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Autore: futacookies    05/02/2019    5 recensioni
{Longfic • Duncan/Courtney • accenni Trent/Gwen e Alejandro/Heather • commedia romantica}
Duncan Nelson, scapestrata rockstar, nota al pubblico e ai paparazzi per l'eccesso con cui conduce la propria esistenza, viene citato in causa dal direttore dell'Ottawa Royal Palace, di cui - si dice - avrebbe distrutto numerose stanze durante la propria permanenza.
Al suo agente non resta che rivolgersi allo studio legale Fleckman&Fleckman&Strauss&Cohen, per cui toccherà alla sua storica ex, Courtney, tirarlo fuori dai guai.
Dal capitolo 5:
Ma la voleva davvero, la sua attenzione? Oppure era unicamente uno stupido capriccio, l’ombra semisvanita di quello che una volta era stata, con lui? Non lo sapeva, ed era terrorizzata dall’idea di scoprirlo – non ci sarebbe ricascata in alcun modo, le ci erano voluti anni per liberarsi completamente di lui e adesso, che ci era finalmente riuscita, avrebbe fatto qualunque cosa per proteggersi.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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NdA: grazie di cuore a tutti quelli che hanno recensito/letto/seguito la mia storia, questo supporto significa davvero molto per me e mi spinge a voler continuare a scrivere!
Buona lettura,
Fede

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«Every shipwrecked soul knows what it is to live without intimacy»
 
  • Capitolo VI
Forse aspettarlo da sola non era stata una buona idea, forse avrebbe dovuto permettere a Gwen di tornare a casa con lei. Non riusciva a calmarsi mentre saltava da una stanza all’altra fremente di rabbia, indecisa su cosa dire, ma sicura che al momento le parole non le sarebbero mancate. Forse avrebbe dovuto fare una lista, così non avrebbe mancato nessuno dei motivi per cui era furiosa con Duncan – punto numero uno: averle quasi distrutto la carriera; punto numero due: averlo fatto in diretta nazionale; punto numero tre: avere la faccia tosta di essere tornato in casa sua dopo i precedenti punti. Cercò un foglio per potersi appuntare tutto, ma la mano le tremava e non riusciva a scrivere nulla.
Forse dovrei ammazzarlo, pensò tra sé, così finalmente smetterà di fare danni.
Respirò a lungo più volte, tentando di regolare i suoi battiti. Forse doveva chiamare Gwen e dirle di precipitarsi da lei, forse non era troppo tardi per fa-. La sua cascata di pensieri si fermò nel momento in cui sentì il campanello bussare – una piccola parte del suo cervello, mentre si apprestava ad aprire la porta, ebbe appena il tempo di pensare: “Bene, si va in scena”, prima che una valanga di insulti investisse il ragazzo che aveva appena messo piede nell’atrio.
«TU!», ululò, lasciando esplodere il ribrezzo che si era tenuta dentro a stento nei minuti precedenti, «Brutto idiota decerebrato! Hai idea di quello che hai fatto? Sei un essere viscido, incurante, insensibile! Non puoi non avere idea di quello che hai fatto!», continuò, inserendo qui e lì qualche insulto. Il ghigno che si formò sul volto del ragazzo dovette farle capire che stava deviando eccessivamente dal piano che aveva elaborato Heather, così decise di abbassare i toni, pregando qualche divinità della recitazione di farla apparire il più credibile possibile – era un avvocato, maledizione, se non sapeva recitare lei allora chi doveva riuscirci?
Nascose il volto dalla vista del ragazzo, per darsi il tempo di cambiare espressione e magari di buttare giù qualche lacrima. «Io…», singhiozzò, con appena un filo di voce, come se le urla di poco prima non le appartenessero davvero – o, cosa più vera, come se l’avessero stancata – «Io mi aspettavo di più da te, Duncan».
Capì di aver fatto centro quando vide il ghigno del ragazzo smaterializzarsi e si complimentò mentalmente con l’amica – Duncan sembrava effettivamente disorientato, come se non avesse idea di quello che stava succedendo, di dove avesse sbagliato per farla reagire così, o meglio, perché lei stesse reagendo così. Decise di approfittare del momento di smarrimento per rincarare la dose.
«Io non credevo che mi odiassi in quel modo, sono consapevole che non abbiamo mai avuto un buon rapporto – non sono certo una sciocca –», precisò tra le lacrime, «ma speravo che almeno potessimo provare ad avere una relazione civile», accentuò la delusione su quella parola, «anche ignorandoci o facendoci dispetti. Invece…»
Era pronta a darsi alla sua scena madre, un susseguirsi di rimpianti e ferite sulle offese arrecate in diretta nazionale, ma all’ultimo decise di sfruttare la sua innata abilità di piangere a comando e scoppiò in un oceano di lacrime, scappando in camera sua e lasciando Duncan con una faccia costernata e odiosamente confusa.
Chiuse con un tonfo la porta e vi si accasciò contro, facendo piccoli respiri per fermare le lacrime – forse sfogarsi così le aveva fatto bene, ma le guancie le scottavano per l’umiliazione di essersi mostrata così debole ad una persona a cui non poteva importare meno di lei.
Ulteriore prova del menefreghismo della suddetta persona era la sua mancata reazione: nulla, se non un’espressione poco dispiaciuta aveva lasciato intendere un suo possibile rimorso. Forse Heather aveva sbagliato, forse non c’era differenza, per lui, tra le sue urla e le sue lacrime.
Come se ci fosse mai stata.
Courtney sapeva benissimo di starsi comportando come un’adolescente – peggio dell’adolescente che era stata – ma ormai non riusciva più a fermarsi. Non tollerava l’indifferenza di Duncan, il nodo alla bocca dello stomaco che la stava accompagnando da settimane e che riusciva a stento ad ignorare – la sensazione di essere sempre tradita, ogni volta che le rivolgeva la parola o la guardava o respirava la sua stessa aria. Un coltello che andava sempre più a fondo, sempre più spesso. Ed era davvero una cosa ridicola.
Erano passati anni e le sue azioni non facevano altro che dimostrare che in fondo non l’aveva mai perdonato, che le sensazioni e i ricordi di quel periodo a volte tornavano a vivere in lei come se fossero appena trascorsi – si era sforzata di seppellirli, ci era riuscita, aveva nascosto tutto sotto la sua brillante carriera e la sua insoddisfacente relazione con Scott e si era allegramente trascinata in questo guaio, lavorare per Duncan, vivere con Duncan, soffrire a causa di Duncan come se non ne fosse affetta per nulla. Adesso però ne era affetta, sentiva il bisogno di quelle attenzioni che era convinta di non volere – no, non era più interessata a Duncan, almeno romanticamente. Di questo ne era certa. Tuttavia in quel momento desiderava le scuse del ragazzo, forse non solo per gli avvenimenti di quella sera.
Avrebbe voluto saperlo seduto dall’altra parte della porta, indeciso su cosa dirle, in attesa di qualche suo segnale. Voleva sentire l’esitazione nella sua voce e vedere il pentimento nelle sue azioni – voleva che Duncan fosse affetto da lei. Forse solo allora avrebbe trovato un po’ di pace e la forza necessaria per lasciarselo alle spalle.
Era stata una pessima idea, accettare quel caso – avrebbe dovuto lasciare Edward a bollire nel maledetto calderone dei casi difficili da gestire. Era stata una pessima idea, ospitarlo a casa sua – avrebbe dovuto darlo in pasto ai paparazzi. Era stata una pessima idea, chiedere aiuto a Heather – avrebbe dovuto ignorarlo e convivere con la consapevolezza che lui non si sarebbe mai pentito.
Eppure era stata un animale istintivo, compiendo scelte che sul momento le sembravano le migliori, ma che in ultima analisi non erano state in grado di mantenerla al sicuro.

 
***

In quel momento, Duncan aveva un’unica certezza: Courtney non poteva essere seria.
Doveva trattarsi di qualche sorta di scusa per farlo sentire in colpa – doveva sapere che non ci sarebbe mai riuscita se si fosse semplicemente mostrata innervosita. Probabilmente, era tutta una messa in scena.
Eppure non riusciva a fare a meno di pensare che forse – forse – quella volta aveva esagerato. L’aveva accusata di cose non eccessivamente gravi, e soprattutto vere, ma l’aveva dipinta come un demone torturatore di fronte a milioni di persone e sapeva quanto la ragazza tenesse alla sua immagine pubblica – sapeva quanto fosse importante per il suo lavoro.
Dannazione, proprio perché lo sapeva, aveva deciso di giocarsi quella carta. E allora perché sentiva il bisogno, se non di scusarsi, almeno di motivare il suo comportamento? In fondo, era scoppiato in quel modo perché Courtney gli aveva giocato un altro colpo basso, incurante delle conseguenze; cosa credeva, che avrebbe potuto continuare a stuzzicarlo in quel modo impunemente? Non aveva lasciato correre su altri dispetti, prendendosi più o meno piccole rivincite, quindi perché avrebbe dovuto permetterle di umiliarlo senza pagare?
Perché avrebbe dovuto reagire in quel modo? Cosa si aspettava da lui? Credeva davvero che il loro rapporto sarebbe potuto tornare ad essere civile? – quando mai lo era stato?
Per un istante fu invaso dal terrore che i sentimenti della ragazza si fossero risvegliati nel corso di quella strana convivenza che avevano portato avanti – no, si disse, scrollando le spalle, non è possibile. Spesso dubitava dell’esistenza stessa dei sentimenti di Courtney per lui. Non era stato altro che un capriccio del momento, la reazione stessa della ragazza dopo la loro rottura non aveva fatto altro che confermarglielo – era stato il giocattolo che le avevano strappato di mano, i dieci minuti di ribellione che si era goduta prima di consacrarsi alla vita monotona a cui era predestinata.
In ogni caso, stava percorrendo il corridoio che separava l’atrio, in cui era rimasto imbambolato come uno sciocco dopo lo sfogo di Courtney, dalla sua stanza. Fissò per un po' la porta, indeciso se bussare o palesare in altro modo la sua presenza oppure girare i tacchi e lasciarla alla sua autocommiserazione – si stava davvero auto commiserando in quel momento? Non riusciva ad escludere la possibilità che fosse una trappola per costringerlo a prostrarsi ai suoi piedi implorando perdono. Doveva essere una trappola, per forza. Non c’era altra spiegazione logica.
Quindi voltò le spalle alla porta e si allontanò lentamente, sperando che Courtney non sentisse i suoi passi. Aveva appena passato metà corridoio quando le sue orecchie furono letteralmente invase dai singhiozzi – doveva essere una trappola. Altro che Chris e Blaineley, che l’avevano quasi lasciato in pace dopo aver ottenuto il succulento e dettagliato racconto del suo rapporto con la ragazza, erano le sue trappole, quelle che doveva evitare a tutti i costi.
Invece decise di cascarci con tutti i piedi – non aveva davvero riflettuto, quando l’aveva sentita aveva girato i tacchi ed era tornato istintivamente sui suoi passi. Aveva bussato e, senza attendere risposte di alcun tipo, aveva sospirato: «Courtney… dai, smettila, sai benissimo che non volevo essere cattivo».
Era chiaramente una bugia, ma in quel momento i singhiozzi si interruppero e poteva quasi vederla, mentre contraeva la faccia nell’espressione più offesa che potesse riuscirle. Courtney aprì la porta di scatto e sembrava avere l’intenzione di urlare qualcosa di molto tagliente e decisamente poco educato, ma tutto quello che le uscì dalle labbra fu un singulto biascicato.
Non era quello che si aspettava, non doveva comportarsi così – doveva strillargli contro che era un idiota, che l’avrebbe mandato in galera e che avrebbe buttato la chiave. Doveva ricordargli che era un essere ignobile e doveva ritenersi fortunato ad averla come avvocato. Non doveva sembrare così vulnerabile, non doveva farlo sentire una merda per averle dato la lezione che si meritava e che si era cercata.
Se c’era una colpa, lì, era di Courtney, non sua. Non l’avrebbe lasciata vincere, non avrebbe ceduto al suo infimo giochetto – perché, cercò di convincersi, non era altro che l’ennesima trappola.
«Te la sei cercata», disse, sperando che suonasse come un sibilo antipatico piuttosto che come una fiacca giustificazione. «Non hai fatto altro che remarmi contro da quando ci siamo incontrati! Lavori per me, o contro di me?», le chiese, alzando la voce. Ignorò lo sguardo accusatore della ragazza ed emise uno sbuffo esasperato. «Non puoi fare questo. Non puoi mettere su uno spettacolo del genere nella speranza che strisci ai tuoi piedi, perché non lo farò!», concluse, calcando sulle ultime parole.
Courtney soffiò nella sua direzione. «Uno spettacolo? È questo quello che pensi?», strepitò. «credi davvero che io abbia finto tutto soltanto per ottenere le tue stupide scuse? Non me ne faccio niente, delle tue scuse! Non possono cancellare quello che hai fatto e di certo non possono ripararlo! Forse è stato un errore permetterti di tornare e di certo è stato un errore confessarti che mi aspettavo di meglio da te!», terminò, e stava per chiudergli la porta in faccia quando Duncan le afferrò il braccio.
«Aspetta! Io…», iniziò, dopo un momento di esitazione, «…non volevo. Scusa.», ammise, la voce appena udibile. Non voleva davvero scusarsi, pensò dopo un istante, voleva soltanto che Courtney smettesse di avere quella faccia da cucciolo bastonato. La vide fare una smorfia non meglio identificata e chinare il capo.
«…mh, okay. Se lo credi davvero…» bofonchiò Courtney. Poi gli disse che era davvero molto stanca e aveva davvero mal di testa e si chiuse in camera sua. Di nuovo.
Duncan avrebbe voluto dirle che no, lui non credeva davvero di essersi pentito, ma lei non gli aveva dato il tempo di ribattere nulla, nemmeno di chiederle cosa diamine le fosse successo. Scrollò le spalle e andò a buttarsi sul divano – cercò di ignorare la fastidiosa sensazione che il topo Alejandro, dall’alto della sua gabbietta sulla libreria, lo stesse guardando male.

***
 
«È stata l’idea peggiore del secolo! Non avevi idee così tragiche da quando abbiamo pedinato Alejandro! Insomma, l’ho colto di sorpresa, e alla fine si è scusato, ma ne è davvero valsa la pena? Insomma Heather, volevo che si scusasse, volevo che si interessasse a me! Non può essere una cosa normale, no?», Courtney continuò a blaterare sui dettagli dello scontro della sera precedente con Duncan, aggiungendo ogni tanto alcuni dei timori che si erano risvegliati in lei ieri.
Heather non la stava davvero ascoltando, o almeno le dava questa impressione. Mancavano pochi minuti all’incontro con Alejandro e il suo avvocato demoniaco e a quanto pare non riusciva a distoglierla in nessun modo dall’evento imminente.
«Heather, ho appena detto che hai avuto l’idea peggiore del secolo! Ho anche detto che ho dei sentimenti confusi verso Duncan – credo. Non hai intenzione di commentare? Niente? Battutina acida?», tentò, indecisa su come porsi nei confronti della ragazza – quando si trattava di Alejandro, Heather mostrava sempre una vulnerabilità che la preoccupava.
«Courtney, tu credi che io non sia capace di amare?»
Indietreggiò sorpresa di fronte a quella domanda – lei e Gwen scherzavano sempre su come Heather non avesse un cuore, e se pure l’avesse avuto, sarebbe stato di pietra – e rimase in silenzio, sperando che l’altra le desse ulteriori spiegazioni.
«Insomma, sai, con tutta questa faccenda del divorzio, e il fatto che io e Alejandro non riusciamo mai a far funzionare il nostro rapporto abbastanza a lungo, e questa è già la terza volta che finiamo in un aula di tribunale e mi chiedo se sia davvero il divorzio la scelta giusta, oppure non sia altro che un capriccio o la più cruda prova del fatto che non riesca nemmeno ad amare mio marito e…»
«Oh, Heather!», esclamò Courtney, che stava per lanciarsi in una filippica riguardo la sua capacità di amare quando vide le porte dell’ascensore alle spalle dell’amica aprirsi. Si spinse verso di lei, «ricorda che ti ha mandato i cioccolatini solo per rinfacciarti di essere ingrassata», sussurrò. Vide con soddisfazione il corpo di Heather irrigidirsi e il suo volto affilarsi – se c’era un momento per mostrarsi debole e dubbiosa, non era di certo questo.
«Courtney, cara, sei splendida come sempre!»
Alejandro avanzò a passo sicuro verso di loro, per poi baciarle galantemente la mano – quei trucchetti aveva da tempo smesso di avere effetto, ma facevano comunque parte del personaggio che Alejandro aveva costruito.
«Permettimi di presentarti il mio nuovo avvocato, la signorina Emma Mills», annunciò, volgendo lo sguardo verso la donna che lo seguiva, che prontamente le strinse la mano. Courtney aveva un’opinione troppo alta delle sue capacità per potersi sentire minacciata dalla presenza dell’avvocato della controparte, eppure la stava osservando con sospetto.
«Molto piacere», affermò, benché poco convinta. «Avvocato Mills, la mia assistita, la signorina Wilson», proseguì indicando Heather, e in sottofondo sentì la risata secca di Edward – la quasi signorina Wilson era diventata una specie di barzelletta.
Heather non degnò l’avvocato di uno sguardo e si avviò a passo deciso verso lo studio di Courtney.
Sarebbe stato un lungo incontro.
Stava per chiudersi la porta alle spalle quando Lizzie le fece segno di avvicinarsi.
«Mi ha chiamato uno dei membri della band di supporto del signor Nelson, dice di essersi ricordato di qualche altro nome, ma che preferirebbe parlarne in privato», le comunicò, un po’ incerta della strana richiesta – nessuno dei due ragazzi sembrava avere anche solo un minimo concetto di tatto, quindi la cosa le parve quanto meno dubbia. Scrollò le spalle e le disse di fissare un appuntamento nel pomeriggio; se fosse riuscita a sopravvivere ad Heather, Alejandro e il suo avvocato, forse sarebbe riuscita a dare una svolta al caso di Duncan – magari sarebbe anche riuscita a costruire una blanda difesa.
Quando entrò nel suo ufficio non si stupì di vedere Heather ignorare prontamente qualunque cosa le stesse dicendo l’avvocato di Alejandro, che intanto fissava le spalle della quasi ex moglie con un sorriso sornione.
«Allora», esordì, sovrastando la voce dell’avvocato Mills, «spero che entro oggi riusciremo a trovare un accordo pacifico per permettervi finalmente di divorziare». Courtney non l’avrebbe mai ammesso, ma portare a termine il divorzio di Heather sarebbe probabilmente stato il più grande traguardo della sua carriera – se non altro per la quantità di precedenti fallimentari.
Heather sbuffò infastidita dal suo commento, il sorriso di Alejandro si aprì ancora di più.
Mills iniziò a spiegare: «Stavo appunto informando la signora Burromuerto» - Heather ringhiò - «che a prescindere da quanto verrà concordato oggi, il mio assistito ha comunque intenzione di citarla per calunnie.»
Courtney avrebbe voluto urlare. Sapeva che Heather avrebbe dovuto tenera la bocca chiusa durante la prima seduta in tribunale, ma non avrebbe mai immaginato che Alejandro volesse giocare quella carta contro di lei. Doveva inventarsi qualcosa, e anche alla svelta.
«Suppongo che il signor Burromuerto non abbia intenzione di cambiare idea, nemmeno di fronte all’evidenza che abbia cercato di avvelenare sua moglie?»
La scatola di cioccolatini inviata come segno di pace si sarebbe rivelata un’arma contro di lui – doveva soltanto mandare qualcuno a procurarsene un’altra dal contenuto dubbio. Prima che Heather potesse chiederle cosa diamine stesse facendo – a parte evitarle un altro pietoso ingresso in tribunale – e che gli altri potessero obiettare, si voltò verso Alejandro. «Signor Burromuerto, lei è a conoscenza delle allergie alimentari di sua moglie?»
Preso in contropiede, Alejandro annuì brevemente, nonostante il suo avvocato stesse chiaramente per dirgli di tacere. «Bene», proseguì Courtney, «allora può spiegarmi perché ha mandato una scatola di cioccolatini ripieni di marmellata di fragole a sua moglie?»
Vide Alejandro strabuzzare gli occhi, il suo avvocato prontamente dire che non avevano alcun tipo di prova e Heather affermare che si sarebbe assicurata di portare le prove di fronte a qualunque giudice – Courtney si sarebbe dovuta procurare delle prove non esattamente oneste, ma almeno poteva dire arginare quella prima crisi. Che divorzio ridicolo. La prossima volta non avrebbe aiutato Heather nemmeno per tutti i soldi del mondo.

 
***

Duncan aveva trascorso l’intero giorno in solitudine, rimuginando sugli avvenimenti della sera precedente. Si era scusato con Courtney. Appena la ragazza sarebbe tornata avrebbe fatto bene a chiarire che non aveva alcuna intenzione di scusarsi, e che non doveva assolutamente considerare una vittoria l’avvenimento della sera precedente. Anzi, avrebbe fatto meglio a considerare la gloriosa intervista che aveva concesso a Chris e Blaineley come la più grande sconfitta che era mai riuscito ad infliggerle.
Certo, si sarebbe sentito in colpa – non voleva sentirsi in colpa – ma non gliel’avrebbe mai mostrato. Tra qualche mese tutta quella storia sarebbe finita e con un po’ di fortuna si sarebbe liberato finalmente di lei – non riusciva a credere che potesse essersi aspettata di più, che potesse essersi aspettata una qualsiasi cosa da lui. Come se potesse darle quello che voleva.
Che poi, cos’era che voleva? Che si limitasse a seguire i suoi ordini come un soldatino? Che si interessasse al loro rapporto lavorativo? Che si preoccupasse di lei al di fuori del suddetto rapporto lavorativo? Eliminò sul colpo l’ultima opzione. Courtney era sempre stata chiara sul chiudere la loro relazione – e lui non aveva mai obiettato nulla. Si erano ignorati per dieci anni perché ormai non avevano più nulla da spartire, non provavano più niente e non potevano interessarsi di meno l’uno dell’altra. Courtney l’aveva odiato, l’aveva ignorato e l’aveva eliminato dalla sua vita – lui poteva tranquillamente dire di aver fatto lo stesso. E adesso bastavano poche settimane di vicinanza per riempire un burrone profondo dieci anni? Se anche lei avesse voluto, Duncan non voleva nemmeno provarci.
Immerso nei suoi ragionamenti com’era, non si era nemmeno accorto del rientro della ragazza che stava attualmente occupando i suoi pensieri. Courtney fece finta di non averlo nemmeno visto – sapeva benissimo che lui era lì – e svanì nel corridoio.
«Dobbiamo parlare», gli annunciò una volta tornata, mentre si dirigeva in cucina. Ma anche no, avrebbe voluto dirle, perché con la testa piena di teorie e supposizioni, l’unica cosa che mancava era che gli demolisse definitivamente il cervello dandogli altro materiale su cui arrovellarsi. Tuttavia, si limitò a seguirla, vedendola prendere una scatola dalla credenza e buttare giù una pillola. «È stata una lunga giornata, il mal di testa mi sta uccidendo», fu la risposta all’occhiata che le rivolse. «La prossima volta che ti cerchi una band di supporto, assicurati che conoscano le basi della grammatica», aggiunse con un verso frustrato.
«Ah, vedo che hai conosciuto i Vomitanti!», commentò con un ghigno. Aveva saputo poco delle indagini che stava svolgendo, e si era chiesto spesso se i ragazzi avessero già fatto una comparsa – avrebbe voluto assistere alla scena, ma forse Courtney si sarebbe limitata a picchiarlo. «Sono dei bravi ragazzi, solo un po’ fuori di testa», aggiunse, sperando di giustificare qualunque comportamento avessero avuto.
«Detto da te, deve essere quasi un complimento», grugnì Courtney. «Però devo ammettere che potrebbero essermi stati utili, una volta riuscita a decifrare quello che dicevano.»
Duncan ascoltò con relativa attenzione il più che dettagliato racconto del colloquio del pomeriggio, limitandosi ad osservare l’espressione della ragazza. Non sembrava portargli rancore per quanto successo il giorno prima – forse era troppo stanca per concentrarsi su una sciocchezza simile –, eppure c’era qualcosa di freddo e sbrigativo nel tono con cui gli stava parlando, come se non vedesse l’ora di finire e scappare di nuovo. Si chiese cosa le stesse davvero passando per la testa e represse con un brivido l’intenzione di domandarglielo – non doveva in nessun modo farsi coinvolgere da lei. Archiviato il caso gli avrebbe dato il benservito e non avrebbe più voluto saperne nulla, di lui.
«Duncan!», lo richiamò stizzita, «Mi stai ascoltando?»
«Uhm, sì, ecco, io…», esitò per un instante, poi scosse la testa, «Certo che ti sto ascoltando!», esclamò, riuscendo anche a sembrare offeso per una supposizione del genere. Courtney gli rivolse un’espressione dubbiosa, facendolo sentire come un insetto che era indecisa se calpestare o meno – quindi, prima di essere travolto dagli insulti della ragazza, si affrettò a confessare.
«No», sbuffò, scocciato per essere stato colto in flagrante, «Stavo pensando a…» - a quanto vorrei capire cosa ti sia successo ieri - «ad altro», tagliò corto infine.
«Hai mai sentito parlare di Berlin Milton?», gli chiese, apparentemente ignorando il focolaio di pensieri che lo stava tenendo occupato. Sulle prime Duncan non capiva dove volesse andare a parare. Vide Courtney portarsi le mani alle tempie e cominciare a massaggiarle – a quanto pare, quella era una delle cause del suo mal di testa.
«Ne sei proprio sicuro? Fai uno sforzo, per favore», gli chiese, con un tono che sarebbe dovuto essere un ruggito ma che assomigliava molto di più ad una supplica biascicata. Duncan cercò davvero di farsi venire in mente qualcosa, ma non aveva idea di dove Courtney avesse tirato fuori quel nome. Quando capì che non le avrebbe dato ulteriore risposta, si sedette e cominciò a parlargli lentamente – probabilmente più per il mal di testa che per permettergli di comprendere le sue parole.
«Berlin Milton è una ragazza.», lo informò, riservandogli poi un’occhiata che non seppe interpretare, «Più precisamente, è la figlia del proprietario dell’Ottawa Royal Palace.», aggiunse. «E, secondo quanto ricordano quei due scellerati che ti porti appresso, quella ragazza – che è la figlia del proprietario dell’Ottawa Royal Palace, il cui direttore, che è un suo sottoposto, ti ha citato in causa – era con te a quella dannatissima festa.»
Duncan stava per precisare che lui non ricordava assolutamente niente di quella sera, ma Courtney, il cui tono andava inasprendosi, gli fece cenno di tacere. «Non solo», ringhiò, «era con te durante la festa, ma sembra che ad un certo punto siate spariti – insieme – mentre l’orda che ti accompagnava si dedicava alla metodica distruzione di pezzi di antiquariato di cui preferirei non dover ricordare tutti i dettagli!», concluse, con un tono molto più irritato e sicuro di sé di quello che aveva quando aveva iniziato a parlare.
Duncan ebbe appena il tempo di assorbire le informazioni ricevute, quando il risultato delle elucubrazioni precedenti non si attardò a scivolargli da bocca.
«Principessa, sei gelosa?»
 
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Note dell’autrice:
come reagirà Courtney a questa provocazione? È davvero gelosa, o solo seccata per tutti i problemi di lavoro che sta vivendo? (hint: probabilmente la seconda)
Sono contenta di essere riuscita completare questo capitolo e spero di riuscire a pubblicare il secondo entro la fine del mese (che sarà anche il giro di boa della storia, considerando che ho previsto 14 capitoli)!
Non sono sicura di averlo già specificato, ma Emma, avvocato di Alejandro, è un prestito da Missione Cosmo Ridicola, così come i Vomitanti (Rock e Spud) e credo che compariranno altri personaggi prima di raggiungere la conclusione. Berlin Milton potrebbe essere un riferimento a Paris Hilton (così come lo era London Tipton in Zack&Cody) e di certo non sarà l’ultima volta che la vedrete.
A presto,
Fede ♥
  
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