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Autore: Joy    28/01/2019    3 recensioni
“Come ci sei finito lì dentro?” domandò Albus Silente senza curarsi di trattenere un sorriso d'ilarità.
Albus/Gellert
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL PADRONE DEI DONI: Freddo, Silenzio e Solitudine

 

 

Aprile 1914

 

“Come ci sei finito lì dentro?” domandò Albus Silente senza curarsi di trattenere un sorriso d'ilarità.

Gellert Grindelwald, fradicio fino al midollo e per metà incastrato tra le rocce, sciorinò una serie di imprecazioni colorite, poi alzò la testa fino a incontrare l'espressione divertita del suo interlocutore e nonostante tutto gli angoli della sua bocca si piegarono in un accenno d'incontrollato sorriso.

“C'è una grotta nella foresta sul confine di Little Hangleton” spiegò “con segni di magia molto potente, roba arc-”

“Arcaica, sì.” lo interruppe Albus. “E come, sono sicuro, ricorderai quei luoghi hanno la peculiare caratteristica di proteggersi lavando via ogni sorta di potere magico.”

Grazie, Albus.” scandì Gellert con un sorriso forzato, tentando invano di spostare il masso, che gli bloccava il passaggio, con le mani lacere.

“Tuttavia,” riprese “prima che ciò accadesse ho percorso le gallerie e tutti i cunicoli, avvertendo un potere sempre maggiore, fino a che-”

“Il crollo della parete finale, che hai barbaramente fatto saltare in aria, ha frantumato gli argini del pozzo magico, le cui acque annullano ogni potere, lasciandoti laggiù a sguazzare come un babbano neanche troppo intelligente.” concluse Albus non senza ironia.

Gellert alzò gli occhi al cielo, ostentatamente tollerante.

“Sono bloccato da uno stramaledetto masso” aggiunse poi con il respiro ancora un po' affannato dallo sforzo. “L'esplosione ha innescato una serie di crolli che hanno bloccato il passaggio, e pure le mie gambe.”

“Vedo.” annuì Albus inginocchiandosi all'imboccatura del pozzo. “Molto astuto da parte tua.”lo canzonò agitando la bacchetta.

La roccia rotolò, consentendo all'uomo intrappolato un margine di movimento che gli permise di liberarsi.

“Grazie.” sussurrò appoggiando la schiena alla parete, sollevato.

“È stato un piacere.” gli rispose l'altro educato.

Gellert gli scoccò un'occhiata torva e Albus ne rise.

“Era una trappola abbastanza elementare.” continuò poi facendo apparire con noncuranza, per tutta la lunghezza del pozzo, una piccola scala di corda.

Gellert l'afferrò e issandosi sulle braccia iniziò a salire, quando arrivò al livello del terreno trovò la mano di Albus che quasi lo sollevò di peso.

“La magia era fortissima in quel punto.” sussurrò Gellert mentre si teneva aggrappato alle spalle dell'altro e posava finalmente i piedi sul terreno. “Ho creduto di averla trovata.”

Aveva gli occhi lucidi, la voce flebile ed era scosso da un tremito continuo che Albus non seppe se attribuire al freddo o alla rabbia, gli avvolse entrambe le braccia attorno alla schiena e se lo tirò contro.

“Lo so, Gellert” mormorò contro i suoi capelli. “Io stesso ho seguito questa pista, anni fa, senza arrivare a nulla.”

Quello si scostò appena da lui e dopo avergli rivolto uno sguardo sorpreso, sorrise amaramente. “Avremmo dovuto farlo insieme.”

Albus posò la fronte sulla sua. “Non avremmo dovuto farlo affatto.” dichiarò con voce decisa e dolce. “Ne tu, ne io.”, poi lo sostenne fino all'albero più vicino e lo aiutò a sedersi, la schiena appoggiata al tronco.

Fradicio com'era, esausto e profondamente deluso, Gellert non riuscì a sostenere oltre la conversazione; chiuse gli occhi e li riaprì soltanto quando sentì i suoi abiti e la sua pelle tornare asciutti sotto la bacchetta di Albus.

Incrociò il suo sguardo e pregò che potesse capire, senza bisogno di parole, che lo voleva accanto a prescindere dalle loro divergenze, dal passato e da quello che di loro ne sarebbe stato in futuro.

“Gellert...” sussurrò Albus comprensivo, lasciandosi cadere sul terreno al suo fianco. “Vieni qui.”

Lo circondò con un braccio e lasciò che posasse la testa sulla sua spalla.

“Smetti di cercarli.” mormorò poi, l'aria che si scuriva all'avvicinarsi del crepuscolo.

“Non posso.” gli rispose immobile.

“La pietra è per te.” aggiunse poi. “Lo è sempre stata. Perché tu possa riavere la tua famiglia.”

Albus s'irrigidì contro di lui.

“Non funziona così e lo sai.” gli rispose, passandosi una mano sul volto improvvisamente provato. “Non hai imparato nulla dunque dalla storia dei tre fratelli?”

Gellert sollevò lo sguardo su di lui.

“Non possiamo saperlo. È solo una storia per bambini.”

“Basta.” Albus distolse gli occhi e sollevò una mano per farlo tacere. “Ti prego.”

Il suo volto era di nuovo scavato da profonde rughe di dolore, Gellert lo fissò per lunghi istanti.

“Non vuoi che provi a rimediare per i miei sbagli, sai che la morte di Ariana mi tormenta costantemente.”

“Basta!” tuonò questa volta la voce di Albus e tutta la sua figura vibrò per la collera.

L'aria era tiepida quella sera e sapeva di bosco e di terra umida, ad Albus ricordò le serate quiete della sua infanzia, quando Aberforth era solo un bimbetto che gli trotterellava appresso ogni istante e lo guardava con occhi adoranti e quando sua sorella era solo una neonata che dormiva placidamente tra le braccia di sua madre.

Faceva male. Molto.

Si concesse d'indugiare su quei ricordi per brevi attimi, poi si asciugò le lacrime con il dorso della mano e si alzò in piedi.

Registrò freddamente che anche Gellert aveva gli occhi umidi.

“Vieni a casa con me?” gli chiese con tono ruvido.

“Mi vuoi?” biascicò l'altro di rimando.

Albus contemplò il modo in cui la sua testa si appoggiava al tronco dell'albero, la lentezza delle ciglia che si chiudevano sugli occhi bagnati e il tremito appena percettibile delle sue labbra.

Poi fissò a lungo la punta dei suoi stivali.

“Sì” rispose “...e no. Come sempre.”

Le palpebre di Gellert si chiusero con forza e questa volta due lacrime rotolarono giù lungo le sue guance.

“Lasciami qui, allora.” dichiarò deciso. “C'è una locanda sulla strada, stanotte dormirò lì.”

Albus non aspettò che i suoi sentimenti prendessero il sopravvento; gli diede le spalle rapidamente e in un attimo si era già smaterializzato.

 

 

A notte inoltrata il rimpianto era incredibilmente potente.

Albus scostò da sé le coperte aggrovigliate e si alzò dal letto nel quale si era sepolto non appena aveva varcato la soglia di casa, cinque ore prima.

Non aveva dormito un solo minuto.

Raggiunse la scrivania e si versò un generoso bicchiere di whisky: la casa era silenziosa e non gli piaceva.

Lui amava le chiacchiere ciarliere dei suoi studenti a Hogwarts; quando il silenzio rimbombava nella sua mente, la testa gli esplodeva delle grida di sua sorella e della collera di suo fratello, prima di lui c'era stata quella suo padre e i pianti di sua madre e l'odio verso i babbani, così ciechi nei loro pregiudizi e nelle loro paure.

Faceva anche freddo.

Accese il fuoco con un colpo di bacchetta e pensò alla sua famiglia, ormai irrimediabilmente distrutta e alla schiena di Gellert che si allontanava e rabbrividì in modo incontrollato.

Si versò di nuovo da bere e facendolo si soffermò sulla propria mano malferma: sembrava quella di suo padre l'ultima volta che lo aveva visto ad Azkaban, quando già era lo spettro di se stesso.

Aveva pianto apertamente quella volta, i pugni stretti attorno alle sbarre gelide della cella.

“Perché l'hai fatto, padre?” gli aveva chiesto tra le lacrime.

E lui gli aveva risposto, in un insolito slancio di lucidità.

“Volevo più di ogni altra cosa, che i miei figli potessero vivere liberi e felici.”

Poi era ritornato ad essere la figura folle e cenciosa, raggomitolata nell'angolo più buio della cella.

Albus si sentì dolorosamente solo.

Vuotò per la seconda volta il bicchiere e dopo aver afferrato con decisione il proprio mantello, si smaterializzò.

 

 

La porta della locanda era socchiusa; quando Albus la spinse si aprì con un sinistro cigolio,

Dietro al bancone un vecchio dall'aria guardinga lo fissò assottigliando lo sguardo; mosse appena le labbra sul punto di dire qualcosa, ma Albus lo mise a tacere rovesciandogli davanti mezza saccoccia di galeoni.

Quello annuì impercettibilmente e gli indicò con un cenno della mano una delle camere del piano superiore, lui vi si precipitò.

Quando spalancò la porta trovò Gellert sveglio, seduto alla scrivania con le mani affondate nei capelli e un' espressione ancora più abbattuta di quella che aveva quando lo aveva trovato, ore prima, intrappolato in fondo a un pozzo.

“Albus...” riuscì a sussurrare, prima che l'altro gli si catapultasse addosso.

 

 

Per prima cosa, Gellert, che conosceva così bene la neve e i ghiacciai, sconfisse il freddo.

Posò le sue mani calde sul viso di Albus e gli baciò la bocca, avvolse entrambe le braccia attorno a lui e si lasciò cader sul letto trascinandoselo dietro.

Lì, tra le lenzuola soltanto tiepide, tracciò ogni centimetro della sua pelle con le dita e poi ripercorse la stessa strada con le labbra, finché non lo sentì ansimare di piacere e di attesa e quando si scostò leggermente, solo per guardarlo in viso, colse il suo tremito immediato.

“Non andare.” gli sussurrò infatti Albus.

Gellert sollevò appena gli angoli della bocca e lo osservò con sguardo tenero.

“Non me ne vado.” assicurò.

Rimase su di lui, disseminando sul suo petto parole e carezze, mormorii lievi in mezzo a scie di baci; disegnò frasi sulla sua pelle e cantilenò il suo desiderio spostando le labbra dal suo collo all'orecchio.

E scacciò il silenzio con la propria voce.

Non smise di parlargli quando spinse i fianchi contro i suoi ed entrò in lui lentamente, e sentì le proprie parole tramutarsi i gemiti sconnessi quando il ritmo aumentò nella stessa misura del desiderio, ma quando il piacere li travolse, inarcando i loro corpi, non fiatò.

Appoggiò la testa contro la spalla di Albus e respirò profondamente tra i suoi capelli.

“Non sarai mai solo.” mormorò. “Ovunque, sarò con te.”

Rotolò al suo fianco, abbandonandosi tra le lenzuola e avvolse entrambe le braccia attorno a lui cosicché anche la solitudine fosse sconfitta.

 

 

FINE

 

 

Note dell'autrice:

Buongiorno a tutti, eccomi dunque alla fine di questa sudata fic per qualche dovuto chiarimento. Sudata, perché anche se non sembra ç_ç , mi ha fatto perdere il bene della ragione. L'idea generale era, questa volta, di mostrare di entrambi i personaggi il lato umano: quello titubante, contraddittorio e imperfetto, e di scolpirlo a tutto tondo. Per questo ho cercato di mostrare tutto, dall'ironia alla paura, dalla comprensione alla rabbia, dal dolore all'amore. E sì, ho perso settimane di vita, con risultati, temo, alquanto scadenti. ç_ç Sono senza speranza.

Per quanto riguarda il testo ci sono giusto due appunti da segnalare:

 

Il primo è l'utilizzo, da parte di Albus, della parola “babbani” in senso leggermente dispregiativo.

Ora, Albus non intendeva denigrare i babbani, utilizza quella frase solo per canzonare Gellert, perché sa che per lui -per un mago del suo lignaggio- essere paragonato ad un babbano per giunta poco intelligente, è al tempo stesso offensivo e ironico. Albus coglie l'occasione per dargli una lezione del tipo: “Ti credi superiore a loro, eppure eccoti qui”. Ecco, pensavo a questo, scrivendo.

 

Il secondo punto da chiarire è la parte dove Albus paga il locandiere per il suo silenzio, su questo punto devo dire che sono un po' incerta, non so se sia plausibile, ma l'idea che Albus entrasse e facesse i suoi comodi dopo aver scagliato un “Confundus” o una “Imperio” mi è sembrato ancor più improbabile.

 

Per il resto spero che vi abbia fatto piacere questa lettura.

Se vorrete farmi sapere la vostra opinione, sappiate che vi amerò profondamente. *_*

Ringrazio tutti e vi mando un abbraccio gigante.

Joy.

 

 

  
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