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Autore: Freelion7    30/01/2019    0 recensioni
Come al solito, quella mattina il cielo londinese era totalmente plumbeo. L’aria era umida e qualunque cosa era avvolta in un sottile strato di brina. Era inverno e, logicamente, faceva freddo. Quel tipo di freddo che faceva solo desiderare una coperta calda, ma soprattutto asciutta, del the e poco altro. Tutto ciò che serviva a rendere la giornata straordinariamente ordinaria, monotona ed irritantemente noiosa. Era terribile. Non c’era un’altra parola per descriverlo. Non un caso, non una distrazione. Odiava il natale, si… col fatto che a Natale siamo tutti più buoni nessuno uccideva nessun altro. Noia. Noia. Noia.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Metà febbraio 2028, Londra

 

Brunella stava lavorando su un testo. Destinazione: un blog. Poi sarebbe passata, in un altro punto della scrivania disordinata, ad un capitolo per un fantasy di un’amica lontana e poi ancora… alzò gli occhi, colta da un dubbio: aveva un appuntamento con una delle persone che seguiva, ma non conosceva il posto e non ne aveva cercato il percorso!

 

John si stava preparando: aveva un appuntamento. Ok, non era un vero e proprio appuntamento. Per lui si, ma la ragazza non ne era al corrente. Ormai si scrivevano da anni, sempre per lavoro, questo è vero, ma ciò non toglieva che si stessero scrivendo. Guardò l'orologio in apprensione, era in anticipo perfetto. Si diede ancora una pettinata e uscì di casa prendendo al volo la giacca in pelle marrone.

 

La ragazza scattò come una molla in piedi. Era stretta sulla propria tabella di marcia. Non si era minimamente resa conto del tempo che era passato. Cosa mettere? Rapido, pratico ed eccentrico il giusto. Pantaloni neri a sigaretta, maglietta verde petrolio con maniche abbondanti, panciotto, tacchi alti chiari, tracolla con lo stretto indispensabile, sciarpa e cappotto. Poteva andare, i dettagli li avrebbe sistemati per via.

 

Era davanti al locale da ben cinque minuti. Si sentiva davvero bravo. La ragazza in questione era la sua editor e aveva il brutto vizio di arrivare sempre in anticipo. Questa volta non si sarebbe lasciato prendere alla sprovvista. Aveva anche una sorpresa per lei. Quel giorno avrebbero compiuto i tre anni di editor. Non stava più nella pelle.

 

La giovane entrò nel locale dove si erano dati appuntamento sfregandosi le dita gelate. Controllò l’ora. Puntualità perfetta. Passabile. In viaggio aveva sistemato rossetto -in tinta con la maglietta- capelli e chincaglieria. Era una delle regole che si era posta: parlare con gli autori, ove possibile e mostrarsi seria, ma stravagante.

Si guardò intorno. erano passati esattamente tre anni dal primo incontro col suo appuntamento. Si chiese dove fosse.

 

Due mani sugli occhi ed un sorriso divertito.

 

“Eccoti” sorrise divertita, leggermente storta per la borsa. John non era alto, ma rimaneva comunque più alto di lei, anche coi tacchi. “Ci sediamo o rimaniamo qui tutto il giorno?” erano solo le 11, ne avevano tutto il tempo, anche se nessuno dei due ne aveva le ginocchia.

 

“Speravo in un saluto un po’ più caloroso, Miss artistico” rispose sarcastico il medico prima di scostarle la sedia. da gentleman.

 

“Ti saluterò calorosamente, doc, quando avrò poggiato la borsa da qualche parte e mi sarò tolta il cappotto” ribattè scherzosa, sedendosi.

 

Non appena la ragazza tornò in silenzio le prese la borsa e le tolse il cappotto. “Meglio?” sorrise mentre appendeva tutto all’appendiabiti.

 

La giovane sorrise “Che cavaliere… dove mi avete portata?” domandò togliendo la borsa dall’appendiabiti e spostandola vicino alla sedia. Non era una cosa saggia appenderla a qualcosa di appena meno che molto solido. Fatto ciò, abbracciò l’uomo, calorosa.

 

Quando la ebbe fra le sue braccia la strinse a sé. Era come tornare a respirare. “Ti ho portato in un posto speciale.”

 

Il locale era effettivamente molto particolare. La prima impressione che quel posto dava era di essere uscito dal tempo. L’atmosfera era calda e accogliente, i colori erano caldi, ma non chiassosi: le pareti erano crema, intervallate qua e là di librerie e quadri di tratto accademico o simil tale. I tavoli erano in solido legno intarsiato scuro. Non erano microscopici e non avevano tovagliette di sorta, solo un vaso con dei fiori vitrei ed un lumino dal profumo floreale a colorare l’aria. Le sedie dagli schienali alti erano rivestite in velluto morbido e dotate di braccioli comodi. Discrete, vicino al parquet, si nascondevano delle prese di corrente, lasciate a disposizione dei clienti.

 

“è bellissimo”

 

“Ho fatto centro?” sorrise goduto John guardandola trionfante.

 

“Assolutamente” sorrise rilassata la ragazza prendendo posto “è proprio un bel posto”

 

“Come te” la guardò malizioso e le prese una mano dolcemente. “allora, cosa dovevi dirmi?”

 

Brunella avvampò istantanea “Volevo…” si incartò. Perchè quel benedetto uomo non doveva esserle indifferente? Per l’amor del cielo, era uno dei suoi autori! “farti i miei complimenti di persona. Dal punto di vista stilistico sei migliorato molto… e poi mi faceva piacere vederti, ecco” ammise infine, in un sussurro appena udibile.

 

Lo aveva sentito quel sussurro, eccome se lo aveva sentito. “Preferisco la seconda motivazione. Niente di personale, ma tu sei meglio di un miglioramento stilistico.”. Ordinò la colazione per entrambi

 

“The caldo” chiese lei “Vaniglia se c’è, altrimenti l’earl gray va benissimo”

 

Il cameriere, un giovane piuttosto alto prese le ordinazioni prestando più attenzione alla ragazza che a John. “Gradite anche qualcosa da mangiare?”

 

“Due fagottini al cioccolato e smetta di mangiarsi la mia fidanzata” sorrise angelico. Non doveva azzardarsi a dire ancora una parola o gli avrebbe fatto sperimentare quello che aveva imparato sul campo in guerra.

 

“Sicuro che lo sappia anche lei?” domandò il giovane, beffardo.

 

La ragazza, oggetto del contendere, era immobile, sorpresa ed assolutamente luminosa per la prospettiva. No. Doveva ricordarsi che lui lo aveva fatto solo per toglierle le attenzioni non richieste del cameriere. Non doveva illudersi.

 

“Sono più che certo che lo sappia dal momento che questo è il nostro anniversario. Ora, se ha finito di importunarla le chiederei i nostri ordini, grazie.” era combattivo, come un cane da guardia. Giù le mani dalla mia ragazza era quello che urlavano i suoi occhi.

 

Il cameriere se ne andò con gli ordini, lasciando il tavolo al silenzio.

 

Brunella tornò in sè in quell’istante “La tua… cosa?” domandò con un filo di voce. Non riusciva a capacitarsene e non doveva illudersi, si ripetè per l’ennesima volta in pochi secondi.

 

John era leggermente in imbarazzo. Era stata la prima cosa che gli era saltata in testa. Cosa dire? Mentire. Mentire fino alla fine. “Lascia stare, tranquilla, era per togliertelo di mezzo.”

 

Illusione. A quanto pare non andava bene nemmeno per John tre continenti Watson. Per un attimo ci aveva creduto. Sembrava così coinvolto mentre lo diceva, così sicuro e convinto. “Ah” non osò liberare altri suoni che l'avrebbero tradita, con tutta probabilità.

 

“Cosa succede? I tuoi ah non sono mai a caso.” il ragazzo le si avvicinò e la guardò dritta negli occhi.

 

“Era davvero solo per togliermelo do torno?” ridomandó la giovane. Se era solo per quello, non gli avrebbe certo detto altro in materia. Avrebbe chiesto di cambiare discorso e basta.

 

Le strinse la mano che non le aveva ancora lasciato. “Principalmente sì. Non stiamo insieme da anni. Devi essere tu a scegliere con chi stare e nessun cameriere o uomo in generale deve e dovrà imporsi.”. Aveva parlato senza rompere il contatto visivo. Non avrebbe lasciato soli quegli occhi blu mare.

 

“E secondariamente?” chiese. Perché la stretta di John era così calda e piacevole? E soprattutto perché non l'aveva ancora lasciata? Non che le dispiacesse, ma non capiva.

 

“Ecco, non doveva essere così brutto, insomma, speravo di potertelo dire in un altro posto” Si passò una mano sul collo. Non sapeva perché, ma aveva le mani sudate. Era agitato.

 

Di nuovo la giovane si cristallizzó dove stava. Quindi aveva qualche speranza… “A-allora d-dimmelo dopo” mormorò emozionata.

 

“Sì, ma niente di che, non è niente di così stratosferico” cercò di sdrammatizzare. Non voleva si montasse la testa per rimanere poi delusa. Per di più non sapeva nemmeno se fosse corrisposto, prima di festeggiare avrebbe aspettato la sua risposta.

 

“Va bene, cercherò di non sparire sulla mia nuvoletta” tentò di alleggerire a sua volta, ripetendosi mentalmente di non montarsi la testa, che poteva essere qualunque altra cosa. Non che ci stesse riuscendo particolarmente…

 

Gli ordini arrivarono abbastanza in fretta insieme una bella rosa rossa. John stava già sorridendo.

 

“Non dal cameriere, suppongo” sorridendo. La ragazza si preparò il the con attenzione, ma senza perdere di vista l'amico, con un sorrisone.

 

“Ti piace?” non era mai stato così timido in tutta la sua vita. Temeva un rifiuto secco.

 

“È bella la teiera e devo assaggiare ancora il the” sorrise positiva “e la rosa è bellissima” concluse affondandovi il naso dentro.

 

Aveva un sorriso stupido ed ebete in viso. “ai nostri tre anni, Brunella” disse stringendole la mano

 

“Te ne sei ricordato…” liberò sorpresa “Ai nostri tre anni, John” confermò lei, facendo tintinnare la tazza contro la sua. Quanto era intimo? Tanto, tantissimo. Un lieve rossore le colorò le guance.

 

Non sembrava per nulla un brindisi a tre anni di editor. Più che altro a tre anni di relazione. John l'aveva sempre ritenuta diversa dalle altre. Forse perché non si era avvicinata a lui né perché amico del grande Sherlock Holmes né perché era John tre continenti Watson. Aveva deciso di sfruttare quella data significativa per dichiararsi.

 

Brunella, dal suo punto di vista, non sapeva cosa fare. Si era dichiarata alcune -due- volte nella sua vita, ma non era mai stata corrisposta. In alternativa, un giovane, alcuni anni prima, aveva provato a stare con lei, ma non l’aveva convinta. Non c’era stato altro, se non qualche tentativo, ma sempre e solo o da una parte o dall'altra, mai ricambiato. Cosa avrebbe dovuto fare, in quel caso? Sperò di non fare troppi pasticci e di andare bene per lui.

 

“Raccontami qualcosa. Sei così silenziosa oggi…. “ non voleva fargli sentire più la sua bella voce? Cosa le aveva fatto di così brutto?

 

“Non so solo bene cosa dire” ammise lei, impacciata “o meglio, lo so, anzi lo immagino… e non so come si gestisce questa cosa…” stava straparlando. Doveva fermarsi, prendere fiato e mettere le parole in un ordine intelligibile.

 

“Se sai cosa dire allora dillo e basta” rispose tranquillo il ragazzo.

 

La giovane si trovò spiazzata. Aveva dato per implicito che fosse lui a dichiarare i propri intenti, i propri sentimenti e lei a rispondere, decisamente non il contrario.

 

“Allora?” le sorrise caldo. “Hai detto che sapevi cosa dirmi. Sono qui”

 

“Mi sono espressa male” la giovane stava andando nel pallone “non so cosa dirti, so cosa ti risponderei se mi chiedessi quello che credo vorresti chiedermi” rettificò.

 

John rise leggero: riteneva adorable quando si impapocchiava. “E allora dimmi: cosa credi che vorrei chiederti?”

 

“Non voglio rischiare questa figura con te” non voglio essere una delle tante che cadono ai piedi del grande John Watson e che durano due giorni.

 

“tu con me non rischi mai. Per di più abitare con Sherlock non mi aiuta a lasciar correre parole così curiose. Avanti, dimmi”

 

“No. Vuoi fare tu il primo passo” ti prego, sto morendo di imbarazzo pigoló la ragazza, rossa in viso, vistosamente in imbarazzo.

 

“E se poi voglio dirti un'altra cosa e tu ci rimani male?”

 

“Appunto. Ci rimarrei male senza essermi fatta una figuraccia e senza avere rischiato di spezzare qualcosa” ti prego fai tu il primo passo, che tutte le mie esperienze maschili fino ad ora sono state dei fiaschi e mi sono sempre dichiarata io puntualizzó la ragazza, più fragile di quanto le sarebbe piaciuto ammettere. Ci avrebbe dovuto fare l’abitudine, probabilmente, ma non era mai successo. Temeva seriamente quello che lui avrebbe potuto dirle.

 

“Senti, ho capito cosa intendi, ok?” le sorrise dolce e le diede un leggero bacio sulla guancia. “Finisci il the, poi ne parliamo” voleva solo che si godesse quel momento.

 

“G-grazie” pigoló piano, affondando il naso nella tazza e scaldandosi attraverso la porcellana sottile. Le dita, notò, tremavano appena. Era incredibilmente agitata, considerando che già immaginava la direzione del discorso e ci sperava da… da più di quanto avrebbe mai ammesso con chiunque.

 

Il medico la strinse in un abbraccio confortevole. “Buono il te?”

 

Fra le tante cose a cui la ragazza non era in grado di resistere, gli abbracci erano fra i più efficaci. Si rilassó fra le sue braccia e vi si strinse, consumando a piccoli piccoli sorsi la bevanda calda ed intervallandoli con con il fagottino al cioccolato. Il medico, notò, non aveva ancora consumato il proprio. “Posso?” domandò golosa dopo aver finito -divorato- il proprio.

 

John lo prese “Te lo do solo se rispondi alla mia domanda : è buono il te?

 

“Si, è molto buono” sorrise. “È delicato.”

 

Come da contratto, le diede il proprio dolce. Glielo avrebbe dato lo stesso, lui non mangiava mai a colazione: solo caffè amaro.

 

“Grazie” trillò afferrando il dolce con la punta delle dita sottili. Gli stampò un bacio sbricioloso sulla guancia e riprese la colazione… in effetti, a quanto ricordava, l'ultimo pasto risaliva alla merenda precedente… forse.

 

Con occhio clinico la guardò attentamente “Da quanto non mangi?”. Si preoccupava sempre per lei. Aveva questo brutto vizio di saltare i pasti.

 

“Ieri. Ieri ho mangiato… almeno credo. Colazione l’ho fatta di sicuro, ero con Mati” del resto della giornata non era troppo sicura, ma non era morta, quindi andava bene.

 

“Meno male che fra un mese smetterà tutta questa storia dei pasti saltati.“ disse John prendendo un sorso del suo caffè.

 

“Perché? Che succede fra un mese?” cercò di fare mente locale, ma la routine che l'aspettava era fatta nello stesso modo.

 

“Matilde trasloca, non lo sapevi?”. Era stupito. Di solito le due ragazze si dicevano tutto. Non solo perché amiche, ma anche perché Brunella teneva gli appuntamenti della detective.

 

“Credo avesse intenzione di dirmelo stasera” si fermò un attimo “Si trasferisce dove? Ed io rimango a casa da sola?”

 

John la fermò con dolcezza “Fermati pain au chocolat, un pezzo alla volta. Sherlock mi ha già detto da un paio di giorni che Matilde sarebbe venuta da noi, quindi di far sparire la mia roba. Ora che mi dici che Matilde non ti ha detto niente penso sia perché non lo sappia proprio. Sai, alcune volte Sherlock tende a dare un tantino per scontato il libero arbitrio. Comunque non rimarrai sola, promesso.”. E, detto questo, si fece una croce sul cuore, come da bambini.

 

“Che dolce, ma, a meno che il coinquilino sia tu, non puoi disporre della vita di terzi” fece presente carezzandogli una gota appena rasposa di barba non visibile.

 

“Per te farei di tutto, lo sai. Ma se fossi proprio io il tuo coinquilino?” la sua mano era così delicata,attenta. Gli piaceva.

 

“Non lo sapevo” ammise timida “non vedo dove sarebbe il problema, a meno che tu non giri nudo per casa, allora sarebbe un problema, ma non me ne sembri il tipo” ragionò a voce alta. Era la soluzione migliore e peggiore insieme per il suo cuore innamorato. Lo avrebbe avuto sempre vicino, ma anche sempre non fra le sue braccia. Infinitamente vicino ed infinitamente lontano.

 

Un sorriso malizioso si allargò sul viso del ragazzo “Vuoi dirmi che non ti piacerei nudo?”

 

“Non è quello che ho detto. Sarei costantemente imbarazzata, questo si” puntualizzó la ragazza, rossa in viso alla sola idea.

 

“Guardami: bello come un dio, forte come un soldato, sono agile e caramellato il punto giusto.”

 

“E modesto come Jace Herondale”

 

“Quanto siamo acidine. Dimmi che non è vero quello che ti ho detto.”

 

“Non ho detto che non è vero e ti ho scelto un personaggio bello, non a caso” puntualizzó con aria seria, trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere e poi, quanto era bello John?!?

 

“Sì, ma è un borioso, un pallone gonfiato. Io non sono tutto fumo e niente arrosto.” la mano della ragazza che ancora teneva nella sua fu accompagnata sul petto ampio e muscoloso del soldato. “Senti, San Tommaso”

 

“Lo hai letto!” si sorprese la giovane “E comunque lo so che sei bello e muscoloso, doc” nonostante il tono scherzoso, lo sapeva davvero.

 

A John non era di certo sfuggito quel lieve rossore che era spuntato sugli zigomi dell'editor quando la sua mano aveva raggiunto il proprio petto. Da inguaribile malizioso colse la palla al balzo “Ti piace quello che tocchi, pain au chocolat?” le sussurrò.

 

“Se sei tanto soffice qui” tamburelló piano sul petto “come lo sei qui” con il dorso dell'indice, gli sfioró il collo “Allora si"lo sapeva che si sarebbe pentita della battuta, data la propria ingenuità.

 

“Soffice?” era un tantino confuso. Evidentemente la sua battuta non era stata compresa. Non era una risposta sensata.

 

“La pelle. La pelle soffice” mormorò imbarazzata. Faceva le battute e nemmeno le faceva giuste… le dispiacque di avere parlato.

 

“Oh! In quel senso! Ora ho capito” rise di gusto. “Sono soffice tutto, sai?” tornò malizioso. Le mise le mani sui fianchi e se la sedette in braccio.  

 

Non sapeva nemmeno bene come, si trovava sulle gambe di John. Lei. In braccio a lui. Non erano mai stati così vicini. Mai. Sperò che il medico non si accorgesse del suo cuore impazzito, ma dubitó fortemente che ciò sarebbe successo.

 

Sentiva il suo cuore battere in maniera inverosimile, era così bella da imbarazzata. Lo aveva fatto. Alla fine aveva ceduto ai suoi istinti e per fortuna la sua amica pareva non disprezzare la situazione. La voleva tutta per sé, la sua pain au chocolat.

 

La ragazza gli si accoccolò contro il suo petto. Avrebbe voluto bere un altro pochino di the, ma le tremavano le mani e non era il caso, decisamente. Però stava così bene lì dove stava…

 

John prese  la propria tazzina e gliela a costò alle labbra “Tieni”

 

Brunella bevve senza guardare, salvo poi far volare gli occhi alla tazzina. Caffè?! Bleah! Arricciò il naso e strizzò gli occhi per il sapore troppo forte ed amaro.

 

John sbiancò. Ma che cavolo di tazzina aveva preso?! Guardò meglio. Merda. Era la sua. Sapeva perfettamente quanto Brunella amasse le bevande dolci e il caffè, per giunta amaro, non rientrava fra queste. Si affrettò a scambiare le tazze “Scusa scusa scusa! Non volevo! Tieni bevi questo”. Bravo John, aveva rotto il momento.

 

La ragazza affondò il naso nella sua tazza molto dolce e prese un braccio di lui e se lo strinse intorno. Non aveva rovinato nulla, si era solo impapocchiato appena.

 

Si sentiva in colpa. “Scusa sul serio, non volevo, ho scambiato le tazze e…” non si fermava più. Straparlava e basta.

 

La giovane gli mise decisa una mano sulle labbra “Shh. Buono. Non è successo nulla per cui ha lontanamente senso che tu ti senta in colpa. Abbracciami e stai bravo” affermò vagamente dispotica, sorridendogli sfacciata. Non aveva senso che facesse così, neanche un po’. Interromperlo con un bacio sarebbe stato eccessivo.

 

Il ragazzo la strinse a sé dolcemente. “Certo che tra tutti i modi in cui si può zittire una persona hai scelto uno dei più brutti.”

 

“Non sono abbastanza intraprendente per gli altri” sorrise timida “Come avrei dovuto zittirti, doc?”

 

“Sai, con un bacio….” la guardò negli occhi.

 

“Sono troppo timida per questo” ammise lei in un pigolio “Puoi sempre farlo tu…”

 

Le accarezzò delicatamente il viso col pollice. “Mi piaci.” sussurrò dolce a poco dal suo viso.

 

“A-anche t-tu” ammise la ragazza, in un soffio, bordeaux. Il viso si era reclinato docile ed automatico verso la mano del giovane sotto di lei.

 

La baciò, impetuoso, irruento. La amava è non riusciva a trattenersi.

 

La giovane rimase senza fiato. Un inizio col botto, si poteva proprio dire. Gli strinse le braccia intorno al collo e cercò, se non di stargli dietro, quantomeno di non soccombere, mentre piccoli brividi le percorrevano la schiena.

 

Si sentiva vivo. La strinse a sé e le prese il viso fra le mani. Aveva le labbra dolci e morbide.

 

“È... il secondo in tutta la mia vita” mormorò Brunella col fiatone. Non che il primo fosse proprio un gran vanto. Se fosse potuta tornare indietro, non lo avrebbe mai fatto, quel primo, così. Il medico era meglio, anni luce meglio.

 

Stava sorridendo a trentadue denti. “è stato fantastico” era la sensazione migliore della sua vita. La abbracciò stretta. Aveva baciato tante volte tante ragazze diverse, ma nessuna mai gli aveva fatto provare quello strano brivido alla nuca.

 

“Sono coperta di brividi” sottolineò la giovane. Non sapeva se fosse normale, ma stava bene come raramente prima.

 

“Vuoi stare con me? Non ho bisogno di appuntamenti per sapere che sei la donna giusta.” disse il ragazzo. Era luminoso.

 

La giovane non ebbe bisogno di pensarci. Sperava da mesi in quella domanda. “Si, si,si!” cinguettò stringendolo a sé, felice.

 

“Sei felice, cucciola?”. Continuava a coccolarla: i capelli, il viso le spalle, la schiena, le braccia… L'aveva desiderata così tanto che ora non ci credeva di averla fra le braccia.

 

“Shi” come nomignolo le piaceva e stava bene, tanto bene. Era serena. Strinse il giovane a sé, estatica.

 

“Vado a pagare, ok?” le sorrise

 

“No, ancora cinque minuti” gli si strinse maggiormente intorno. Non poteva volersi già alzare. Non poteva e basta.

 

“Cos'hai?”

 

“Voglio le coccole, ecco” stringendosi di più fra le sue braccia. Quella era una delle sue parti bambine che non era mai cresciuta. Adorava farsi fare le coccole.

 

“Pensavo saremmo stati più comodi a casa mia” sorrise malizioso contro il suo collo.

 

“Fra cinque minuti, comunque” ribadì senza spostarsi di un millimetro da dove stava. Ci sarebbe stato tempo più tardi per rivedere il cameriere cascamorto, alzarsi, andare a casa…

 

“Com'è dispotica la mia editor” rise il biondo prima di mangiarle letteralmente il collo di baci.

 

“Ma sono un adorabile fiorellino” cinguettò la ragazza, vistosamente ironica, angelica e divertita. “però ti concedo il permesso di dirlo ancora” si stava divertendo, sì.

 

“Ci siamo sempre più scritti che visti. Cosa ne dici, magari invertiamo le cose?”. Sperava davvero che dicesse di si. Aspettava con ansia ogni sua lettera, gli piaceva la sua grafia piccola e ordinata, ma niente era meglio che averla con sé. Non vedeva l'ora che passasse il mese per poter convivere.

 

Mancò poco che la giovane si sciogliesse lì dove stava. “Va-va bene” balbettò, anche se senza spostarsi.

 

John era tanto felice da irradiare luce nella stanza. Splendeva.

 

Brunella si decise infine ad alzarsi “A-andiamo?”

 

“Se la mia ragazza vuole questo, questo faremo.”. Sorridente si alzò e le porse il cappotto.

 

La giovane vi si infilò con la giacca che vi aveva lasciata incastrata dentro, si sistemò la sciarpa e si tirò in spalla la tracolla “Ci sono” comunicò infine, agganciando un dito a quello del ragazzo.

 

Le prese la borsa e le strinse la mano. “Così va meglio”. Andò alla cassa regalando un'occhiata vittoriosa al cameriere.

 

Gli strinse la mano “Mia borsa, mollala! Ma con delicatezza, che c’è il pc” tentò di riprendersela la ragazza. Era una di quelle cose di cui, fin da bambina, era gelosa, per così dire. Le sue borse se le portava lei e basta.

 

“Fatti viziare su. Mia la principessa miei i suoi problemi.”

 

“P-principessa?” ridomandò in un soffio “F-forse p-più la segretaria...”

 

“Ma che segretaria e segretaria, sei la mia principessa. Come puoi anche solo pensare di essere una segretaria?” pagò ridendo e uscì senza che il sorriso divertito gli sfuggisse dalle labbra.

 

“Io? Principessa?” la ragazza continuava a non essere totalmente convinta. Non si sentiva una principessa, nemmeno un po’ e, obiettivamente, john non aveva l’aria da principe azzurro, che, dopo avere visto shrek, le stava anche antipatico.

 

“Non ti sembro un principe?”. Si fermò in mezzo alla strada. Era un colpo al cuore, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Il non essere alla sua altezza lo spaventava.

 

“Mi sta antipatico Azzurro, quindi accetta il complimento i non somigliargli… sei meglio di quello sbruffone disegnato. Il mio bel capitano delle guardie?”

 

“Molto volentieri, piccolo medico” sorrise e la strinse a sé. Non aveva mai camminato abbracciato con nessuno.

 

“Piccolo medico? Come fai a conoscere questo nomignolo?” domandò sorpresa. Come faceva a sapere di quel nomignolo della storia di una sua amica?

 

“Un uccellino…”. Matilde gli aveva dato una dritta. Sapeva quanto tenesse alla ragazza e era convinta che tutto ciò dovesse essere incentivato.

 

“Come lo sai?” Brunella si era incagliata a piccolo medico. Gli si strinse addosso, pensierosa. Non riusciva a capire: era sicura di non avergliene parlato…

 

“Un uccellino ha fatto il suo dovere.” non aveva stalkerato Matilde fino allo sfinimento. Nooooo, figuriamoci.

 

“Quanto l'hai stressata?” domandò divertita, riferendosi alla povera e vessata coinquilina. Si prese un istante per guardare il cielo fuori dal locale. Bianco. Prometteva neve. Dovevano tornare a casa.

 

“Il giusto.” rispose divertito. La strinse nella sua giacca è allungó il passo. Voleva arrivare in fretta a casa per evitare la neve.

 

“Dove andiamo? Da te, da me, altrove?” la ragazza non sapeva come gestire la questione. Decise di affidarglisi.

 

“Da me. Sherlock è via. Casetta solo per noi. Ti piace l'idea?”  le baciò la guancia.

 

“Io non so come funziona… va bene, andiamo” si guardò le scarpe alte ed aperte. Perché le aveva messe quella mattina?! Perché le piacevano e non sapeva dire di no ai propri capricci vestiari, ovvio. La volta successiva sarebbe stata più attenta… forse.

 

Senza lasciarla dall'abbraccio la condusse fino al proprio appartamento e aprì la porta.

 

La giovane entrò nell'appartamento con occhi nuovi, stretta al giovane. Si tolse il cappotto e lo appese. “Cosa facciamo?” timidina.

 

“Io proporrei divano, cioccolata e un bel film. Cosa ne pensi?” si liberò della giacca e delle scarpe.

 

“Pirati dei caraibi?” domandó speranzosa. Amava quel film, ma lo avrebbe condiviso volentieri con lui.

 

“Pirati dei caraibi sia.” sorrise caloroso. Avrebbe fatto di tutto per lei. Preparò il tutto per il film compresa la cioccolata. In realtà la bevanda era opera della signora Hudson. Una volta che fu pronto si sedette sul divano, portando con sé due tazze.

 

La ragazza recuperò la traccia dal portatile. La teneva sempre in memoria. Collegò il pc al televisore e mise in pausa il film. “Spero tu sappia che io di telecomandi non capisco nulla” mise in chiaro sedendosi sul divano.

 

“Nessun problema.” rispose. Si sistemò comodo sul divano e allargò le braccia in un caldo invito.

 

La giovane vi si sistemó in mezzo, placida. Stava per guardare un film che adorava con il giovane che le faceva girare la testa.

 

“Vieni, piccola” la strinse a sé e fece partire il film. Non si era mai sentito tanto tranquillo e felice. Non aveva mai qualcuno con cui fare queste cose più normali, pacate. Sherlock non era, per ovvie ragioni, una scelta vincente e, per questo, il medico si trovava spesso nel migliore dei casi a farle da solo.

 

La giovane gli si accoccolò intorno. “è pacifico… mi piace” e poi si perse nel film. Lo aveva visto volte bastanti da conoscerlo a memoria e, sottovoce, ne recitava le battute, senza pensarci.

 

John sorrideva estremamente divertito. Le accarezzava i capelli e le spalle con gesti delicati. In poco tempo era scivolato fra le braccia di morfeo. La bella voce della ragazza lo cullò.

 

Brunella si girò perplessa. Si era addormentato? Ma che dolce, si scoprì a pensare. Sembrava… rilassato. Come raramente da sveglio.

 

John si girò verso di lei, ma nulla lo avrebbe svegliato.

 

La ragazza, dal canto suo, col neofidanzato fra le braccia, decise di lasciarlo dormire. Era così rilassato… sarebbe stato un peccato svegliarlo. Avrebbe aspettato la fine del film, decise. Glielo avrebbe fatto guardare un'altra volta… forse due o tre… o quattro...

 

John dormiva sereno.

 

Come ogni singola volta, al discorso di Elizabeth si infervoró, scoppiò a ridere per gli uomini pesce, le venne voglia di noccioline, si lasció coinvolgere dal matrimonio con Will, dalla morte di James, suo primo amore di personaggio, dal combattimento fra Jack e Davy Jones, dalla fine stupida di Beckett e dall'esplosione spettacolare di Calipso, dal buon mastro Gibs, dal lampo verde sull'orizzonte che non aveva mai smesso di cercare, nonostante sapesse perfettamente che non lo avrebbe mai visto.

 

Il medico aveva appoggiato la testa sulla spalla della ragazza. Era comodo, confortevole e al calduccio, perché mai si sarebbe dovuto spostare?

 

La giovane si chiese se stesse comodo sulla sua spalla ossuta. A quanto pareva, si, visto che non pareva intenzionato a muoversi… cercò di cambiare posizione il meno possibile. Passò tutto il film a percorrergli piano le spalle, il collo ed il viso con le dita.

 

Era come un cucciolo in cerca di attenzioni. Con non molta cautela si spostò con la testa sulle sue gambe. Non si sarebbe allontanato da lì per nulla al mondo.

 

Alla fine del film,si decise a svegliarlo. Erano passate due ore e mezza in fondo… lo chiamò piano, baciandolo dolcemente a stampo.

 

Era in paradiso. Aprì lentamente i grandi occhi azzurri e un sorriso illuminò la stanza. “Buongiorno”

 

“Buongiorno bell'addormentato” bello lo era davvero “siccome hai dormito tutto il mio film preferito, per punizione dovrai riguardarlo con la sottoscritta” dichiarò convinta.

 

“Ora?!”

 

“Non per forza, ma ti toccherà comunque” sorridendo sbieca, convinta, implacabile e -perchè negarlo- fissata.

 

“Mi fai paura così, piccola serial killer” rise. Era adorabile anche così. Aveva due occhi di un azzurro incredibile.

 

“Fai bene, capitano, fai molto bene” rincarò la dose la ragazza. “è solo il mio film preferito, in fondo e tu ti sei addormentato” con espressione arcigna ed un brillio divertito negli occhi. Forse non era il caso che lui sapesse quante volte lo avesse visto meno ancora che lo avesse visto in russo.

 

“Ok, serial killer, come posso farmi perdonare?” era disposto a tutto per lei. Gli dispiaceva anche essersi addormentato, ma la sua voce, quelle mani…. Avevano vinto sulla sua autonomia.

 

“Ci devo pensare… una buona dose di coccole sarà sufficiente” concesse divertita, con aria magnanima. Ciò detto, gli si strinse addosso “e un tè coi biscotti”

 

“Bene”. Voleva le coccole? Sarebbero state super coccole. Si mise un biscotto fra i denti e la guardò.

 

Timida come si trovava, la giovane arrossì vistosamente. Se John -il suo john, si corresse mentalmente con un sorriso ebete- faceva così già dal primo giorno di fidanzamento, poi? Cosa sarebbe successo? Non sapeva se essere più preoccupata o curiosa.

 

Il medico si avvicinò al suo viso. Una mano le sfiorò la pelle tiepida degli zigomi. Non si sarebbe mai abituato alla bellezza di Brunella. “Biscotto?” sorridendo da stregatto il ragazzo la guardò dritta negli occhi non lasciandole la possibilità di scappare da quel contatto visivo.

 

Raggiungendo tonalità di imbarazzo che ancora non le erano note, la giovane addentò il biscotto, delicata, persa in quegli occhi chiari e cristallini. “G-grazie” balbettó in un soffio.

 

Il ragazzo stava cercando disperatamente né di sorridere né di mangiarsela, letteralmente. “Vuoi che ti insegni come prendiamo il the qui a Londra?”. Il suo tono sapeva di guai.

 

Non recependo la ‘minaccia’, la giovane accettò ingenua. “Va bene" sorrise disponibile e curiosa. Sapeva perfettamente di avere molto da imparare sul rito del thè.

 

“Per prima cosa devi fare un grande respiro.”

 

La ragazza eseguì perplessa. Si era persa qualcosa? Probabilmente sì, come suo solito… ma in fondo si fidava di John. Se anche quello non era quanto dichiarato, confidò che non sarebbe stato nulla di troppo pericoloso.

 

“Bene. Adesso… ” John prese le foglie di the e, con esse, si bagnò il collo. Non lo abbandonò mai un sorriso malizioso, alla ricerca delle guance rosse della ragazza. “Vieni a bere il tuo tè”

 

“Ma sei te, non the” rise senza tradurre il gioco di parole. Non avrebbe reso in inglese, per nulla. Come da copione arrossí a dismisura. Non poteva farle quell'effetto per ogni cosa. Bordeaux, si avvicinò con le labbra alla pelle del collo, umida e profumata.

 

John la scrutò come un predatore con la sua preda. Ne osservava i movimenti calibrati, il respiro appena affannato, le pupille dilatate… tutti i segnali convergevano in un'unica affermazione: c'era attrazione e lui stava facendo la cosa giusta.

 

Infine la giovane si decise ad assaggiare quella pelle alla quale più di una volta aveva pensato. Si sentiva come prigioniera di un sortilegio, incantata. Non poteva definire quel sapore dolce, non sarebbe stato esatto. Era deciso ed era buono, non avrebbe saputo dire molto di più.

 

Quelle labbra… così morbide… Così setose…. Dischiuse le labbra per lasciare andare un unico leggero sospiro di puro piacere.

 

Nel sentirlo sospirare, la ragazza venne coperta di un brivido. Era davvero per lei che stava sospirando? Oppure per qualcosa a lei ignorava? O magari gli stava facendo male… Piantó gli occhi in quelli di lui, incerta,  in cerca di conferme.

 

“Perché ti fermi?”. Aveva le pupille dilatate e lo sguardo confuso. Perché si era staccata da lui? Si era offesa? La strinse a sé, in una stretta dolce, non invadente. “ti ho offesa in qualche modo?”.

 

“N-no” offesa? Cosa centrava l'offesa in quel momento? “È che…” come faceva a confessare al giovane pieno di esperienza -multicontinentale, addirittura- tutta la propria ignoranza? Si era preoccupata per lui sentendolo sospirare. Un’altra domanda l’assalì: stavano bruciando forse troppe tappe tutte insieme?

 

“Ok, mi fermo.”. Non avrebbe bruciato le tappe, non con lei. Tornò come prima. In fondo gli bastava sentirla fra le sue braccia, in realtà la sola vista della sua ragazza gli riempiva il cuore di gioia.

 

Brunella gli si adagiò tra le braccia, rilassandosi. Quella cosa l’aveva accesa, era vero, ma non sapeva come gestirla. Aveva ancora il cuore in tumulto, il viso paonazzo, gli occhi grandi ed il fiato ballerino. Non si era mai sentita tanto euforica in presenza di un ragazzo. Si chiese perché fosse tanto stanca, nonostante fossero a malapena le 15… okay, forse un’idea l’aveva anche, ma era un dettaglio totalmente superfluo che la sera prima… quella mattina… aveva dormito poco, forse nulla. no, ma erano quelle braccia protettive a spingerla al sonno, non la sera prima, assolutamente. Con questa convinzione -infantile- la giovane si addormentò pacifica.

   
 
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