulla, troppo preso a rispondere al messaggio
della sua ragazza, ma quando bevve il primo sorso della bevanda notò che sul
bicchiere c’era qualcosa. Un segno a pennarello e non erano le lettere del suo
nome. Ruotò il bicchiere per vedere bene di cosa si trattava e ne fu
incredulo. C’era un disegno, un piccolo e ben eseguito schizzo a pennarello di
un ragazzo con indosso un costume intero da dinosauro – tyrannosaurus
rex, per essere esatti. Osservandolo meglio si rese
conto che il soggetto rappresentato era lui, una sua versione a cartoni.
Riconobbe il ciuffo che sbucava da sotto il cappuccio a bocca del dinosauro.
Anche lo sguardo; quello era il suo sguardo, non aveva dubbi. Quel bicchiere
era stato indirizzato appositamente a lui e si mise subito a pensare a chi
potesse averglielo mandato. Una volta aveva fatto una chiacchierata con Amelia
a riguardo. Più che una conversazione era stato un fantasticare. Le aveva
rivelato che stava pensando di comprarsi uno di quei costumi da dinosauro, per
adulti, perché gli erano sempre piaciuti, pensando che sarebbe stato buffo
indossarlo durante un concerto. Amelia, come faceva ogni volta, lo aveva
ascoltato e aveva fantasticato insieme a lui su un concerto in costume degli
Shards, magari per una data di halloween, o carnevale, o in un festival come lo
Sziget. Per questo, guardando quel bozzetto sul bicchiere, Chase capì che c’entrava
la ragazza e alzò subito la testa per trovarla. Si guardò intorno, senza
vederla, arrivando addirittura a pensare di aver preso un granchio, almeno
finché non si voltò per vedersi alle spalle. Lei era lì, proprio alle sue
spalle, seduta al tavolino, un lieve sorriso in volto. I capelli le ricadevano
sulla spalla destra e tra le mani teneva il bicchiere di carta, ormai vuoto.
Chase spalancò
gli occhi, un sorriso si fece largo sulle sue labbra. «Amelia» esclamò, felice
di trovarsela lì davanti. Era anche sorpreso di saperla lì, ma fu la gioia ad
avere la meglio. Si alzò e la raggiunse al suo tavolo, portando con sé il suo
bicchiere.
«Sapevo fosse un
tuo lavoro» le disse, riferendosi al disegno sul bicchiere. La ragazza sorrise,
annuendo. A breve sapeva che avrebbe dovuto iniziare a raccontare la realtà dei
fatti a Chase, che presto lui le avrebbe chiesto perché era lì senza aver
avvertito nessuno. Amelia, allora, avrebbe dovuto dire tutto, spiegare perché
era tornata, scusarsi con lui e pregarlo di aiutarla.
«Sono contento
di vederti» proseguì Chase. «Ma, che ci fai qui?»
Nonostante la
ragazza si fosse aspettata e avesse temuto quella domanda, sentirla formulata
dal batterista a quel modo fu meno preoccupante del previsto. Certo, lui ancora
non sapeva le reali motivazioni che l’avevano allontanata dagli Shards, ma c’era
dell’ingenua curiosità nella sua domanda.
«Ewan ha detto
che non ti sente da un po’» proseguì lui.
Quelle parole,
al contrario delle precedenti, scatenarono nella ragazza una valanga. I sensi
di colpa la invasero, quasi fossero una pioggia di mattoni. Era giunto il
momento di raccontare la verità. Dopotutto cos’altro poteva fare, scappare?
Aveva già visto cosa significava fuggire e si era ripromessa di non farlo più, soprattutto
con Ewan. Parlare con Pani di quella storia le aveva fatto bene, non c’era
motivo di dubitare del fatto che fare lo stesso anche con Chase – e poi con
tutti gli altri – le avrebbe giovato.
Trasse un lungo
respiro, chiaro segnale che quanto era in procinto di uscire dalle sua labbra
non era nulla di semplice. «C’è...c’è una cosa che devi sapere» esordì.
L’espressione di
Chase si fece confusa. Inarcò un sopracciglio, inclinando appena la testa di
lato. «Cioè cosa?»
«Non c’è nessun
lavoro a Glasgow» disse in un sol fiato lei. Si strinse nelle spalle con
espressione colpevole. «Non c’è mai stato, a dire il vero. Almeno non da quando
sono arrivata qui la prima volta.»
Diede a Chase il
tempo di ragionare su quanto aveva appena detto. Sapeva gli sarebbe servito un
momento per capire con esattezza a cosa stava alludendo, dopotutto non aveva
per niente contestualizzato la sua ammissione.
Il batterista,
però, arrivò alla corretta conclusione in brevissimo tempo. «Se non c’è nessun
lavoro, allora perché sei andata via?»
Non sembrava
arrabbiato; confuso, quello sì. Amelia pensò da dove iniziare per raccontargli
tutto affinché le cose gli fossero chiare. Alla fine decise di partire dalla
principale causa di tutto.
«Ho avuto paura»
gli rivelò, distogliendo lo sguardo.
Chase si sporse
appena sul tavolo, improvvisamente preoccupato. «Paura di cosa?» le chiese, con
il tono di chi sottintende di voler fare qualcosa, se necessario, per poter
essere d’aiuto. La ragazza non poté fare a meno di pensare a quanto fosse
sensibile e premuroso quel ragazzo. Si morse appena il labbro inferiore per via
dell’agitazione, iniziando anche a tormentarsi le mani in grembo. Alla fine,
però, si fece forza e disse: «È che…ho cominciato a provare…qualcosa, verso
Ewan. E, beh…la cosa mi ha spaventata.»
Era una
motivazione debole, lo sapeva bene anche lei, ma lì per lì non le era uscito
nulla di più efficace di quello.
Chase sollevò le
sopracciglia, sorpreso, per poi esibirsi in un sorriso. «Non so se sono
autorizzato a dirtelo, ma visto che siamo in argomento ne approfitto: tu piaci
a Ewan. E molto, aggiungerei.»
Una fitta di
calore si irradiò nel petto di Amelia a quelle parole. Il cantante le aveva
detto che lei gli piaceva anche il giorno in cui si erano separati, ma le
parole del batterista le avevano appena dato speranza; forse poteva ancora
risollevare la situazione, recuperare quanto aveva rovinato con Ewan. Sentì una
nuova ondata di motivazione riempirla e si decise a proseguire.
«Sì, lui me lo
ha detto. È solo che…tutto ciò mi spaventa» mormorò. Faticava ancora a mettere
in fila parole sufficienti per dare un senso alle sue emozioni. Avrebbe dovuto
inventarsi qualcosa di efficace. Si costrinse a pensare in modo razionale, a
mettere uno dietro l’altro i concetti giusti, quelli sensati e quelli utili.
«Non ci sto
capendo niente, lo ammetto» disse Chase, prima di bere un sorso del suo caffè.
Amelia lo
guardò, quasi sentendosi in colpa. Non lo stava di certo aiutando a capirla con
quel casino di mezze frasi che continuava a borbottare. Doveva partire dal
principio affinché lui comprendesse tutto, ovvero da quel passato opprimente e
ingombrante che era la principale causa della sua paura di amare.
«È una storia
lunga» gli rivelò. «Ma forse è l’unica che posso raccontarti perché tutto ti
sia chiaro.»
Quasi contò i
secondi successivi, preoccupata di sentire il batterista dire che avrebbe fatto
meglio a smettere di prenderlo in giro, che doveva sbrigarsi a spiegarle per
quale motivo aveva lasciato Londra ormai un mese prima servendosi di una scusa.
Tuttavia Chase non fece nessuna di
queste cose. Sollevò le spalle e sorrise alla ragazza. «Beh, il tempo non mi
manca.»
Amelia si sentì
così sollevata da quella risposta che avrebbe voluto abbracciare e ringraziare
il ragazzo finché non si fosse stancata. Alla fine si fece forza, almeno quel
tanto che bastava per iniziare a parlare, dopodiché chiuse un momento gli occhi
e cominciò a raccontare, decisa a non tralasciare alcun dettaglio.
Con lui fu più
complicato che con Pani. L’amica sapeva già tutto del trascorso sentimentale di
Amelia, Chase invece no. Pertanto la ragazza si vide costretta a dirgli davvero tutto, partendo dal principio.
Gli raccontò prima di Eric, poi di Richard, senza tralasciare nulla del modo in
cui si era sentita dopo ciascuna rottura. Gli disse anche degli altri, di
quelli che la volevano quasi esclusivamente per il corpo. Il batterista non
diede mai segno di non comprendere cosa tutto ciò potesse c’entrare con uno dei
suoi migliori amici e lasciò che Amelia finisse di raccontare. Fu così che la
sentì ammettere piano che i suoi trascorsi l’avevano portata ad avere una sorta
di diffidenza, di paura verso quello che sarebbe dovuto essere il sentimento
più importante e puro: l’amore.
Di persone che
avevano paura di amare Chase ne aveva già sentite, spesso raccontate in film,
canzoni, romanzi, ma non aveva ancora incontrato qualcuno che lo ammettesse
davanti a lui. Il fatto che quella prima reale ammissione provenisse proprio da
quella ragazza, che aveva conosciuto così spensierata e felice, gli fece
provare una gran empatia verso di lei.
Amelia gli
rivelò che era quella la causa reale del suo allontanamento, del perché non avesse
motivato la cosa ma si fosse servita di una banale scusa. Sentiva di essere
prossima a innamorarsi di Ewan, forse lo era già, e la cosa l’aveva spaventata
al punto di farla scappare.
«Ridicolo, eh?»
chiese a Chase dopo averglielo confessato. Era una domanda retorica, di certo
non si sarebbe aspettata di sentire il ragazzo risponderle: «Non per me. E di
certo non per Ewan.»
Amelia non disse
niente, si limitò a schiudere le labbra in cerca di qualche parola.
«Sei venuta fin
qui per dirglielo?» proseguì lui.
La ragazza
annuì. «Già. Non volevo spiegargli tutto e chiedergli di perdonarmi con un
messaggio. Patetico. E una telefonata, beh, non credo avrei avuto la forza di
farla. Volevo vederlo, chiedergli scusa guardandolo in faccia. Ma...mi serve il
vostro aiuto» concluse, alludendo anche a Chris e Trent. Era nervosa, ma molto
meno rispetto a quando aveva iniziato a rivelare tutto al batterista. Il modo
in cui lui l’aveva ascoltata, dimostrando di capirla, le aveva dato sicurezza.
Tuttavia c’era un’altra cosa che ci teneva a dire. «Non ho scuse per il mio
comportamento, lo so e, credimi, capirò se doveste mandarmi tutti al diavolo, soprattutto
Ewan.»
Le sembrò di
essersi tolta un macigno dal petto, ma i secondi di silenzio che anticiparono
la risposta di Chase le parvero eterni.
«Non so cosa
vorranno fare i ragazzi,» disse poi lui, con una delle sue alzate di spalle più
innocenti, «ma io voglio aiutarti. So che è la cosa giusta da fare, anche per
Ewan.»
Amelia provò un
forte moto di gratitudine dopo quelle parole. Lui sembrava aver capito alla
perfezione il tormento che aveva afferrato la ragazza, che l’avesse compreso
senza pregiudizi senza “se”. Lei non voleva essere compatita, sapeva di aver
sbagliato, di essersi comportata nel modo peggiore, infantile, tuttavia sentire
che il batterista era disposta ad aiutarla significava che lui l’aveva capita e
che non aveva intenzione di sbarrarle la strada nel suo percorso verso
Ewan.
«Grazie Chase»
gli disse infine. Posò le mani sul tavolo, ogni sorta di tremore o agitazione
era scomparsa.
Lui le sorrise. «Mi
dispiace per quello che ti è capitato» ammise poi. «Credo che nessuna ragazza
si meriti di incontrare degli stronzi del genere. Specialmente tu.» Le parole
gli uscirono un po’ impacciate dalle labbra, ma con tutta la sincerità di cui
era capace. Rigirò un paio di volte il bicchiere fra le mani, poi tornò a
concentrarsi su Amelia. «Sono contento che tu sia tornata qui. Ewan non sarebbe
capace di fare una cosa del genere» disse, alludendo a quanti avevano solo
usato e basta la ragazza.
Lei sorrise. «Lo
penso anche io, sebbene non lo conosca ancora quanto te. Ewan
è...diverso.»
Il termine “diverso”
era qualcosa che non sapeva mai bene in che modo contestualizzare, ma alle
volte sembrava l’unica parola in grado di esplicare un pensiero.
Chase annuì a
quell’affermazione. «Oh sì» disse solo, strappando una risata ad Amelia.
Nel silenzio che
seguì lui prese un lungo sorso del suo caffè, dopodiché posò il contenitore
della bevanda sul tavolo allo stesso modo in cui si potrebbe veder fare nei
film western. «Chi è il prossimo sulla tua lista?»
Lei pensò che,
vista la scena e la domanda, ci sarebbe stato bene anche pulirsi la bocca con
la manica della felpa. Per fortuna lui era un ragazzo ben educato.
«Direi Chris»
rispose dopo essersi stretta nelle spalle.
Al batterista
quelle parole parvero bastare. Estrasse il cellulare e scorse in fretta sull’elenco
dei numeri preferiti. «Puntiamo all’effetto sorpresa?» le chiese con un
sorriso. Lei replicò con lo stesso gesto, annuendo.
La chiamata fra
batterista e tastierista non durò a lungo. I due si diedero appuntamento per l’ora
successiva, in un piccolo locale di Camden Market che, Amelia ebbe modo di
scoprire, piaceva molto a Chris. Quest’ultimo non fece alcuna domanda riguardo
al perché dovevano trovarsi, la ragazza lo dedusse dalle frasi che sentì dire a
Chase.
Il ragazzo
chiuse la chiamata, con un soddisfatto “ok”. Alzò lo sguardo su Amelia e lei
gli sorrise per ringraziarlo. Tuttavia non le riuscì di trattenersi dal dire: «Hai
dimenticato di dirgli una cosa importante, però.»
«Ovvero?»
domandò preoccupato lui.
«Vieni da solo»
recitò con tono teatrale la ragazza.
Chase scoppiò a
ridere, annuendo
un paio di volte per far intendere che il riferimento gli era piaciuto. Quando
si fu ricomposto osservò la piccola riproduzione da dinosauro che Amelia gli
aveva fatto. «Penso che conserverò il bicchiere» le disse.
Lei scattò subito. «Oh, no, non sei
obbligato.» Frugò nella propria borsa in cerca di qualcosa. Aveva riposto il
piccolo rettangolo di carta in un angolo sicuro, per tale ragione non ebbe
bisogno di molto tempo per individuarlo. Lo allungò a Chase, senza però farlo
scorrere sul tavolo.
Il batterista lo prese in mano e lo
guardò, riconoscendo lo stesso disegno che c’era sul bicchiere. A differenza di
quest’ultimo, però, quello che aveva fra le mani era fatto molto meglio e con un
delicato e sapiente uso del colore.
«Lo adoro, Ami» esclamò, sorridendo.
Lei ne fu contenta e non riuscì a
nascondere la cosa. Era chiaro che Chase non sembrava aver alcuna intenzione di condannare o rinfacciare le decisioni
prese da Amelia in merito a tutta quella storia con Ewan. Anzi, aveva appena
deciso di aiutarla e aveva mosso la pedina di un ulteriore passo verso il
cantante.
Il ragazzo si
alzò in piedi. «Vogliamo andare? Così magari riusciamo a fare anche un giretto
per Camden prima che Chris arrivi.»
Amelia si disse
d’accordo. Guardò Chase infilare nel portafoglio il disegno che gli aveva
appena regalato e prendere il caffè, così da finire quanto rimasto lungo il
tragitto.
Camden Market, Londra, 14 ottobre
Ore 11:54 AM
Ferma davanti al luogo in cui si erano dati
appuntamento con Chris, Amelia non riusciva a fare a meno di continuare a
leggere la vetrata e quanto vi stava evidenziato sopra. Davvero quello era uno
dei posti preferiti di Chris? Era un localino piccolo, di recente comparsa –
senza alcun dubbio – e specializzato in centrifugati e frullati di frutta,
oltre alla più comune caffetteria.
La ragazza
ricamò con le labbra la parola “Bio” mentre questa le
si parava davanti, sempre più incredula. Non avrebbe mai detto che il
tastierista degli Shards fosse uno da centrifugato di frutta vitaminico e bio, non dopo tutta la quantità di patatine fritte che lei
gli aveva visto ingurgitare da quando lo aveva conosciuto. Era proprio vero che
non si smetteva mai di scoprire cose nuove sulle persone.
«Chris mi ha
appena scritto che è sceso dalla Tube. A breve sarà qui.»
Amelia si voltò
verso Chase quando lo sentì parlare. Il batterista mise via lo smartphone e
lanciò un’occhiata alla ragazza, un sorriso – all’apparenza incoraggiante – in
volto. Lei annuì con il capo, dopodiché disse: «Non pensavo che fosse uno da
centrifugati bio.»
«Perché no? Sono
ottimi» rispose lui. «Dovresti provarne uno.» Si bloccò a quelle parole, con un’idea
che gli era appena balzata alla mente. Estrasse il portafoglio e allungò dieci
sterline ad Amelia. Lei le afferrò, confusa.
«Giochiamo sull’effetto
sorpresa, sarà divertente» esordì lui. «Io lo aspetto, tu nel mentre prendi qualcosa
da bere, anche per lui.» Si voltò in direzione del locale e lesse in fretta la
lista delle bevande. «Il suo centrifugato preferito è quello arancione, con il
frutto della passione.»
«Interessante»
disse con tono scherzoso Amelia, dopo aver fatto schioccare la lingua. Aveva
capito cosa voleva fare Chase e trovò che sarebbe stato divertente comparire
alle spalle di Chris a quel modo. «Tu vuoi qualcosa?» gli chiese. Il batterista
scosse la testa e lei fece per avviarsi, ma la sua voce la fermò prima: «E
prendine uno anche tu. Ne vale la pena, davvero.»
Lei promise che
lo avrebbe fatto ed entrò nel locale, rigirandosi la banconota in mano mentre
leggeva le varie bevande.
Fuori, Chase
notò Chris arrivare facendosi strada fra un gruppetto di turisti. Quando il
tastierista lo ebbe raggiunto si salutarono e il batterista fece in modo di
concentrare l’attenzione dell’amico su di sé. Non che ce ne fosse poi tanto bisogno,
Amelia, infatti, era ben nascosta dietro la moltitudine di scritte e disegnini
che decoravano la vetrata del locale.
«Ti andava un
giro per Camden?» chiese Chris.
Chase alzò le
spalle. «Qualcosa del genere.»
L’altro lo
guardò perplesso, ma il messaggio che ricevette sul cellulare consentì a Chase
di prendere altro tempo. Il tastierista rispose, canticchiando qualcosa
che l’amico non riconobbe, ma che lui sapeva essere Eleanor Put Your Boots On dei Franz
Ferdinand – e che gli era venuta in mente perché l’aveva sentita come suoneria
del telefono a una ragazza sulla metro.
«Dove si va?»
chiese poi, dopo aver risposto al messaggio, sollevando la testa verso il
compagno di band.
A Chase serviva
altro tempo. Si guardò intorno, pensando in fretta, ma per sua fortuna non ce
ne fu bisogno.
«Arancione?»
La mano di
Amelia comparve fra i due ragazzi, un bicchiere colmo di liquido arancio dal
profumo fresco e invitante. Chris guardò il centrifugato corrucciando la
fronte, confuso, poi seguì mano e braccio fino a voltarsi, trovandosi davanti
la ragazza.
Piombò un
silenzio da far rabbrividire. Il tastierista rimase immobile a fissare Amelia
con gli occhi sbarrati, quasi davanti a sé avesse un fantasma. Chase pensò che
le cose si stessero mettendo male; di solito il suo amico aveva tempi di
reazione celeri, non si bloccava così. Forse puntare sull’effetto sorpresa era
stato un po’ eccessivo. Proprio quando era in procinto di fare qualcosa, però,
Chris reagì. Si voltò verso la ragazza e l’abbracciò senza dire nulla,
stringendola forte.
Il suo gesto
colse gli altri due così impreparati da non sapere bene come comportarsi. Amelia
allargò le braccia con l’intento di proteggere la t-shirt bianca del ragazzo da
possibili schizzi di bevanda arancione o verde – quest’ultima era il
centrifugato che si era presa per sé, così da onorare il volere di Chase.
«Grazie al cielo
sei tornata» le disse il tastierista prima di lasciarla andare.
«Mi hai fatto
paura» ammise Chase. «Dio, credevo le avresti tirato un pugno.»
«Anche io» si
accodò la ragazza.
Chris li guardò
perplessi. «State scherzando? Non sono uno da scazzottata. Tranne forse con
qualche deficiente» aggiunse sovrappensiero. Dopodiché indicò il centrifugato
arancione. «È mio quello?»
Amelia annuì,
tendendoglielo. Lui la ringraziò, ignorando il fatto che era stato Chase a
offrirglielo quando lei glielo disse. Il batterista non parve sorpreso dalla
cosa e mise via il proprio resto, tendendo l’orecchio ai due, in attesa di
sentirli iniziare la conversazione.
«Allora? Non
pensi di doverci una spiegazione?» chiese Chris dopo il primo sorso della
bevanda.
La ragazza
annuì, abbozzando un sorriso. «Chase sa già tutto.»
Il tastierista
si voltò verso di lui. L’altro si limitò ad annuire grave, cosa che lasciò
intendere che, di qualsiasi cosa fossero in procinto di parlare, andava presa
seriamente.
«Ok,
lui sa tutto, ma io no.»
«Forse
conviene andare a sederci da qualche parte» propose il batterista, avviandosi.
Gli
altri due lo seguirono lungo vie e viottoli di Camden, finché raggiunsero una
panchina poco distante dalle stradine principali, abbastanza tranquilla per
poter parlare senza essere interrotti. Si misero a sedere. Si vedeva benissimo
che Chris moriva dalla curiosità di sapere per quale motivo Amelia fosse
tornata senza dire nulla a nessuno, così come di sapere per quale ragione Chase
fosse stato a conoscenza della sua presenza a Londra prima degli altri.
Come
prevedibile, alla ragazza servì un lungo respiro prima di iniziare a parlare,
lo stesso che si era reso necessario quando aveva deciso di aprirsi con il
batterista. Non che avesse paura di dire la verità a Chris, ma non era facile
mettere a nudo il lato più sensibile e fragile di sé. Il ragazzo, però, le
diede il tempo di cui aveva bisogno.
«Ok,
beh» iniziò lei, cercando le parole migliori. Come spesso le capitava quando
doveva raccontare qualcosa che la toccava nel profondo, l’esordio non fu dei
migliori. «Il vero motivo per cui ho lasciato Londra prima del tempo è perché
ho avuto paura.»
Di
nuovo le sembrava di essersi liberata da un masso di quintali posto sullo
stomaco. La verità era liberatoria.
«Paura
di cosa? Di noi?» chiese basito Chris. La questione della paura non l’aveva
calcolata, specie perché non capiva di cosa si potesse avere paura riguardo a
loro.
Amelia
scosse la testa. «Tu sai cosa stava succedendo fra me e Ewan» disse, lasciando
cadere la frase.
Non
era una domanda, ma il ragazzo capì che lei aveva bisogno di una risposta o,
meglio, una conferma. «Certo, l’avevo capito. Tutti lo avevamo capito, per
questo non siamo riusciti a spiegarci per quale motivo te ne fossi andata così
su due piedi.»
La
ragazza rigirò il proprio bicchiere fra le mani. Lo tese a Chase, che le
sorrise e bevve un sorso del contenuto verdino. Per un attimo pensò che fosse
bello essere lì, insieme a quei due ragazzi a sputare fuori la propria realtà, le
insicurezze, consapevole che almeno uno dei due era pronto e disposto a
sostenerla.
«Ewan
ci è rimasto malissimo» proseguì Chris, riportando Amelia alla realtà con una
stretta al cuore. «Per questo sono stato così felice di rivederti, prima. Se
sei tornata vuol dire che le cose si sistemeranno, vero? In un modo o nell’altro.»
Lei
si morse il labbro inferiore a quelle ultime parole. Era lì per sistemare le
cose, su questo il tastierista aveva ragione. Il punto era: Ewan voleva? Lei
non aveva raggiunto Londra con la certezza assoluta del fatto che lui le
avrebbe perdonato il suo comportamento, pronto a riprenderla e, soprattutto,
lei non poteva neanche pretendere che le cose andassero a quel modo. Si era
comportata in modo deplorevole, lo sapeva, ed esisteva il rischio che lui
avesse deciso di chiudere ogni possibile relazione o contatto con lei. Tuttavia
Amelia stava inseguendo uno a uno i membri degli Shards per poter spiegare cosa
l’aveva spinta a comportarsi a quel modo, per chiedere loro di scusarla e
pregare il cantante di avere quella seconda chance che non sentiva di meritare.
«In qualche modo
sì, si risolverà» rispose infine.
«Dobbiamo
aiutarla a fare pace con Ewan» intervenne Chase con fare risoluto, facendo
sorridere la ragazza.
«Fare pace»
bofonchiò Chris prima di bere un altro po’. «Tecnicamente non hanno litigato,
si sono solo allontanati.»
«Io mi sono
allontanata» precisò Amelia, ben decisa a prendersi le proprie responsabilità.
«Ma perché poi?»
domandò il tastierista, approfittando del fatto di essere tornati sull’argomento.
Anche la ragazza
colse al volo l’occasione. Come aveva fatto con Chase, specificò al ragazzo che
si trattava di una storia abbastanza lunga, che per necessità richiedeva di
andare un po’ indietro nel tempo. Anche a Chris non parve importare quella
digressione all’apparenza senza scopo e ascoltò la storia di Amelia e di quelle
delusioni che le avevano scavato tali voragini nel profondo da portarla a
temere di vederne comparire altre.
«Per farla breve
– anche se direi che ormai è tardi – avevo capito che stavo iniziando a provare
qualcosa di serio per Ewan e la cosa mi ha...resa insicura» disse, preferendo
quel termine a “spaventata” che le era venuto in mente subito. «Ho iniziato a
pensare agli uomini che avevo incontrato nel mio passato, al modo in cui erano
andate le cose con tutti loro. Stavo male all’idea che sarebbe potuto succedere
anche con Ewan, davvero male. Sono sensazioni che non sono in grado di
controllare.
«Non so»
proseguì, giocherellando con la cannuccia del bicchiere che Chase le aveva
restituito. «Ho pensato che allontanarmi da tutto fosse la scelta migliore,
anche per Ewan. So di aver sbagliato, in tutti i sensi. Per questo sono qui.
Vorrei rimediare, per quanto possibile.»
Abbassò lo
sguardo sulle proprie mani, non sapendo che altro dire. Aspettò una qualche
reazione da parte del tastierista e, per sua fortuna, quella avvenne in tempi
celeri. Il ragazzo, infatti, si sfregò un paio di volte le mani sulle cosce,
sentendo la stoffa ruvida del jeans contro i palmi, dopodiché attorcigliò la
punta del baffo destro fra indice e pollice e prese fiato. «Ho capito. Beh,
ansia e paura alle volte giocano davvero dei brutti scherzi» disse poi,
sorridendo in direzione della ragazza. «Quello che conta per me, è che ora tu
sia qui, intenzionata a spiegare tutto a Ewan.»
Amelia
acconsentì a quelle parole. Sospettava già che anche Chris acconsentisse ad
aiutarla, se non per lei almeno per il suo cantante e amico. La cosa le avrebbe
dato una spinta ulteriore nel proseguire la sua “caccia”, a cui ora mancavano
solo due membri su quattro.
«Ewan è mio
amico e anche tu ormai sei mia amica» proseguì lui, facendo sorridere di
dolcezza la ragazza con quelle ultime parole. «E io voglio poter essere d’aiuto
ai miei amici. Hai fatto male ad andartene senza prima confrontarti con Ewan»
continuò, assumendo un tono grave. «Ma visto le persone di merda che hai
incontrato non riuscirei a biasimarti neanche volendo. Quello che conta è che
ora sei qui per rimediare e, se possibile, vorrei fare la mia parte.»
La ragazza
rimase a guardarlo, rincuorata e grata per quelle parole. Si piegò verso il
ragazzo e lo abbracciò alla bell’e meglio. «Grazie Chris.»
«Qual è il
piano?» domandò poi il tastierista, dopo aver avuto il tempo di godersi il
gesto di Amelia. «Si va da Ewan e gli si dice tutto?»
Amelia scosse la
testa. «Pani mi ha dato un consiglio che intendo seguire fino in fondo. Prima
devo farmi perdonare dagli amici di Ewan, ovvero voi. Quando avrò spiegato a
tutti voi cosa ho fatto e avervi chiesto scusa, allora potrò andare da lui
consapevole di non aver lasciato indietro niente» disse, snocciolando i
passaggi come un piano d’attacco studiato nei minimi dettagli.
Chris si lasciò
sfuggire un lungo fischio. «Questa mi mancava. Però se è il tuo piano, va
bene.»
«Anche io sono
dentro» intervenne Chase, che cominciava a divertirsi molto con tutta quella
storia. «Perciò, se Ewan è l’ultimo, ne manca uno solo» osservò.
I tre fissarono
davanti a sé, consapevoli della cosa. Era semplice indovinare chi sarebbe stato
il prossimo. Il suo nome, infatti, uscì nello stesso istante dalle loro labbra.
«Trent.»