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Autore: Shainareth    07/02/2019    1 recensioni
Quando tieni la mano di un uomo che ti fa battere forte il cuore e ti fa sentire frastornata ed eccitata, allontanati da lui. Non è l'uomo per te.
Se tieni la mano di un uomo che ti fa sentire confortata e sicura, tienti stretta a lui. È l'uomo che dovresti sposare.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SEDICESIMO




Correre sui tetti di Parigi era sempre un’emozione immensa a cui mai lei avrebbe fatto l’abitudine. Col vento in faccia e fra i capelli, con quell’agilità fuori dalla norma che le consentivano i suoi nuovi poteri magici, Rena Rouge imitò i movimenti di Ladybug e saltò con lei da un palazzo all’altro, pronta ad accorrere in aiuto dei cittadini in pericolo.
   Marinette era andata via da poco quando, cogliendola del tutto impreparata a quella visita, l’eroina più illustre di Francia era balzata sul balcone della sua camera e le aveva offerto ancora una volta il miraculous della Volpe. Alya non le aveva detto di no e mai lo avrebbe fatto. Aveva una passione sfrenata per l’avventura, una curiosità fuori dal comune ed una stima troppo elevata per la collega a pois per poter rifiutare una simile occasione. Era orgogliosa della fiducia di Ladybug. Era orgogliosa di se stessa. Oh, se solo le fosse stato concesso di poter tenere con sé il miraculous e il piccolo Trixx!
   Un’ombra passò sulle loro teste ed entrambe le ragazze alzarono lo sguardo al cielo scuro e dovettero trattenere un’esclamazione alla vista di un grosso palloncino stilizzato a forma di farfalla. Stava inseguendo loro? Probabile. Pur non sapendo quanto potesse risultare pericoloso un rivale del genere, Ladybug lanciò il proprio yo-yo contro di esso e lo arpionò per un’ala, strattonandolo giù. La struttura della farfalla, tuttavia, si mostrò molto più coriacea di quanto sembrasse a prima vista e con uno scossone tornò a guadagnare quota, trascinandosi dietro la ragazza.
   «Ladybug!» Rena Rouge urlò, ma non la seguì, certa che la sua collega avrebbe saputo cavarsela alla grande anche da sola. Un rumore sordo la indusse a spostare la propria attenzione altrove e, poco più in là, vide qualcun altro alle prese con un serpente gonfiabile che era riuscito a strisciare fin sui tetti più bassi degli edifici vicini. Stringendo le labbra con decisione, Alya si buttò in aiuto di Chat Noir, calciando via la buffa bestiaccia. Tuttavia, anziché riuscire nell’intento, il suo piede slittò sulla superficie gommosa del serpente e lei finì col cadere di sotto, salvata solo all’ultimo istante dal ragazzo mascherato.
   «Tutto bene?» le domandò, mentre l’adagiava a terra con estrema attenzione.
   «Sì, ma Ladybug è da qualche parte in cielo.» E allo sguardo interrogativo di lui, Rena Rouge rispose soltanto: «Una farfalla.»
   «Non permetterò a nessuno di portarmela via», borbottò con fastidio il giovane, mettendosi in guardia quando vide il serpente strisciare di nuovo lungo le pareti del palazzo per tornare all’attacco. «Stai attenta», disse poi alla compagna. «Per quanto possano sembrare innocui, ti assicuro che questi dannati affari sono pericolosi: sono in grado di inghiottire qualunque cosa dalla loro apertura. L’aprono come una bocca e… gnam
   «Non dovrebbero sgonfiarsi, piuttosto?»
   «Puoi sempre provare a chiederglielo. Ammesso che ti riesca!» Chat Noir scansò l’attacco del serpente, schivò ancora e infine, stufo di quell’inseguimento, passò alla controffensiva sguainando i propri artigli, che slittarono sulla superficie del palloncino, producendo un suono stridulo e fastidioso. Non fu un colpo che andò del tutto a vuoto, però, perché una delle unghie appuntite dell’eroe riuscì comunque a scalfire il nemico, che iniziò lentamente a contorcersi in quella che sembrò diventare una lunga e sofferente agonia.
   «Fantastico!» esclamò Rena Rouge, felice del risultato.
   «Sì, ma sarà un’impresa riuscire a bucarli tutti!» ribatté l’altro, scattando subito via da lì. «La zona del Jardin des Tuileries ne è piena!»
   Alya tremò: sua madre e le sue sorelline erano state lì, nel pomeriggio, e forse erano rimaste coinvolte nell’attacco di Papillon. Senza pensarci due volte, sorpassò Chat Noir e si diresse come un fulmine verso il posto incriminato. «Ehi, aspetta!» gridò lui, la cui corsa venne fermata da un temibile barboncino gonfiabile. «Occavolo… dobbiamo davvero giocare al cane e al gatto?»
   Più avanti, la farfalla a cui era aggrappata Ladybug per mezzo dello yo-yo continuava a vorticare a mezz’aria, facendo urlare di spavento la povera ragazza. «Frenafrenafrenaaa!» strepitò quest’ultima quando rischiò di schiantarsi contro uno dei comignoli dei palazzi che stavano sorvolando. «Maledizione, vuoi fermarti?!» Imprecò, ben sapendo che si trattava di una battaglia persa in partenza. Se solo avesse potuto ricorrere al Lucky Charm… e invece no, perché il filo del suo yo-yo continuava a tenerla salda all’ala della farfalla evitandole di precipitare nel vuoto. Doveva escogitare qualcos’altro e un attimo dopo la soluzione venne da sé, quando il palloncino passò troppo vicino ad un’antenna televisiva presente su uno degli edifici, subendo inesorabilmente la stessa fine del serpente abbattuto da Chat Noir.
   La discesa fu dolce e lenta, per fortuna, e Ladybug ebbe tutto il tempo per atterrare in sicurezza su un tetto. Rena Rouge le passò accanto come un lampo e subito lei le si affiancò. «Che succede?»
   «Chat Noir ha detto che i palloncini arrivano dal Jardin des Tuileries», rispose Alya col cuore in gola, e Marinette comprese immediatamente quanto questo dovesse preoccuparla. «Dobbiamo fare in fretta!»
   «Dobbiamo trovare un modo per bucarli o scoppiarli tutti.»
   «No, è rischioso!» protestò Rena Rouge. «In alcuni di questi dannati palloncini potrebbero esserci delle persone!»
   «Cosa?!» Ripeté dunque a Ladybug ciò che le aveva riferito Chat Noir e subito cercarono di trovare un piano di riserva. «Temo che per trovare una soluzione indolore dovremo prima fare il nostro incontro con colui o colei che sta rendendo animati questi dannati palloncini!»
   Più si avvicinavano alla meta, più la quantità di inseguitori ed inseguiti pareva aumentare. Con loro grande costernazione, videro alcun persone venire inghiottite dai palloncini per mezzo della loro unica apertura, proprio come aveva detto Chat Noir. Anziché sgonfiarsi, quegli esseri fagocitavano le loro vittime e tornavano ad assumere le sembianze di un normale ovale di gomma colorata, al cui interno era possibile intravedere le sagome dei malcapitati.
   Non c’era tempo da perdere, presto quei poveretti avrebbero finito l’ossigeno a loro disposizione. Le ragazze aguzzarono la vista e lì dove gli animali erano assembrati in maggior quantità, videro finalmente colui che li portava alla vita: un ometto basso e tarchiato, dal viso dipinto e che spiccava sulla folla per mezzo di due altissimi trampoli. Recuperava i palloncini dalle innumerevoli toppe del suo eccentrico costume da clown, li gonfiava con un solo fiato a prescindere dalle loro dimensioni, ne modellava le sembianze in poche, abili mosse e infine si afferrava il naso rosso e lo strizzava fra le dita, producendo un rumore molesto che sembrava dar poi vita alle sue creature per mezzo di chissà quale arcano potere magico.
   «Il… naso?» mormorò incredula Ladybug. Possibile che l’akuma si fosse nascosta proprio lì? Come diamine avrebbe fatto a recuperarla?! «Speriamo solo sia removibile!» si augurò, atterrando sulla cima di un lampione del Jardin des Tuileries. Osservando la scena dall’alto, e sentendo l’akumizzato imprecare contro le persone in generale ed i ragazzini in particolare, Marinette comprese subito quale fosse il problema. «Rena Rouge!» diede voce alla compagna che, più in là, cercava disperatamente di afferrare al volo chi ancora non era caduto nelle grinfie dei palloncini e di bucare questi ultimi prima che fosse tardi. «Ho bisogno di te!»
   Pur a malincuore, Alya desistette dalla propria vana impresa e balzò vicina a lei, pronta ad ascoltare quel che aveva da dirle. Si fidava dell’istinto di Ladybug, perché era grazie a quello che riusciva quasi sempre a ribaltare le sorti di una battaglia e ad aver ragione del nemico. «Sono troppi, e il clown è inavvicinabile!»
   «Proprio per questo dobbiamo cercare di distrarre in massa i suoi alleati», rispose l’altra, senza perdere d’occhio il loro avversario. «Da come strepita, sembra avercela soprattutto con i ragazzini, come se avesse subito da loro insulti o prese in giro di qualche tipo.»
   «Ricevuto», disse Rena Rouge, afferrando al volo il suggerimento. Recuperò il flauto che portava sulla schiena e lo accostò alle labbra, facendo risuonare tutt’intorno quella melodia che avrebbe attivato il suo potere speciale. Un attimo dopo, un’orda di ragazzini riempì l’area circostante, creando scompiglio tutt’intorno.
   Ladybug riconobbe subito un piccolo esercito di Sapoti, a riprova di quanto Alya dovesse essere in pensiero per le proprie sorelline, e anche buona parte dei loro compagni di scuola. Vide il miraggio di Adrien correre accanto a quello di Marinette e non poté fare a meno di provare una lieve fitta di sana invidia per il proprio corrispettivo illusorio. Ad ogni modo, come previsto, il clown andò su tutte le furie per quella nuova ondata di piccole pesti, e subito comandò all’orda di palloncini di inseguirle e divorarle. Uno dei suoi sottoposti di gomma si avventò proprio sul finto Adrien, facendolo scomparire nel nulla non appena entrò in contatto con lui. Alla lunga avrebbero corso il rischio che l’akumizzato mangiasse la foglia e lasciasse perdere i miraggi per scagliarsi direttamente contro di loro. Per questo Ladybug scattò in piedi e, approfittando della confusione generale, richiamò di nuovo a sé il Lucky Charm.
   Alle sue spalle, non visto, giunse anche Chat Noir, che grazie ai propri artigli si era lasciato dietro una lunga scia di palloncini bucati e agonizzanti. Vide i Sapoti che trotterellavano in tutte le direzioni e comprese che doveva trattarsi dell’opera del Mirage di Rena Rouge; non giunse però alla medesima conclusione quando vide alcuni dei suoi compagni di classe che scappavano rapidamente da lì. Si mosse per aiutarli e, quando scorse Marinette in mezzo alla folla, ebbe un più che comprensibile attimo di sbandamento: se lei era lì, chi c’era sotto la maschera di Ladybug?!
   Il tempo attorno a lui sembrò rallentare, ma non abbastanza da renderlo pronto a ciò che stava per accadere. Un grosso palloncino a forma di cavallo si avventò contro il miraggio della sua amica e lui, spaventato dalle conseguenze, si lanciò in difesa della ragazza. «Marinette!» urlò a gran voce.
   D’istinto, Ladybug si voltò nella sua direzione, appena in tempo per assistere impotente alla scena e vedere il proprio compagno di battaglia che veniva ingoiato dal palloncino. «Maledizione!» Strinse i denti, serrò la presa attorno alla pistola tirapugni che il suo Lucky Charm aveva creato poco prima dal nulla e tornò a guardarsi intorno per capire in che modo potesse avvicinarsi al clown, evitando di fare la stessa fine di Chat Noir. L’akumizzato era rimasto insieme a pochi altri animali di gomma, ma dalle tasche colorate del suo costume continuava a tirar fuori nuovi palloncini, esultando per la sorte di uno dei nemici giurati di Papillon e minacciando di essere ancora più spietato con Ladybug. Questa vide Rena Rouge balzare eroicamente davanti all’ultima difesa del clown per tenerla impegnata e consentire alla compagna di agire, ma nel giro di poco anche lei fu sopraffatta nonostante Marinette avesse cercato di aiutarla con il proprio yo-yo. A quel punto, l’unica eroina superstite si gettò nella mischia dall’alto, senza esitazione. Schivò i nemici, rischiò di cadere e infine, usando la propria arma come rampino per darsi la spinta necessaria, puntò la pistola dritta verso l’avversario. Qualcosa la intercettò ed un grosso cigno gonfiabile spalancò l’apertura per l’aria per farne un sol boccone. Ladybug tenne duro e, proprio mentre la gomma colorata stava chiudendosi attorno a lei, premette il grilletto alla cieca. Il grosso guantone da pugile si scagliò con forza contro il volto del clown, facendogli scappare un lamento ed un’imprecazione. Il suo naso rosso perse aderenza e ricadde a terra, rotolando lontano da lui con una vistosa crepa nel mezzo. Fu allora che l’akuma si liberò e volò via. Lottando con tutte le sue forze, Ladybug approfittò dell’ultimo spiraglio d’aria che le era rimasto per lanciare in alto la pistola tirapugni e gridare un soffocato: «Miraculous Ladybug
   Un istante dopo, tutto tornò alla normalità e l’akumizzato ad essere un semplice artista di strada. I prigionieri furono rilasciati subito, compresa Marinette che si affrettò a rincorrere l’akuma per purificarla prima che scappasse lontana e divenisse una minaccia più pericolosa di quella appena affrontata. E mentre Alya si assicurava che le sue sorelline tornassero fra le braccia della loro mamma, Chat Noir scrollò il capo per tornare in sé. Ladybug gli si fece vicino e gli porse una mano. Lui sollevò lo sguardo disorientato su di lei e quegli occhi azzurri gli ricordarono immediatamente quelli di qualcun altro. «Marinette!» esclamò di getto, balzando in piedi.
   «Sta bene», lo rassicurò la sua partner, stringendo con calore la presa sulla sua mano. Scorse sollievo sul viso di lui, ma anche ansia e confusione. Se davvero Chat Noir aveva creduto che lei fosse Marinette, il miraggio di Rena Rouge doveva aver fatto crollare su se stesse tutte le sue convinzioni. Non stava a lei, però, dirgli la verità. Principalmente perché non era quello il momento.
   «Ladybug!» Alya corse verso di loro mostrando il miraculous della Volpe che scandiva il tempo della trasformazione, ormai agli sgoccioli.
   Lei lanciò un ultimo sguardo al loro compagno, senza però riuscire a dirgli altro, e poi scappò via con Rena Rouge. Adrien, invece, rimase fermo dov’era, gli occhi che seguivano passivamente la fuga delle due e la testa e il cuore che vorticavano come non mai. Poi qualcuno lo chiamò e lui tornò con i piedi per terra: c’era un ex akumizzato da tranquillizzare ed una folla di persone che applaudivano le gesta degli eroi di Parigi. Il giovane accolse quei complimenti con un sorriso spento: lui non aveva fatto nulla e, anzi, ancora una volta si era lasciato soggiogare dal nemico col rischio di essere più un ostacolo che un aiuto.
   Scoraggiato, smarrito, frustrato. Ecco come si sentiva. Aveva bisogno di conferme, di appoggio, di un abbraccio. E, come sempre, non poteva chiederli a nessuno.

Aveva iniziato a piovere non appena aveva lasciato l’abitazione del maestro Fu, dov’era stata per restituire il miraculous della Volpe. Vista anche l’ora tarda, Marinette era stata costretta a chiedere un piccolo sforzo al suo kwami, così da raggiungere il prima possibile casa. Fu a pochi tetti di distanza dal suo che vide un’ombra in attesa sul balcone della sua camera e si affrettò a nascondersi dietro ad un comignolo vicino. Sbirciò in direzione dell’intruso e si rese conto che, accovacciato lì sulla ringhiera, incurante della pioggia, c’era Chat Noir. Il suo cuore sussultò e lei appoggiò la schiena contro la struttura di mattoni e si lasciò scivolare a sedere sulle tegole fradice d’acqua.
   Fino a quel momento Marinette aveva evitato di tornare sulla questione, ma adesso non poteva più rimandare quelle riflessioni che in verità sgomitavano in un angolo del suo cervello per venir fuori ad aggrovigliarle lo stomaco. Vedendo lei e Ladybug nello stesso momento, Chat Noir doveva essere rimasto non poco deluso dalla smentita delle proprie convinzioni circa la vera identità della sua partner di sempre. Al contempo, doveva essersi spaventato e preoccupato non poco per la sorte della sua amica Marinette, anche e soprattutto perché dopo la battaglia appena terminata non era riuscito a scorgerla da nessuna parte. E ora era lì, di sicuro in attesa di poterla vedere e accertarsi che stesse bene. Che fosse Ladybug o meno, dunque, a lui non importava affatto: ormai le si era sinceramente affezionato e questo non poteva che scioglierle il cuore.
   C’era, in verità, anche un’altra ragione per cui la ragazza stava esitando dietro al comignolo. Colui che si nascondeva dietro la maschera di Chat Noir era davvero Adrien? Se inizialmente Marinette aveva creduto che fosse ridicolo e assurdo, adesso la cosa ai suoi occhi cominciava a diventare molto probabile. Non soltanto per la grande somiglianza fisica e – ormai lei non poteva più negarlo – caratteriale. C’erano state troppe coincidenze, a cominciare dallo scambio dei kwami al parco: possibile che Chat Noir fosse a due passi da lei sul pont des Suicidés? E come giustificare la presenza di Adrien dal maestro Fu quello stesso pomeriggio, quando lei era andata lì per lasciare Plagg al guardiano dei miraculous?
   Le loro identità segrete avrebbero dovuto rimanere tali per motivi di sicurezza, lo sapevano bene entrambi. Ciò nonostante, era assai difficile mettere a tacere i sentimenti e le questioni personali: si volevano bene. No, di più, si adoravano. E se davvero quello che l’attendeva pochi tetti più in là era il suo compagno di classe, significava che quell’affetto così profondo e sincero aveva finito per coinvolgerli sia come Ladybug e Chat Noir, sia come Marinette e Adrien.
   Col cuore in subbuglio, la ragazza tornò ad ergersi sulle gambe e, preso un respiro profondo, aggirò l’isolato per atterrare in modo silenzioso alle spalle del compagno ed intrufolarsi da una delle finestre della sua camera senza esser vista. Tornò ad assumere le sembianze di tutti i giorni e accese la luce, andando subito a recuperare due asciugamani. Quando l’interno della camera si illuminò, Chat Noir sobbalzò e si slanciò verso la botola che portava di sotto, pronto a bussare per farsi aprire. Non fece in tempo a farlo che Marinette si affacciò da una finestra poco più in basso e lo chiamò, dichiarando così di essersi accorta della sua visita inattesa. Il giovane non se lo fece ripetere due volte e subito la raggiunse con pochi, agili balzi, atterrando in camera di lei, che prima di ogni altra cosa, gli passò uno degli asciugamani che aveva preso poco prima.
   «Ti ho visto mentre tornavo a casa», gli spiegò senza aspettare che lui aprisse bocca, sciogliendosi  i capelli e iniziando a frizionarli con il telo di spugna. Non aveva il coraggio di guardarlo, non ancora, perché la sua presenza la scombussolava molto più del solito. Chat Noir, invece, non le staccava gli occhi di dosso e, dopo un blando ringraziamento, si passò rapidamente l’asciugamano sul capo fradicio di pioggia. Marinette stava bene, era lì con lui ed era reale. Così vera nei suoi movimenti aggraziati, così vera nel suo tenere lo sguardo basso per un pudore che Adrien non sapeva spiegarsi. Così vera. E bella. E se le fosse accaduto qualcosa di brutto, se lui l’avesse persa…
   Serrò la presa attorno al telo di spugna e parlò. «Sai perché sono qui?»
   «Mi hai… vista al Jardin des Tuileries, immagino.» Marinette esitò. «E ti sei preoccupato?»
   «Come potevo non farlo?» recriminò l’altro. «Ovunque ci sono guai, sembri sguazzarci.» La vide alzare finalmente lo sguardo su di lui, sia pure per scoccargli un’occhiata risentita. Le sorrise con affetto, innamorato perso di quelle iridi azzurre che splendevano di orgoglio. «Sono felice che tu stia bene.»
   Ogni stizza nei suoi confronti si dissolse e la ragazza si perse nei suoi occhi verdi. C’era davvero Adrien, dietro quella maschera? Forse. Di sicuro, però, il giovane che era di fronte a lei le voleva bene per davvero, a prescindere da tutto. Schiuse le labbra e si trattenne a stento dal confessargli che non era lei, la Marinette che lui aveva visto; e che, nonostante ciò, anche lei era stata lì, sia pure in vesti differenti da quelle che indossava ora.
   «Sono felice che tu sia qui», le sfuggì alla fine, avvertendo un lieve calore al viso. Sarebbe stato un bel guaio se lui fosse stato Adrien e l’avesse vista in quel momento, ad arrossire come una sciocca davanti ad un altro ragazzo. Avrebbe potuto pensare che il suo fosse un comportamento poco serio, ma davvero Marinette non riuscì a controllare oltre le proprie emozioni.
   Lui non parlò né lo fece lei. Rimasero a fissarsi negli occhi per diversi, interminabili istanti. Poi, la ragazza si mosse nella sua direzione e sollevò un braccio per sfiorargli il viso con una carezza: c’era tristezza nello sguardo del suo amico e lei non riusciva a capire se fosse a causa sua o se ci fosse dell’altro. Adrien si lasciò crogiolare da quella coccola insperata e le prese la mano nella propria prima di ghermirne il palmo con un lungo bacio. Un brivido caldo e meraviglioso la travolse nel profondo dell’anima e Marinette ne rimase sconvolta. Quando quel contatto finì, Chat Noir tornò a sorriderle e a fissarla con tenerezza. «Scusa il disturbo, vado via subito.»
   Voltandole le spalle, il giovane non poté far altro che sbirciare verso il soppalco, dove sapeva esserci un grazioso vasetto di vetro in cui la ragazza aveva disposto una rosa ed una margherita. Per un attimo sperò esserci anche il crisantemo bianco che lui aveva regalato a Ladybug la sera addietro, ma non lo vide. Incassò quella delusione con un sospiro rassegnato e fece per andar via. Marinette lo richiamò indietro, lui si volse di nuovo nella sua direzione e fu spiazzato da un abbraccio così caloroso che per un attimo perse ogni contatto con la realtà. Quando si riebbe, non tardò a ricambiare quel gesto così sentito e ad affondare il viso fra i capelli scuri di lei, umidi di pioggia ma profumati come poche altre cose al mondo. Non avrebbe più potuto farne a meno. Non di quegli abbracci che Ladybug continuava a negargli. Non di quella meraviglia dagli occhi azzurri che aveva fra le braccia e che, se solo avesse potuto, non avrebbe lasciato andare mai più.
   «Grazie», mormorò Marinette contro la sua spalla, sentendosi amata e protetta come mai le era capitato in vita sua. E grazie anche per tutto l’amore che mi dài.
   «Ci sarò sempre, per te», rispose lui, la voce roca che tradiva tutto il piacere di quel momento in cui il suo animo e il suo cuore stavano ricaricando le energie che gli sarebbero occorse per affrontare ciò che sarebbe accaduto una volta tornato a casa. «Sempre












Sono malvagia, lo so.
Adesso mi aspetto parecchi insulti per quello che ho combinato, ma spero di essermi fatta comunque perdonare con la scena finale. Perciò... siate clementi! XD
E ricordatevi che Astruc è molto, molto più sadico di me.
Un caloroso abbraccio a tutti voi che siete ancora qui a sostenermi con la vostra presenza. ❤️
Shainareth





  
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