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Autore: Claire DeLune    01/02/2019    0 recensioni
In questa raccolta di one-shot, sempre ambientata nel zuccheroso mondo di Amour Sucré, troverete le esperienze di diversi personaggi, principali e secondari, seguendo le tracce dei concorsi ufficiali sul forum di DF. I capitoli saranno randomici, basati sull'ispirazione del momento piuttosto che sull'ordine di pubblicazione sul sito ufficiale.
҉
[Nath, è l’unica parola che ti sovviene alla mente e nemmeno tu sai che tipo di desiderio tu voglia esprime, pronunciando quel nome che così tanta mestizia ti procura.
Forse desideri di dimenticarlo definitivamente, gettando l’ultimo frammento di lui che ti rimane al silenzio delle pallide stelle.]

La rottura con Nathaniel è stata sofferta, dolorosa. Per quattro anni hai rimpianto di non essere rimasta con lui, di non aver sfidato i tuoi genitori per il vostro amore. E per altrettanti quattro anni hai sperato di poter tornare sui tuoi passi, ti poter tornare da lui. Ma l'ultima cosa che avresti immaginato di trovare al tuo ritorno era un Nathaniel totalmente cambiato nell'aspetto e nel cuore.
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Nathaniel, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutte!
In questo capitolo ho voluto provare qualcosa di diverso, ovvero scrivere una one-shot seguendo le linee guida di D per Dolcetta piuttosto che dei concorsi sul forum su DF. Per questo primo esperimento ho scelto la loro ultima raccolta che è poi diventato il titolo di questa storia: Desperate Housesucrette.
Ci tengo a precisare che prima di farlo ho chiesto il permesso ad una delle sette autrici del gruppo, Gozaru, altrimenti non mi sarei mai permessa di appropriarmi delle loro trame.
Per chi avesse letto le loro storie stupende, saprete già che all'epoca ancora i personaggi di Campus Life non esistevano, tuttavia io, scrivendolo adesso a distanza di ben quattro anni, ho deciso di parlare di uno dei personaggi per me più affascinanti e controversi del gioco universitario: Mr. Zaidi.
Spero vi piaccia.

Buona lettura!

7.
Desperate Housesucrette
 
   Era difficile.
   Davvero difficile.
   Dannatamente difficile stare con qualcuno di dieci anni abbondanti più grande di te – quasi undici se contiamo che lui era di gennaio e tu di dicembre.
   Ti eri preparata alle controversie, ai contrasti che possono nascere tra due innamorati separati da un’intera generazione, ma, come in tutte le situazioni, nonostante i mille accorgimenti, le mille prese di coscienza, non eri totalmente pronta alla velocità con cui stava scorrendo la tua vita. Come se già la frenesia dei giorni nostri non accorciasse le giornate di suo, scegliendo Rayan Zaidi avevi inserito la N2O, scia chimica che non accennava a volersi esaurire. Peccato che quella che si stesse pian piano esaurendo fosti tu.
   In pochi anni dopo la laurea ti ritrovasti con un diamante giallo – perché eri il suo sole – al dito, un pomposo abito bianco addosso, qualcosa di blu ad addomesticare la tua caratteristica chioma folta e selvaggia, a traballare su tacchi troppo delicati ad uno stravagante ricevimento, tra le braccia di quello che era appena diventato tuo marito.
   Rayan non aveva badato a spese, nulla era stato lasciato al caso, anche se per lui era il secondo matrimonio, voleva farti vivere le nozze da sogno che ogni donna immagina fin dalla più tenera età. Ti aveva anche portata in braccio oltre la soglia di casa come da tradizione, oltrepassando la porta di quello stesso appartamento che aveva racchiuso tutte le vostre prime volte.
   La prima cena al lume di candela.
   Il primo bacio.
   Il primo film abbracciati sul divano.
   La prima notte insieme. Insonni.
   Il primo risveglio. Nudi.
   In men che non si dica eri diventata una donna a tutti gli effetti. Avevi un marito, avevi in gestione una galleria d’arte, avevi un cane e, in questo preciso istante, avevi un test di gravidanza in mano.
   Lo fissavi smarrita, indecisa se gioire al pensiero di essere in dolce attesa o se disperarti.
   Avevi ventotto anni, una carriera, una quotidianità coniugale soddisfacente; eri una donna realizzata, un figlio avrebbe solo coronato una vita appagante come la tua. Eppure, in quel momento, seduta sul bordo in marmo della vasca da bagno, coi capelli raccolti in una coda disordinata e gl’occhi sbarrati, fissavi le due lineette rosa chiedendoti cosa avresti dovuto provare, come ti saresti dovuta sentire.
   Felice, agitata, trepidante?
   Spaventata, preoccupata, devastata?
   Nulla.
   Tu non sentivi nulla, eccetto il mondo che ti crollava addosso insieme a tutte le tue certezze.
   Avevi ventotto anni, l’età perfetta per mettere al mondo un piccolo esserino, sintesi dell’amore tra te e Rayan, ma si poteva dire lo stesso di quest'ultimo? Diventare padre a quasi quarant’anni non era esattamente l’ideale. I tempi erano cambiati, certo, ora tutti studiano e studiando fino a circa venticinque anni si rimanda per forza di cose l’ingresso al mondo del lavoro, che a sua volta posticipa la formazione di una famiglia, sempre se la si desidera, ma diciamo che fare il genitore a quarant'anni non è semplice come a trenta. Per quanto ci si possa sentire ancora giovani e pieni di vita, l'energia, la pazienza, la voglia di mettersi in gioco non sono le stesse di quando si è nel fiore degl'anni. A quarant'anni si ha tanto, troppo da perdere.
   Ecco, era questo il tuo unico interrogativo. Non tanto se tu lo volevi, ma se lui lo voleva.
   A ventitré anni si era sposato d’impulso con la sua ragazza del liceo, a ventisei era già vedovo e prima di incontrarti in un’aula universitaria, non solo non si era più impegnato in una relazione, non ci aveva minimamente provato a trovarsi un'altra, l'idea non gli aveva proprio sorvolato la mente perché ogni donna gli ricordava Chloé. Tutte, tranne te. Forse non era neanche intenzionato ad andare oltre la sua perdita e cercare di essere di nuovo felice prima del tuo arrivo, immaginati riprodursi! Sicuramente era l’ultimo dei suoi pensieri. Fino a prova contraria non ne avevate mai veramente parlato, l’unica volta che era uscito l’argomento è stato poco dopo aver adottato Stitch al canile.
   «È un po’ come crescere un bambino», disse alla guida, mentre sorrideva con quel suo solito sorriso storto intrigante, in cui avevi imparato a riconoscere la dolcezza che vi celava.
   «Un bambino?», ripetesti con un filo di timore.
   Non sarà mica un pretesto per chiedermi un figlio…, riflettesti, stringendo più forte il misto-collie al petto. Il suo pelo sale-pepe emanava un tiepido torpore che ti scaldava il cuore, nonostante tremasse ancora come una foglia in vostra presenza. Se l’era vista brutta quel povero cane in passato, salvato per il rotto della cuffia dalle lotte clandestine. Era un'anima maltrattata ingiustamente e in cerca di redenzione, proprio come Rayan: due vittime del destino. Per questo tra tutti i cani avevi scelto proprio Stitch – o forse è meglio dire che sia stato lui a sceglierti –, perché volevi salvarlo dal suo inferno personale, come speravi di essere riuscita a fare con il tuo professore.
   «Certo, i cani non sono peluche, richiedono molte attenzioni», rispose meccanico, concentrato sul traffico stradale, «Non basta dar loro da mangiare e portarli fuori, bisogna educarli, prendersi cura di loro. È un impegno costante, proprio come avere un figlio», infine sorrise di nuovo, «In più hai scelto il più problematico del canile».
   «Mi sono sempre piaciuti i tipi problematici», replicasti arguta, guadagnandoti una risatina gutturale che ti fece fremere. Adoravi quel suono, quella risata bassa e un po' roca, divertita e intelligente allo stesso tempo. Sapeva alludessi a lui con quella scelta di parole.
   «Non avevo dubbi», i vostri sguardi s’incrociarono soltanto per un millesimo di secondo, ma ciò fu sufficiente a far sfumare tutta l’allegria che gli illuminava le iridi irlandesi, «A che cosa stai pensando?».
   «Mm?».
   «Mi sembri pensierosa». Sei sempre stata un libro aperto per Mr. Zaidi.
    Sospirasti profondamente un paio di volte prima di pronunciare la fatidica domanda, che fuoriuscì a raffica dalle tue labbra, «Lo vuoi un figlio?».
   Rayan rimase senza parole, cosa che non capitava spesso e ciò ti inquietò parecchio, ma dopo un attimo infinito di silenzio si decise a parlare, «Non in questo momento, ma non escludo la possibilità di averne in futuro. Voglio godermi la mia vita con te», altra pausa, «E tu?».
   «B-beh, non ci ho mai pensato sinceramente», balbettasti, «Ma, ecco, con quella frase sui bambini ho pensato c-che…».
   «Che volessi usare la scusa del cane per chiederti di farne uno nostro?».
   Annuisti.
   Pronunciò il tuo nome accondiscendente, accostando nella corsia di servizio della superstrada, tirò il freno a mano e spense il motore; poi, appoggiando una mano sul tuo ginocchio, ti fissò dritto negl’occhi con uno sguardo che sembrò scrutarti nell’anima, solo lui era capace di farti sentire così esposta, «Abbiamo tutto il tempo per pensarci».
   Io sì, ma tu…
   «Hai paura che quando ti sentirai pronta, io sarò troppo vecchio per voler fare il padre».
   Sospirasti affranta, ma non potesti far altro che assentire.
   «È un po’ il prezzo da pagare quando ti innamori di una persona molto più grande di te, ______», affermò dispiaciuto, «In tutte le relazioni ci sono sacrifici, ma forse finirò per richiedertene più del dovuto».
   Gli prendesti il volto tra le mani e lo avvicinasti al tuo, posando la fronte sulla sua, il leggero strato di barba di pizzicava i palmi, «Non dire così. Non ho rinunciato a niente, mi hai dato tutto quello che ho sempre desiderato», lo baciasti, «Ma è una questione importante di cui dobbiamo discutere. Lo vuoi un bambino? Sii onesto».
   Inspirò tutta l’aria che poté, che sbuffò fuori insieme alla sua risposta, «Non è una mia priorità».
   Ti ritrassi sul sedile, accoccolandoti al cucciolo, «Capisco».
   «Non sto dicendo che non ne vorrò mai, ma è una cosa che mi turba. Sono stato con la stessa persona da quando ero poco più che un ragazzino. Pensavo saremmo rimasti insieme per sempre, però mi è stata strappata via all'improvviso e in modo orribile. Per sette anni sono rimasto da solo, a compiangerla; tempo in cui mi sono costruito una mia routine, un mio rifugio dal dolore, finché non sei arrivata tu…», ti prese la mano con la fede e te la baciò, «… e come un tornado mi hai costretto ad aprire gl’occhi, a rendermi conto che stavo sprecando la mia vita, che poteva esserci dell'altro dopo Chloé. Tuttavia, non sono ancora pronto a sconvolgere questa nuova stabilità, a dividerti con un altro essere umano. Non voglio darti per scontata come ho fatto con lei. Se ti perdessi, non so cosa farei... È egoistico da parte mia, lo so, ma è così che la penso».
   Aveva senso. Non ti piaceva come risposta, ma aveva perfettamente senso ed era facilmente condivisibile come ragionamento: perché rischiare di mettere a repentaglio un rapporto a due meraviglioso, se si sta già bene così?
   Eppure, eccoti lì, neanche un anno dopo, con il foglietto illustrativo della pillola anticoncezionale tra le dita, a frugare nel cassetto dei medicinali in bagno per passare in rassegna tutti i farmaci assunti nell’ultimo mese. Pastiglie per il mal di testa, antinfiammatori vari. Nessuno di loro riportava nel bugiardino che potessero alterare gli effetti della pillola. Poi, però, ti capitò sottomano la scatola dell’anti reflusso gastroesofageo, unico medicinale appena introdotto nel tuo sistema e scoprissi una verità schiacciante: se preso in un orario vicino alla somministrazione della pillola, il principio attivo del condroitina solfato può inibirla.
   «Cazzo…», la tua imprecazione sussurrata venne sovrastata dalle lacrime e dal rumore di zampe che grattavano sulla porta.
   «Ma che ti prende?», sentisti domandare dall’altro lato della porta chiusa, «La mamma è ancora in bagno?». La voce di Rayan al suono della parola “mamma” ti fece accelerare il respiro che divenne sempre più affannato e irregolare, così come il cuore che batteva come un tamburo sulle note di una canzone sconosciuta; la testa cominciò a girare e girare in un vortice di emozioni troppo forti, le gambe diventarono molli. Ti aggrappasti al lavandino, aiutandoti a sederti sul tappeto in un tonfo.
   «______?!», l’uomo spalancò la porta udendo quel rumore secco e irruppe con l’apprensione a storpiargli il viso ossuto e dai tratti aspri, mascolini e adulti, «Stai bene? Sei svenuta?!». Si precipitò in ginocchio su di te, circondata da scatolette di tutti i tipi, nel nervosismo avevi rovesciato l'intero contenuto del cassetto per terra.
   Ti aggrappasti alla sua camicia, «Solo un leggero capogiro».
   «Sei fredda come il ghiaccio… Vieni, ti porto a letto». Ti fece passare le braccia allenate sotto le cosce e, facendo leva sulle caviglie, si rimise in piedi con te attaccata alle sue spalle.
   «Aspetta, Rayan, ti devo di–».
   «Non parlare, non ti sforzare, devi riposare adesso».
   «Rayan…».
   I suoi occhi caddero sullo stick in un angolo del lavandino. Divenne pallido, più di te, e ora sembrava lui sul punto di svenire.
   «… Sei…», provò a dire.
   «Forse sì».
   Le sue palpebre si riempirono di lacrime, mentre sorridendo ti stringeva forte a sé, con il volto affondato nel tuo collo.
   «Rayan?», esalasti presa alla sprovvista.
   «È fantastico!».
   «Cosa? Ma pensavo non volessi…», cominciasti a parlare sempre più sorpresa e sopraffatta dalle emozioni, tanto che la tua voce tremava dal pianto, stavolta sollevata.
   «Se è con te, posso riuscire a fare tutto», la sua voce era ovattata dal tessuto della tua t-shirt, «Ti amo».
   Gli afferrasti la nuca rincuorata, «Ti amo anch’io, Ray».
 

 
   
 
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