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Autore: _Lisbeth_    06/02/2019    7 recensioni
Maylor (Brian May/Roger Taylor)
1969/1988
Dal primo capitolo:
- Roger, ti sei mai preoccupato per i sentimenti di qualcuno che non sia Tim? – lo interruppe Brian, calmo. Tranquillo, anche troppo, ma il suo cuore era sprofondato. Non riusciva più ad ascoltare le sue parole, le sue urla, i suoi attacchi e le autocommiserazioni. Per lui importava solo Tim. Era solo, lo aveva appena detto. Solo, senza Tim. E lui cos’era, allora?
Il ragazzo dagli occhi azzurri socchiuse la bocca, fermandosi. Deglutì. – Io… sì. Che razza di…
Brian gli si avvicinò, guardandolo negli occhi, toccandogli leggermente il petto con un dito magro. – Io invece penso proprio di no.
Lo scansò prendendolo per le spalle, facendosi spazio dietro di lui, uscendo dalla camera e chiudendo delicatamente la porta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 10 - You've taken my love
 
Roger sorrise dolcemente, mentre si beava delle carezze lievi e delicate del ragazzo. Del suo ragazzo. Dopo lunghi ed interminabili anni, finalmente poteva realmente affermare che Brian fosse effettivamente suo, come il tesoro più prezioso e inestimabile, che aveva ritrovato dopo lungo tempo. Si lasciò accarezzare, guardare e baciare.
Brian passò le dita affusolate tra i ciuffi biondi del batterista, baciandolo leggermente e lasciando che le mani di Roger gli accarezzassero il petto, posando poi il palmo sulla guancia chiara del ragazzo, sfiorandola con delicatezza. Sentì la lingua di Roger toccare le sue labbra chiuse, mentre il chitarrista le riapriva lasciando che la propria si unisse in quella deliziosa, dolce, passionevole danza.
Si staccò leggermente, guardando gli occhi azzurri del ragazzo che aveva di fronte, sorridendo. Roger, di sera, era perfetto. La luce dell’abatjour gli illuminava il viso, mischiandosi al blu del cielo che sembrava riflettersi, sebben più chiaro, negli occhi del batterista. Quegli occhioni un po’ stanchi dopo una faticosa giornata di prove, grandi come quelli di un bambino, con le lunghe e morbide ciglia chiare. Le labbra sottili e lievemente arrossate, leggermente aperte in un sorriso. Brian fece scorrere delicatamente il pollice sulla guancia del biondo, sorridendogli.
Roger, nello sguardo di Brian e nel suo sorriso riconobbe, come riflesso, il suo. Era uno sguardo dolce e sereno, forse quasi innamorato. Si avvicinò maggiormente a lui, prendendogli la mano libera e accarezzandola con il pollice. Brian lo baciò di nuovo, tornando poi a guardarlo negli occhi.
- Mi guardi come Freddie guarderebbe una pelliccia costosa. – osservò il batterista, ridendo. Brian arrossì appena, scuotendo la testa. – Mi spiace, paragone sbagliato. – si sistemò a cavalcioni sopra al ragazzo, chinandosi sulle sue labbra per baciarlo.
- Che paragone dovrei fare? Hai mai visto uno sguardo più rincoglionito di quello di Freddie davanti alle pellicce?
- Mi stai dicendo che ho uno sguardo da rincoglionito?
- Sì.
Brian ruotò gli occhi nelle orbite, appoggiandosi nuovamente sul materasso e sospirando, dando le spalle al più piccolo. Il ragazzo aggrottò la fronte. – Be’? non sei più arrapato?
- No. L’indifferenza è la miglior sfida.
- Se metti il broncio non fai l’indifferente.
- Non sai se ho il broncio. Sono girato di spalle.
Roger, per tutta risposta, rotolò giù dal letto, e con passi leggeri si piantò davanti al viso di Brian, guardandolo e spingendogli entrambe le sopracciglia all’ingiù. Sorrise. – Hai messo il broncio.
Il ragazzo più grande gli diede un colpetto sui polsi con le mani, facendogli abbassare le dita. – Almeno non ho più lo sguardo da rincoglionito.
- Oh, Cristo santo, quanto te la prendi.
Brian afferrò il polso del batterista, attirandolo a sé e baciandolo, mentre sentiva Roger ridere sulle sue labbra. Con un agile colpo di reni il biondo salì nuovamente sul letto, infilando le mani tra i capelli del chitarrista e baciandogli il collo, inviandogli un brivido che lo percorse per tutta la schiena. Il riccio passò le mani sotto al maglione (per altro suo) del minore, percorrendo con le dita il suo petto e la sua schiena magra, respirando profondamente quando i baci di Roger diventarono piccoli, delicati morsi.
Sussultarono quando sentirono bussare. Il biondo scese dal corpo di Brian, mentre il riccio si metteva seduto e si schiariva la gola. – Sì?
- Posso entrare a prendere il pigiama? – la voce sottile di John giunse nelle orecchie di entrambi.
- E’ camera tua. Che cazzo chiedi? – fece Roger.
- L’ultima volta che sono entrato senza chiedere…
- Sì, Deacy, puoi entrare! – sbottò Brian, non lasciando che terminasse la frase, troppo imbarazzato perché lo facesse. Il bassista aprì la porta, sollevato nel vedere i due ragazzi seduti composti e, soprattutto, vestiti. Andò verso l’armadio, iniziando a frugarci all’interno. Roger lo guardò. – Guarda che non rimango mica qui a dormire. Puoi restare.
- Penso che voi due abbiate ancora parecchio da fare. – gli rispose John da dentro all’armadio. – Però io ho sonno e Freddie sta già dormendo come un sasso.
- Quindi?
- Quindi preferisco andare a dormire, piuttosto che aspettare i vostri comodi.
- Quanto sei frustrato. Ti ha rincorso un cane e ti ha strappato i jeans con un morso?
John alzò gli occhi al cielo. – Io un giorno di questi impazzirò. – riemerse dall’armadio con il pigiama tra le mani. – Buonanotte, ragazzi. Vedete di non fare troppo rumore.
- Notte, John. – sospirò Brian, che in quel momento voleva sprofondare. Roger rise. – Nemmeno tu con Freddie.
John si fermò, pietrificato, spalancando gli occhi. Si girò di scatto. – Ma sei impazzito? Il sesso ti dà alla testa o cosa?
Il biondo si accese una sigaretta, sotto allo sguardo contrariato del suo ragazzo. – Sto scherzando.
- Meglio per te, idiota. – sbuffò il bassista, uscendo dalla stanza sbattendo la porta. Roger si girò verso Brian. – Che cazzo aveva?
- Hai fatto una battuta inutile, Rog. E poi Fred è fidanzato.
Il biondo aspirò una boccata di fumo dalla sigaretta, tenendola in bocca per un paio di secondi per poi soffiarla dalle labbra. Brian alzò gli occhi al cielo. – Quante volte ancora devo dirti che è nocivo?
- Vuoi provare?
Brian spalancò gli occhi. – Cosa? No.
- Ne sei sicuro?
- Sì, Roger. E adesso butta quella cosa prima che la butti dalla finestra.
- Occhio. Se prendi un albero dai fuoco al quartiere.
Il riccio sospirò, scuotendo la testa e sdraiandosi nuovamente, mentre Roger spegneva la sigaretta schiacciandola sotto alle scarpe, sul pavimento. Brian si massaggiò le tempie. – Il pavimento è il mio.
- Senti, io ti ho accontentato, non rompermi ulteriormente il cazzo. – Roger si levò le scarpe senza slacciarle, accoccolandosi di fronte a Brian e guardandolo fisso negli occhi, mentre l’altro ragazzo alzava un sopracciglio. – Mi devi delle scuse.
Il biondo rise. – Sì? E per cosa?
- Mi hai quasi bruciato il pavimento.
Roger alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi di più e sollevandogli il mento, lasciandogli un bacio leggero sulle labbra. Quando si staccò guardò il ragazzo, che aveva ora un sorrisetto ebete sulle labbra. Sorrise. – Non riesci a essere arrabbiato con me. Non ci sei mai riuscito.
Brian sbuffò, ricominciando a baciarlo accarezzandogli i capelli biondi, attirandolo più vicino a sé mentre il più piccolo gli circondava il collo con le braccia. Roger sorrise, appoggiando la testa sul petto del chitarrista, sentendo quest’ultimo accarezzargli uno zigomo e baciarlo sulla fronte.
- Oggi hai suonato da Dio. – affermò il batterista. Brian gli passò una mano tra i capelli. – Freddie vuole la perfezione. E la voglio anch’io.
Roger si beò della voce del maggiore, mista al battito del cuore del chitarrista che gli rimbombava nell’orecchio. Quello era il ritmo che aveva sempre desiderato suonare e udire.
Quando Brian lo sentì sbadigliare sorrise. Lo strinse forte a sé, lasciando che Roger chiudesse gli occhi, cullandosi al flebile suono del suo respiro regolare.
 

 
Brian si alzò in piedi stropicciandosi un occhio, lanciando via le coperte con i piedi. Sbadigliando infilò le pantofole, dandosi cinque minuti per riprendersi dallo spavento che gli aveva causato il campanello quando lo aveva sentito suonare in piena notte. Per una volta che stava riuscendo a dormire come si deve, dovevano proprio suonare alla porta? Sospirò, alzandosi dal letto con calma e grattandosi la testa riccia, sentendo poi il campanello suonare ancora. Sbuffò. – Sto arrivando, Cristo!
Si incamminò verso la porta tremando, avvertendo la mancanza delle calde coperte. Girò la maniglia e quello che vide gli sciolse il cuore, facendogli quasi male.
Roger era davanti a lui, bagnato fradicio dalla testa ai piedi, tremante e con lo sguardo puntato sul suo zerbino. Quella era la prima volta, dopo settimane, che lo vedeva. Gli appoggiò una mano sulla spalla, tirandolo dentro casa. – Rog! Ma sei impazzito? Sta piovendo da morire! – chiuse la porta, facendolo entrare. – Ti porto una coperta.
- No. – disse Roger, freddo, tirando su col naso e scuotendo la testa. – Sto bene così.
- Stavi rischiando di prenderti una broncopolmonite. Ne hai bisogno eccome. – insistette Brian. – Aspettami qui. – gli raccomandò, andando nella sua stanza. Afferrò una coperta calda dall’armadio, tornando poi da Roger e sistemandogliela sulle spalle. Fu felice di rivederlo, sollevato. La cosa che non gli piacque, però, era lo stato in cui il ragazzo si trovava. Si chiese se fosse ancora arrabbiato con lui.
- Vuoi che ti porti dei vestiti puliti? Un pigiama? – gli chiese, apprensivo. Roger sbuffò. – No. Non ho bisogno di niente.
La voce gli tremava come il corpo. Tossì, stringendo meglio a sé la coperta. Brian lo prese dolcemente per il polso, portandolo in cucina e facendolo sedere, guardandolo preoccupato. – Rog.
- Non… Non avevo altro posto in cui andare.
- E’ successo qualcosa in casa?
Vide Roger sbattere le ciglia, mentre piccole goccioline d’acqua scorrevano dai capelli biondi, infrangendosi sul pavimento. – Non ti riguarda.
- Roger, certo che mi riguarda, dato che sei arrivato in casa mia alle tre di notte bagnato fradicio.
- Non ci metto niente ad andarmene, se è questo che mi stai chiedendo di fare.
Brian scosse la testa, appoggiandogli una mano sulla spalla. – Non ti sto chiedendo di andare via. Mi sto solo interessando a te e a come stai.
Il biondo respirò profondamente, tossendo subito dopo. Chiuse gli occhi. – Mamma… Ha fatto una cosa orribile.
Il chitarrista lo guardò, aspettando che continuasse. Lo vide stringere le spalle. – Lei… E’ in ospedale, ora.
- Oh. – il riccio deglutì. Non poteva essergliene successa un’altra. – Come sta?
Roger alzò le spalle. – Bene. Anche se solo fisicamente.
Brian gli accarezzò, piano, il braccio. Il più piccolo lo scansò.
- Lei ha… Tentato il suicidio.
Il più grande restò immobile, senza dire niente. Succedevano davvero tutte a quel ragazzo e lui, che avrebbe voluto solo che stesse bene, era una delle cose che si aggiungevano a tutte quelle oppressive e soffocanti situazioni che lo stavano facendo soffrire in quel modo. Sapeva che Winifred stesse male, davvero male, ma non immaginava a tal punto. Sistemò meglio la coperta sulle spalle di Roger. Avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo forte a sé per cacciar via tutte le sue paure e ogni cosa che lo faceva star male, ma sapeva che se ci avesse provato, non avrebbe fatto altro che farlo stare peggio.
Il biondo rimaneva immobile, appoggiato allo schienale della sedia mentre guardava fuori dalla finestra la pioggia che batteva contro i vetri. Si chiese se il mondo ce l’avesse con lui.
- L’abbiamo scoperta io e Clare, appena in tempo. – mormorò. Brian riuscì a vedere l’amarezza e il peso che il ragazzo si portava sulle spalle solo guardando quei tristi occhi azzurri.
- Io… Io ci sarò, quando vorrai, okay? – gli promise il chitarrista. – Non importa cosa. Anche se sei terribilmente incazzato con me, io… Non ti abbandonerò mai.
Roger trasse un profondo respiro. – Io non ho bisogno di te.
 

 
“Dear friend, goodbye. No tears in my eyes.”
Brian lasciò che la penna scivolasse sul foglio, mentre le parole che aveva in testa prendevano forma attraverso l’inchiostro. Nelle notti in cui non riusciva a dormire, di solito scriveva. Era da tempo che stava pensando a come scrivere quella canzone che tanto lo chiamava. Lanciò un’occhiata a Roger, che affianco a lui dormiva tranquillo, al contrario della precedente notte, in cui era stato tormentato dagli incubi. Sorrise, accarezzandogli divertito i capelli mentre lo sentiva, come sempre, russare. Non voleva distrarsi, e forse avrebbe preferito che, invece di dormire con il ragazzo nello stesso stretto letto, al suo posto ci fosse stato Deaky, nel proprio, che si trovava dall’altra parte della stanza. Lo stava distraendo leggermente e lui aveva bisogno di scrivere un po’, altrimenti non avrebbe mai terminato.
Però il ragazzo al suo fianco era talmente bello quando dormiva. Era quasi angelico, con le palpebre abbassate e le lunghe ciglia che gli solleticavano gli zigomi. Il chitarrista appoggiò foglio e penna sul comodino, appoggiando il gomito sul cuscino per sistemarsi meglio davanti al biondo, sfiorandogli una guancia con la mano destra, mentre lo osservava come se fosse la cosa più preziosa e bella del mondo e spostava il pollice sulle sue labbra, sentendo i piccoli sospiri che ne uscivano dritti sulla pelle. Sorrise, sostituendo il dito con le sue labbra, lasciandogli un’ultima carezza sulla fronte per poi riprendere a scrivere, curvo sul foglio.
“The white queen walks and the night grows pale.”
Gli mancava poco e ciò che stava producendo gli piaceva abbastanza, poteva dire di esserne più che soddisfatto. La canzone si sarebbe chiamata “White queen”.
- Brian. – sentì, dietro di sé, da una voce flebile e familiare. Sussultò per un momento, poi si girò e guardò la fonte della voce. Roger lo stava guardando con i suoi grandi occhi azzurri e assonnati, sbadigliando. Il chitarrista gli accarezzò i capelli. – Dormi, Rog. E’ presto.
Il più piccolo si strinse nelle spalle, sospirando e chiudendo nuovamente gli occhi. – E allora perché sei sveglio, tu?
Brian appoggiò carta e penna su letto, girandosi a guardarlo. – Sai che non riesco.
- Ci hai almeno provato?
- Be’, sì.
- E…?
- E non ci sono riuscito, Rog.
Il biondo sollevò nuovamente le palpebre. Le sbatté un paio di volte, sembrando così simile ad un bambino. – Cosa scrivi?
- Una nuova canzone. O almeno, ci provo. – disse Brian, afferrando il foglio. Roger sbirciò, sebbene nella stanza non ci fosse molta luce e lui, per il sonno, avesse la vista poco chiara. – E’… Sembra bella. Solo, non è troppo… Triste?
Il più grande aggrottò la fronte, guardando le parole che aveva scritto. – Ma no. Non è triste.
Il batterista si sedette a gambe incrociate, stropicciandosi gli occhi e appoggiando la testa sulla spalla di Brian. – Un po’ sì.
- Guarda che anche “The loser in the end” lo è.
Roger alzò le sopracciglia. – Se per te è triste la mia canzone, immagino che dopo aver registrato “The night comes down” tu ti sia tagliato le vene.
- Divertente.
Il biondo sorrise. – E come sarebbe la melodia?
Brian ci pensò su un attimo, per poi iniziare a canticchiare le parole della canzone, sebbene fosse ancora un po’ incerto. Roger sorrise. Il chitarrista aveva una voce dolcissima, così bella e delicata, particolare e calda. Gli accarezzò i capelli ricci, mentre il ragazzo finiva di cantare e arricciava le labbra. – Non mi convince.
Il biondo spalancò gli occhi azzurri. – Cosa? Sei scemo? – esclamò. – E’ bellissima, Bri. Forse con qualche modifica lo sarebbe ancora di più, ma è davvero un ottimo inizio.
Il riccio sospirò. – Devo ancora finirla.
- Bene, allora quando la finirai la proporrai anche a Freddie e Deaky.
Brian sorrise, poggiando lievemente le labbra sulla tempia del suo ragazzo. Trovava dolcissimo il modo in cui lo incoraggiava e spronava, con il suo ottimismo e la sua positività. Poi lo vide grattarsi la testa, stringendo le labbra. – Secondo te faccio schifo a cantare?
- No! – sbottò il chitarrista. – Assolutamente no. Raggiungi note altissime come se respirassi, Rog.
- Appunto. Magari sembro una gallina e non me ne rendo conto.
- Ma smettila. – sbuffò il ragazzo, lasciando il foglio nuovamente sul comodino di legno. Accarezzò la guancia del batterista. – La tua voce è bellissima. Straordinaria.
Roger sollevò le spalle. – Dici?
Il riccio rise. – Ti facevo più sicuro di te, sai?
- Ma io sono sicuro di me. Però sono modesto.
- Sì, solo quando vuoi tu.
- Ma… - mormorò Roger, guardandolo male. – Chi ti autorizza a insultarmi?
- Non ti sto insultando, Rog.
- Ah, no? E allora… - il batterista non riuscì a terminare la frase, portandosi una mano alle labbra mentre sbadigliava. Brian lo fece sdraiare nuovamente sul letto, accoccolandosi di fronte a lui. – Su, Narciso, dormi un po’. – gli sussurrò dolcemente, lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia.
- Però dormi anche tu. Altrimenti… - Roger chiuse gli occhi, beandosi delle carezze di Brian. – Altrimenti domani sarai stanco.
- Posso provarci. Però non ti prometto nulla.
- Zitto e chiudi gli occhi.
 

 
Harold May passò dalla camera di suo figlio, vedendolo sveglio e seduto sul letto, mentre stringeva le coperte. Era tardi per il piccolo Brian, sarebbe dovuto essere già addormentato da un pezzo. L’uomo sospirò, entrando nella camera e sedendosi accanto al bambino, accarezzandogli i ricci. – Bri. Non stai ancora dormendo?
Brian scosse la testa e sollevò le spalle. – Non ci riesco.
- Perché non sei venuto da me e Ruth? Avresti potuto dircelo, domani sarai stanco a scuola. – gli disse il suo papà, baciandogli la fronte. Il piccolo sospirò. – Non volevo svegliarvi.
Harold lo guardò sollevando le coperte. – Fammi spazio, dai.
Il bambino si fece più a sinistra, lasciando che suo padre potesse scivolare in quel letto stretto, sebbene per l’uomo fosse davvero piccolo e scomodo. Brian era così diverso dai bambini della sua età. Era brillante e maturo, forse anche troppo. Aveva solo sei anni, eppure aveva la mentalità e i pensieri di un ragazzino tanto più grande. Era preciso, ordinato e straordinariamente intelligente. Harold era sempre stato fiero di lui.
Lo abbracciò, lasciando che il corpicino di Brian sparisse, quasi, tra le sue braccia. – Come mai non riesci a dormire?
Sentì il figlio alzare le spalle. – Non lo so.
- Sai, Bri, anche io a volte non riesco ad addormentarmi. E quando succede, di solito mi giro verso la mia finestra, guardando le stelle.
Brian sollevò la testa, interessato. Le stelle. Gli piacevano, le stelle. Quei puntini luminosi che brillavano nel cielo scuro come delle lucciole. Anche la luna, gli piaceva. A volte prendeva la forma di un ampio sorriso, altre volte, invece, sembrava così luminosa e piena da essere quasi perfetta.
- Le stelle mi fanno pensare ad una luce che brillerà sempre, che non si spegnerà mai, che sempre illuminerà il mondo anche durante la notte. Anche le stelle muoiono, però. Ma nonostante questo, altri miliardi di stelle continuano ad illuminare noi e il nostro mondo. – Harold May si sistemò meglio nel letto del figlio, essendo sul punto di cadere. Brian lo guardò, curioso. – Cosa succede, quando muore una stella?
L’uomo gli accarezzò i ricci. – Mi hai fatto davvero una bella domanda, sai? Vedi, le stelle vivono molto più di noi. Miliardi e miliardi di anni. Ci sono stelle e stelle: le stelle più piccole, quando muoiono, si spengono piano piano, lentamente, forse prima di morire possono impiegare altri miliardi di anni perché la loro luce si consumi.
- E quelle grandi?
- Be’, quelle grandi sono più complesse. C’è un elemento che le tiene in vita, che è l’elio. Quando l’elio si consuma, il cuore della stella diventa molto pesante mentre smette di bruciare, facendola collassare e diventare una Supernova.
- E poi, cosa succede?
- Il nucleo che rimane può diventare addirittura un buco nero.
Brian sospirò. – Povere stelle.
Harold rise, stringendo di più il bambino a sé. – Prova a guardare le stelle. Pensa a quanto complesse e straordinarie siano, perditi nelle loro luci. Sono qualcosa di talmente grande che noi, a confronto, siamo solo dei piccoli moscerini. Dei piccoli uomini vulnerabili e fragili, che hanno bisogno della luce delle stelle per illuminare le loro vite e le loro strade.
Il bambino guardò fuori dalla finestra, sollevando appena la testa dalle braccia di suo padre, spiando il cielo notturno e le sue brillanti, infinite stelle, ripensando a tutto ciò che l’uomo gli aveva raccontato, concedendosi un momento per chiudere gli occhi, sprofondando nel sonno stretto nell’abbraccio del papà. 
   
 
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