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Autore: Kyandi    21/01/2019    1 recensioni
-Come due gocce di pittura, nero di delusione e bianco di purezza, che si uniscono sulla tela immacolata a formare una sfumatura alla quotidianità di due tonalità contrastanti: il grigio-
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Una piccola conoscenza nella vita lineare di Taehyung riuscirà a liberarlo dalle catene opprimenti che gli sono state imposte dalla sua stessa esistenza e dalla dolorosa realtà che deve affrontare tutti i giorni?
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|VKOOK| |TAEKOOK|
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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11/11/2018

Ero lì.

Seduto su quel lettino d'ospedale con mia madre al mio fianco, come ogni giorno da quando ero nato.

Si esatto, ormai era da quando mi avevano messo al mondo che ero malato. Purtroppo, non di una malattia curabile: la paraplegia, l'impossibilità di movimento degli arti inferiori del corpo, una condizione che permarrà fino alla mia morte.

Stavamo aspettando il dottore, lo stesso da ben quattro anni e, insieme, avremmo dovuto svolgere le solite ore di riabilitazione. Non per migliorare, no, ormai avevo smesso di sperarci; solo per non peggiorare e impedire ai muscoli del mio corpo di atrofizzarsi.

Quando si nasce così non ci si può fare nulla. Cure, medicine, trattamenti, operazioni… nulla funziona, almeno nel mio caso e, ormai, avevo imparato a conviverci e basta. Ero consapevole sarebbero stati solo sprechi di tempo e di denaro, solamente delle illusioni effimere e vane.

«Taehyung, ti vedo in forma oggi» il dottor Kim entrò nella stanza sorridente. «Sì, diciamo che sto bene Seokjin-hyung» anche le mie labbra si incresparono verso l'alto.

Fingere era diventato ormai una quotidianità, ogni singolo giorno, ogni singolo momento della mia esistenza, per me, era una sofferenza: non stavo affatto bene, nessuno lo aveva mai capito, nessuno aveva mai compreso appieno i sentimenti che provavo a vivere in questo modo, ma come potevano?

«Bene, vogliamo iniziare?» il dottor Kim mi diede le spalle e fece per chiudere la porta del piccolo ambulatorio dove si sarebbero svolte due ore intere di massaggi muscolari, ma la sirena di un'ambulanza lo fece bloccare immediatamente.

Nell'ospedale si sentì il rimbombo dell'altoparlante richiamare tutti i medici disponibili nell'atrio per un codice rosso.

Quando fece capolino una barella nella sala, tutti gli infermieri si attivarono e la trasportarono lungo tutto il corridoio fino ad arrivare alla sala operatoria.

E fu quella la prima volta in cui i miei occhi curiosi e spaventati, per un millesimo di secondo, dal piccolo spiraglio della porta, si posarono sulla tua figura priva di sensi.

–––

12/11/2018

Ero lì.

Davanti a me il dottor Kim che mi sorrideva. «Potrei sapere chi è il ragazzo arrivato ieri?» chiesi, volevo conoscerti a tutti i costi.

Nessuno mi aveva mai colpito come lo avevi fatto tu in quel frangente di secondi; con quei tuoi tratti dolci e infantili, sembravi un cucciolo, in cerca di affetto e protezione; ma ancora non avevo conosciuto il tuo vero carattere, completamente in contrasto con il tuo visino tenero.

«Taehyung io non potrei riferirtelo, ma visto che ci conosciamo e so che sai mantenere il segreto, te lo dirò, il suo nome è: Jungkook» rispose mentre cominciavamo con la riabilitazione giornaliera.

Appresi il tuo nome come un piccolo segreto e ciò non potè non farmi sorridere, forse per la prima volta in modo genuino.

–––

14/11/2018

Ero lì.

Ed ero consapevole ci fossi anche tu, quella struttura infernale ci accoglieva entrambi. Volevo cercarti in tutto l'ospedale, volevo sapere qualcosa su di te, volevo conoscerti.

E fu quello che feci: presi la mia sedia a rotelle, rifilai una veloce scusa a mia madre e mi spinsi il più velocemente possibile per i lunghi corridoi di quell'ospedale.

Ero paraplegico, sì, ma questo non limitava sicuramente la mia testardaggine nel cercarti.

Riuscii a trovarti, mi stupii di vederti nel mio stesso reparto. Un dottore in quel momento uscì dalla tua stanza e io mi feci tenere la porta aperta.

Entrai nella tua camera d'ospedale, ma l'unica cosa che riuscii a sentire furono i tuoi singhiozzi: stavi piangendo, avevi appena scoperto che non avresti più camminato nè corso, semplicemente, ti avevano appena detto che eri diventato proprio come me.

Mi avvicinai al lettino su cui eri seduto, avevi le mani a coprirti il viso e le lacrime a bagnartelo, scendevano lungo esso, sui tuoi palmi chiusi e terminavano il loro percorso sul lenzuolo bianco e immacolato.

Alzasti improvvisamente la testa facendomi spaventare per quel gesto così fulmineo, i tuoi occhioni grandi e arrossati si puntarono nei miei e tutto intorno a me divenne irrilevante.

Amavo i tuoi occhi quando mi fissavano, ma in quel momento riuscivo solo a percepire la tua tristezza, il tuo dolore era espresso in quelle iridi marrone scuro e nelle tue pupille nere e dilatate.

«Vattene non voglio che tu mi veda in questo stato» mi sussurrasti continuando a mantenere il nostro contatto visivo.

Inizialmente non capii a che cosa ti stavi riferendo, poi collegai tutto e la mia voce uscì da sola «Tranquillo, non ti giudicherò».

Puntai il mio sguardo verso il basso, indicando con esso il tessuto ospedaliero che ricopriva quelle che non si potevano chiamare vere e proprie gambe perché non riuscivano a svolgere la loro reale funzione: camminare. Erano bianche, inerti, magre, quasi secche: prive di qualsiasi vitalità.

«Sono Kim Taehyung» ti sorrisi dolcemente e allungai la mia mano verso la tua, volevo presentarmi e desideravo tu lo facesti con me.

«Jeon Jungkook» mi rispondesti afferrandola tremante, con quella stretta mi trasmisi tutto il tuo dolore, terrore e tristezza.

«Quanti anni hai?» ti chiesi a causa della mia troppa curiosità che, stranamente, si accentuava in tua presenza: desideravo conoscere ogni parte di te, anche la più nascosta; aspiravo a comprendere quel piccolo segreto che eri tu Jeon Jungkook.

«Quattordici» le tue labbra leggermente screpolate e rosse si mossero soavi per pronunciare quel piccolo numero che, detto da te, diveniva un suono così piacevole e delicato.

«Io ne ho sedici» sorrisi e mi incantai a guardare l'estrema bellezza, leggerezza e morbidezza del tuo viso e del tuo piccolo corpicino.

«Oh, ehm, scusa se non ti ho chiamato Hyung» le tue guance si tinsero di una sfumatura color porpora e io non potei che trovarti adorabile quando ti imbarazzavi, soprattutto se a causa mia.

«Puoi anche non chiamarmi così, non sono poi così vecchio rispetto a te» ridacchiai, mentre le tue labbra si incresparono verso l'alto in un sorriso che metteva in vista, solo di poco, i tuoi dentini da coniglietto.

Da quel nostro incontro, forse voluto dal destino, forse voluto solo da me e dalla mia testardaggine, diventasti la mia quotidianità, quanto quella riabilitazione; un amico, un confidente, un piccolo e innocente primo amore.

–––

16/11/2018

Ero lì.

E tu eri accanto a me. Avevi paura, ma io continuai a sorriderti e a dirti di stare calmo, che non sarebbe successo nulla di particolare.

Dovevi fare la prima ora di riabilitazione ed eri stato assegnato al dottor Kim proprio come me quattro anni fa.

Non c'era nulla da temere, ma tu eri comunque pallido dall'agitazione mentre aspettavamo che Seokjin-hyung facesse il suo ingresso.

In quel momento mi venne così naturale stringere la tua mano, facendo intrecciare le nostre dita, per farti tranquillizzare.

Tu mi guardasti arrossendo, ma non staccasti i nostri palmi, anzi, con mia sorpresa, stringesti di più la presa come per darti sostegno, ed era quello che volevo fare in quel momento: proteggere, in qualsiasi modo mi fosse possibile, la tua purezza e inesperienza.

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22/01/2019

Ero lì.

Il sole risplendeva, non fuori dalla finestra dell'ospedale ma affianco a me, dal tuo sorriso. Tu, Jungkook, mi illuminavi le giornate.

Avrei voluto tanto chiederti la causa della tua paraplegia, volevo fosti tu a rivelarmelo solo quando ti saresti sentito pronto: anche se ero molto curioso a riguardo, sapevo essere un argomento delicato, ma allo stesso tempo volevo scoprirti.

Proprio quel giorno mi raccontasti del tuo incidente stradale, quel giorno ti apristi con me e piangesti tra le mie braccia, quel giorno ti fidasti di me.

Il nostro rapporto, in fin dei conti, si basava su questo: ci supportavamo a vicenda in quell'inferno di malattia.

–––

22/04/2019

Ero lì.

L'ambulatorio del dottor Kim ci ospitava entrambi, tu vicino a me ed io vicino a te, ci stavamo quasi addormentando con quei raggi solari primaverili che riscaldavano a malapena l'ambiente, ma riuscivano a perforare le nostre epidermidi e darci un senso di tranquillità e serenità interiore, tu con la testa appoggiata alla mia spalla e io sulla tua chioma corvina e morbida.

Sì, tutti ci avrebbero scambiati per bambini innocenti perché le nostre palpebre stavano cadendo nel mezzo del pomeriggio ma, per quanto potessimo avere aspetti infantili, in noi di innocente c'era ben poco. Eravamo ragazzini maturati troppo in fretta a causa della nostra malattia, una patologia incurabile, una cosa che da piccoli non si può comprendere non conoscendo ancora il male del mondo.

Per non cadere in un sonno profondo, tu cercasti di parlare con me, «Tae, vorrei poter di nuovo camminare, correre o semplicemente stare in piedi da solo senza che nessuno mi sostenga, vorrei sentire ancora l'erba fresca sotto i miei piedi o percepire nuovamente i granelli di sabbia e l'acqua marina che bagni le mie gambe e che faccia diventare i miei piedini grinzi per il troppo tempo in cui resto a nuotare» ridacchiasti.

«È una sensazione bellissima nuotare, essere cullati dalle onde, andare al largo ed essere isolati da tutto il vociferare che c'è sulla spiaggia» sorridesti a questo tuo ricordo, anche se io non potei capire appieno, perchè non avevo mai realmente sperimentato una cosa meravigliosa come quella, se non attraverso i libri e comunque non era la stessa cosa.

Leggere di esperienze compiute da grandi eroi, non significa viverle, esse non sarebbero mai state proprie se apprese attraverso le pagine di un libro ma, in fin dei conti, era l'unica mia opportunità per avvicinarmi quel minimo a provare sulla pelle delle sensazioni tanto inebrianti.

Jungkook, tu eri uno spirito libero, amavi fare pazzie, tu eri ambizioso, non ti accontentavi, e io lo compresi con il tempo.

Avevi per caso qualche potere magico? Perché era come se fossi diventato parte di me.

Avevo bisogno di vederti felice, volevo che tu raggiungessi quello stato d'animo tanto impossibile da concretizzare in sè, un'utopia; volevo farti provare l'euforia e tu, inconsapevolmente, realizzasti quell'obiettivo: diventasti la causa della mia gioia, e di conseguenza anche del mio dolore.

–––

13/05/2019

Ero lì.

Non solo perché, come ogni giorno, dovevo fare le ore di riabilitazione, ma anche perché era il solo modo per poterti vedere con la tua splendida e candida carnagione chiara, il sorriso da coniglietto, che solo raramente riuscivo a strapparti, e quegli occhi enormi e marrone scuro che tanto ti caratterizzavano.

Eri seduto come me su quella sedia a rotelle e guardavi il vuoto con sguardo perso come se avessi nostalgia di qualcosa: non lo potevo permettere. Volevo farti sorridere, avevo bisogno, quanto una dose di eroina, di rivedere quei dentini che riuscivano a illuminarmi la giornata.

Dovevo farti conoscere tutte le sfaccettature della realtà apprendendole da un altro punto di vista, perché una persona speciale come te, Jungkook, non avrebbe mai dovuto porsi dei limiti a causa di una disabilità.

Perciò, quel giorno soleggiato, decisi di provarci «Jungkookie faresti una vacanza con me?» ti chiesi, mentre tu girasti di scatto la testa e il tuo viso bianco latte venne colpito da alcuni raggi solari rendendoti ancora più incantevole: si sa, il sole bacia i belli.

Mi osservasti con occhi spalancati dalla sorpresa come se fossi impazzito e il tuo volto divenne rossissimo. Tentennasti sulla risposta e quello mi rese un po' triste anche se me lo sarei dovuto aspettare, la mia idea era arrivata dal nulla, niente era organizzato e non potevamo partire all’improvviso a causa della nostra paraplegia.

Tu ti accorgesti del mio repentino cambio di umore e mi sorridesti fissando le nostre iridi insieme «Mi piacerebbe davvero tanto fare un viaggio insieme a te TaeTae» mi prendesti una mano e la stringesti alla tua «Dimmi dove andremo e quando partiremo e io ci sarò».

Forse inconsapevolmente mi rendesti la persona più felice sulla faccia della Terra: avevi accettato quella pazzia, avremo compiuto quella pazzia insieme.

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10/08/2019

Ero lì.

Ma non più sul lettino d'ospedale, 2 mesi dopo la mia proposta eravamo partiti io, te, i nostri genitori e il dottor Kim.

Ci trovavamo a Busan, tu volevi rivedere il mare, nuotare, toccare la sabbia, fare sport estremi e io ti accontentai, ti seguii nella tua spensieratezza e nella tua libertà.

Provavo qualcosa di inspiegabile per te, ma che ancora tu non sapevi. Volevo trovare il momento più opportuno per dichiararmi a te che eri ancora così puro.

Desideravo proteggerti e stringerti tra le mie braccia, magari farti sedere sulle mie gambe e spingerci veloce per tutto il giardino dell'hotel, mentre tu gridavi e ridacchiavi emozionato e felice: così feci.

Dopo aver cenato ci spingemmo fin sotto una quercia secolare, ci stendemmo, con non poca fatica, sull'erba impregnata di rugiada, rivolgemmo il nostro sguardo verso le stelle che in quel momento riuscirono ad infondermi coraggio.

Presi delicatamente la tua mano e la strinsi facendo intrecciare le nostre falangi e, con il cuore che batteva all'impazzata nel mio petto, nella notte di San Lorenzo, ti dichiarai il mio amore.

Tu sorridesti in modo malinconico e voltasti il viso verso il mio. Dai tuoi occhi marroni e luminosi, che splendevano ancor di più sotto la luce della Luna piena, uscì una lacrima solitaria.

Quella goccia salata brillò, ma prima che cadesse sul prato verde te la asciugai con un polpastrello. «Sono contento che tu sia il mio primo amore, ti amo anche io Tae» mi rispondesti e io non potei fare a meno di sorridere sornione.

Ai tuoi occhi sarei sembrato sicuramente un ebete, ma ero talmente felice che non riuscivo a contenere la mia gioia. Per tutta la mia vita ero stato seduto su quella maledettissima sedia a rotelle, ma con quelle parole era come se fossi riuscito ad alzarmi e correre all'infinito fino a raggiungere una meta sconosciuta, mi avevi fatto toccare il cielo con un dito; speravo solo di non dover più scendere da quelle nuvole dalle forme strane.

I nostri volti erano talmente vicini che i nasi si toccavano e le labbra si sfioravano. Il tuo respiro caldo si infrangeva sulla mia bocca socchiusa. Agii d'impulso e ci ritrovammo a scambiarci un dolce e casto bacio sotto le stelle luminose.

Ma non sapevo che quel giorno, in cui eravamo riusciti a sigillare il nostro amore segreto in quel bacio, sarebbe stato l'inizio della fine.

–––

14/09/2019

Ero lì.

Disteso sul mio letto a osservare il soffitto aspettando che tu entrasti nella mia camera.

Apristi la porta e ti avvicinasti cautamente con la tua sedia a rotelle al mio letto, ti feci forza sulle braccia e ti appoggiasti al materasso accovacciandoti di fianco a me.

Sì esatto, a volte i nostri pomeriggi li passavamo così, parlavamo oppure stavamo nel silenzio più totale a guardarci con occhi innamorati.

Quel giorno, però, ruppi tu il silenzio «Tae, Seokjin-hyung mi ha appena comunicato che riuscirò a camminare di nuovo» tu parlasti felice, allo stesso tempo però temevi una mia reazione, ma io non potevo che essere contento per te.

«Con molte ore di riabilitazione, ha detto che riuscirò a camminare tra circa un anno» l'euforia del momento ti si poteva leggere negli occhi.

«Sapevo saresti riuscito di nuovo a fare ciò che ami di più» ti sorrisi e ti rubai un bacio mentre le tue guance si tingevano di rosso.

«H-Hyung, ti ringrazio, sei stato l'unico a riuscire a farmi ridere dopo l'incidente, l'unico che ha creduto in me. Ti amo» sussurrasti «E ti amerò per sempre» ma sapevo già che quelle parole non sarebbero durate nel tempo.

Ogni cosa diviene labile nello scorrere del tempo, e anche l'amore, purtroppo, fa la stessa fine di tutto il resto.

–––

02/02/2020

Ero lì.

Eravamo insieme come ogni giorno. Tu ormai da quattro mesi mi facevi vedere i tuoi miglioramenti, mentre io restavo immobile su quella sedia a rotelle, tu diventavi sempre più forte e io sempre più lontano da te.

Il destino ci voleva separati forse, in quel periodo tu ti distanziasti molto da me, avevi bisogno della tua libertà e autonomia, tu potevi, ma io restavo comunque seduto e inerme a guardarti spiccare il volo.

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05/06/2020

Sono qui.

Seduto su questo lettino d'ospedale con mia madre al mio fianco, come ogni giorno da quando sono nato.

Sì esatto, ormai è da quando mi hanno messo al mondo che sono malato. Purtroppo, non di una malattia curabile: la paraplegia, l'impossibilità di movimento degli arti inferiori del corpo, una condizione che permarrà per sempre.

Ed è questa la differenza tra me e te, Jungkook, ora tu sei libero, io sarò per il resto della vita ancora qui ad aspettarti su questa sedia a rotelle che tanto assomiglia di più ad una prigione, legato da catene resistenti e per sempre seduto.

Almeno uno dei due è felice ora, almeno uno dei due aveva una speranza, almeno uno dei due sarebbe riuscito a camminare di nuovo, ma quella persona non ero io. Non mi sarebbe interessato riuscire a camminare di nuovo se solo tu fossi restato al mio fianco, mi avresti continuato a baciare ed amare per sempre.

Anche tu mi hai abbandonato dopo la riabilitazione, te ne sei andato senza dirmi nulla, non ti sei fatto più sentire, ma perchè? Una farfalla, dopo aver spiccato il volo, non torna mai dal bozzolo in cui era avvenuta la sua trasformazione.

Sono qui e ti penso, come tutti i giorni del resto. Questo posto mi ricorda te, ma mi rendo conto che un po' tutto ciò che mi circonda ha preso una parte di te.

Sto aspettando che il dottor Kim entri da quella dannatissima porta bianca, come ogni giorno, e mi chieda come sto, come ogni giorno, e inizi insieme a me la riabilitazione, come ogni giorno della mia inutile vita; sì esatto, io non servo a nulla in questa società, non servo a nulla in questo mondo, sono solo uno spreco di spazio, di ossigeno, potrei anche morire e nessuno se ne accorgerebbe, anzi forse starebbero tutti meglio senza occuparsi di un paraplegico, sono solo un peso.

Ma questo giorno no, non sarà quello della mia fine, perchè sei arrivato tu ad interrompere questo circolo vizioso che va avanti da troppo tempo.

Entri tu, con le tue gambe e la tua maestosità, da quella porta bianca, mi sorridi teneramente e io non riesco a trattenere le lacrime di gioia.

«Pensavo non saresti più tornato» sussurro ancora incredulo. Sei tornato in questa struttura per me?

«Non potrei mai lasciarti Taehyung, te l'ho già detto tante volte e lo continuerò a ripetere  finchè non te ne convincerai: ti amo e ti amerò per sempre, non cambia il fatto che io possa camminare ora» parli convinto e anche tu con gli occhi lucidi.

«Non ti abbandonerò, come tu non hai mai fatto con me durante la mia guarigione, anche se sapevo fosse difficile per te vedermi migliorare, ma mi hai sostenuto comunque, hai messo da parte te stesso solo per rendere felice me; nessuno lo avrebbe mai fatto» mi sorridi e mi abbracci come per trasmettermi forza, sicurezza e fiducia in te.

«Ti amo anche io» oggi, finalmente, sono pronto a correre insieme a te, anche solo metaforicamente, perché so che ci riuscirò solo se ci sarai tu a guidarmi.

«Andiamo TaeTae, ti faccio uscire da questo inferno» inizi a spingere la sedia a rotelle, con il mio corpo sopra, fuori dal portone di quella struttura che aveva rubato troppo tempo della mia giovinezza.

Non posso più sopravvivere, ora voglio vivere, Jungkook, e voglio farlo con te.

   
 
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